Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 183 - Reclamo12.

Valentino Lenoci

Reclamo12.

 

Contro il decreto del tribunale puo' essere proposto reclamo alla corte di appello, la quale pronuncia in camera di consiglio.

Con lo stesso reclamo e' impugnabile la sentenza dichiarativa di fallimento, contestualmente emessa a norma dell' articolo 180, settimo comma.

[1] Articolo sostituito dall'articolo 16, comma 6, del D.Lgs. 12 settembre 2007 n.169, con la decorrenza indicata nell'articolo 22 del medesimo D.Lgs. 169/2007.

[2] La Corte costituzionale, con sentenza 12 novembre 1974, n. 255, a) aveva dichiarato la illegittimità costituzionale del primo comma, nel testo precedente la sostituzione, nella parte in cui, per le parti costituite, faceva decorrere il termine per proporre appello contro la sentenza che omologava o respingeva il concordato preventivo dall'affissione, anzichè dalla data di ricezione della comunicazione della stessa; b) in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, dichiarava, altresì, la illegittimità costituzionale derivata dell'ultimo comma, nella parte in cui facevano decorrere dall'affissione i termini, rispettivamente, per ricorrere in cassazione contro la sentenza di appello che decidevano in merito alla omologazione o reiezione del concordato preventivo, per proporre appello contro la sentenza che omologava o respingeva il concordato successivo, nonchè per ricorrere in cassazione contro quest'ultima sentenza.

Inquadramento

Nella prima versione della riforma, la modifica apportata all'art. 180 l.fall., ma non all'art. 183 aveva dato luogo ad un contrasto normativo, dato che, per la prima, il provvedimento di omologazione era adottato con decreto, mentre la seconda faceva riferimento ancora alla sentenza di omologazione.

La giurisprudenza e la dottrina si erano divise nell'identificare il rimedio con il quale impugnare il provvedimento di omologazione.

Parte della dottrina, infatti, sosteneva la tesi dell'abrogazione implicita dell'art. 183 l.fall., affermando inoltre che il decreto concluso del giudizio di omologazione fosse reclamabile alla Corte d'Appello ai sensi degli artt. 739 e 742-bis c.p.c. e successivo ricorso straordinario per cassazione (Bozza, Il giudizio di omologazione, la chiusura della procedura e il regime transitorio, in Fall. 2005, 1333). Secondo altra parte della dottrina, invece, fermo restando la sostituzione dell'appello con il reclamo camerale, l'art. 183 sopravviveva parzialmente alla riforma in relazione ai termini, alla legittimazione e alle ulteriore impugnazioni (Schiavon, La nuova disciplina del concordato preventivo in seguito al decreto legge n. 35 del 2005, in Dir. Fall. 2005, I, 829).

Quest'ultima tesi fu anche ripresa dalla giurisprudenza di merito, che ha affermato che «se è vero che l'art. 183 contiene l'errore di indicare la sentenza come il provvedimento di chiusura del giudizio di omologazione e se è regola generale che il decreto conclusivo del procedimento camerale può essere impugnato solo con il reclamo al giudice superiore, non si può che giungere alla conclusione che il detto articolo deve essere reinterpretato [nel senso che il legislatore] così come non ha voluto mantenere la previsione della sentenza di omologazione o di rigetto, non ha inteso mantenere come mezzo di impugnazione l'appello (App. Milano 11 ottobre 2006).

Il decreto correttivo n. 169/2007 ha fatto dunque chiarezza, stabilendo che avverso il decreto è proponibile reclamo alla Corte di Appello, la quale pronuncia in camera di consiglio.

Il nuovo testo dell'art. 183 l.fall., tuttavia, lascia permanere alcuni profili di criticità, in relazione soprattutto alla forma da utilizzare per la proposizione del gravame, alla individuazione della legittimazione attiva, alla determinazione dei termini per l'impugnazione ed alla possibilità di esercitare un successivo sindacato da parte della corte di cassazione.

Con riferimento al primo profilo (forma da utilizzare per il reclamo), può prospettarsi l'applicabilità dell'art. 26 l.fall., dell'art. 131 l.fall. (che rievoca in parte l'art. 18 l.fall.) ovvero dell'art. 739 c.p.c.

Orbene, nell'ipotesi di decreto di rigetto dell'omologazione con contestuale sentenza di fallimento, il rimedio esperibile deve senz'altro essere il reclamo ex art. 18 l.fall. In tal modo, si evita un possibile conflitto tra giudicati (dal momento che si instaura, fin dall'inizio, un unico giudizio presso la corte d'appello), e si garantiscono a tutte le parti coinvolte nel procedimento le identiche tutele prevista dal gravame fallimentare (Brenca 2009, 1751). In tale ipotesi, peraltro, i motivi attinenti al rigetto dell'omologazione si convertono in motivi avverso la sentenza di fallimento, ed il reclamo avverso quest'ultima assorbe il reclamo avvero il decreto che respinge l'omologazione (in giurisprudenza v. Cass. n. 4527/2015; Cass. n. 21606/2013; Cass. n. 3586/2011).

Nel caso, invece, di omologazione del concordato o di rigetto dell'omologazione senza contestuale dichiarazione di fallimento, in assenza di una disciplina specifica la soluzione preferibile appare senz'altro quella del reclamo ex art. 739 c.p.c. applicabile in via generale ai decreti emessi nei procedimenti in camera di consiglio (Cass. n. 22932/2011; App. Genova 23 novembre 2011).

Non pare, infatti applicabile analogicamente l'art. 131 l.fall., che attiene specificamente al concordato fallimentare, né l'art. 26 l.fall., che riguarda i singoli provvedimenti del giudice delegato. La mancanza di una disciplina specifica non può, pertanto, che far richiamare la disciplina generale di cui agli artt. 737 ss. c.p.c., e quindi, in tali ipotesi, il procedimento da seguire sarà quello dei procedimenti in camera di consiglio (Brenca 2009, 1751).

Da notare che la norma in esame deve essere coordinata con l'art. 180, comma 3, l.fall., che esclude la reclamabilità nel caso di decreto di omologazione in assenza di opposizioni. Pertanto, lo strumento del reclamo potrà applicarsi soltanto nel caso in cui il decreto abbia negato l'omologazione (sia in presenza, sia in assenza di opposizioni), ovvero l'abbia concessa, ma in presenza di opposizioni (Pirisi, L'omologazione del concordato preventivo, in Crisi d'Impresa e Procedure Concorsuali, III, Torino, 2016, 3713; Ambrosini, L'omologazione del concordato, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da Vassalli-Luiso-Gabrielli, IV, Torino, 2014, 372 ss.)

Il decreto di omologazione pronunciato in difetto di opposizione, non contemplato dall'art. 183, è invece ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost., poiché ha carattere decisorio, in quanto è obbligatorio per i creditori, ha l'attitudine alla definitività ed incide su diritti soggettivi, in quanto produce un diverso assetto dei diritti di credito coinvolti nella procedura (Cass. n. 15699/2011).

La legittimazione

Legittimati sono coloro i quali abbiano rivestito la qualità di parte in senso formale, indipendentemente dall'esistenza di un interesse ad agire. Così, i creditori dissenzienti e terzi interessati potranno proporre reclamo, se soccombenti, soltanto qualora abbiano partecipato al giudizio. In definitiva, la legittimazione al reclamo è «aperta» negli stessi limiti in cui è aperta la legittimazione a presentare le opposizioni al concordato; in tal senso, in giurisprudenza di merito, la legittimazione a proporre spetta a coloro che abbiano assunto la qualità di parte in senso formale nel relativo giudizio, in quanto si siano costituiti nel medesimo, perché creditori dissenzienti, ovvero soggetti «interessati», ai sensi dell'art. 180, secondo comma (App. Genova 23 dicembre 2011).

Il debitore può proporre reclamo nell'ipotesi di rigetto della domanda (senza contestuale pronuncia della sentenza di fallimento), indipendentemente dalla sua costituzione in giudizio, trattandosi di parte necessaria e diversamente da quanto accade per il creditore dissenziente, come sopra ricordato (Maffei Alberti, 1298).

Il commissario giudiziale, parte formale del procedimento, che deve partecipare al giudizio come legittimato passivo, non è legittimato al reclamo, poiché non è portatore di specifici interessi da far valere, in sede giurisdizionale, in nome proprio o in veste di sostituto processuale (Cass. n. 2886/2007). Non sono, invece, legittimati: i creditori che sono stati esclusi dal voto; il commissario giudiziale, in quanto non è portatore di un interesse proprio, salvo che nel decreto non vengano in rilievo situazioni che lo riguardino direttamente e incidano, dunque, sulla sua posizione personale (Cass. n. 178/1987); il garante, che non è parte necessaria del giudizio di omologazione; il curatore del successivo eventuale fallimento, che non è neppure legittimato a introdurre il ricorso per cassazione (Cass. n. 10632/2007). È dubbia la legittimazione del liquidatore.

Quanto alla legittimazione passiva, il reclamo deve essere proposto contro le parti costituite nel giudizio di omologa, nonché sempre nei riguardi delle parti «necessarie», ovvero del debitore (Cass. n. 1758/1981) e del P.m., che deve partecipare a tutte le fasi del giudizio se lo si ritiene ancora una parte necessaria (Cass. n. 4699/1992) e del commissario, sia pure quale parte formale e non sostanziale (Cass. n. 11604/1998).

Il termine

L'art. 183 non stabilisce quale sia il termine da osservare per proporre reclamo e quale il dies a quo dal quale lo stesso decorre.

Secondo un orientamento, qualora sia impugnato il decreto di omologazione del concordato o di rigetto (senza contestuale pronuncia della dichiarazione di fallimento) il termine sarebbe quello di dieci giorni, ex art. 739 c.p.c., decorrente, secondo i principi generali, dalla notificazione del provvedimento, non surrogabile da comunicazioni di cancelleria o da altre forme di pubblicità (Brenca, Il reclamo avverso il decreto di omologa del concordato preventivo, in Fauceglia-Panzani, Fallimento e altre procedure concorsuali, Torino, 2009, 1752) e, in difetto di notificazione, è applicabile il termine «lungo» di cui all'art. 327 c.p.c. Diversamente, invece, nel caso in cui sia impugnato il decreto di rigetto e la contestuale dichiarazione di fallimento, il termine per impugnare dovrebbe essere quello di trenta giorni, stabilito dall'art. 18, il cui decorso è regolato da quest'ultima norma (Fabiani, 2014, 684).

La giurisprudenza ha evidenziato con un orientamento che il reclamo alla corte d'appello avverso il decreto con il quale il tribunale abbia provveduto sull'omologazione (accordandola o negandola) del concordato preventivo, ai sensi dell'art. 183 l.fall., va proposto entro il termine di trenta giorni, in quanto la circostanza che con lo stesso reclamo, proponibile contro il decreto che pronuncia sull'omologazione del concordato preventivo, possa essere impugnata anche la eventuale sentenza dichiarativa di fallimento impone, per una lettura costituzionalmente orientata della norma, di reputare applicabile il medesimo termine previsto dall'art. 18 l.fall. (Cass. n. 4304/2012). Con altro orientamento, inoltre, è stato evidenziato che l'unitario reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento conseguente al diniego di omologazione del concordato preventivo e avverso il contestuale decreto di diniego dell'omologazione va proposto nel termine di trenta giorni, decorrenti per il debitore dalla notificazione della sentenza, e non in quello più breve di dieci giorni, in quanto il reclamo cui fa riferimento l'art. 183, secondo comma legge fall. è quello previsto dall'art. 18 della medesima legge, e non può reputarsi che il termine muti a seconda che la sentenza sia o meno pronunciata all'esito del decreto di diniego dell'omologazione del concordato, non residuando dunque alcuno spazio per l'applicazione della disciplina generale dei procedimenti camerali, prevista dal codice di procedura civile (Cass. n. 21606/2013).

Quanto alla decorrenza, il termine per la proposizione del reclamo decorre dalla notificazione eseguita a istanza di una delle parti (debitore o creditori opponenti). In difetto di notificazione, il decreto è impugnabile nel termine annuale di cui all'art. 327 c.p.c. Nel caso di reclamo del decreto di rigetto, emesso unitamente alla sentenza dichiarativa di fallimento, la decorrenza del termine varierà a seconda che il reclamante sia il debitore o un terzo (ex art. 18 l.fall.).

Il procedimento

L'oggetto del giudizio di reclamo è il riesame dell'intero processo deduttivo che ha portato all'accertamento positivo o negativo dei presupposti del concordato (Cass. n. 68/1986). Peraltro, anche in relazione a questo giudizio si ripropongono le questioni concernenti, in generale, il contenuto del controllo del giudice sulla proposta di concordato (Cass. n. 15345/2014).

Il reclamo deve essere notificato e proposto nei confronti di tutte le parti costituite nel giudizio di omologazione, incluso il commissario giudiziale. Come precisato dalla giurisprudenza, l'omessa notifica dell'atto introduttivo nel domicilio eletto dal reclamato determina la nullità di tutti i successivi atti del processo, ivi compreso il decreto di revoca dell'omologazione (Cass. n. 7398/2014). Il giudizio di reclamo prevede il riesame delle motivazioni e deduzioni che hanno portato all'accertamento positivo o negativo dei presupposti del concordato. Il procedimento (regolato dall'art. 739 c.p.c.) si può concludere con un decreto di riforma della decisione negativa che potrà provvedere la prosecuzione del concordato, oppure procedere con un rinvio al Tribunale per la rinnovazione degli atti ritenuti irregolari. Per meglio dire, il giudizio si può concludere con un decreto che, riformando la decisione negativa sull'omologa, detti direttamente le disposizioni ex art. 182 per la prosecuzione del concordato (Cass. n. 5797/1988), ovvero proceda con un rinvio al tribunale per la rinnovazione di atti ritenuti irregolari. L'accoglimento del reclamo può anche condurre alla revoca della sentenza dichiarativa di fallimento, se sia stata emessa contestualmente al decreto di rigetto dell'omologa ai sensi dell'art. 180, settimo comma. Al contempo, qualora sia stato impugnato il decreto di omologazione da parte di un creditore che lamenti il fatto che non sia stato dichiarato il fallimento, nel caso di accoglimento del reclamo e di accertata richiesta di dichiarazione di fallimento, la corte non può emettere la sentenza dichiarativa, ma sulla falsariga di quanto è previsto nell'art. 22, dovrà limitarsi ad una pronuncia rescindente (revocando il decreto di omologazione) per poi trasmettere gli atti al tribunale per la dichiarazione di fallimento L'accoglimento del reclamo può anche condurre alla revoca della sentenza dichiarativa di fallimento. Le spese legali delle impugnazioni sono ritenute estranee al concorso (Cass. n. 5821/1994).

Diniego dell'omologazione, dichiarazione di fallimento ed impugnazioni

Sulla questione dei rimedi proponibili nel caso di diniego dell'omologazione e di pronuncia di sentenza di fallimento è stato sopra già indicato che la dottrina si è orientata nel senso della proponibilità di un unico reclamo. Ed è questa l'interpretazione accolta dalla Corte di Cassazione che, nel sottolineare che il reclamo cui fa riferimento l'art. 183, secondo comma, è proponibile nel termine di trenta giorni dalla notifica della sentenza dichiarativa del fallimento, onde anche la contestuale impugnazione del decreto di diniego dell'omologazione deve essere proposta nel medesimo termine, ha affermato che è «necessariamente contestuale e strettamente connessa [la] impugnazione» del decreto di diniego dell'omologazione e della sentenza di fallimento (Cass. n. 21606/2013). Inoltre, con una pronuncia di poco successiva, la Corte di Cassazione ha affermato che, per impugnare il decreto di diniego dell'omologazione, è necessario che sia impugnata anche la sentenza di fallimento, non essendo ripristinabile la procedura di concordato in presenza di una sentenza di fallimento non più contestabile. Nondimeno, ha ritenuto sufficiente che siano impugnati entrambi i provvedimenti e che l'impugnante formuli censure anche solo nei confronti del decreto di diniego di omologazione. Gli eventuali vizi di tale provvedimento si traducono, infatti, automaticamente in vizi della sentenza dichiarativa del fallimento e, quindi, non è indispensabile che la ricorrente contesti la sussistenza del proprio stato d'insolvenza (Cass. n. 22083/2013).

Per quanto concerne il provvedimento conclusivo del procedimento di reclamo, la corte potrà rigettare il reclamo (confermando le statuizioni del giudice di primo grado), ma potrà anche accogliere il gravame, nel qual caso occorre distinguere a seconda che l'impugnazione sia stata proposta avverso il solo decreto di omologa, ovvero contro il decreto di omologa e la contestuale sentenza di fallimento.

A tal proposito, si ritiene normalmente che, in presenza di istanze di fallimento, ove sia proposto reclamo avverso il decreto di omologa (e contestuale declaratoria di improcedibilità delle istanze di fallimento), in caso di accoglimento del reclamo la Corte dovrà limitarsi ad una pronuncia rescidente di revoca del decreto, con contestuale rimessione degli atti al Tribunale perché provveda alla dichiarazione di fallimento (Fabiani – Di Majo, Commento all'art. 183 l.fall., in Codice commentato del fallimento a cura di Lo Cascio, Milano, 2015, 2288). Nell'ipotesi in cui, invece, sia proposto reclamo avverso il decreto di rigetto dell'omologa e la contestuale sentenza di fallimento, ove la Corte ritenga di accogliere il reclamo dovrà procedere alla revoca della dichiarazione di fallimento, mentre si discute se possa procedere direttamente all'omologazione del concordato preventivo, o se debba rimettere anche in tal caso gli atti al Tribunale per l'omologazione del concordato. Quest'ultima opzione è quella adottata dalla giurisprudenza, trovando applicazione, in via analogica, l'art. 22 l.fall., che, in caso di accoglimento del reclamo avverso il decreto di rigetto dell'istanza di fallimento, impone di rimettere gli atti al tribunale ai fini della dichiarazione di fallimento (contra, in dottrina, Pirisi 2016, 3717, il quale ritiene che la Corte d'Appello possa comunque procedere ad omologare direttamente il concordato preventivo, stante il medesimo thema decidendum oggetto del giudizio già svoltosi dinanzi al tribunale, e stante la necessità di rendere il più celere possibile la decisione sull'omologazione per evitare disallineamenti successivi rispetto ai termini di esecuzione del piano di concordato).

Il ricorso per cassazione

Il decreto pronunciato dalla Corte d'Appello non è immediatamente esecutivo, non potendo trovare applicazione in via analogica l'art. 741, comma 2, c.p.c. (in forza del quale «se vi sono ragioni d'urgenza, il giudice può tuttavia disporre che il decreto abbia efficacia immediata»).

Nella nuova disciplina, i decreti emessi a seguito del reclamo possono essere impugnati con il ricorso straordinario per cassazione, ex art. 111 Cost., quando rivestano i caratteri della decisorietà e della definitività. Questi caratteri sembrano ravvisabili sia nel decreto che conferma l'omologazione, sia in quello che conferma il rigetto del concordato in assenza della dichiarazione di fallimento, sia in quello che omologa il concordato.

Tali provvedimenti, infatti, incidono sui diritti soggettivi del debitore e dei creditori e non sono altrimenti impugnabili (Cass. n. 22932/2011; Cass. n. 3585/2011; Cass. n. 15699/2011).

È, invece, privo di definitività il decreto che annulla il provvedimento di omologazione e rimette gli atti al tribunale per la dichiarazione di fall., poiché potrà essere impugnata la sentenza dichiarativa di fallimento (Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 2015, 619).

Legittimate attivamente e passivamente sono le parti formali del procedimento di reclamo (non è legittimato il curatore del fall. dichiarato contestualmente al diniego dell'omologazione (Cass. n. 2886/2007). Quanto al termine, si riscontrano due pronunce di segno contrario: termine ordinario di sessanta giorni decorrente dalla data della notificazione eseguita ad istanza di parte (Cass. n. 22932/2011); secondo altra pronuncia, il termine decorre dalla comunicazione del dispositivo (Cass. n. 2706/2009).

Bibliografia

V. sub art. 179.

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