Codice Penale art. 162 ter - Estinzione del reato per condotte riparatorie 1 .Estinzione del reato per condotte riparatorie 1.
[I]. Nei casi di procedibilità a querela soggetta a remissione, il giudice dichiara estinto il reato, sentite le parti e la persona offesa, quando l’imputato ha riparato interamente, entro il termine massimo della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il danno cagionato dal reato, mediante le restituzioni o il risarcimento, e ha eliminato, ove possibile, le conseguenze dannose o pericolose del reato. Il risarcimento del danno può essere riconosciuto anche in seguito ad offerta reale ai sensi degli articoli 1208 e seguenti del codice civile, formulata dall’imputato e non accettata dalla persona offesa, ove il giudice riconosca la congruità della somma offerta a tale titolo. [II]. Quando dimostra di non aver potuto adempiere, per fatto a lui non addebitabile, entro il termine di cui al primo comma, l’imputato può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi, per provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento; in tal caso il giudice, se accoglie la richiesta, ordina la sospensione del processo e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito e comunque non oltre novanta giorni dalla predetta scadenza, imponendo specifiche prescrizioni. Durante la sospensione del processo, il corso della prescrizione resta sospeso. Si applica l’articolo 240, secondo comma. [III]. Il giudice dichiara l’estinzione del reato, di cui al primo comma, all’esito positivo delle condotte riparatorie. [IV]. Le disposizioni del presente articolo non si applicano nei casi di cui all'articolo 612-bis2. [1] Articolo inserito dall'art. 1, comma 1, l. 23 giugno 2017, n. 103. Ai sensi dell’articolo 1, commi 2, 3, 4 della legge n. 103 cit.: « 2. Le disposizioni dell’articolo 162-ter del codice penale, introdotto dal comma 1, si applicano anche ai processi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge e il giudice dichiara l’estinzione anche quando le condotte riparatorie siano state compiute oltre il termine della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. 3. L’imputato, nella prima udienza, fatta eccezione per quella del giudizio di legittimità, successiva alla data di entrata in vigore della presente legge, può chiedere la fissazione di un termine, non superiore a sessanta giorni, per provvedere alle restituzioni, al pagamento di quanto dovuto a titolo di risarcimento e all’eliminazione, ove possibile, delle conseguenze dannose o pericolose del reato, a norma dell’articolo 162- ter del codice penale, introdotto dal comma 1. Nella stessa udienza l’imputato, qualora dimostri di non poter adempiere, per fatto a lui non addebitabile, nel termine di sessanta giorni, può chiedere al giudice la fissazione di un ulteriore termine, non superiore a sei mesi, per provvedere al pagamento, anche in forma rateale, di quanto dovuto a titolo di risarcimento. 4. Nei casi previsti dal comma 3, il giudice, se accoglie la richiesta, ordina la sospensione del processo e fissa la successiva udienza alla scadenza del termine stabilito ai sensi del citato comma 3. Durante la sospensione del processo, il corso della prescrizione resta sospeso. Si applica l’articolo 240, secondo comma, del codice penale». Le disposizioni del presente comma si applicano ai fatti commessi dopo la data di entrata in vigore della presente legge. A norma dell’articolo 1, comma 95, della legge n. 103 cit., la stessa legge entra in vigore il trentesimo giorno successivo a quella della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 154 del 4 luglio 2017). [2] Comma aggiunto dall'art. 1, comma 2, l. 4 dicembre 2017, n. 172. InquadramentoNel Titolo VI del Libro Primo del Codice è contenuta la disciplina normativa delle cause di estinzione del reato e della pena; nel Capo Primo, tra le cause estintive del reato – immediatamente dopo l’istituto dell’oblazione - è stata recentemente inserita, ad opera della l. 23 giugno 2017, n. 103, una figura di nuova creazione, ossia l’estinzione del reato per condotte riparatorie. La ratio della novella risponde certamente ad un intento deflattivo del sistema penale e dell’apparato sanzionatorio, mediante l’adozione di una causa di estinzione applicabile in via generale a tutte quelle ipotesi di reato, in relazione alle quali sia non solo prevista la procedibilità a querela, ma anche la rimettibilità della stessa. Trattasi inoltre di causa estintiva di carattere soggettivo, ossia destinata ad operare in relazione al solo imputato che adempia alle condotte riparatorie. La struttura della norma non rappresenta in effetti una novità assoluta nell’ordinamento, trovando essa un equipollente nel dettato dell’art. 35 d.lgs. n. 274/2000, in relazione al processo che si svolge dinanzi al Giudice di Pace. L’istituto sembra quindi andare a completare il meccanismo deflattivo – attuativo della tendenza alla realizzazione del diritto penale minimo – di recente potenziato mediante l’introduzione della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato ex artt. 168-bis e ss. Censurabile sembra forse la scelta del legislatore di legare l’estinzione del reato al risarcimento del danno, così inevitabilmente stabilendo delle differenziazioni fondate sul censo: il ricorso a tale modalità estintiva si rivelerà infatti fatalmente più agevole (a volte addirittura di impegno relativamente irrisorio), per gli imputati dotati di maggiori capacità economiche; sarà invece sostanzialmente inaccessibile per gli imputati che versino in condizioni economiche disagiate. Esprimendo posizioni critiche in ordine al nuovo istituto, si è ritenuto in dottrina che “…la celerità processuale non debba passare attraverso la riduzione delle garanzie per i cittadini, bensì attraverso il rafforzamento dell’organico di magistrati e funzionari; il raggiungimento di tempi processuali congrui non deve essere ottenuto a scapito della tutela delle persone, però questa è quasi sempre la scelta adottata dal legislatore…” (Vagli, 1). Altri Autori hanno ritenuto di poter individuare, nella formulazione dell’istituto, un possibile profilo di incostituzionalità; hanno infatti sottolineato <<…il potenziale contrasto con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. Ed infatti un istituto che subordina l’estinzione del reato alla riparazione del danno non potrà che essere maggiormente accessibile a coloro che dispongono di una certa capacità economica, risultando al contrario quasi preclusio ai non abbienti o a chi comunque dispone di scarse risorse, soprattutto nei casi in cui l’entità del danno sia considerevole>> (Messina-Spinnato, 374). La formulazione normativaLa norma riserva al giudice la possibilità – sentite le parti e la persona offesa – di dichiarare estinto il reato, al ricorrere di determinate condizioni. In primo luogo, occorre che si stia procedendo per un reato procedibile a querela ed in relazione al quale la querela stessa sia rimettibile; restano pertanto esclusi – per fare un esempio, i modelli legali di cui agli artt. 609-bis, 609-ter e 609-quater, relativamente ai quali l'art. 609-septies prevede la procedibilità a querela, ma sancisce anche l'irrevocabilità dell'istanza punitiva una volta proposta. L'ultimo intervento normativo (art. 1 comma 2 l. 4 dicembre 2017, n. 172), ha escluso dall'ambito di operatività dell'istituto in esame la fattispecie delittuosa ex art. 612-bis c.p., la quale ammette – in determinati casi – la possibilità di remissione solo processuale della querela. Vi è poi un limite di carattere oggettivo, rappresentato dal fatto che l'imputato abbia adempiuto all'integrale riparazione del danno derivante dalla condotta posta in essere. Ciò occorre che sia avvenuto – in forma alternativa, stante la disgiuntiva adoperata dal legislatore - mediante le relative restituzioni, ovvero tramite il risarcimento del danno stesso. Al profilo prettamente risarcitorio o restitutorio – come detto alternativamente previsto – bisogna poi che si vada a saldare l'ulteriore requisito rappresentato dall'eliminazione, ove possibile, delle conseguenze dannose o pericolose discendenti dal reato. Riteniamo che alla persona offesa sia riconosciuto un mero diritto di interlocuzione, in ordine all’effettività e congruità del risarcimento del danno. Non troverebbe altrimenti spiegazione l’ultimo periodo del primo capoverso della disposizione normativa in commento, laddove è testualmente previsto che il giudice possa reputare avvenuto il risarcimento del danno – effettuato per il tramite di offerta reale ex art. 1208 c.c. – anche nel caso di mancata accettazione da parte della persona offesa. Esiste poi uno sbarramento di carattere processuale, entro il quale è consentito accedere a tale forma di estinzione del processo; tale limite ultimo – di valenza sicuramente perentoria - è rappresentato dalla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado. Nel caso in cui l'imputato sia in grado di dimostrare di non aver potuto adempiere – per fatto a lui non riconducibile – entro il sopra detto termine alle restituzioni o riparazioni, potrà chiedere una rimessione in termini di durata non eccedente i sei mesi; entro tale termine più ampio sarà poi tenuto al pagamento – se del caso anche in forma rateale – del quantum debeatur a fini risarcitori. Una volta poi che il giudice accerti la non riferibilità soggettiva all’imputato dell’inadempimento, rispetto all’obbligo risarcitorio, dovrà procedere a fissare una nuova udienza entro il termine stabilito (o comunque entro un termine ulteriore non posteriore ai novanta giorni da tale scadenza); potrà in tal caso anche eventualmente imporre specifiche prescrizioni. Durante tale periodo di sospensione del processo, il corso dei termini di prescrizione del reato resterà sospeso. È anche specificamente prevista l'applicabilità dell'art. 240, comma 2. Laddove infine risulti — all’esito della sopra descritta procedura — il positivo esperimento di tali condotte restitutorie, il giudice dichiarerà l’estinzione del reato (ovviamente pronunciando sentenza). In relazione ad un’ipotesi ex art. 612-bis c.p. perpetrata in epoca antecedente all'entrata in vigore del d.l. n. 148/2017, convertito in l. n. 172/2017 (norma che, come già detto, ha escluso la possibilità di applicare la causa estintiva de qua al delitto di atti persecutori), Cass. V n. 14030/2020 aveva precisato come – presupponendo l’istituto di cui all’art. 162-ter la presenza di un reato procedibile a querela rimettibile – esso non potesse trovare applicazione in relazione alla figura tipica ex art. 612- bis posta in essere mediante minacce gravi e reiterate; ipotesi di reato, quest’ultima, procedibile invece a querela irrevocabile ex art. 612-bis, comma 4. Cass. V, n. 2490/2020 ha chiarito i confini oggettivi postulati dalla norma per l’applicabilità della causa estintiva del reato per condotte riparatorie, precisando come questa richieda – oltre che un comportamento positivo e volontario di natura restitutoria o risarcitoria, posteriore alla commissione di una fattispecie tipica perseguibile a querela – anche che tali condotte valgano ad aumentare la sfera economica e giuridica della vittima. Non è pertanto configurabile tale causa estintiva, in presenza del mero atto di restituzione di un bene sottratto. I Giudici hanno infatti qui chiarito come la restituzione di quanto sia stato precedentemente oggetto di illecito impossessamento, svolga la mera funzione di operare una reintegrazione del pur momentaneo vulnus subito dalla persona offesa; tale forma di reintegrazione della originaria consistenza non vale però ad ampliare la sfera economica della vittima, non realizzandosi quindi alcun aumento di valore della stessa (nello stesso senso, si richiamano Cass. V, n. 14030/2020 e Cass.V, n. 21922/2018). Criticità interpretativeLa formulazione letterale della norma — in realtà piuttosto generica quanto a toni e contenuti, oltre che evidentemente afflitta da una serie di incongruenze — darà molto verosimilmente adito ad un gran numero di questioni di tipo pratico-applicativo. Si cercherà ora di riassumere i profili che saranno verosimilmente forieri di più acceso dibattito. a ) Concreto ambito di effettiva operatività dell'istituto. Questo incide, testualmente, sui soli reati procedibili a querela rimettibile. Trattasi però di quelle fattispecie che già possono essere estinte mediante il ricorso appunto alla remissione. Potrà allora forse residuare uno spazio utile, solo in quei casi nei quali la possibilità di estinzione del reato incontri una ostinata (e magari immotivatamente ostruzionistica) negazione ad opera del querelante, il quale magari rifiuti di rimettere la querela pur a fronte di condotte ampiamente transattive, restitutorie e riparatorie. Trattasi però – con luminosa evidenza – di uno spazio destinato a rimanere oltremodo circoscritto (si veda sul punto Pulitanò, 1, laddove si individua nella novella (l. n. 103/2017) “una apertura alla non punibilità nel caso di condotte riparatorie che non abbiano portato alla remissione della querela. Una casistica prevedibilmente ristretta, e caratterizzata da conflittualità fra le parti. L'ambiziosa riforma si apre occupandosi de minimis”). b) Modalità di formulazione della richiesta . Sul punto, si delinea in realtà una disciplina ben poco comprensibile. Per un istituto dalle caratteristiche molto simili – parimenti ispirato ad una filosofia deflattiva – quale è la sospensione con messa alla prova, è infatti previsto all'art. 464-bis terzo comma c.p.p. che la volontà dell'imputato debba essere espressa «personalmente o per mezzo di procuratore speciale e la sottoscrizione è autenticata nelle forme previste dall'articolo 583 comma 3»; la causa estintiva in argomento, al contrario, postula soltanto una richiesta proveniente dall'imputato (e in relazione alla sola istanza di ampliamento del termine, in caso di inadempimento non imputabile al soggetto). Nessuna ulteriore formalità. Tale norma non può allora che essere letta – a voler escludere che la stessa sia stata cagionata da una svista del legislatore – nel senso di far rientrare la possibilità di inoltrare la richiesta nell'alveo delle ordinarie facoltà spettanti al difensore, in quanto intrinsecamente connesse al mandato difensivo. Ed in effetti Cass. V, n. 30714/2021 ha sancito come la richiesta di applicazione della causa di estinzione del reato per condotte riparatorie - ma anche l'istanza finalizzata ad ottenere un termine per provvedere al risarcimento - non postulino il rilascio al difensore di procura speciale al difensore. c) Nozione di integrale riparazione del danno . La norma presenta un ulteriore profilo di vaghezza, laddove è prevista la subordinazione dell'estinzione alla integrale riparazione del danno. Concetto oltremodo sfuggente, che avrebbe forse richiesto una più certosina delimitazione. Ciò in quanto appare chiaro che: — se il riferimento all'integrale riparazione comprende il danno nelle sue sfaccettature anche di natura civilistica, allora la praticabilità dell'istituto ne risentirà profondamente; non si può infatti seriamente immaginare che il giudice penale debba andare a impantanarsi in una valutazione onnicomprensiva, inerente ad ogni tipologia di danno potenzialmente azionabile dinanzi al giudice civile (l'attitudine dell'istituto alla rapida eliminazione delle pendenze giudiziarie, adottando tale criterio, risulterebbe pressoché azzerata); - se invece si preferirà – come riteniamo davvero più opportuno, nonché maggiormente ossequioso dello spirito della norma - circoscrivere tale danno a quello strettamente connesso alla condotta costituente reato, si sarebbe forse dovuto porre qualche freno alla successiva deducibilità degli aspetti ulteriori in sede civilistica. La causa estintiva del reato di cui all'art. 162-teresige - laddove ciò sia praticabile – che venga eliminato anche il cd. danno criminale. Deriva da ciò che - se nell'alveo delle conseguenze del reato figuri anche il mancato reintegro nell'abitazione coniugale – l'istituto possa trovare applicazione solo se l'imputato permetta il libero e pieno godimento dell'immobile (Cass. V, 14030/2020, sopra già citata). d) Concetto di non addebitabilità all'imputato dell'inadempimento risarcitorio . Posto qui che la riparazione del danno derivante da reato debba avvenire — in via alternativa — mediante condotte di tipo restitutorio ovvero risarcitorio, resta francamente arduo teorizzare casi di inadempimento dell'obbligo risarcitorio che si connotino come incolpevoli. Quale possa cioè essere il fattore — non immediatamente riconducibile ad una volontaria omissione dell'imputato — in grado di impedire il risarcimento del danno. Possiamo forse solo pensare ad una farraginosa e magari complessa quantificazione del danno stesso. Non altro. Cass. V, n. 7362/2024 ha chiarito come la rimessione in termini di cui all'art. 162-ter, comma secondo postuli – in presenza di un risarcimento già prospettato e reputato confacente – che ricorra l'impossibilità, in capo all'imputato, di adempiere per causa a lui non riconducibile. Tale impedimento incolpevole, dunque, non può coincidere con la mancata quantificazione del danno da riparare, da parte della persona offesa. L'istituto di carattere deflattivo, infatti, non richiede che intervenga un accordo, tra l'imputato e la persona offesa. Secondo la S.C., una dichiarazione rilasciata dalla p.o., la quale affermi di aver ottenuto dall'imputato un assegno - quale risarcimento del danno, oltre che per spese e onorario spettante al Difensore – ed aggiunga di non avere altre pretese “salvo buon fine del titolo di pagamento” non è in grado di determinare l'effetto estintivo art. 162-ter. Ciò in quanto qui l'attestazione circa la congruità del ristoro rimane condizionata al buon esito del titolo rilasciato dall'imputato per il risarcimento; circostanza questa, che rende non ancora perfezionata la condotta riparatoria e quindi insussistenti i presupposti pretesi dalla norma per l'operatività della causa estintiva (Cass. V, n. 8182/2017, sotto ancora citata). e ) Sbarramento di carattere processuale. La dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado rappresenterà - come già accennato - la fase-limite, una volta che sarà andato a regime l'istituto, ossia quando sarà venuto meno il meccanismo di diritto intertemporale sopra esaminato. Ma la predisposizione di una barriera così netta è un aspetto che non può non destare qualche perplessità. Esistono infatti alcune fattispecie che sono procedibili a querela rimettibile, ma che prevedono l'udienza preliminare (ad esempio, il fraudolento danneggiamento dei beni assicurati e la mutilazione fraudolenta della propria persona, di cui all'art. 642; la diffamazione commessa con il mezzo della stampa e mediante l'attribuzione di un fatto determinato, di cui agli artt. 13 l. 8 febbraio 1948, n. 47 e 595). Occorrerà dunque comprendere se si sia trattato di un mero difetto di coordinamento, facilmente emendabile in futuro; ovvero se vi sia una precisa volontà del legislatore, sottesa a tale scelta. La quale opzione allo stato consente impropriamente — solo ad alcune categorie di imputati — di oltrepassare lo sbarramento dell'udienza preliminare (dunque, in sostanza, di assicurarsi già una prima valutazione giurisdizionale del materiale posto a fondamento dell'accusa) e comunque conservare pur sempre intonsa la possibilità di fruire della possibilità di accesso a tale forma di estinzione (potendosi essi semplicemente limitare ad attendere la dichiarazione di apertura del dibattimento). Al contrario altre categorie di imputati — verosimilmente resisi protagonisti di fattispecie addirittura meno gravi — saranno tenuti ad optare per tale modalità estintiva immediatamente, già al tempo del primo contatto con un giudice. Sarebbe a dire che questi ultimi dovranno affannarsi — già in epoca antecedente al primo contatto con un giudice — ad adempiere agli obblighi restitutori o risarcitori; e questo, senza aver ancora avuto un previo controllo giurisdizionale. f ) Mancata previsione della disciplina da adottare in caso di decreto penale di condanna. Si è poi giustamente già sottolineata una ulteriore incongruenza della legge istitutiva succitata, laddove essa prevede il sopra detto termine perentorio (coincidente come detto con la dichiarazione di apertura del dibattimento), senza però disciplinare il caso in cui venga emesso decreto penale di condanna. Sarebbe a dire che la norma stabilisce lo sbarramento, “lasciando aperta la possibilità di ricorrere all'istituto della riparazione estintiva con l'atto di opposizione (e in tal caso andrebbe integrata la disciplina degli avvisi di cui all'art. 460 lett. e) c.p.p.)” (Murro, 3). g ) Coordinamento con altri istituti. Non è nemmeno sfuggito - ai primi commentatori della riforma - un palese problema nel coordinamento fra la norma di recente istituzione ed i già vigenti istituti di carattere premiale. Il riferimento è alla non punibilità per tenuità del fatto, alla sospensione del procedimento per messa alla prova, nonché alle già esistenti ipotesi di oblazione ed ai riti alternativi, tutti comunque ispirati ad un intento premiale e deflattivo (si veda ancora, per una completa disamina, Murru, 4: “Nell'evitare il pericolo di impunità, un coordinamento tra le diverse ipotesi sarebbe stato auspicabile, anche in considerazione del fatto che si può ricorrere al beneficio dell'estinzione del reato per riparazione illimitatamente”). h ) Giudizio di legittimità. L'art. 1, comma 3, l. n. 103 del 2017 prevede, come anticipato, la possibilità di fruire della causa estintiva in esame — in relazione ai processi già in corso al momento dell'entrata in vigore della relativa legge istitutiva — mediante richiesta formulata nella prima udienza successiva alla data di entrata in vigore della novella. Vengono però espressamente esclusi i processi pendenti in Cassazione. Affrontando proprio tale problematica, la Corte di Cassazione ha però deciso come la richiesta di applicazione di tale causa di estinzione del reato - subito operativa, in relazione ai procedimenti penali pendenti alla data di entrata in vigore della relativa legge istitutiva — possa essere formulata anche nel giudizio di legittimità. Si è invece escluso che all'imputato — in tale sede processuale — sia riservata anche la facoltà di chiedere un termine, finalizzato al compimento delle condotte aventi una funzione riparatoria conforme al dettato normativo (v. amplius § Casistica). i ) Disciplina dei casi in cui vigano misure cautelari. La sospensione del procedimento in caso di inadempimento non addebitabile - dal momento che essa amplia il termine utile per il compimento delle condotte riparatorie – rappresenta chiaramente un beneficio per l'imputato. Integra cioè ad un tempo una sorta di apertura di credito (confidando l'ordinamento in una maturata resipiscenza e quindi nella sussistenza di una seria volontà di adempiere), oltre che un meccanismo volto a incentivare il ricorso alla causa estintiva (sarebbe a dire, a rendere agevole il superamento di ostacoli della più variegata congerie). Il contraltare rispetto a tale beneficio è ovviamente costituito dalla sospensione del termine prescrizionale; una previsione necessitata, imposta dall'esigenza di scongiurare il ricorso a richieste ispirate ad intenti meramente dilatori, volti semplicemente a far trascorrere tale periodo e così eventualmente ad avvicinare il tempo utile per poter lucrare tale altra forma di estinzione del reato. Non si comprende bene il motivo per il quale la norma, nel medesimo caso, non preveda espressamente — in maniera similare — anche la sospensione del termine di durata delle misure cautelari, che siano eventualmente in esecuzione nei confronti del richiedente. Dovrà allora farsi ricorso, in via interpretativa, alla disposizione generale ex art. 304 commi 1 lett. a) e b) e 5 c.p.p. (sospensione del corso dei termini di durata delle misure cautelari ex art. 303 c.p.p. — in sede di dibattimento e di giudizio abbreviato — in presenza di sospensione originata da richiesta dell'imputato o del difensore). j ) Reiterabilità illimitata. La modalità estintiva in esame è fruibile in una pluralità di casi. Il che equivale a dire che ciascun soggetto potrà delinquere praticamente a piacimento, in una moltitudine di occasioni; potrà poi sempre riparare il danno ed ottenere l'estinzione del reato. Il pericolo strisciante è dunque da rintracciare nella possibile portata addirittura criminogena della nuova causa estintiva. Qualcosa che — ponendosi a siderale distanza dalle intenzioni del legislatore e dalle spinte ispiratrici della novella (l. n. 103/2017) — potrebbe condurre determinati soggetti a soffrire magari meno l'effetto deterrente della possibile sanzione, avendo essi comunque sempre la prospettiva di estinguere il reato riparando il danno. In una situazione che presenta forti analogie con quella in esame, il legislatore ha invece optato per soluzioni radicalmente difformi. Si pensi all'estinzione della contravvenzione di guida sotto l'influenza di alcol mediante prestazione di lavoro di pubblica utilità ai sensi dell'art. 54 d.lgs. n. 274/2000, laddove è invece testualmente previsto che: «Il lavoro di pubblica utilità può sostituire la pena per non più di una volta» (art. 186, comma 9-bis, d.lgs. n. 285/1992). k ) Mancata previsione della possibilità di rinuncia. Infine. Non è stranamente prevista la possibilità di rinuncia a tale causa estintiva. Si è forse formato il convincimento — nella mens legis — che l'assolvimento delle condotte riparatorie o restitutorie comporti per facta concludentia l'esistenza di un interesse specifico dell'imputato alla fruizione del beneficio estintivo. Sembra però francamente una petizione di principio. Pur a fronte infatti di condotte di tipo riparatorio — che in verità possono essere orientate dalle più disparate intenzioni, che spaziano dallo scopo solidaristico fino semplicemente al movente utilitaristico — nulla esclude che possa residuare spazio per un interesse dell'imputato all'ottenimento di una pronuncia assolutoria nel merito. Non fosse altro che per inibire eventuali ulteriori pretese in sede civilistica (sul punto, si rammenta ancora come non sia stata prevista l'improponibilità di nuove e più ampie istanze, di tipo anche risarcitorio, nella sede a ciò deputata). Casisticaa) L'estinzione del reato prevista dall'art. 162-ter non può essere applicata in relazione del delitto di atti sessuali con minorenni. Vero infatti che tale fattispecie è procedibile a querela; vero però anche che, a norma dell'art. 609-septies comma 3, la querela per tale delitto - come del resto accade in ordine a tutte le previsioni incriminatrici ex art. 609-bis e seguenti - è irrevocabile, laddove invece l'istituto dell'estinzione per condotte riparatorie può trovare applicazione esclusivamente in presenza di reati procedibili a querela, ma per i quali sia prevista la possibilità di remissione (Cass. III, n. 1580/2017). b) La presentazione della richiesta di estinzione del reato per condotte riparatorie, di cui all'art. 162-ter, è ammissibile anche nell'ambito di quei processi che si trovino già in corso di svolgimento al momento dell'entrata in vigore della legge istitutiva n. 103/2017 e nell'ambito dei quali il pagamento delle somme sia stato effettuato in data antecedente rispetto a tale vigenza. Tale istanza può essere delibata in sede di giudizio di legittimità a patto che non si prospetti la necessità di ulteriori approfondimenti in via di fatto (Cass. V, n. 21922/2018; nell'ambito della medesima decisione, la Corte ha precisato come l'istituto presupponga l'esistenza di condotte di tipo restitutorio o risarcitorio che abbiano un connotato di spontaneità, dunque che non appaiano coartate); Cass. V, n. 26285/2018 ha ritenuto applicabile nel giudizio di legittimità la causa estintiva in argomento, allorquando sia possibile trarre elementi di convincimento dalle risultanze istruttorie effettuate durante la fase del merito e poi recepite nella relativa sentenza, come accade laddove sia stata concessa l'attenuante del risarcimento del danno ex art. 62 n. 6 c.p. Ancora sul tema della proponibilità in Cassazione, si è deciso quanto segue: l'applicazione in via transitoria della causa estintiva in argomento non è preclusa nel giudizio di cassazione. Ciò perché – stante il chiaro dettato normativo di cui all'art. 1 comma 2, l. n. 103/2017 - le disposizioni introduttive del nuovo istituto trovano applicazione, al ricorrere delle condizioni legittimanti, pure nell'ambito di quei processi che risultino già in corso alla data di entrata in vigore della legge (3 agosto 2017), senza che sia possibile operare un distinguo fondato sul grado in cui si trovi il giudizio. È però espressamente preclusa – in sede di legittimità - la concessione di un termine per porre in essere le condotte atte a determinare l'effetto estintivo del reato (Cass. V, n. 31994/2018; si veda anche Cass. II, n. 26939/2018). Sulla medesima direttrice interpretativa si era posta anche Cass. V, n. 8182/2017, a mente della quale l'istanza per la definizione del processo mediante applicazione della causa estintiva in esame può essere presentata anche nel corso del giudizio di legittimità, con il solo limite dell'impraticabilità, in tal caso, della richiesta di fissazione di un termine per poter provvedere. c) Nel processo che si tiene dinanzi al giudice di pace, il termine ultimo per poter provvedere alla riparazione del danno determinato dal reato - rappresentato dall'udienza di comparizione - ha natura perentoria. Ne deriva che, laddove vi sia una inosservanza, l'imputato decade dalla possibilità di accedere a tale trattamento favorevole, senza peraltro che il giudice sia gravato da qualsivoglia onere di renderlo edotto della possibilità di accedere all'estinzione del reato tramite condotte riparatorie. Sulla scorta di tale principio di diritto, il Supremo Collegio ha escluso l'applicabilità della causa di estinzione del reato ex art. 35 d.lgs. n. 274/2000, in quanto la documentazione atta a provare il risarcimento era stata depositata all'indomani dell'udienza di comparizione (Cass. IV, n. 50020/2017). d) Cass. I, ord. n. 29562/2018ha sottolineato come non esista alcuna disposizione codicistica che autorizzi l'immediata e autonoma impugnabilità di un'ordinanza dibattimentale di rigetto dell'istanza di estinzione per condotte riparatorie, essendo essa quindi sottoposta alla disciplina generale ex art. 586 c.p.p.; secondo la Corte, del resto, sarebbe irragionevole ammettere una impugnabilità immediata di tale ordinanza, pur in assenza di previsione che autorizzi la sospensione del processo in pendenza dell'impugnazione. Tale orientamento era stato già espresso, dai Giudici della Cassazione; era stato infatti già chiarito sancito come l'ordinanza - emessa in limine o durante lo svolgimento del dibattimento - di rigetto dell'istanza di estinzione del reato per condotte riparatorie ex art. 162 ter, potesse essere appellata solo unitamente alla sentenza di primo grado. Trattasi infatti di provvedimento che – indipendentemente dal contenuto motivazionale – non può sottostare ad un regime di impugnabilità autonoma a causa della pretesa (e inesistente) abnormità; ciò in quanto esso si situa all'interno delle previsioni del sistema processuale e non determina nessuna situazione di stallo del procedimento (Cass. I, n. 29562/2018). e) L’istituto ex art. 162-ter postula la sussistenza di condotte restitutorie o risarcitorie che presentino un connotato di spontaneità, che non possano reputarsi coartate, oltre che destinate definitivamente ad ampliare la sfera economica e giuridica della persona offesa; la causa estintiva in commento non è pertanto ipotizzabile laddove l'imputato effettui il risarcimento adempiendo a un provvedimento che a tanto lo aveva condannato (Cass. V, n. 14030/2020, sopra già citata). f) L’estinzione del reato per condotte riparatorie è un istituto che può trovare applicazione anche allorquando il danno venga integralmente risarcito ad opera della compagnia assicuratrice dell'imputato, laddove proprio quest’ultimo solleciti tale intervento (Cass. IV, n. 10107/2019). g) Cass. VI, n. 22098/2021 ha chiarito la disciplina della applicabilità della causa estintiva del reato per condotte riparatorie, in presenza di procedimenti cumulativi, che vedano la contestazione di reati assoggettati a differenti regimi di procedibilità. In tal caso, l’istituto ex art. 162-ter può trovare ugualmente applicazione, sebbene esso sia poi destinato a produrre effetti esclusivamente in relazione ai reati procedibili a querela di parte soggetta a remissione. La carenza di espressa disposizione normativa conduce infatti – sempre attenendosi al pensiero dei giudici di legittimità – a valorizzare l’intento deflattivo della nuova causa estintiva, tesa a favorire il risarcimento del danno conseguente alla perpetrazione di reati. h) La Corte di cassazione ha chiarito come la causa di estinzione ex art. 162-ter c.p., riservata a colui che abbia proceduto alla integrale riparazione del danno provocato con il reato, ovvero ne abbia eliminato – ove possibile – le conseguenze dannose o pericolose, presenti una connotazione di tipo soggettivo. Deriva da tale natura, a norma dell’art. 182 c.p., l’operatività dell’istituto esclusivamente nei confronti del soggetto al quale si riferisce e la non estensibilità ai correi (Cass. II, n. 20210/2023). Profili processualiDel termine ultimo – coincidente con la dichiarazione di apertura del dibattimento - entro il quale è consentito accedere alla causa estintiva in commento, si è già detto sopra, nell'analizzare la disciplina generale dell'istituto. Giova qui sottolineare l'introduzione, al secondo comma della disposizione legislativa in argomento, di una norma di carattere intertemporale. Si prevede dunque una sorta di restituzione nel termine utile all'accesso alla causa estintiva, in relazione ai processi che – alla data di entrata in vigore della legge istitutiva della nuova figura in esame – risultino già in corso. Diviene a questo punto fondamentale la prima udienza successiva rispetto all'epoca di entrata in vigore della legge. È questo infatti l'ultimo momento nel quale l'imputato - nonostante il già avvenuto superamento della soglia costituita dalla dichiarazione di apertura del dibattimento - potrà recuperare la facoltà di accedere alla causa estintiva. Potrà così chiedere la fissazione di un termine – non eccedente i sessanta giorni – entro i quali completare l'iter restitutorio o risarcitorio, nonché giungere, ove possibile, all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato. Trattasi - anche in quest'ultimo caso - di un termine prorogabile per un ulteriore periodo massimo di sei mesi, nel caso di inadempimento non riconducibile all'imputato. Sono parimenti previsti tanto la sospensione del corso della prescrizione – durante i termini che siano stati fissati per l'adempimento delle condotte riparatorie – quanto l'applicabilità dell'art. 240, comma 2. Infine il giudice dichiarerà estinto il reato nel caso di adempimento – pur se in epoca posteriore rispetto alla dichiarazione di apertura del dibattimento - delle condotte riparatorie, accompagnate dall'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose. La causa estintiva per condotte riparatorie non può essere applicata nella fase dell’esecuzione, indipendentemente dal momento in cui tali condotte vengano realizzate. Tale istituto presenta infatti una spiccata natura sostanziale ed il procedimento finalizzato alla verifica della sua sussistenza – allorquando è previsto che vengano ascoltati imputato e persona offesa – postula la pendenza del giudizio di cognizione, nonché la presenza delle parti chiamate a esprimersi in ordine all'esito estintivo (Cass. I, n. 43278/2019). Secondo Cass. IV, n. 39304/2021, la causa di estinzione del reato in commento può esser rilevata nel giudizio di legittimità, con riferimento a quei processi in cui la dichiarazione di apertura del dibattimento risalga ad epoca successiva, rispetto al momento della entrata in vigore della l. 23 giugno 2017, n. 103; ciò però postula che la condotta riparatoria si sia verificata non oltre lo sbarramento temporale costituito da tale dichiarazione e che il giudice di merito abbia proceduto all’ascolto delle parti sul punto specifico, oltre ad aver adeguatamente ponderato il profilo della congruità della somma offerta. La causa estintiva per condotte riparatorie non può essere applicata nella fase dell’esecuzione, indipendentemente dal momento in cui tali condotte vengano realizzate. Tale istituto presenta infatti una spiccata natura sostanziale ed il procedimento finalizzato alla verifica della sua sussistenza – allorquando è previsto che vengano ascoltati imputato e persona offesa – postula la pendenza del giudizio di cognizione, nonché la presenza delle parti chiamate a esprimersi in ordine all’esito estintivo (Cass. I, n. 43278/2019). BibliografiaConti, Stalking: la condotta riparatoria incondizionata come prezzo per l'impunità. Il caso di Torino, in Quotidiano Giuridico, 12 ottobre 2017; Lanna, Condotte riparatorie (estinzione del reato per), in ilPenalista, 30 agosto 2017; Messina-Spinnato, Manuale breve Diritto Penale, Milano, 2018; Murro, “Riforma Orlando: condotte riparatorie per i reati a querela rimettibile”, in Parola alla Difesa, 28 marzo 2017; Murro, Stalking: da oggi impossibile estinguere il reato mediante condotte riparatorie, in Quotidiano Giuridico, 6 dicembre 2017; Pulitanò, “Sulle proposte di modifica al Codice Penale e all’Ordinamento Penitenziario”, in Giurisprudenza Penale, 19 marzo 2017; Spangher, “Sulle proposte di modifica al Codice di Procedura Penale”, in Giurisprudenza Penale, 19 marzo 2017; Vagli, Brevi considerazioni sul nuovo articolo 162 ter c.p. (estinzione del reato per condotte riparatorie)”, in Giurisprudenza penale web, 2017, 10. |