Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 182 bis - Accordi di ristrutturazione dei debiti 1 (A).Accordi di ristrutturazione dei debiti1 (A). L'imprenditore in stato di crisi puo' domandare, depositando la documentazione di cui all' articolo 161, l'omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti, unitamente ad una relazione redatta da un professionista, designato dal debitore, in possesso dei requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d) sulla veridicita' dei dati aziendali e sull'attuabilita' dell'accordo stesso con particolare riferimento alla sua idoneita' ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori estranei nel rispetto dei seguenti termini: a) entro centoventi giorni dall'omologazione, in caso di crediti gia' scaduti a quella data; b) entro centoventi giorni dalla scadenza, in caso di crediti non ancora scaduti alla data dell'omologazione2. L'accordo e' pubblicato nel registro delle imprese e acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione. Dalla data della pubblicazione e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, ne' acquisire titoli di prelazione se non concordati. Si applica l' articolo 168, secondo comma3. Entro trenta giorni dalla pubblicazione i creditori e ogni altro interessato possono proporre opposizione. Il tribunale, decise le opposizioni, procede all'omologazione in camera di consiglio con decreto motivato. Il tribunale omologa l'accordo' anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l'adesione e' decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale di cui al primo comma e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista di cui al medesimo comma, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie e' conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria. Ai fini di cui al periodo che precede, l'eventuale adesione deve intervenire entro novanta giorni dal deposito della proposta di soddisfacimento4. Il decreto del tribunale e' reclamabile alla corte di appello ai sensi dell' articolo 183, in quanto applicabile, entro quindici giorni dalla sua pubblicazione nel registro delle imprese. Il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive di cui al terzo comma puo' essere richiesto dall'imprenditore anche nel corso delle trattative e prima della formalizzazione dell'accordo di cui al presente articolo, depositando presso il tribunale competente ai sensi dell'articolo 9 la documentazione di cui all'articolo 161, primo e secondo comma, lettere a), b), c) e d) e una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell' imprenditore, avente valore di autocertificazione, attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il sessanta per cento dei crediti e da una dichiarazione del professionista avente i requisiti di cui all'articolo 67, terzo comma, lettera d), circa la idoneita' della proposta, se accettata, ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilita' a trattare. L'istanza di sospensione di cui al presente comma e' pubblicata nel registro delle imprese e produce l'effetto del divieto di inizio o prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari, nonche' del divieto di acquisire titoli di prelazione, se non concordati, dalla pubblicazione5. Il tribunale, verificata la completezza della documentazione depositata, fissa con decreto l'udienza entro il termine di trenta giorni dal deposito dell'istanza di cui al sesto comma, disponendo la comunicazione ai creditori della documentazione stessa. Nel corso dell'udienza, riscontrata la sussistenza dei presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti con le maggioranze di cui al primo comma e delle condizioni per l'integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilita' a trattare, dispone con decreto motivato il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione se non concordati assegnando il termine di non oltre sessanta giorni per il deposito dell'accordo di ristrutturazione e della relazione redatta dal professionista a norma del primo comma. Il decreto del precedente periodo e' reclamabile a norma del quinto comma in quanto applicabile6. Se prima dell'omologazione intervengono modifiche sostanziali del piano, è rinnovata l'attestazione di cui al primo comma e il debitore chiede il rinnovo delle manifestazioni di consenso ai creditori parti degli accordi. L'attestazione deve essere rinnovata anche in caso di modifiche sostanziali degli accordi. Qualora dopo l'omologazione si rendano necessarie modifiche sostanziali del piano, l'imprenditore vi apporta le modifiche idonee ad assicurare l'esecuzione degli accordi, richiedendo al professionista indicato all'articolo 67, terzo comma, lettera d) il rinnovo dell'attestazione. In tal caso, il piano modificato e l'attestazione sono pubblicati nel registro delle imprese e della pubblicazione è dato avviso ai creditori a mezzo di lettera raccomandata o posta elettronica certificata. Entro trenta giorni dalla ricezione dell'avviso è ammessa opposizione avanti al tribunale, nelle forme di cui al quarto comma7. A seguito del deposito di un accordo di ristrutturazione dei debiti nei termini assegnati dal tribunale trovano applicazione le disposizioni di cui al secondo, terzo, quarto e quinto comma. Se nel medesimo termine e' depositata una domanda di concordato preventivo, si conservano gli effetti di cui ai commi sesto e settimo8.
-------------------- (A) In riferimento al presente articolo, vedi: Risposta Agenzia delle Entrate 22 febbraio 2024, n. 49. [1] Articolo aggiunto dall' articolo 2, comma 1, lettera l), del D.L. 14 marzo 2005, n. 35 , convertito, con modificazioni, in legge 14 maggio 2005, n. 80 e, successivamente, sostituito dall' articolo 16, comma 4, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169 , con la decorrenza indicata nell' articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007. [2] Comma sostituito dall'articolo 33, comma 1, lettera e), numero 1), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, con la decorrenza indicata dal comma 3 del medesimo articolo 33 del suddetto D.L. n. 83 del 2012. [3] Comma modificato dall'articolo 33, comma 1, lettera e), numero 2), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, con la decorrenza indicata dal comma 3 del medesimo articolo 33 del suddetto D.L. n. 83 del 2012. [4] Comma modificato dall'articolo 3, comma 1-bis, lettera b), del D.L. 7 ottobre 2020, n. 125, convertito, con modificazioni, dalla Legge 27 novembre 2020, n. 159e successivamente dall'articolo 20, comma 1, lettera b), del D.L. 24 agosto 2021, n. 118, convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 ottobre 2021, n. 147. [5] Comma aggiunto dall'articolo 48, comma 2, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 e successivamente modificato dall'articolo 33, comma 1, lettera e), numero 3), lettere a) e b), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, con la decorrenza indicata dal comma 3 del medesimo articolo 33 del suddetto D.L. n. 83 del 2012. [6] Comma aggiunto dall'articolo 48, comma 2, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 e successivamente modificato dall'articolo 33, comma 1, lettera e), numero 4), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, con la decorrenza indicata dal comma 3 del medesimo articolo 33 del suddetto D.L. n. 83 del 2012. [7] Comma inserito dall'articolo 37-ter, comma 1, del D.L. 22 marzo 2021, n. 41, convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 maggio 2021, n. 69 e successivamente sostituito dall'articolo 20, comma 1, lettera c), del D.L. 24 agosto 2021, n. 118, convertito, con modificazioni, dalla Legge 21 ottobre 2021, n. 147. [8] Comma aggiunto dall'articolo 48, comma 2, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78 e successivamente sostituito dall'articolo 33, comma 1, lettera e), numero 5), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, con la decorrenza indicata dal comma 3 del medesimo articolo 33 del suddetto D.L. n. 83 del 2012. InquadramentoL'art. 182-bis l.fall., che disciplina gli accordi di ristrutturazione dei debiti, è stato inserito nella legge fallimentare con l'art. 2 del d.l n. 35/2005 (c.d. decreto competitività), convertito con modificazioni in l. n. 80/2005, a cui ha fatto seguito il d.lgs. n. 5/2006, di attuazione delle deleghe disposte dall'art. 1 della citata l. n. 80/2005. La norma in commento è stata poi oggetto di modifica ed integrazioni apportate dall'art. 16, comma 4, del d.lgs. n. 169/2007, c.d. decreto correttivo, al quale hanno fatto seguito ulteriori disposizioni legislative che hanno contribuito a rendere più incisiva la disciplina dell'istituto in esame. Le modifiche più significative sono dovute: al d.l. n. 83/2012, conv. in l. n. 134/2012; al d.l. n. 125/2020, conv. in l. n. 159/2020; e al d.l. n. 41/2021, conv. in l. n. 69/2021. Il quadro normativo di riferimento si è andato, quindi, delineando in tappe successive fino e verosimilmente non è ancora giunto ad un assetto definitivo, tenuto conto anche della parallela evoluzione del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. L'introduzione dell'istituto degli accordi di ristrutturazione costituisce una novità assoluta nell'ambito del sistema concorsuale italiano e testimonia il favor espresso dal legislatore della riforma per la regolazione della crisi dell'impresa mediante accordi stragiudiziali. È stato introdotto quindi un istituto che pur caratterizzandosi nella sostanza come accordo privatistico condivide, tuttavia, la natura pubblicistica degli altri procedimenti concorsuali, in quanto per la sua efficacia deve essere sottoposto al vaglio dell'autorità giudiziaria, la quale, accertati i requisiti di legge, ne decreta l'omologazione. L'istituto in esame si completa infatti attraverso lo svolgimento di due fasi: ad una prima totalmente stragiudiziale nella quale si forma l'accordo, ne segue una giudiziale che sfocia nell'omologazione e che è diretta a conferire efficacia e stabilità all'accordo stesso anche mediante l'esenzione da azioni esercitate da creditori. Orientamenti sulla natura giuridicaProprio la scomposizione in due fasi, di cui una marcatamente privatistica, è alla base del dibattito circa la natura, concorsuale o meno, dell'istituto in esame. Sul punto, si evidenzia un generalizzato orientamento tendente a ricondurre gli accordi di ristrutturazione nell'ambito privatistico, arrivando a definirli un normale contratto di diritto privato, che consente, soddisfatti i requisiti richiesti, di godere di una speciale tutela (Maffei Alberti, 1231; Di Marzio 2011, 130; Inzitari, 3223). In giurisprudenza si sta invece, affermando un orientamento basato su riscontri normativi di inquadramento generale che mette in luce il possibile inserimento dell'istituto in esame nell'ambito dei procedimenti concorsuali (affermando la piena autonomia dell'istituto, ammette l'applicazione analogica e non diretta delle norme che disciplinano il concordato preventivo in quanto compatibili Trib. Milano 23 gennaio 2007; Trib. Brescia 22 febbraio 2006; Trib. Roma 16 agosto 2006). Rispetto a questo orientamento, la tesi che afferma il carattere privatistico dell'istituto si contrappone adducendo considerazioni che stanno, peraltro, a significare come sia fondata la piena autonomia di tale istituto rispetto al concordato preventivo e non, invece, la pretesa carente natura concorsuale del medesimo. I rilievi si riferiscono, infatti, innanzitutto alla spiccata negozialità dell'istituto, alla estrema snellezza della procedura, alla mancanza di una organizzazione del voto in adunanza per il raggiungimento di una maggioranza qualificante, nonché alla mancata previsione di organi della procedura, come il commissario giudiziale. Cass. V, n. 40913/2021 si è espressa in questo senso, con l'affermare che gli accordi di ristrutturazione, benchè parte di una procedura di natura concorsuale, costituiscono atti di autonomia negoziale; essi producono gli effetti di cui all'art. 1372 fin dalla loro stipulazione, con differimento al momento della pubblicazione nel registro delle imprese di quelli conseguenti all'omologazione (fattispecie in tema di sottoposizione a imposta di registro in misura proporzionale). In Giurisprudenza, un altro orientamento, afferma invece che gli accordi non sarebbero produttivi di efficacia se non per i soggetti che vi prendono parte, conformemente ai principi privatistici; che non è previsto il rispetto della par condicio, potendo l'imprenditore negoziare liberamente con i singoli creditori; che manca inoltre un controllo nella fase esecutiva dell'accordo; infine, almeno fino al d.lgs. n. 169/2007, si faceva notare come mancasse una protezione del patrimonio del debitore rispetto ad azioni individuali promosse dai creditori (Trib. Roma 16 ottobre 2006; Trib. Brescia 22 febbraio 2006). Secondo un autorevole orientamento dottrinario (Pezzano, Gli accordi di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis legge fallimentare: una occasione da non perdere, in Dir. fall. 2006, 674) gli accordi di cui all'art. 182-bis, anche se debbono in concreto essere ricompresi nel settore privatistico stricto sensu, nel sistema attuale finiscono per confluire in un procedimento che presenta le caratteristiche proprie delle procedure concorsuali. Quindi il discrimen va individuato non solo e non tanto nel fatto che si intende rimuovere l'insolvenza e, attraverso il consenso dei creditori, liberare il debitore, quanto piuttosto nel fatto che il nuovo istituto è caratterizzato da finalità pubblicistiche (Trib. Bari 21 novembre 2005). Il fondamento di tale assunto è comprovato da due diversi ordini di ragioni: la necessità che gli accordi siano conclusi nel rispetto del principio di concorsualità e che siano sottoposti al vaglio dell'autorità giudiziaria che ne decreta l'omologazione a condizione che risultino corrispondenti alla norma di legge. La natura concorsuale degli accordi di ristrutturazioneNell'istituto in esame la concorsualità si evidenzia in quanto gli accordi finiscono per confluire in un procedimento diretto a tutelare mediante l'intervento dell'autorità giudiziaria oltre che gli interessi del soggetto che intende uscire dalla situazione di crisi, anche gli interessi dei creditori. I momenti attuativi del principio del concorso si manifestano con il divieto di esercizio di azioni cautelari o esecutive individuali da parte dei creditori anteriori all'accordo sul patrimonio del debitore. Tale divieto può essere esteso alla fase delle trattative nella quale, con l'inibitoria, il tribunale può esercitare su richiesta del debitore, anche poteri autorizzativi riguardanti l'attività gestionale dell'impresa intesi alla continuità aziendale e, in questa ottica, destinati a favorire la positiva conclusione dell'accordo: momenti attuativi che si realizzano con la possibilità data a tutti i creditori mediante un sistema di pubblicità dell'accordo di partecipare od opporsi all'accordo stesso, con la previsione di una percentuale di creditori aderenti che rappresenti il 60% dei crediti, ma nel contempo con la previsione dell'integrale pagamento dei creditori rimasti estranei all'accordo. La natura concorsuale si evince, altresì, dall'esenzione in caso di successivo fallimento dalla revocatoria per le somme erogate dal debitore in esecuzione dell'accordo, esattamente come è previsto per il concordato preventivo. In entrambi i procedimenti concorsuali l'esenzione risponde infatti alla medesima ratio, che si basa sulla presunzione che gli atti da considerare esenti non si qualifichino come in frode ai creditori. Ed ancora, secondo l'indirizzo favorevole alla natura concorsuale degli accordi di ristrutturazione la affermata autonomia di tale istituto rispetto al concordato preventivo nulla toglie alla riconosciuta eadem ratio, atteso che entrambi gli istituti tendono alla rimozione della crisi d'impresa nel rispetto del principio della concorsualità, anche se non necessariamente della par condicio, che è considerato, del resto, solo uno dei modi d'attuazione della concorsualità stessa (sul punto, Pajardi-Paluchowski, 908, gli accordi condividono la natura contrattuale e giurisdizionale del concordato preventivo pur differenziandosene per la bifasicità). Su queste basi, affermata la natura concorsuale dell'istituto in esame si è effettuato il passaggio logico successivo, quello cioè di considerare inapplicabili in via diretta le norme che disciplinano il concordato preventivo, ma di ammettere la legittimità di un'applicazione analogica delle norme medesime in quanto compatibili, in tutte quelle ipotesi in cui la disciplina degli accordi di ristrutturazione presenti lacune o altri elementi di criticità, senza con ciò che si dubiti dell'autonomia di tale istituto rispetto al concordato preventivo (Maffei Alberti, 1283). Gli accordi di ristrutturazione e il rapporto con il concordato preventivoIn dottrina non è mancato chi considera gli accordi di ristrutturazione dei debiti come una peculiare sottospecie semplificata o accelerata di concordato preventivo, nella quale, da un lato, viene deprocedimentalizzata la fase di contatto con i creditori, in quanto è richiesta esigendo la preventiva acquisizione del consenso di una determinata maggioranza di essi, e dall'altro, il vaglio dell'autorità giudiziaria assicura l'integrale pagamento dei creditori che vi rimangono estranei (Valensise 2006, 1088). La dottrina prevalente, tuttavia, è orientata a considerare l'istituto in esame come assolutamente autonomo e distinto rispetto al concordato preventivo, soprattutto in considerazione del fatto che, rispetto a quest'ultimo, manca negli accordi di ristrutturazione un effetto modificativo nei confronti dei creditori non aderenti, nonché del fatto che, mentre in base al disposto dell'art. 182-bis l.fall. l'accordo con i creditori precede l'intervento del tribunale e ne costituisce anzi il necessario presupposto, nel concordato preventivo il piano proposto dal debitore rimane un'attività interna allo stesso debitore, e viene «presentato» ai creditori solo successivamente all'ammissione alla procedura (Trentini 2016, 119; Ambrosini 2008, 163; v. inoltre, nel senso dell'autonomia dell'istituto, Canale 2005, 218). Sotto altro profilo, la stessa legge fallimentare sembra considerare gli accordi di ristrutturazione dei debiti come qualcosa di diverso rispetto al concordato preventivo, tanto è vero che i due istituti vengono indicati separatamente all'art. 67, comma 3, lett. e), l.fall., ai fini dell'esenzione della revocatoria dei pagamenti effettuati in esecuzione, per l'appunto, del concordato preventivo «nonché» degli accordi di ristrutturazione. L'accordo di ristrutturazione dei debiti può assumere — dal punto di vista negoziale — un contenuto assai vario, potendo tradursi in un pactum de non petendo, in una remissione parziale del debito (o anche totale, ad esempio da parte dei fornitori cc.dd. strategici, a fronte dell'impegno a stipulare nuovi contratti di fornitura (Balestra, Sul contenuto degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Giur. comm. 2014, 292), in postergazioni, in una costituzione di garanzia, in una concessione di nuova finanza, in una conversione di credito in capitale della società debitrice, nella costituzione di trust ovvero in altri negozi la cui caratteristica può dirsi risiedere nella finalità di superamento della crisi dell'impresa attraverso la «ristrutturazione» dei debiti (ABETE, La predisposizione del piano attestato e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Fall. 2014, 1009). Quanto al riferimento espresso all'imprenditore «in crisi» , esso consente di ritenere che l'accordo di ristrutturazione non possa essere proposto da un imprenditore in condizioni di solidità economica (in tal modo risulta ancora più intenso il legame tra questa disciplina e quella dell'esonero da revocatoria). Ed infatti se dell'espressione «crisi» voglia offrirsi un significato univoco nell'ambito delle procedure previste dal Titolo III della Legge Fallimentare, potrebbe concludersi nel senso che «per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza», così come prescrive il comma 3 dell'art. 160 l.fall.; ma sarebbe, poi, opportuno notare che proprio tale disposizione rinvia espressamente al comma 1 dello stesso art. 160 l.fall. («ai fini di cui al primo comma...»), con esclusione di qualsiasi riferimento ad altra norma collocata nello stesso Titolo. Vi è, però, che l'interpretazione che della «crisi» ha offerto la dottrina, subito dopo la riforma del concordato preventivo, rende ora possibile una considerazione sostanzialmente «unitaria» dell'espressione, sì da comprendere anche il fenomeno dell'insolvenza. Anche secondo alcuni autori è possibile, per avvalersi degli effetti positivi propri degli accordi di ristrutturazione, farsi riferimento ad un «livello minimo» di difficoltà dell'imprenditore inferiore a quello che si individua per il concordato preventivo, ed in tal senso potrebbe evidenziarsi l'attitudine dell'istituto a far emergere anticipatamente le situazioni di crisi. Se si accede a questa interpretazione, pare evidente che si restringono i margini per ritenere l'accordo di ristrutturazione uno strumento per «prevenire» la crisi, posto che esso si presenterebbe ontologicamente come strumento negoziale per superare la crisi, una volta verificatasi (Pagni, 1081). La questione è, allo stato, risolta dalle disposizioni di cui all'art. 182-quater l.fall., come introdotto dal d.l. n. 78/2010, convertito in l. n. 122/2010 (al cui commento si rinvia). La ristrutturazione dei debiti si presenta — almeno nelle intenzioni del legislatore — come uno strumento di soluzione «concordata» della debitoria dell'impresa, differenziandosi dal (nuovo) concordato preventivo che, pur aprendo all'autonomia privata, sia per quanto riguarda la proposta sia per la riduzione dei poteri di intervento e di valutazione del Tribunale, continua a caratterizzarsi per le sue connotazioni procedimentali-giudiziali. La peculiarità dell'accordo si evidenzia anche nel necessario presupposto adesivo del sessanta per cento dei crediti, che si caratterizza proprio per l'idoneità nel coinvolgere, in via preliminare, a prescindere da qualsiasi valutazione del tribunale in sede di omologazione, la «maggioranza» dei crediti, ritenuto requisito imprescindibile per consentire il superamento della crisi dell'impresa: la percentuale, pacificamente, va calcolata sul totale dei crediti, indipendentemente dal loro rango, ma non computandosi i crediti (seriamente) contestati (Trib. Vicenza 17 maggio 2013); nel caso in cui gli accordi siano proposti da società incorporante, nell'ambito di un procedimento di fusione, non si calcolano i crediti dell'incorporanda (Trib. Milano 31 luglio 2014). Questo spiegherebbe la particolare configurazione che una parte della giurisprudenza ha assegnato alla summenzionata percentuale di «adesioni», ritenendo che la stessa potesse essere raggiunta anche al momento dell'omologazione dell'accordo in tal modo, qualificandola non già come un requisito dell'accordo, inteso come «atto negoziale», ma dell'omologazione (Trib. Milano 23 gennaio 2007; Trib. Milano 11 gennaio 2007). La conclusione raggiunta non contrasta con la possibilità — per altro coerente con la caratterizzazione «privatistica» dell'istituto — che l'accordo di ristrutturazione dei debiti possa essere frutto anche di adesioni successive, ovvero intervenute dopo la pubblicazione dello stesso nel registro delle imprese, ipotesi con tutta probabilità ricorrente proprio quando nel giudizio di omologazione intervengano perplessità sull'attuabilità e sulla idoneità dell'accordo stesso, le quali potrebbero essere superate da adesioni o pattuizioni con creditori originariamente estranei, i quali consentano dilazioni di pagamento o accettino riduzioni delle pretese creditorie. Come già espresso in precedenza, il sessanta per cento dei crediti deve sussistere sin dal deposito del «ricorso»; tuttavia, la norma non fa alcuna distinzione tra crediti chirografari e crediti privilegiati, al fine della individuazione della «maggioranza» del sessanta per cento, né pone limiti al trattamento che il debitore potrà proporre ai creditori (e questi, di conseguenza, potranno accettare). Ne deriva che non costituisce «vizio» intrinseco dell'accordo né valida ragione di opposizione all'omologazione, la differenza del trattamento riservato ai singoli creditori partecipanti all'accordo stesso, anche quando questa dovesse tradursi in una differenza di trattamento priva di evidenti giustificazioni e, al limite, addirittura discriminatoria, purché essa risulti trasparente e, naturalmente, accettata dai creditori stessi (e ciò misura la sostanziale differenza di questa procedura rispetto al concordato preventivo) [in ordine alle finalità dell'accordo, indirizzato anche al recupero della «impresa» (Pajardi-Paluchowski, 916)]. Il presupposto soggettivo e oggettivoIn merito al presupposto soggettivo, per poter accedere agli accordi, la formulazione dell'art. 182-bis l.fall., come risultante dal d.lgs. n. 169/2007, fa riferimento «all'imprenditore in stato di crisi», e non già — come la previgente disposizione — semplicemente «al debitore»: la conseguenza è di immediata evidenza, posto che in tal modo vengono superate quelle impostazioni che — a dispetto della stessa collocazione della norma — ritenevano che gli accordi potessero essere utilizzati da tutti i debitori (anche quelli «civili») ovvero da quegli imprenditori non soggetti — per attività o dimensioni — alla dichiarazione di fallimento. Nella norma in commento manca in ogni caso qualsiasi riferimento ai «gruppi» di imprese, per cui tale profilo rimane aperto a livello interpretativo, anche in relazione al tema riguardante il possibile finanziamento da parte dei soci. Non si ritiene requisito essenziale l'iscrizione dell'imprenditore nel registro delle imprese, sia perché non è espressamente richiesto, sia soprattutto perché si creerebbero ingiustificate disparità rispetto al presupposto soggettivo del concordato preventivo, che non richiede tale requisito per cui è ammesso l'accesso anche alle società di fatto. Quanto al presupposto oggettivo, all'orientamento giurisprudenziale che sosteneva una visione della crisi, quale fattispecie distinta e separata dalla insolvenza di cui all'art. 5 l.fall., caratterizzata dalla irreversibilità (Trib. Alessandria 7 giugno 2005) per una distinzione in generale del concetto di insolvenza da quello di crisi (Trib. Brescia 22 luglio 2006; Trib. Treviso 15 luglio 2005), si contrapponeva quello che riteneva le due figure non geneticamente diverse, ma che anzi tra le stesse vi fosse un rapporto di genus a species, risultando cioè l'insolvenza ricompresa nel più vasto concetto di crisi (Trib. Sulmona 6 giugno 2005, in Fall. 2005, 793). Dopo il citato intervento del legislatore, con il d.l. n. 273/2005, che ha aggiunto un nuovo comma all'art. 160, nel quale si stabilisce che «per stato di crisi si intende anche lo stato di insolvenza», si è superato ogni dubbio al riguardo, per cui si reputa che sia accessibile all'imprenditore anche insolvente la procedura di cui all'art. 182-bis. Pertanto, dal punto vista oggettivo, il riferimento allo «stato di crisi», sembra introdurre una nozione di impresa in crisi del tutto diversa e distinta da quella (più tradizionale) dell'impresa insolvente, consentendo oggi di delineare strumenti anche diversificati per la gestione della crisi, con caratteristiche e modalità che non hanno nulla da condividere con la mera liquidazione dell'impresa insolvente, sia nella fase concorsuale vera e propria che nella stessa fase concordataria, laddove quest'ultima si limiti ad un concordato preventivo con contenuto liquidatorio. Non può sfuggire all'attenzione dell'interprete che la natura giuridica degli accordi di ristrutturazione, così come emerge anche dal decreto correttivo, consente di superare quelle impostazioni che vorrebbero appiattito l'istituto sulla figura del concordato preventivo, individuandolo nell'ambito di questo come una procedura minore. Il contenuto dell'accordoLa fase della formazione dell'accordo è demandata pienamente all'autonomia privata, per cui si svolge in via totalmente stragiudiziale. Per quanto concerne il contenuto dell'accordo di ristrutturazione la norma in esame nulla dispone, per cui si reputa che questo possa variare a seconda delle situazioni e degli interessi fatti valere. La formula «ristrutturazione dei debiti» sembra richiamare il c.d. pactum de non petendo, ma in realtà può trattarsi di accordi che vanno dalla mera dilazione di pagamento (che, non modificando il termine di esigibilità del credito, non incide sul decorso degli interessi né sul diritto ad esigere l'adempimento), alla vera e propria modifica dei termini di scadenza, che impedisce il decorso degli interessi ex art. 1282 c.c., e preclude al creditore di chiedere l'adempimento della prestazione in quanto il credito non è più esigibile (D'Ambrosio 2009, 1808). Tale impostazione è seguita anche dalla giurisprudenza: «gli accordi di ristrutturazione dei debiti non devono necessariamente essere connotati da un contenuto tipico, essendo al contrario rimessi alla libertà negoziale in quanto contratti di diritto privato non riconducibili alle procedure concorsuali. L'efficacia dell'accordo resta comunque condizionata all'omologazione giudiziale il cui scrutinio ha ad oggetto la correttezza delle argomentazioni svolte dal professionista nell'attestazione di fattibilità giuridica della proposta, l'eventuale impossibilità giuridica di esecuzione, nonché l'inidoneità alla soddisfazione dei creditori, mentre il giudizio sulla fattibilità economica è riservato ai creditori « (App. Torino 3 agosto 2015). Si è anche affermata una sostanziale assimilazione degli accordi ad un pactum de non petendo, come si evince da alcune pronunce giurisprudenziali (Trib. Milano 23 gennaio 2007; Trib. Roma 16 ottobre 2006; Trib. Bari 21 novembre 2005). Più puntualmente si è peraltro chiarito che il pactum de non petendo costituisce nella prassi la più comune modalità di accordo, ma con questo non si deve ritenere che tale modalità sia la sola possibile per la realizzazione dell'accordo stesso; invero, il patto può costituire il contenuto dell'accordo, ma anche solo una clausola di un più complesso accordo la cui efficacia estintiva delle obbligazioni del debitore deriva rispetto ai creditori aderenti dalla conclusione dell'accordo, poi, omologato (Trib. Milano 4 maggio 2009 e Trib. Milano 13 maggio 2009). La convenzione, peraltro, può non limitarsi alla mera dilazione di pagamento, ma può anche comprendere una parziale rimessione del debito, nel qual caso di ci trova di fronte al c.d. pactum de minus petendo o pactum ut minus solvatur. Nella materia societaria, peraltro, potrà configurarsi la conversione di crediti in capitale, ad esempio mediante aumenti di capitale sottoscritti con il meccanismo della compensazione, ovvero l'erogazione di nuova finanza, emissione di nuovi titoli di debito, ecc. La ristrutturazione potrà riguardare anche i debiti fiscali, stante le modifiche apportate all'istituto della transazione fiscale previsto dall'art. 182-ter l.fall. con il d.lgs. n. 169/2007, che ha esteso l'ammissibilità di tale transazione anche agli accordi di ristrutturazione dei debiti. Gli accordi di ristrutturazione potranno prevedere anche l'assunzione di vincoli per l'imprenditore, quali, ad es., dismissione di assets, programmi aziendali di rilancio ovvero di riduzione del personale, inserzione di rappresentati dei creditori negli organi amministrativi (D'Ambrosio 2009, 1809). Si ritiene, peraltro, che gli accordi debbano inserirsi in un piano, ed essere coerenti con lo stesso. Non è infatti pensabile che gli accordi possano prescindere da un piano per la soluzione della crisi. Tali considerazioni appaiono confortate dalla disposizione di cui all'art. 161, comma 2, lett. e), l.fall. [introdotta dall'art. 33, comma 1, lett. b), n. 1), del d.l. n. 83/2012, conv. in l. n. 134/2012], richiamato dall'art. 182-bis, comma 1, l.fall., che prevede proprio la necessità dell'allegazione alla richiesta di omologazione dell'accordo di un piano «contenente la descrizione analitica delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta» (Trentini 2016, 125: Mandrioli 2010, 613). La necessaria presentazione di un piano è confermata dall’aggiunta apportata con il d.l. 22 marzo 2021, n. 41, alla norma in esame, in forza della quale sono consentite variazioni al piano omologato se dopo l’omologazione si rendono necessarie modifiche sostanziali, idonee ad assicurare l’esecuzione degli accordi. Anche i creditori privilegiati, nell'aderire all'accordo, possono acconsentire ad una decurtazione delle proprie pretese, in quanto anch'essi, alla pari dei chirografari, dispongono volontariamente del proprio diritto di credito; un unico vincolo deve ritenersi sussistente nella determinazione dell'accordo e questo concerne la previsione del «regolare» (secondo l'originaria espressione) pagamento dei creditori rimasti estranei, a cui l'accordo deve risultare idoneo (Maffei Alberti, 1238). A seguito della modifica introdotta con il d.l. n. 83/2012, conv. con modificazioni in l. n. 134/2012, si è chiarito il significato da attribuire all'espressione «regolare» pagamento; termine, sostituito con il termine «integrale», con conseguente perdita di rilievo del passato indirizzo secondo cui, in un'ottica di inquadramento dell'istituto in esame come sottospecie di concordato preventivo, si faceva discendere dalla supposta applicabilità dell'art. 184, la sottoposizione anche dei creditori estranei a quanto stabilito nell'accordo, per cui «regolare pagamento» assumeva il significato di «pagamento secondo le regole dell'accordo». Per quanto concerne i tempi di adempimento con l'introduzione della modifica (1. n. 134/2012) i crediti scaduti vanno pagati entro 120 giorni dalla omologazione e i crediti non scaduti entro 120 giorni dalla scadenza. Quanto alla struttura dell'accordo, mancando uno schema legislativamente prefissato, gli accordi si strutturano come contratti atipici. La dottrina maggioritaria sostiene che la ricostruzione più corretta sia quella che li considera quali un unico atto a struttura plurilaterale, con causa unitaria, e in proposito richiama schema e disciplina del contratto plurilaterale con comunione di scopo, comportando l'accordo una cooperazione tra i vari soggetti, tesa alla realizzazione dello stesso (Proto, Accordi di ristrutturazione dei debiti e tutela dei creditori, in AA.VV., La tutela dei diritti nella riforma fallimentare, Scritti in onore di Giovanni Lo Cascio, a cura di Fabiani e Patti, Milano, 2006, 293 ss). In particolare si è affermato che, qualora intervenga l'omologazione di un accordo composto da tanti contratti conclusi in via separata ed autonoma, ciascuno con una propria causa, si può ipotizzare che, per il fatto di essere valutati nel loro insieme come idonei a rimuovere lo stato di crisi e ad assicurare il soddisfacimento regolare dei creditori rimasti estranei, tali contratti si possano inquadrare unitariamente e possano assumere la valenza di un contratto unitario definibile come plurilaterale con comunione di scopo, in quanto tutti insieme realizzano l'eliminazione dello stato di crisi. La tesi della natura autonoma dell'accordo di ristrutturazione rispetto al concordato preventivo resta quella prevalente (Abete, 1014; Trib. Brescia (decr.) 22 febbraio 2006). Il procedimento: il ricorso e la documentazioneL'art. 182-bis non richiede particolari formalità per la presentazione dell'accordo di ristrutturazione, salvo che il medesimo deve essere pubblicato nel registro delle imprese e che la domanda di omologazione deve essere formulata depositando la documentazione di cui all'art. 161. La riforma del 2007 ha espunto dalla norma, con riferimento al rinvio all'art. 161 l.fall. il termine «dichiarazione», in questo modo eliminando un altro elemento di (possibile) assimilazione al concordato preventivo, posto che il richiamo della sola «documentazione» indicata nell'art. 161 assume il valore di indicazione degli elementi documentali che il professionista incaricato ha esaminato per formulare un giudizio sull'«attuabilità» dell'accordo e sulla sua idoneità ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei, che, pur presentando l'alea che accompagna ogni previsione di eventi futuri (specie se di natura economica), sia ritenuto fondatamente attendibile e responsabilmente espresso, ed in questa prospettiva essere valutato, poi, in sede di omologazione. Oltre alla documentazione, individuata con rinvio e indicata dall'art. 161 l.fall., va depositato anche l'accordo o gli accordi raggiunti da creditori e debitore. Su questo punto, la dottrina si è variamente espressa in relazione all'unitarietà del contratto: in contrapposizione alla possibilità di più contratti, tutti richiamati e presupposti nel «ricorso» (Gabrielli, Autonomia privata e accordo di ristrutturazione dei debiti, in Riv. esecuz. forzata 2006, 433; per la possibilità di una pluralità di accordi Abete, 1017). Legittimato a presentare il ricorso è esclusivamente l'imprenditore. Nel caso si tratti di società, secondo un indirizzo di merito non sarebbe necessaria una delibera assembleare (Trib. Roma 16 ottobre 2006) ritenendosi sufficiente una delibera degli amministratori, come previsto, ora, anche per il concordato preventivo. Per quanto concerne l'avvio del procedimento a seguito della richiesta di omologazione, in giurisprudenza di merito è stato evidenziato che questa instauri un procedimento camerale speciale, disciplinato dall'artt. 182-bis l.fall. e, in via integrativa, e nel limite della compatibilità, dagli artt. 737 ss. c.p.c.; inoltre, si deve disporre la nomina di un giudice per la relazione in camera di consiglio, al quale attribuire il potere di assumere informazioni e di raccogliere in via istruttoria elementi utili, anche con richieste rivolte alle parti. Il consenso del creditore deve essere già espresso al momento del deposito del ricorso e va quindi considerato irrituale che il creditore si obblighi, solo ove necessario a manifestare per iscritto in apposito documento il proprio consenso alla ristrutturazione dei debiti (Trib. Bari 21 novembre 2005); in altra pronuncia è stato evidenziato che il raggiungimento della percentuale minima di legge possa essere raggiunta anche dopo il deposito del ricorso, in quanto è sufficiente che tale percentuale sussista al momento dell'omologazione, essendo detta percentuale una condizione dell'omologazione stessa, e non un presupposto di ammissibilità dell'accordo di ristrutturazione (Trib. Milano 23 gennaio 2007). Riguardo la documentazione, il secondo comma dell'art. 161 stabilisce che «il debitore deve presentare con il ricorso: a) una aggiornata relazione sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria dell'impresa; b) uno stato analitico ed estimativo delle attività e l'elenco nominativo dei creditori, con indicazione dei rispettivi crediti e delle cause di prelazione; c) l'elenco dei titolari di diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore; d) il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili. Circa la relazione di cui alla lett. a) dell'art. 161, che si reputa debba essere allegata tra la documentazione, va precisato che non è più richiesta né l'esplicitazione delle cause che hanno determinato lo stato di crisi (così come non lo è più nemmeno per lo stato insolvenza), né delle ragioni del ricorso alla procedura; per cui si è osservato che questa si limiterà a fornire informazioni utili alla valutazione, risolvendosi in una sorta di «nota integrativa ridotta» rispetto a quanto stabilito all'art. 2427 c.c. In un precedente giurisprudenziale si sono ritenute ammissibili modifiche all'accordo omologato da attuarsi in sede di esecuzione del medesimo, senza necessità di una nuova omologazione, in quanto nel caso specifico non pregiudica né l'attuabilità dell'accordo, né il regolare pagamento dei creditori estranei (Trib. Terni (decr.) 4 luglio 2011). La relazione del professionistaPer quanto riguarda la relazione del professionista che deve esprimersi sull'attuabilità dell'accordo e sulla sua «idoneità» ad assicurare il regolare pagamento dei creditori estranei, il d.lgs. n. 169/2007 non solo ha sostituito l'anodina espressione «esperto» con quella più puntuale di «professionista», ma ha opportunamente precisato che quest'ultimo deve essere «in possesso dei requisiti di cui all'art. 67, terzo comma, lett. d), ovvero la iscrizione nel registro dei revisori legali e il possesso dei requisiti per la nomina a curatore (art. 28 comma 1, lett. a) e b) l.fall.). Pertanto, il professionista deve essere scelto dal debitore, e il rinvio all'art. 67, terzo comma, lett. d) l.fall. consente solo la individuazione dei requisiti previsti dall'art. 2501-bis, comma 4, c.c., ma non permette l'utilizzo della procedura di designazione del professionista da parte del Tribunale del luogo in cui ha sede la società, come disposto dall'art. 2501-sexies, comma 3, c.c., che resta procedimento richiamabile per l'ipotesi della fusione e non estensibile analogicamente. Va segnalato, al riguardo, che, secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 5524/2015), l'attività di consulenza eventualmente richiesta dall'imprenditore al professionista prima del deposito della domanda di omologazione è finalizzata soltanto a valutare la sussistenza dei presupposti per attivare la procedura e può quindi essere affidata anche a un soggetto non iscritto in alcun albo professionale senza alcuna violazione dell'art. 2231 c.c., dovendo escludersi un collegamento funzionale tra tale attività prodromica e quella propria dell'attestatore, che, anzi, ai sensi del combinato disposto degli artt. 67 e 182-bis l.fall., deve essere indipendente nella propria valutazione e, come tale, estraneo alle valutazioni strategiche compiute dall'imprenditore in sede di predisposizione della domanda di omologazione dell'accordo. Premesso ciò, quanto al contenuto della relazione, questa deve avere ad oggetto l'attuabilità dell'accordo con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori estranei (Trib. Rimini 12 marzo 2009) e, a seguito della revisione della legge fallimentare del 2012, anche la veridicità dei dati aziendali. La relazione può quindi essere predisposta da un avvocato, da un dottore o da un ragioniere commercialista, ovvero da uno studio professionale associato ovvero da una società di professionisti, purché sia specificamente indicata la persona fisica appartenente allo studio o alla società da ritenersi responsabile della relazione sull'attuabilità dell'accordo (D'Ambrosio 2009, 1812). La mancanza dei requisiti professionali richiesti in capo al professionista incaricato determinerà il rigetto della domanda di omologazione. La nuova formulazione elimina detta disparità, pur essendo rimasto il riferimento alla «attuabilità» del piano, che si differenzia sia dall'attestazione di veridicità e fattibilità della relazione del professionista nel concordato preventivo, sia dalla attestazione di ragionevolezza nei piani attestati di risanamento ex art. 67, comma 3, lett. d), l.fall. Al di là di tali differenze semantiche, deve ritenersi, tuttavia, che il contenuto della relazione del professionista negli accordi di ristrutturazione dei debiti non si discosti di molto rispetto al contenuto della relazione del professionista nel concordato preventivo. Invero, pur non essendo demandata al professionista ex art. 182-bis l.fall. la verifica circa la veridicità dei dati aziendali, tale compito sembra tuttavia potersi ritenere implicito nel controllo circa l'attuabilità dell'accordo, giacché questa attività presuppone necessariamente il possesso di informazioni vere e complete sulla situazione dell'impresa (in tal senso Ambrosini, 2008, 172). Ne consegue che, esattamente come nel concordato preventivo, il professionista incaricato, lungi dal limitarsi ad attestare la conformità dei dati alle risultanze delle scritture contabili, deve controllare che si tratti di dati reali: il suo compito consiste quindi nel verificare sia l'esistenza delle attività dell'impresa (beni mobili, immobili, crediti, ecc.) ed il loro effettivo valore, sia l'entità dell'esposizione debitoria e le sue caratteristiche (debiti scaduti, contestati, ecc.) Va osservato, peraltro, che, facendo l'accordo riferimento, in ogni caso ad un «piano» (che ne costituisce il contenuto), è chiaro che l'attestazione dovrà riferirsi, essenzialmente, allo stesso piano, più che all'accordo in sé (Di Marzio 2011, 132). L'art. 20 del d.l. 118/2021 conv., con modif., in l. 21 ottobre 2021, n. 147, di modifica del comma ottavo dell'art. 182-bis, ha consentito l'effettuazione di modifiche al piano sia prima che dopo l'omologazione. In questi casi l'attestazione del professionista deve essere rinnovata. Il professionista incaricato dovrà valutare le disponibilità finanziarie e patrimoniali del debitore, le liquidità acquisibili per effetto dell'alienazione di beni non indispensabili all'impresa, l'ammontare e le scadenze dei crediti, i costi ed i ricavi prevedibili per il periodo in cui devono essere eseguiti i pagamenti dei debiti ristrutturati e non, i nuovi costi delle forniture e dei servizi per effetto dei contratti eventualmente rinegoziati, e, ovviamente, tutto quanto sarà necessario, secondo l'esperienza, in relazione alla particolarità del caso concreto (Lenoci, 905). Per attuabilità, inoltre, deve intendersi la previsione del regolare pagamento dei debiti, così come ristrutturati, scaduti e da scadere nei termini previsti dall'accordo. La responsabilità del professionista è presidiata, sul piano penale, anche in questo caso dal nuovo art. 236-bis l.fall. concernente il delitto di falso in attestazioni e relazioni, punito con una pena detentiva, unita ad una rilevante pena pecuniaria; quanto alla responsabilità civile, si distingue d'ordinario tra la responsabilità verso il debitore che si ritiene pacificamente di natura contrattuale, e quella verso i creditori ed i terzi in genere che viene ritenuta da taluni extracontrattuale e da altri contrattuale, valorizzandosi le tesi della responsabilità da «contatto sociale» (Frascaroli Santi, Commento all'art. 182 bis, Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da Vassalli, Luiso e Gabrielli, IV, Torino, 2014, 497). La pubblicazione nel registro delle impreseIl legislatore del correttivo, nel confermare che l'accordo deve essere pubblicato nel Registro delle imprese, precisa pure che esso «acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione». Invero, dal giorno della pubblicazione l'accordo acquista efficacia e inizia a decorrere il termine per la presentazione delle opposizioni; diviene altresì operativo, per la durata di sessanta giorni, il divieto per i creditori per titolo e causa anteriore a tale data di iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari individuali. L’art. 182-bis, comma ottavo, anche per effetto delle modifiche apportate dal d.l. n. 118/2021, conv., con modif., in l. 21 ottobre 2021, n. 147 consente largamente le modifiche sostanziali al piano, sia prima che successivamente all’omologazione. Il piano modificato e la nuova attestazione del professionista debbono essere pubblicati sul registro delle imprese e comunicati ai creditori parti dell’accordo (se un accordo è già intercorso). Dall’avviso decorre il termine di trenta giorni per proporre opposizione. Quanto all'oggetto della pubblicazione, sembra in definitiva ritenersi in via maggioritaria che l'accordo e la relazione dell'esperto debbano essere considerati unitariamente (Trib. Roma 16 ottobre 2006), ed ancora che la pubblicazione dell'accordo si concreta nel deposito dello stesso e della relazione dell'esperto nel registro delle imprese (Trib. Enna 27 settembre 2006). Quanto alla formazione dell'accordo è stato sostenuto che l'importanza degli effetti che alla pubblicazione si ricollegano e il fatto che la stessa lettera della legge deporrebbe in tal senso, prevedendo il deposito di un accordo «stipulato con i creditori rappresentanti almeno il sessanta per cento dei crediti». Sono invece ritenute ammissibili eventuali adesioni successive ulteriori rispetto alla soglia del 60%, purché queste non risultino incompatibili con quanto previsto nell'accordo (Trib. Brescia 22 febbraio 2006). Per quanto attiene alla competenza del tribunale, presso cui effettuare il deposito, si ritiene che questo debba essere quello in cui ha la sede principale l'impresa ricorrente (Trib. Milano (decr.) 15 novembre 2011). Questa dovrebbe, infatti, essere individuata sulla base del medesimo criterio, applicato in via analogica (o diretta, se si riconducono gli accordi al genus concordatario), utilizzato per stabilire la competenza relativa alla domanda di ammissione al concordato preventivo, in virtù del rinvio effettuato dall'art. 182-bis all'art. 161, riguardo le modalità di presentazione della domanda di omologazione; rinvio che dovrebbe comportare anche l'irrilevanza dell'eventuale mutamento di sede nell'anno antecedente la presentazione del ricorso (Maffei Alberti, 1248). Altro orientamento, tuttavia, in base all'assunto che gli accordi presentino una natura esclusivamente privatistica, ed escludendo quindi un'applicazione, anche analogica, delle norme relative al concordato, ritiene che si debba, al contrario, fare riferimento piuttosto alla sede legale dell'impresa, e non ritenere applicabile il limite dell'anno dall'eventuale mutamento di sede (Trib. Milano 23 gennaio 2007). Circa il momento dell'iscrizione, alcuni autori ritengono che l'accordo vada trascritto prima della presentazione del ricorso al tribunale (Michelotti 2005, 22-23), mentre altri propendono per la pubblicazione successiva a detto deposito (Proto 2006, 136; Tedeschi 2006, 581). Appare preferibile la prima soluzione, in quanto, altrimenti, si potrebbe creare una situazione di possibile «stallo» della procedura, tenuto conto del fatto che il termine per proporre eventuali opposizione decorre proprio dalla pubblicazione dell'accordo nel registro delle imprese, e detto adempimento è rimesso alla libera determinazione del debitore, il quale potrebbe tardare ad effettuarlo, determinando una situazione di inammissibile inerzia del procedimento (in tal senso Frascaroli Santi 2009, 138; Lenoci, 906). In ogni caso, se l'accordo viene depositato in tribunale, ma non presso il registro delle imprese, esso non sarà efficace, con quel che ne consegue nei rapporti tra debitore e creditori aderenti (sul punto, v. Valensise 2006, 1097). Se, invece, alla pubblicazione dell'accordo nel registro delle imprese non segue il deposito presso il tribunale, si producono gli effetti protettivi per il debitore (blocco delle azioni, ecc.) e decorrerà il termine per proporre opposizione, fermo restando che, in assenza del deposito del ricorso per l'omologazione, tali effetti verranno meno, e l'accordo rimarrà non omologato (Lenoci, 906). La protezione del patrimonio del debitoreUna rilevante novità è quella introdotta, con il decreto correttivo, dal comma 3 dell'art. 182-bis l.fall., alla cui stregua, dalla data della pubblicazione e per sessanta giorni i creditori per titolo e causa anteriori a tale data non possono iniziare o proseguire sul patrimonio del debitore azioni esecutive o cautelari (da intendersi in senso ampio, così da ricomprendere tutte le iniziative giudiziarie idonee a limitare la libera disponibilità dei beni). In pratica gli effetti protettivi sul patrimonio del debitore, che deve intendersi quello messo a disposizione dei creditori per l'esecuzione dell'accordo, iniziano a decorrere dalla data della pubblicazione dell'accordo nel registro delle imprese anche per i creditori estranei, i quali non possono quindi iniziare o proseguire azioni esecutive e cautelari e acquisire diritti di prelazione, e quindi secondo un orientamento dottrinario neppure presentare istanza di fallimento. Al riguardo, nella norma in commento, si fa rinvio all'art. 168, comma 2, l.fall. secondo cui le prescrizioni che sarebbero state interrotte dagli atti predetti rimangono sospese e le decadenze non si verificano. Si tratta, in sostanza, di una protezione che, in qualche modo, ripropone gli effetti dell'art. 168 l.fall., per cui, in sostanza, la protezione non si limita alle sole azioni esecutive ma si estende anche a quelle cautelari, anche se, poi, si tratta di una «protezione» dotata di minore intensità non tanto nei confronti degli atti esecutivi e cautelari posti in essere da «terzi», quanto nei confronti di possibili atti dismissivi o dispositivi dello stesso debitore (pur rilevandosi che i creditori aderenti potrebbero immediatamente dar luogo alle ordinarie azioni contrattuali per contestare la «validità ed efficacia» inter partes dell'accordo, cui potrebbe applicarsi la disciplina della risoluzione, ivi compreso l'art. 1461 c.c.). Inoltre, in considerazione della necessità di evitare azioni incidenti sul patrimonio del debitore in via immediata, il legislatore non ha, correttamente, ritenuto di precludere l'introduzione di azioni ordinarie di cognizione. Il termine di sessanta giorni viene valutato dal legislatore congruo al fine di consentire l'esaurimento della procedura, ma nulla è previsto nelle ipotesi in cui il giudizio di omologazione, anche in presenza di opposizioni, conosca tempi processuali più lunghi. In effetti, la lettera della norma non consente una proroga della protezione affidata ad un provvedimento del giudice che ampli i termini summenzionati (Ferro, Commento all'art. 182-bis, La legge fallimentare: commentario teorico e pratico, a cura di Ferro, Padova, 2014, 2531) e non a caso nel novellato art. 182-bis, comma 3, l.fall., non viene richiamata la disciplina dell'intero art. 168 l.fall. ma solo il secondo comma della norma, con ciò volendosi evidenziare che l'«ombrello protettivo» resta determinato nel limite temporale dei sessanta giorni e non già «sino al decreto di omologazione del concordato». Inoltre, la protezione risulta accordata al patrimonio del debitore, non ad eventuali beni di terzi, pur messi a disposizione nell'ambito dell'accordo, per il buon fine dello stesso. Sull'argomento, secondo un precedente di merito, il divieto di intraprendere azioni esecutive non si applica all'ipotesi in cui il pubblico ministero abbia presentato ricorso per la dichiarazione di fallimento in data anteriore alla pubblicazione degli accordi nel registro delle imprese (Trib. Milano 10 novembre 2009). Quanto agli effetti della violazione del divieto, la tesi prevalente sembra nel senso dell'inefficacia temporanea degli atti, piuttosto che della loro nullità, cosicché, esauritosi il periodo di protezione, dovrebbe ammettersi la proseguibilità delle azioni intraprese precedentemente (Pagni, 1083). I problemi di «salvaguardia» del patrimonio del debitore durante la fase di preparazione dell'accordo erano stati indicati dalla dottrina come un vero e proprio deterrente all'accesso della procedura in oggetto, in particolare evidenziandosi come durante la trattativa svolta dallo stesso debitore con i creditori aderenti era elevato il rischio che i creditori non coinvolti nell'accordo potessero aggredire il patrimonio del debitore tramite azioni esecutive e cautelari, così vanificando ogni possibilità di superamento della crisi. L'art. 48, d.l. n. 78/2010, come modificato in sede di conversione dalla L. n. 122/2010, ha quindi opportunamente inserito nell'art. 182-bis i commi 6, 7 e 8. In particolare, ai sensi dell'art. 182-bis, comma 6, l.fall. (come introdotto dall'art. 48, comma 2, d.l. n. 78/2010 cit.), l'imprenditore, prima ancora della formalizzazione dell'accordo, può richiedere al tribunale competente la sospensione delle procedure esecutive e cautelari, o che sia disposto il divieto di inizio di tali procedure, depositando la documentazione di cui all'art. 161, commi 1 e 2, lett. a), b), c) e d), l.fall., unitamente ad una proposta di accordo corredata da una dichiarazione dell'imprenditore – avente valore di autocertificazione – attestante che sulla proposta sono in corso trattative con i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti e da una dichiarazione del professionista – avente i requisiti di cui all'art. 67, comma 3, lett. d), l.fall. – circa la idoneità della proposta, ove accettata, ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che comunque hanno già negato la propria disponibilità a trattare. Si ritiene, inoltre, che l'attestazione debba riguardare anche la veridicità dei dati aziendali (Trib. Udine 27 aprile 2012, in Foro it. 2012, I, 3207) L'istanza di sospensione in questione è pubblicata nel registro delle imprese, e produce, da tale pubblicazione, l'effetto di vietare l'inizio o la prosecuzione delle azioni esecutive e cautelari, nonché il divieto di acquisire titoli di prelazione, ove non concordati. Sull'istanza provvede il tribunale fissando entro trenta giorni dal deposito una apposita udienza, previa comunicazione a tutti i creditori della documentazione depositata dal debitore. Il tribunale, riscontrata la sussistenza dei presupposti per pervenire alla conclusione di un accordo di ristrutturazione con la maggioranza del 60% dei crediti, e la possibilità del regolare pagamento dei creditori non aderenti o con i quali non sono in corso trattative, provvede con decreto motivato, disponendo il divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione se non concordati, ed assegnando il termine di non oltre sessanta giorni per il deposito dell'accordo di ristrutturazione e della relazione redatta dal professionista (art. 182-bis, comma 7, l.fall.) La preventiva comunicazione ai creditori della documentazione e la celebrazione di una udienza presuppongono, a nostro avviso, la possibilità per i creditori di partecipare a detta udienza e di opporsi, se del caso, alla richiesta sospensione. La giurisprudenza prevalente qualifica il procedimento in esame come un sub-procedimento di natura cautelare ma tuttavia atipico, in quanto il giudice deve valutare soltanto il fumus boni iuris, essendo il periculum in mora presunto Trib. Udine 30 marzo 2012; Trib. Roma 3 gennaio 2012). La natura lato sensu cautelare è confermata dal fatto che gli effetti inibitori-sospensivi sono limitati nel tempo (secondo lo schema proprio dei provvedimenti cautelari), dal che deriva che tali effetti vengono meno, se l'istanza non è accolta ovvero se non è depositato il ricorso per l'omologazione degli accordi definitivi. Si ritiene, inoltre, che il reclamo, ancorché previsto solo in caso di accoglimento, sia ammissibile anche in caso di rigetto, e che contro la decisione in sede di reclamo non sia ammesso ricorso per cassazione (Trentini 2016, 520). Per quel che riguarda l'ampiezza dei poteri del Tribunale, a quest'ultimo è demandato, innanzitutto, un riscontro preliminare circa la completezza della documentazione. Si ritiene, inoltre, che il Tribunale debba compiere non soltanto una verifica formale circa la completezza della documentazione, ma una verifica «sostanziale» in ordine alla sussistenza delle condizioni per pervenire agli accordi di ristrutturazione, essendo necessario, anche in questa fase, che il professionista nella sua relazione attestativa evidenzi l'attuabilità del proponendo accordo, relazionando sui riscontri effettuati per le singole poste e offrendo una adeguata motivazione sulla conferma (o meno) dei valori nominali espressi dalla società nella sua documentazione contabile: ciò per consentire all'organo giudicante, ed ancor prima ai creditori estranei, una autonoma verifica sulla adeguatezza e sulla coerenza logica dell'iter argomentativo posto in essere (Trib. Roma 13 marzo 2012) Si ritiene, inoltre, che, in caso di incompletezza della documentazione depositata dal debitore, il Tribunale ne possa richiedere l'integrazione, eventualmente in applicazione analogica del disposto dell'art. 162, comma 1, l.fall., con conseguente inammissibilità in limine della domanda, in caso di mancata integrazione nel termine assegnato (Trib. Terni 2 dicembre 2011, in Fall. 2012, 854; Trib. Roma 7 maggio 2012). A seguito del deposito dell'accordo, la sospensione proseguirà, trovando applicazione il 3° co. dell'art. 182-bis (art. 182-bis, comma 8, l.fall.). Il termine di sospensione, comunque, non può essere prorogato, non essendo prevista tale possibilità (a differenza di quanto avviene per il concordato in bianco ex art. 161, comma 6, l.fall.), e trattandosi di termine assimilabile a quello di efficacia dei provvedimento cautelari (Trentini 2016, 530). Le opposizioniIl quarto comma dell'art. 182-bis stabilisce che dalla data della pubblicazione decorre il temine (ritenuto perentorio e in relazione al quale si reputa applicabile la sospensione feriale: Trib. Enna 27 settembre 2006), di trenta giorni, per la proposizione delle eventuali opposizioni da parte dei creditori e di ogni altro interessato. Legittimati a proporre opposizione sono innanzi tutto i creditori. Anche se la legge non lo specifica, si reputa che siano legittimati non solo i creditori estranei, ma anche i creditori aderenti all'accordo: invero, il fatto che detta disposizione parli genericamente di creditori, anziché di creditori estranei, lascia intendere che anche quanti hanno aderito all'accordo possono, re melius perpensa (ed alla luce di informazioni di cui prima non erano in possesso), proporre opposizione (Ambrosini 2008, 176), lamentando, se del caso, di non avere avuto completa e chiara informazione, oppure contestando la validità dell'accordo, ovvero, ancora, evidenziando il mancato raggiungimento delle maggioranze (Trentini 2016, 389; v. anche Ferro, 2536). Per quanto concerne la forma dell'atto, anche se la norma in commento nulla dispone si reputa che debba trattarsi di ricorso e che sia applicabile il principio generale di cui all'art. 82, terzo comma, c.p.c., che richiede la rappresentanza tecnica prevista per i procedimenti innanzi al tribunale. Si reputano sindacabili sia questioni di legittimità, come la mancanza di uno o più dei requisiti richiesti dalla legge, sia di merito, come nel caso si metta in dubbio la attuabilità e/o l'idoneità dell'accordo. Il giudizio di omologazioneLa formulazione dell'art. 182-bis l.fall. consente di superare alcune perplessità manifestate in ragione dell'originaria formulazione della norma, specie in relazione all'omologazione dell'accordo nell'ipotesi in cui non vi fossero state opposizioni da parte dei creditori o di ogni altro interessato. Nell'ipotesi in cui non siano state proposte opposizioni va osservato che secondo alcune pronunce deve disporsi la fissazione di udienza in camera di consiglio (Trib. Ancona 20 marzo 2014); secondo altre, invece, la risposta è negativa (Trib. Nocera Inferiore 27 marzo 2014). Una autorevole dottrina ritiene che, al giudizio di omologazione, debba applicarsi in via analogica l'art. 180 l.fall., relativo al procedimento per omologazione del concordato preventivo, in quanto compatibili (Frascaroli Santi 2009, 152). Riteniamo, tuttavia, che, stante l'autonomia degli accordi di ristrutturazione rispetto al concordato preventivo, in assenza di una disciplina specifica dovrebbe applicarsi al procedimento di omologazione non già l'art. 180 l.fall., bensì le disposizioni di cui agli artt. 737 ss. c.p.c., che regolano i procedimenti in camera di consiglio, trattandosi di normativa in linea generale applicabile a tutte le ipotesi per le quali non sia prevista una disciplina specifica, e non potendosi dubitare che il procedimento in questione debba comunque seguire lo schema camerale, che è ormai lo schema tipico di tutti i procedimenti fallimentari (Lenoci, 907). Quanto al controllo del Tribunale, alcuni giudici hanno ritenuto tale adempimento limitato al solo riscontro e verifica dell'avvenuta regolare approvazione della proposta da parte dalla quantità dei «crediti» indicati dalla norma e sulla sussistenza di una idonea relazione del professionista incaricato come corredata dai documenti di cui all'art. 161 l.fall. (Trib. Milano 31 luglio 2014); secondo altri giudici, il controllo del tribunale si configura di natura non meramente formale, bensì sostanziale (Trib. Modena 19 novembre 2014 e Trib. Asti 25 giugno 2014). Nell'ambito del giudizio di omologazione, inoltre, il tribunale è legittimato ad accertare la sussistenza del presupposto soggettivo e del presupposto oggettivo; il raggiungimento della soglia di efficacia dell'accordo del sessanta per cento dell'indebitamento complessivo; la sussistenza della documentazione richiesta dall'art. 161 l.fall; la presenza della relazione di attestazione del professionista munito dei requisiti previsti dall'art. 67, terzo comma, lett. d); l'attuabilità dell'accordo, con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il pagamento dei creditori non aderenti nonché la validità dell'accordo, nei limiti in cui è consentito il rilievo d'ufficio, senza che rilevi l'esistenza di opposizioni (Trib. Bologna 17 novembre 2011; Trib. Avellino 12 novembre 2014). Sul contenuto del giudizio omologatorio la giurisprudenza di merito ha ulteriormente posto l'accento sull'obbligo del tribunale di «valutare l'assoggettabilità a fallimento con particolare riferimento al possesso da parte dell'imprenditore dei requisiti dimensionali previsti dall'art. 1 l.fall., nonché della sussistenza di una situazione di crisi che può o meno coincidere con l'insolvenza» (Trib. Milano 10 novembre 2009; Trib. Palermo 27 marzo 2009 e Trib. Milano 25 marzo 2010). Inoltre, può ritenersi che il controllo che il tribunale è chiamato a svolgere per il giudizio di omologazione, nell'ipotesi di assenza di opposizioni, resti limitato ad una verifica degli adempimenti prescritti dalla legge relativi al deposito del ricorso, della documentazione necessaria (oltre che degli accordi raggiunti tra i creditori ed il debitore) e alla verifica della adesione nella misura del sessanta per cento dei crediti — mentre nel caso di opposizioni il giudizio finisca per configurarsi come controllo di merito in relazione all'idoneità dell'accordo ad assicurare (un tempo) il «regolare» pagamento dei creditori estranei, l'integrale pagamento e, più in generale, l'attuabilità dell'accordo (Ferro, 2535). Quindi, nel caso, invece, che sia stata proposta opposizione, il tribunale deve vagliarne la fondatezza e, nel caso in cui specificamente sia stata sollevata la questione della fattibilità del piano, non può limitarsi ad una verifica intrinseca della relazione dell'attestatore, ma, secondo l'orientamento giurisprudenziale più dirigistico, dovrebbe compiere un controllo estrinseco, esterno, circa l'attuabilità del piano (Trib. Bergamo 19 novembre 2013). L’omologazione è consentita al tribunale anche nel caso di mancanza di adesione all’accordo da parte dell’amministrazione finanziaria o di enti gestori di forme di previdenza e di assistenza obbligatorie quando l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento della percentuale di consensi di cui al primo comma dell’art. 182-bis e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista, la proposta di soddisfacimento dell’amministrazione o dell’ente gestore è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria. In questo caso, l’adesione deve intervenire (per disposto delle modifiche apportate dall’art. 20 del d.l. n. 118/2021) entro 30 giorni dal deposito della proposta di soddisfacimento. Il provvedimento, sia di accoglimento che di rigetto è soggetto a reclamo alla corte d'appello, nelle forme dell'art. 183 l.fall., ma nel ridotto termine di quindici giorni dalla data della sua pubblicazione nel registro delle imprese (Ferro, 2545). Legittimati al reclamo sono, a seconda dei casi, il debitore ovvero i creditori, così come i terzi interessati che siano intervenuti nel giudizio (Frascaroli Santi, Commento all'art. 182 bis, Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da Vassalli, Luiso e Gabrielli, IV, Torino, 2014, 511). Per quanto riguarda la competenza si deve ritenere applicabile estensivamente la disciplina degli artt. 9 e 161 l.fall., che sterilizza, ai fini della competenza, il trasferimento avvenuto nell'anno anteriore alla presentazione dell'iniziativa per l'apertura della procedura concorsuale (Trib. Milano 15 novembre 2011). Dal punto di vista procedurale, inoltre, è stata ritenuta inammissibile la richiesta intesa ad ottenere una dilazione del termine di sessanta giorni per il deposito dell'accordo, a cagione del fatto che il mancato rispetto di detto termine produce l'inefficacia, a decorrere dal giorno successivo al terminus ad quem, del divieto di iniziare o proseguire le azioni cautelari o esecutive e di acquisire titoli di prelazione non concordati (Trib. Novara 2 maggio 2011). Oggi, il riferimento al divieto di acquisizione di titoli di prelazione non concordati è esplicitato dall'interpolazione del terzo comma, primo periodo della norma, disposta dall'art. 33, primo comma, lett. e), d.l. n. 83/2012. Va osservato, infine, che non vi è l'obbligo di intervento nel procedimento del pubblico ministero, fermo restando che lo stesso può intervenire ai sensi dell'art. 70 c.p.c., ove ravvisi un pubblico interesse. In caso di rigetto della richiesta di omologazione (sia per l'assenza delle condizioni di legittimità dell'accordo che per la ritenuta inattuabilità), il tribunale dovrà limitarsi ad emettere un decreto di rigetto, senza poter dichiarare contestualmente il fallimento. Ove il collegio, tuttavia, ritenga sussistenti le condizioni per la dichiarazione di fallimento, dovrà trasmettere gli atti all'ufficio del pubblico ministero per la proposizione della relativa istanza. Peraltro, la presentazione di una domanda di omologazione di accordo di ristrutturazione dei debiti non rende improcedibili le istanze di fallimento già pendenti, stante l'autonomia dei due procedimenti, anche se, in questo caso, è stata ritenuta possibile (ed è effettivamente opportuna) la trattazione congiunta delle diverse richieste, potendosi così giungere, se del caso, ad un rigetto della richiesta di omologazione e ad una sentenza di fallimento (in questo senso Trib. Milano 10 novembre 2009, in Foro it. 2010, I, 297; v. anche Cass. n. 24969/2013). In realtà, pur non potendosi far rientrare il procedimento per la dichiarazione di fallimento tra le procedure esecutive e cautelari il cui svolgimento è sospeso a seguito dell'iscrizione degli accordi nel registro delle imprese, tra il procedimento per l'omologazione dell'accordo ed il procedimento prefallimentare vi è un rapporto di pregiudizialità logica, in quanto la dichiarazione di fallimento presuppone che non vi sia stato il superamento della crisi attraverso l'omologazione dell'accordo. L'orientamento prevalente della giurisprudenza, pertanto, è nel senso di ritenere che la pendenza del procedimento di omologazione degli accordi sia ostativa alla dichiarazione di fallimento, ma non all'istruttoria, che pertanto può regolarmente proseguire (App. Milano 21 giugno 2011; Fabiani 2010, 208) Gli effetti dell'accordo omologatoIntervenuta l'omologa questa svolge una funzione stabilizzatrice dell'accordo e degli effetti prodottisi antecedentemente al provvedimento, in quanto la norma in commento stabilisce che l'accordo acquista efficacia dal giorno della sua pubblicazione. L’omologazione stabilisce il percorso da seguirsi per giungere al risultato perseguito, in vista del quale il provvedimento autorizzativo è stato concesso. Le attività successive devono rispondere allo scopo di eseguire il piano omologato. Sia il piano approvato che l’omologazione forniscono le direttive vincolanti per le iniziative del soggetto che ne ha fatto proposta; discostarsene può condurre ad un inadempimento sanzionabile. L’applicazione pratica ha tuttavia dimostrato che la rigidità degli schemi spesso si rivela poco compatibile con la realtà degli avvenimenti da affrontare e che questa richiede improvvisazioni e adattamenti (al mercato, agli eventi, alle crisi, ecc…). Con una recente modifica normativa (l’art. 37-ter del d.l. 22 marzo 2021, n. 41, conv. in l. 21 maggio 2021, n. 69, ha aggiunto un comma dopo il comma settimo all’art. 182-bis l. fall.) si è inteso tener conto di questa indubbia eventualità e si è predisposto uno strumento praticabile per il momento in cui essa si manifesti. A fronte di situazioni che rendono necessarie modifiche sostanziali al piano, è consentito all’imprenditore apportarvi le modifiche che lo rendono nuovamente idoneo ad assicurare l’esecuzione degli accordi presi. Al predetto è fatto obbligo di ottenere dal professionista il rinnovo della sua relazione, quale adempimento che garantisca la sussistenza dei presupposti addotti a motivo della modifica e attesti la validità del proposito imprenditoriale. Il nuovo piano e la relazione debbono essere pubblicati sul registro delle imprese; e della pubblicazione è dato avviso con lettera raccomandata o posta elettronica certificata ai creditori. La disposizione innovativa non richiede che sulle modifiche debba essere raccolto il consenso dei creditori e debba ottenersi una nuova omologazione. La tutela dei creditori è affidata alla loro iniziativa. Chi è contrario alle modifiche è legittimato a proporre opposizione, nei modi e nei termini di cui al quarto comma dell’art. 182-bis. Le regole per tal modo dettate hanno cercato di reperire un punto di equilibrio tra l’esigenza di sottoporre il mutamento del piano al controllo degli interessati alla sua esecuzione progettata e l’opportunità di conformare le attività esecutive agli sviluppi specifici della situazione maturata. Un dato appare certo. Le modifiche al piano possono mutarne le modalità operative, non anche la finalità da perseguire come inizialmente concordata e omologata. La disposizione citata è poi stata resa più dettagliata dalla modifica apportata dall’art. 20 del d.l. 24 agosto 2021, n. 118, conv., con modif., in l. 21 ottobre 2021, n. 147, che ha sostituito il comma che era stato inserito dall’art. 37 del d.l. n. 41/2021. Si è ora precisato che le modifiche possono riguardare il piano da presentare per l’omologazione, il piano già omologato e gli accordi raggiunti con i creditori. Il debitore deve ottenere una nuova attestazione favorevole dal professionista; il piano modificato e l’attestazione devono essere resi pubblici mediante iscrizione sul registro delle imprese e di questa va dato avviso ai creditori parti dell’accordo con lettera raccomandata o comunicazione per posta certificata. L’opposizione è consentita entro trenta giorni dalla ricezione dell’avviso nelle stesse forme previste dal quarto comma All'accordo omologato si collega l'effetto peculiare previsto dall'art. 67, terzo comma lett. e), l.fall., che stabilisce per gli atti, i pagamenti e le garanzie compiuti in esecuzione del medesimo l'esenzione da revocatoria nell'eventuale successivo fallimento. Qualora invece il tribunale si pronunci negativamente, e l'accordo non venga omologato, secondo la dottrina maggioritaria questo produce gli effetti previsti dalla applicazione della disciplina generale dei contratti, salvo che le parti l'abbiano risolutivamente condizionato all'ottenimento dell'omologazione (Maffei Alberti, 1256). L'esenzione dalla revocatoria riguarda, tuttavia, soltanto i pagamenti nei confronti dei creditori aderenti, e non anche i pagamenti effettuati in favore di quelli non aderenti. Infatti, «se (...) il riferimento all'integralità del pagamento dei creditori estranei va rapportata non già al credito così come rimodulato per il tramite dell'accordo di ristrutturazione, ma al debito in origine contratto dall'imprenditore, ciò non può non condurre a considerare gli atti nei confronti dei non aderenti come pagamenti eseguiti in forza di titoli costitutivi dei relativi crediti, giammai in ragione dell'accordo omologato» (Appio 2012, 169). Tali pagamenti, pertanto, non potendo dirsi in esecuzione dell'accordo, dovranno ritenersi esclusi dalla causa di esenzione di cui all'art. 67, comma 3, lett. e), l.fall., anche perché, l'adesione all'accordo sarebbe comunque poco «appetibile» per i creditori. Al pari del concordato preventivo, l'accordo di ristrutturazione riguarda i creditori anteriori al deposito dell'accordo. Non è chiara la sorte relativa ai crediti contestati: la mancanza di un'adunanza dei creditori e di una valutazione giudiziale differisce il bisogno di tutela al provvedimento finale. Pertanto, le contestazioni sembrerebbero doversi convertire in motivi di opposizione (Ferro 2014, 2541), da riferirsi, se del caso, alla mancata considerazione del credito o dei crediti contestati, anche ai fini della determinazione della percentuale del 60%. Peraltro, è possibile che i crediti contestati vengano fatti rientrare in una elencazione a parte, ed esclusi dal calcolo della percentuale per l'omologazione. L'accertamento in appositi giudizi, a cognizione piena, di tali crediti, determinerebbe per essi il trattamento come disposto per i creditori estranei pretermessi. Per quel che riguarda, infine, i coobligati del debitore, i fideiussori e gli obbligati in via di regresso, l'accordo di ristrutturazione produce i medesimi effetti esdebitativi di cui beneficia il debitore, non dovendosi ritenere applicabile agli accordi di ristrutturazione l'art. 184, comma 1, l.fall. (in base al quale i creditori conservano impregiudicati i diritti contro i coobbligati, i fideiussori del debitore e gli obbligati in via di regresso), trattandosi di norma eccezionale non applicabile in via analogica (in questi termini Cass. n. 28744/2005), e ciò stante anche l'autonomia dell'istituto rispetto al concordato preventivo (in senso contrario, tuttavia, v. Frascaroli Santi 2009, 185-186). L'esenzione della revocatoria è stata estesa (in forza delle modifiche introdotte dall'art. 33 d.l. n. 83/2012, conv. in l. n. 134/2012), anche ai pagamenti di crediti sorti anteriormente al deposito del ricorso per l'omologazione, o del ricorso per la sospensione delle azioni esecutive e cautelari ex art. 182-bis, comma 6, l.fall., che tuttavia sono stati autorizzati dal Tribunale, in presenza delle seguenti condizioni: a) che si tratti di pagamenti per crediti per prestazioni o servizi; b) che un professionista attesti che tali prestazioni siano essenziali per la prosecuzione dell'attività da parte dell'imprenditore, e funzionali ad assicurare il migliore soddisfacimento dei creditori. All'omologazione dell'accordo consegue anche l'esclusione dalle imputazioni di bancarotta preferenziale e di bancarotta semplice, ai sensi dell'art. 217-bis l.fall. Un ulteriore effetto rilevante attiene alla c.d. prededuzione dei crediti relativi a finanziamenti erogati all'imprenditore in esecuzione di un accordo di ristrutturazione dei debiti (art. 182-quater, comma 1, l.fall., introdotto dall'art. 48 d.l. n. 78/2010, conv. in l. n. 122/2010, e successivamente modificato dall'art. 33 d.l. n. 83/2012, conv. in l. n. 134/2012). L'inadempimento dell'accordoDiverso, invece, il caso in cui l'accordo omologato sia rimasto inadempiuto e ad esso sia seguita la apertura di un concordato preventivo o di un fallimento. In tal caso si dovrebbero ritenere salvi, nei rispettivi procedimenti aperti successivamente, gli effetti che l'accordo ha prodotto a seguito dell'omologazione, e quindi in particolare, in caso di fallimento, l'esenzione dalla revocatoria (secondo il recente intervento legislativo l. n. 134/2012, se nel termine assegnato dal tribunale per il deposito di un accordo di ristrutturazione è depositata una domanda di concordato preventivo si conservano gli effetti di cui al comma 6 e 7). Premesso ciò, per quanto riguarda le conseguenze dell'inadempimento dell'accordo, sia esso omologato o meno, in difetto di qualunque indicazione normativa debbono ritenersi applicabili le ordinarie azioni di risoluzione o di annullamento da proporsi in base alle normali regole sulla competenza e nell'ambito del giudizio ordinario di cognizione (Fauceglia-Rocco Di Torrepadula, Diritto dell'impresa in crisi, Bologna, 2010, 357). Nel senso dell'applicabilità, in caso di accordo di ristrutturazione omologato, del principio più volte affermato in tema di concordato preventivo, in virtù del quale una volta esauritasi la procedura di concordato preventivo, tutte le questioni che hanno ad oggetto diritti pretesi da singoli creditori o dal debitore o che attengono all'esecuzione del concordato, danno luogo a controversie sottratte al potere decisionale del giudice delegato, inerendo a materia di ordinario giudizio di cognizione (Cass. ord. n. 16187/2012). Questa soluzione, però, è stata ritenuta dalla dottrina non proprio conforme per le differenti ipotesi di inadempimento degli accordi, potendo solo evocarsi nell'ipotesi in cui l'accordo non sia stato omologato, in tal senso ritenendo affidata al solo profilo della tutela dell'adempimento di un patto tra debitore e creditore che non abbia, però, superato il vaglio dell'autorità giudiziale, e come tale si presenti alla stregua di qualsiasi rapporto negoziale. Difatti, ben diversa, pare essere la fattispecie di un accordo omologato, laddove, a fronte dell'intervenuto decreto del tribunale e di successivi inadempimenti, viene proposto il ricorso al rito camerale, con una sostanziale uniformità rispetto alla procedura omologatoria (Lo Cascio, 1062). Secondo altri autori, non parrebbe preclusa anche al singolo creditore aderente un'azione di cognizione ordinaria finalizzata alla dichiarazione di risoluzione del contratto ovvero all'accertamento dell'evento risolutivo in presenza di termini essenziali o di condizioni risolutive (Sciuto, Effetti legali e effetti negoziali degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in Riv. dir. civ. 2009, 358). Per meglio dire, distinguendo tra creditori aderenti all'accordo e creditori estranei, per i primi resterebbe aperta , secondo una certa prospettiva ,o la possibilità di ricorrere in sede camerale per la revoca dell'omologazione essendo sopravvenuti fatti impeditivi ovvero ostativi alla realizzazione degli effetti propri dell'accordo omologato, ovvero, in alternativa, di instaurare un ordinario giudizio di cognizione volto a far dichiarare o accertare l'inadempimento e la conseguente risoluzione dell'accordo (in entrambe le ipotesi deve trattarsi di inadempimento «di non scarsa importanza» nella prospettiva dell'accordo raggiunto). Per i creditori estranei, invece, si aprirebbe la strada di un ordinario giudizio di cognizione al fine di accertare, con ogni conseguenza, l'inadempimento dell'accordo per quanto riguarda il regolare adempimento delle obbligazioni ovvero di procedere immediatamente alla conseguente dichiarazione di fallimento senza necessità di chiedere la previa risoluzione degli accordi, cui i creditori non aderenti sono, del resto, estranei, per definizione (Trib. S. Maria Capua Vetere 9 ottobre 2013). BibliografiaV. sub art. 179. |