Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 182 - Cessioni 1 .Cessioni1.
Se il concordato consiste nella cessione dei beni e non dispone diversamente, il tribunale nomina nel decreto di omologazione uno o più liquidatori e un comitato di tre o cinque creditori per assistere alla liquidazione e determina le altre modalità della liquidazione. In tal caso, il tribunale dispone che il liquidatore effettui la pubblicita' prevista dall' articolo 490, primo comma, del codice di procedura civile e fissa il termine entro cui la stessa deve essere eseguita 2. Si applicano ai liquidatori gli articoli 28, 29, 37, 38, 39 e 116 in quanto compatibili 3. Si applicano al comitato dei creditori gli articoli 40 e 41 in quanto compatibili. Alla sostituzione dei membri del comitato provvede in ogni caso il tribunale 4. Le vendite di aziende e rami di aziende, beni immobili e altri beni iscritti in pubblici registri, nonche' le cessioni di attivita' e passivita' dell'azienda e di beni o rapporti giuridici individuali in blocco devono essere autorizzate dal comitato dei creditori 5. Alle vendite, alle cessioni e ai trasferimenti legalmente posti in essere dopo il deposito della domanda di concordato o in esecuzione di questo, si applicano gli articoli da 105 a 108-ter in quanto compatibili. La cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonche' delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo, sono effettuati su ordine del giudice, salvo diversa disposizione contenuta nel decreto di omologazione per gli atti a questa successivi6 . Si applica l'articolo 33, quinto comma, primo, secondo e terzo periodo, sostituendo al curatore il liquidatore, che provvede con periodicità semestrale dalla nomina. Conclusa l'esecuzione del concordato preventivo con cessione dei beni, il liquidatore deposita un rapporto riepilogativo finale redatto in conformità a quanto previsto dall'articolo 33, quinto comma. Il liquidatore comunica a mezzo di posta elettronica certificata altra copia dei rapporti al commissario giudiziale, che a sua volta li comunica ai creditori a norma dell'articolo 171, secondo comma7. [1] Rubrica sostituita dall'articolo 2, comma 2, lettera a), del D.L. 27 giugno 2015 n. 83 , convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2015, n. 132 ; per l'applicazione vedi l'articolo 23, commi 2 e 5, del medesimo decreto. [2] Comma modificato dall'articolo 16, comma 3, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007 e successivamente dall'articolo 2, comma 2, lettera b), del D.L. 27 giugno 2015 n. 83 , convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2015, n. 132 ; per l'applicazione vedi l'articolo 23, commi 2 e 5, del medesimo decreto. [3] Comma aggiunto dall'articolo 16, comma 3, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007. [4] Comma aggiunto dall'articolo 16, comma 3, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007. [5] Comma aggiunto dall'articolo 16, comma 3, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007. [6] Comma aggiunto dall'articolo 16, comma 3, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007 e successivamente sostituito dall'articolo 2, comma 2, lettera c), del D.L. 27 giugno 2015 n. 83 , convertito, con modificazioni, dalla Legge 6 agosto 2015, n. 132 ; per l'applicazione vedi l'articolo 23, comma 2, del medesimo decreto. [7] Comma aggiunto dall'articolo 17, comma 1, lettera t), del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179. Per l'applicazione del presente comma vedi quanto disposto dai commi 4 e 5 del medesimo articolo 17. Da ultimo sostituito dall'articolo 14, comma 1, lettera c), del D.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149, con effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023, come stabilito dall'articolo 35, comma 1, del D.Lgs. 149/2022 medesimo, come modificato dall'articolo 1, comma 380, lettera a), della Legge 29 dicembre 2022, n. 197. InquadramentoLa proposta di concordato può prevedere la cessione dei beni a favore dei creditori con finalità liquidatorie, affinché con il ricavato possano essere estinti in tutto o in parte i debiti con gli stessi contratti. Si tratta in sostanza di una liquidazione totale dell'attivo, con modalità non dissimili da quelle fallimentari, ma con la possibilità per il proponente di definire in anticipo alcuni aspetti del piano liquidatorio, sottoposto quindi all'approvazione dei creditori. Il proponente deve indicare la misura prevista di soddisfacimento risultante dalla liquidazione, secondo le stime di realizzo dei beni: mentre prima della recente riforma di cui al d.l. n. 83/2015 (convertito con l. n. 132/2015) i creditori assumevano il rischio dell'effettiva realizzazione di tale misura di soddisfacimento, oggi il proponente deve indicare la percentuale minima che si obbliga comunque ad assicurare ai creditori, pena la risoluzione del concordato. In conseguenza delle modifiche dell'art. 182 l.fall. introdotte dal d.l. n. 83/2015, una parte della disciplina in precedenza riservata al concordato con cessione dei beni (il rinvio alle modalità della liquidazione previste nel fallimento dagli artt. 105 ss. l.fall.) è ora estesa a qualsiasi vendita di beni posta in essere in esecuzione di un piano concordatario e comunque dopo la domanda di concordato. Infine, le modifiche incidono, per quanto riguarda la disciplina che resta peculiare del concordato con cessione dei beni, solo sulla disposizione del comma 1 dell'art. 182 a cui è aggiunto un nuovo capoverso, in forza del quale il Tribunale, che nomina il liquidatore, «dispone che il liquidatore effettui la pubblicità prevista dall'art. 490, comma 1, c.p.c. e fissa il termine entro cui la stessa deve essere eseguita». L'istituto del concordato con cessione di beni viene generalmente inquadrato dalla giurisprudenza nell'istituto disciplinato dagli artt. 1977 ss. c.c.: infatti «la procedura di concordato preventivo mediante la cessione dei beni ai creditori comporta il trasferimento agli organi della procedura non della proprietà dei beni e della titolarità dei crediti, ma solo dei poteri di gestione finalizzati alla liquidazione, con la conseguenza che il debitore cedente conserva il diritto di esercitare le azioni o di resistervi nei confronti dei terzi, a tutela del proprio patrimonio, soprattutto dopo che sia intervenuta la sentenza di omologazione; per effetto di tale sentenza è da ritenere che venga meno il potere di gestione del commissario giudiziale, mentre quello del liquidatore è da intendere conferito nell'ambito del suo mandato e perciò limitato ai rapporti obbligatori sorti nel corso ed in funzione delle operazioni di liquidazione, tra le quali non può essere compresa quella concernente il riconoscimento di un compenso per incarico professionale conferito e verosimilmente espletato in una fase ad esse antecedente» (Cass. n. 7661/2005). Nello stesso senso, tra le altre, Trib. Mantova 27 gennaio 2006; Cass. n. 5306/1999; Cass. n. 709/1993. Tale inquadramento appare oggi rafforzato, stante l'accentuazione degli aspetti di natura privatistica del concordato (Lenoci, 843). Da ciò discende che nella cessione concordataria non è configurabile, in linea di principio, il trasferimento dei beni ceduti, con conseguente liberazione del creditore, ma il trasferimento in favore degli organi della procedura della legittimazione a disporre dei beni medesimi, che si traduce in un mandato irrevocabile, conferito nell'interesse dei terzi creditori, a gestire e liquidare il patrimonio ceduto, e determinando la liberazione del debitore soltanto quando i creditori abbiano conseguito col ricavato della liquidazione il pagamento dei loro diritti, sia pure nella percentuale concordataria (Cass. n. 10738/2000). Ciò non toglie, tuttavia, che il programma concordatario possa in concreto prevedere la c.d. cessione traslativa dei beni, nel qual caso, a seguito dell'omologazione del concordato, si determinerà il trasferimento, in capo ai creditori, della proprietà dei beni del debitore, con conseguente liberazione di quest'ultimo e nascita di una comunione caratterizzata dalla potenziale indeterminatezza dei soggetti comunisti e da una certa elasticità delle quote (Filocamo, 2472). In tal caso, peraltro, deve escludersi l'applicabilità dell'art. 182 l.fall., dettato per le ipotesi di cessione liquidatoria, e dell'art. 186 l. fall., avendo il debitore integralmente adempiuto al programma concordatario mediante il trasferimento della proprietà dei beni in capo alla massa dei creditori (Ambrosini, Demarchi, Vitiello 2009, 262). L'art. 390 d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, dispone: sono definiti ancora con le norme del r.d. n. 267/1942 i ricorsi per l'apertura del concordato preventivo depositati prima dell'entrata in vigore del d.lgs. (15 luglio 2022); sono definite secondo le norme del r.d. n. 267/1942 le procedure di concordato preventivo pendenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. nonchè le procedure aperte a seguito della definizione dei ricorsi e delle domande di concordato preventivo. La nomina del liquidatoreIl liquidatore giudiziale è nominato dal Tribunale, salvo che il concordato non disponga diversamente. Il liquidatore, infatti, può essere designato dal debitore nella proposta di concordato a condizione che sia in possesso dei requisiti di cui all'art. 28 l.fall.: in tal caso, è necessario che vi sia il consenso dei creditori (Trib. Lodi 1 marzo 2010; Trib. Monza 10 luglio 2012 e Cass. n. 15699/2011). Difatti, in alcune pronunce, dal punto di vista soggettivo, era stato previsto che la proposta di concordato potesse contenere la nomina del liquidatore come espressione dell'ampia libertà di formulazione lasciata all'imprenditore (Cass. n. 1345/2011; Trib. Lodi 1 marzo 2010; Cass. n. 15699/2011); altrettanto sembra potersi dire delle modalità di liquidazione dettate dalla proposta che possono essere predeterminate nella proposta medesima: in questi casi il Tribunale non dovrà quindi nominare i liquidatori. La dottrina e la giurisprudenza prevalenti ritengono tuttavia che non possa rivestire tale carica né il debitore né il commissario giudiziale, al fine di evitare conflitti di interesse con le rispettive posizioni ricoperte nell'ambito della procedura concordataria (Cass. n. 1237/2013); anche se non sono mancate, in passato, pronunce della giurisprudenza di merito che hanno ammesso il cumulo di funzioni. Il decreto con il quale il tribunale in sede di omologazione provvede alla nomina di un liquidatore giudiziale diverso da quello indicato nella proposta approvata è impugnabile per cassazione a norma dell'art. 111 Costituzione: il potere di nomina da parte del tribunale è vincolato alla designazione fatta dal debitore, a condizione che sia rispettosa dei requisiti previsti dall'art. 28 l.fall. (Cass. ord. n.21815/2021). Il decreto di nomina del liquidatore è reclamabile davanti alla Corte d'appello. La norma in commento, al secondo comma precisa che si applicano al liquidatore gli artt. 28, 29, 37, 38, 39 e 116 (cioè le norme relative al curatore). Il rinvio del nuovo testo dell'art. 182 l.fall. ad alcune delle norme dettate dalla legge fallimentare per il curatore sembra orientare per la tesi pubblicistica, che attribuisce al liquidatore, nominato dal Tribunale, la posizione di organo terzo ausiliario del giudice. Nell'ipotesi di designazione da parte del debitore, potrebbe essere definito quale mandatario di quest'ultimo. Il mancato richiamo all'art. 30 l.fall. esclude peraltro la qualifica di pubblico ufficiale del liquidatore giudiziale. Funzioni e poteri del liquidatoreIl liquidatore esercita i poteri gestori sulla base dell'incarico conferitogli dal Tribunale con il decreto di omologazione, diretto alla realizzazione degli attivi in vista del riparto, determinando le modalità di liquidazione. Il decreto di omologa deve contenere le specificazioni necessarie per orientare l'attività di liquidazione e garantire che essa sia coerente con l'interesse del ceto creditorio. Secondo un precedente della Cassazione a Sez. Unite (Cass. S.U., n. 19506/2008), in un caso antecedente alle riforme 2005-2007 (tuttavia, come esplicitato in motivazione della sentenza, la soluzione prescelta pare attagliarsi anche al nuovo assetto), è stata privilegiata una lettura dell'attività liquidatoria post-omologazione in chiave pubblicistica. Sono state, quindi ritenute applicabili le disposizioni sulla vendita forzata e, in particolare, è stata affermata la ricorribilità per cassazione dei decreti emessi dal tribunale fallimentare su reclamo avverso provvedimenti resi dal giudice delegato in fase di esecuzione del concordato con cessione dei beni. Le disposizioni dettate dal tribunale nel provvedimento di omologazione e relative alla liquidazione dei beni, in quanto meramente integrative della volontà delle parti, sono state poi ritenute in ogni tempo modificabili, perché non suscettibili di dare vita al giudicato. Una successiva sentenza (Cass. n. 5993/2011), anch'essa resa in relazione al regime antecedente alla riforma, ha ritenuto ricorribile per cassazione, a norma dell'art. 111, comma 7, Cost., il decreto pronunciato dal tribunale su reclamo proposto avverso un decreto emesso dal giudice delegato in tema di vendita dei beni del debitore, nella fase esecutiva di un concordato preventivo per cessione dei beni. Da ultimo, la giurisprudenza di legittimità ha confermato tale principio, applicandolo in un caso concernente il decreto del tribunale che aveva rigettato il reclamo proposto dal debitore avverso il decreto del giudice delegato che non aveva accolto l'istanza con cui il predetto si era opposto alla prosecuzione della liquidazione, chiedendo la sospensione della stessa e la restituzione dei beni residui dopo il soddisfacimento dei creditori nella percentuale che, secondo il suo assunto, lo aveva liberato dagli obblighi concordatari (Cass. n. 8966/2014). Tuttavia, resta ferma la complessità della questione della natura giuridica della liquidazione e della peculiarità delle vendite disposte in sede di concordato che non sono vendite forzate, in quanto non avvengono contro la volontà del debitore e nondimeno sono soggette alle regole del diritto dell'esecuzione forzata in relazione alla diversità degli effetti che producono (Fabiani, 747). Premesso quanto esposto, per quanto concerne I poteri del liquidatore, possiamo rilevare quanto segue: - i poteri del liquidatore risultano condizionati dal richiamo operato dall'art. 182 alle norme che disciplinano la liquidazione fallimentare; - i poteri del liquidatore sono limitati nel caso di determinati atti di liquidazione di maggiore importanza per i quali è richiesta l'autorizzazione del comitato dei creditori; - terminate le attività di liquidazione, il liquidatore deve presentare il rendiconto della gestione, che viene depositato in cancelleria e portato a conoscenza dei creditori e del debitore. Quanto alla legittimazione processuale, attiva e passiva, che in via generale resta in capo all'imprenditore, si ritiene che il debitore mantenga la legittimazione attiva esclusiva con riferimento ai giudizi riguardanti la rivendicazione della proprietà o l'accertamento negativo dell'esistenza di diritti reali sui beni ceduti (Quatraro 2006, 9). Spetta, invece, al liquidatore la legittimazione attiva per i giudizi tendenti al recupero dei beni ricompresi tra quelli ceduti, nonché per i giudizi riguardanti l'accertamento e la riscossione dei crediti ricompresi tra le attività cedute (Cass. n. 13626/1991; Cass. n. 136/1988; Trib. Milano 11 giugno 1984). Cass. II, ord. n. 26982/2022 ha negato la legittimazione del liquidatore all’intervento necessario o in rappresentanza dei creditori concordatari nel giudizio d’appello proposto da una società in concordato preventivo con cessione dei beni, volto ad ottenere la risoluzione di un contratto di fornitura, il risarcimento del danno e la restituzione di somme, atteso che la sua legittimazione processuale è limitata alle sole controversie liquidatorie e distributive e che egli succede alla società nella sola gestione dei beni ceduti e nelle questioni liquidatorie. Si ritiene, peraltro, in questi casi, che il debitore conservi una legittimazione attiva concorrente, avendo comunque, l'imprenditore, interesse a che le somme ricavate vengano destinate ai soggetti realmente creditori (Cass. n. 5515/2006; Cass. n. 10738/2000; Cass. n. 8986/1990). Per quel che riguarda invece la legittimazione passiva, si ritiene che, in genere, sussista una legittimazione concorrente del debitore e del liquidatore, quali litisconsorti necessari, nelle controversie relative alla sussistenza, all'entità o al rango dei crediti aspiranti al concorso, e che influiscono nella concreta distribuzione delle somme ai creditori (Cass. n. 10134/2005; Cass. n. 10250/2001; Cass. n. 5055/2001), anche se, in alcune pronunce, sembra affiorare la distinzione tra domande di accertamento del credito e domande di condanna al pagamento del debito, limitando a queste ultime la legittimazione passiva del liquidatore (Cass. n. 10250/2001; Cass. n. 5055/2001; escludono la legittimazione passiva del liquidatore – ferma restando la sua facoltà di intervento volontario — per i giudizi relativi all'accertamento dei crediti vantati da terzi nei confronti del debitore, trattandosi di questioni attinenti a rapporti giuridici riguardanti l'imprenditore ammesso al concordato, e non incidendo la procedura di concordato sulla capacità processuale del debitore, Cass. n. 9663/1999; Cass. n. 4033/1995; Cass. n. 11542/1991). Il liquidatore è legittimato passivo, infine, esclusivo o quanto meno concorrente, nei giudizi che concernono i beni oggetto della cessione concordataria (Trib. Milano 20 settembre 1976). La responsabilità del liquidatoreLa fonte dei poteri e dei doveri del liquidatore è individuata nell'ambito del combinato disposto degli artt. 1176 («diligenza nell'adempimento») e 1710 («diligenza del mandatario») del codice civile. Quanto alla responsabilità civile, giova ricordare che nel caso in cui sia nominato nella proposta del debitore, è qualificata come contrattuale nei confronti del debitore ed extracontrattuale nei confronti dei creditori e dei terzi; nel caso di nomina giudiziale, la responsabilità del liquidatore è di natura extracontrattuale nei confronti di tutti i possibili danneggiati. In tema di responsabilità penale, invece, non si applicano al liquidatore giudiziale le norme fallimentari in tema di reati di bancarotta, poiché il liquidatore dei beni del concordato preventivo di cui all'art. 182 l.fall. non può essere soggetto attivo dei reati di bancarotta di cui agli artt. 223 e 224, richiamati nell'art. 236, comma 2, n. 1, stessa legge, in quanto non può ritenersi ricompreso in alcuno dei soggetti ivi espressamente indicati e, in particolare, tra i liquidatori di società (Cass. pen. S.U., n.43428/2010). Inoltre, quanto alla legittimazione all'azione di responsabilità contro il liquidatore giudiziale revocato di un concordato preventivo con cessione dei beni ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 182 e 38 l.fall. appartiene, nella previgente come nell'attuale disciplina concordataria, al nuovo liquidatore giudiziale nominato, e non anche al commissario giudiziale, atteso che a quest'ultimo sono attribuite funzioni di vigilanza, di informazione, consulenza ed impulso, complessivamente tese al controllo della regolarità del comportamento del debitore ed alla tutela dell'effettiva informazione dei creditori, ma non anche di amministrazione o gestione, né di rappresentanza del debitore o del ceto creditorio, laddove al primo spettano, per effetto dell'omologazione del concordato, i poteri di gestione e di disposizione finalizzati alla liquidazione dei beni ed alla ripartizione del ricavato tra gli aventi diritto, con conseguente sua legittimazione a stare in giudizio per tutte le controversie derivanti dalla liquidazione (Cass. n. 14052/2015). Il comitato dei creditoriL'art. 182 l.fall. richiama espressamente gli artt. 40 e 41 l.fall., attribuendo così al comitato dei creditori specifici poteri autorizzatori che vanno ad aggiungersi alle generiche funzioni di assistenza riconosciute dal comma 1. Il comitato è composto da tre o cinque membri che devono essere nominati dal Tribunale nel rispetto di criteri di rappresentatività qualitativa e quantitativa. Come detto, grazie all'espresso richiamo alle norme dettate in caso di fallimento per il comitato, a quest'ultimo deve oggi applicarsi la relativa disciplina con la conseguenza che oltre a riconoscergli espliciti poteri autorizzatori, al comitato si applicherà il medesimo regime di responsabilità previsto dall'art. 41 l.fall. La nomina del comitato dei creditori da parte del tribunale presuppone che il debitore non abbia predeterminato le modalità della liquidazione e, in caso di applicazione dell'art. 182, la nomina è obbligatoria (Maffei Alberti, 1214). Tuttavia, al tribunale spetta il potere di sostituire i componenti del comitato sempre e comunque, a prescindere quindi dal fatto che essi siano stati o meno nominati da esso, come sembrerebbe potersi desumere dalla dizione letterale della seconda parte del secondo comma dell'articolo in commento, secondo cui «alla sostituzione dei membri del comitato provvede in ogni caso il tribunale». Quanto ai compiti, il comitato dei creditori svolge un'attività di consulenza, controllo ed ispezioni. Le prassi dei tribunali dovranno necessariamente uniformarsi, pertanto, ad un sistema normativo che riserva al comitato il potere-dovere di autorizzare gli atti liquidatori di maggior peso, oltre che un generale potere di controllo inerente sia alla legittimità, sia soprattutto al merito della gestione del liquidatore. Esemplificativamente, è stato stabilito che il liquidatore, nello svolgere l'attività a lui riservata, deve raccogliere preventivamente le osservazioni del Commissario giudiziale e del Comitato dei creditori, procedendo, prima di provvedere alla vendita di immobili, alla cessione di rami di azienda ed agli altri atti indicati nell'art. 182, comma 4, ad acquisire l'autorizzazione del Comitato dei creditori e, per il compimento di altri atti eccedenti l'ordinaria amministrazione e per la nomina di avvocati, coadiutori o ausiliari tecnici, ad acquisire il parere del Comitato dei creditori (Trib. Piacenza 22 marzo 2013). In altro provvedimento, è stato precisato che «il liquidatore dovrà preventivamente informare il commissario giudiziale e acquisire il parere del comitato dei creditori di atti di valore superiore a 50.000,00 euro, transazioni, conciliazioni, rinunce alle liti, incarichi di consulenza a qualunque titolo. Dovrà inoltre informare preventivamente il commissario giudiziale delle azioni giudiziali che intenda o non intraprendere, dei giudizi in cui intenda o non costituirsi e dei difensori che intenda nominare ed all'esito richiederà l'autorizzazione al giudice delegato. Tutti i prelevamenti di somme dai depositi intestati all'ufficio di liquidazione dovranno essere preventivamente vistati dal commissario giudiziale» (Trib. Roma 11 gennaio 2013). La dottrina è orientata nel negare il carattere vincolante del parere del comitato dei creditori in ordine alle iniziative assunte dal liquidatore (Lo Cascio, 660). Quanto alle responsabilità, in virtù del rinvio dell'art. 182 all'art. 41 che, nel settimo comma, a sua volta, richiama l'art. 2407, primo e terzo comma, c.c. è assimilata a quella dei sindaci, benché sia dubbia l'identificazione del parametro della diligenza esigibile ed il limiti di applicabilità del terzo comma dell'art. 2407 c.c. (Maffei Alberti, 1215). Il comitato dei creditori deve svolgere i propri compiti in posizione di indipendenza, svincolato dall'interesse dei singoli, fornendo al liquidatore parere non vincolante su ogni atto del quale sarà richiesto, assistendo alla liquidazione anche attraverso l'esercizio di un potere di autorizzazione delle alienazioni di beni o categorie di beni ex art. 182, comma 3, e più in generale esplicando una funzione di vigilanza sull'operato del liquidatore, ispezionandone il registro tenuto ai sensi dell'art. 3, primo comma, chiedendo chiarimenti o notizie a liquidatore e debitore, interloquendo con i commissari giudiziali, proponendo al tribunale la revoca del liquidatore o autorizzando l'esercizio dell'azione di responsabilità contro il liquidatore revocato (Trib. Teramo 24 giugno 2014). Le attività e le modalità di liquidazioneIl presupposto di applicabilità della disciplina di cui all'art. 182 alla cessione dei beni eseguita in sede concordataria consiste nella mancanza di una diversa previsione nella proposta, di talché deve ritenersi che il debitore abbia la facoltà di prevedere la vendita dei suoi beni secondo modalità e tempi indicati nel piano concordatario, con la conseguenza che gli atti di trasferimento della proprietà dovranno essere conclusi con negozi privatistici non richiedenti l'autorizzazione del comitato dei creditori (Fabiani-Nardecchia, Formulario commentato della legge fallimentare, Milano, 2007, 1755). Nulla esclude, pertanto, che il concordato possa prevedere diverse modalità di liquidazione, stante il carattere dispositivo dell'art. 182 l.fall., ed è quindi possibile che le vendite siano effettuate mediante negozi privatistici, anche non richiedenti l'autorizzazione del comitato dei creditori, ma soggetti alla sorveglianza del commissario giudiziale (Ambrosini, Demarchi, Vitiello 2009, 268). Premesso ciò, le attività di liquidazione consistono essenzialmente in quelle necessarie a tradurre i beni ceduti in danaro da ripartire tra i creditori in base a quanto previsto dal piano concordatario. Le operazioni di liquidazione iniziano a partire dall'acquisto di esecutività del decreto di omologazione del piano concordatario, e quindi, oggi, a partire dal suo deposito. Sono riconosciuti al liquidatore ampi poteri discrezionali nel porre in essere tutti gli atti necessari e funzionali alla liquidazione, pur dovendo tener conto dei limiti intrinseci desumibili dal piano stesso. Tuttavia, nel caso in cui il liquidatore dovesse eccedere tali limitazioni, sarà chiamato a rispondere sul piano della responsabilità con conseguenze anche in tema di validità degli atti e di risoluzione del concordato preventivo. Per quanto attiene, invece, le modalità di liquidazione, l'art. 182, comma 5, l.fall., introdotto dal d.lgs. n. 169/2007, estende alla fase di liquidazione del concordato preventivo la disciplina prevista dagli artt. da 105 a 108-ter l.fall., prevista per la liquidazione nell'ambito della procedura fallimentare. Ciò depone, peraltro, come sostenuto dalla dottrina, nel senso della natura coattiva e non privatistica delle vendite eseguite dal liquidatore [Monteleone, La liquidazione dei beni, in Caiafa (a cura di), Le procedure concorsuali, Padova, 2011, 1368]. Il mancato richiamo all'art. 104-ter l.fall. esclude che il liquidatore sia tenuto a presentare un programma di liquidazione, come previsto per la procedura fallimentare. Ovviamente, le norma richiamate vanno applicate in termini di compatibilità. Le vendite e gli atti di liquidazione vanno quindi effettuati sulla base di procedure competitive, previa stima dei cespiti da parte di esperti ed adeguata pubblicità, restando, comunque, il liquidatore libero di determinare il contenuto concreto delle procedure competitive, potendo anche ricorrere alle forme di vendite coattive previste dal codice di procedura civile (art. 107, comma 2, l.fall.). Resta fermo, comunque, il potere del giudice delegato su istanza del debitore (tale dovendosi intendere il richiamato al fallito ex art. 108, comma 1, l.fall.), del comitato dei creditori o di altri interessati, previo parere dello stesso comitato dei creditori, di sospendere, con decreto motivato, le operazioni di vendita, qualora ricorrano gravi e giustificati motivi ovvero, su istanza presentata dagli stessi soggetti entro dieci giorni dal deposito di cui al quarto comma dell'articolo 107 (offerta migliorativa per un importo non inferiore al 10% del prezzo offerto), impedire il perfezionamento della vendita quando il prezzo offerto risulti notevolmente inferiore a quello giusto, tenuto conto delle condizioni di mercato. Nel caso in cui tra i beni veduti vi siano aziende o rami di azienda, il liquidatore è peraltro vincolato a seguire l'ordine di priorità stabilito dall'art. 105 l.fall., il cui richiamo fuga ogni dubbio circa l'applicabilità dell'art. 47 l. n. 428/1990 e la non applicabilità dell'art. 2560 c.c. Se i beni ceduti comprendono crediti, il liquidatore potrà cederli o conferire a terzi il mandato per la riscossione, mentre per la cessione di quote sociali si dovrà procedere ai sensi dell'art. 2471 c.c. e per il trasferimento dei diritti contemplati dall'art. 108-ter l.fall. ai sensi delle leggi speciali di volta in volta richiamate. In base all'art. 182, comma 5, secondo periodo, come modificato, da ultimo, dall'art. 2, comma 2, lett. c), del d.l. n. 83/2015, conv. in l. n. 132/2015, il giudice delegato può procedere, dopo la vendita, con autonomo decreto (c.d. decreto purgativo), alla cancellazione delle iscrizioni relative ai diritti di prelazione, nonché delle trascrizioni dei pignoramenti e dei sequestri conservativi e di ogni altro vincolo, sono effettuati su ordine del giudice, salvo diversa disposizione contenuta nel decreto di omologazione per gli atti a questa successivi. Tale possibilità, peraltro, era già ritenuta ammissibili in forza del rinvio al comma 2 dell'art. 108 l.fall., che consentiva al giudice delegato di ordinare la cancellazione delle trascrizioni ed iscrizioni pregiudizievoli esistenti sui beni ceduti a prescindere dall'esistenza di un decreto di trasferimento e dalla natura coattiva o negoziale degli atti di cessione. Infine, controverse sono le questioni relative alla previsione, nell'ambito del procedimento di liquidazione, della cessione di beni di terzi e della cessione parziale dei beni. Quanto alla prima ipotesi sembra oggi possibile riconoscere tale eventualità: pensiamo, ad esempio, al caso di beni messi a disposizione dai fideiussori del fallito piuttosto che da soci illimitatamente responsabili; non vi sono ragioni per escludere una simile modalità di reperimento di risorse per il soddisfacimento dei creditori. In riferimento, invece, all'ipotesi di cessione parziale dei beni del debitore, pur potendosi ipotizzare, a seguito dell'elasticità caratterizzante l'art. 160 l.fall., l'ammissibilità di tale cessione, tuttavia essa appare difficilmente compatibile con la finalità liquidatoria del concordato con cessione dei beni, dovendosi ritenere, pertanto, che la cessione parziale sia ammissibile unicamente quando si preveda la continuazione dell'attività aziendale, e quindi nei concordati con continuità aziendale, così come oggi effettivamente previsto dall'art. 186-bis, comma 1, l.fall. Le domande del debitore volte a far accertare se i creditori concordatari hanno il diritto di esigere i loro crediti in sede di esecuzione del concordato, se questi siano oggetto di contestazione giudiziale, non rientrano nella competenza funzionale del tribunale che ha omologato il concordato bensì in quella dell'ufficio giudiziario individuato in base agli ordinari criteri di competenza per valore e per territorio (Cass. ord. n. 31659/2021). Il portatore di una cambiale che eserciti l'azione causale ha l'onere di offrire il titolo in originale ai sensi dell'art. 66 r.d. n. 1669/1933, essendo detta produzione intesa ad evitare la possibilità di azione da parte di altri creditori in via cambiaria ovvero ad assicurare al debitore l'esercizio di eventuali azioni cambiarie di regresso (Cass. ord. n. 20624/2021).
L'ultimo comma dell'art. 182 disponeva l'applicazione dell'art. 33, quinto comma, primo, secondo e terzo periodo, sostituendosi al curatore il liquidatore, con onere per costui di provvedere con periodicità semestrale dalla nomina. Si è aggiunta a questa disposizione l'imposizione dell'onere di depositare, una volta conclusa l'esecuzione del concordato preventivo con cessione dei beni, un rapporto riepilogativo finale redatto in conformità a quanto previsto dall'art. 33, quinto comma. Il rapporto è destinato al giudice; una copia deve essere inviata al commissario giudiziale che, a sua volta, ne trasmette copia ai creditori. BibliografiaV. sub art. 179. |