La postergazione e la compensabilità tra credito da restituzione e debito da aumento di capitale

15 Maggio 2017

L'obbligo del socio derivante dalla sottoscrizione di un aumento di capitale può essere estinto per compensazione con un credito vantato dal medesimo socio nei confronti della società. Tale compensazione non richiede il consenso della società, ma l'assemblea, nel disporre l'operazione sul capitale, può statuirne l'esclusione.
Massima

L'obbligo del socio derivante dalla sottoscrizione di un aumento di capitale può essere estinto per compensazione con un credito vantato dal medesimo socio nei confronti della società. Tale compensazione non richiede il consenso della società, ma l'assemblea, nel disporre l'operazione sul capitale, può statuirne l'esclusione.

Il principio generale della compensabilità, tuttavia, trova il proprio limite nell'ipotesi in cui i finanziamenti del socio siano soggetti alla postergazione, ex art. 2467 c.c.: infatti l'inesigibilità del credito derivante da postergazione legale impedisce l'operatività della compensazione.

Il caso

Con ricorso presentato presso il Tribunale di Roma ai sensi dell'art. 700 c.p.c., un socio di una società a responsabilità limitata chiedeva che venisse data esecuzione ad una delibera assembleare avente per oggetto l'aumento del capitale sociale. In particolare, la parte ricorrente chiedeva che venisse riconosciuta la compensazione tra il suo credito nei confronti della società derivante da un finanziamento soci, con il debito verso la società derivante dalla sottoscrizione del citato aumento del capitale sociale. Aggiungeva il socio che il rifiuto, da parte dell'amministratore, di riconoscere la detta forma di estinzione del debito da sottoscrizione aveva quale immediata conseguenza la riduzione della sua partecipazione al capitale sociale. Avverso la decisione del detto Tribunale, che ordinava alla società di dare esecuzione all'aumento di capitale sottoscritto e versato mediante compensazione, cui doveva seguire la modifica dell'importo del capitale sociale presso il competente Registro delle Imprese, proponeva reclamo la società in persona del suo legale rappresentante. Con l'interposto reclamo la società lamentava l'erroneità della decisione del giudice portando a supporto della sua posizione i motivi che suggerivano una maggiore capitalizzazione della società, motivi che sarebbero stati disattesi laddove fosse data esecuzione alla delibera mediante compensazione. Ancora, la società sosteneva, pur non rispettando l'onere della prova a suo carico, la natura postergata, ai sensi dell'art. 2467 c.c., del finanziamento del socio reclamante.

Le questioni

Il giudice territoriale, nel ritenere parzialmente infondato il reclamo presentato dalla società, richiama un costante orientamento giurisprudenziale che afferma la liceità della compensazione quale modalità di liberazione delle nuove quote o delle azioni emesse in sede di aumento del capitale sociale, soffermandosi poi sul rapporto tra la modalità di estinzione dell'obbligazione e la qualità di credito “postergato” che può assumere un finanziamento soci.

Il giudice di Roma pone la sua attenzione su alcune tematiche oggetto, da tempo, di vivaci discussioni sia in dottrina che in giurisprudenza, alimentate, di recente, da indirizzi forniti dalle Commissioni di alcuni Consigli Notarili, in parte richiamati dalla sentenza che ci occupa.

I soci possono contribuire al finanziamento della società effettuando dei versamenti che, a seconda della causa, possono essere ricondotti ad un rapporto sociale (es. versamenti in conto futuro aumento di capitale), oppure ad un rapporto di credito (finanziamento) connotato dall'obbligo di restituzione.

Risulta frequente la richiesta, in sede di operazioni sul capitale, di poter utilizzare tali ultimi finanziamenti al fine di liberare un deliberando aumento di capitale. Una parte (anche risalente) della giurisprudenza (cfr. Cass. 10 dicembre 1992 n. 13095; App. Venezia 30 marzo 1994; App. Napoli, 7 marzo 1953; Trib. Napoli 8 novembre 2006, in Not., 2008, 5, 519;) esprime un atteggiamento di disfavore in relazione alla compensazione, muovendo da alcune considerazioni. La compensazione non sarebbe ammessa in quanto lesiva del principio di piena corrispondenza tra capitale nominale e capitale reale ed, infine, si afferma che attraverso la compensazione il socio non porrebbe in essere un comportamento riconducibile al conferimento, da intendersi quale operazione idonea ad incrementare la garanzia dei creditori. In altre parole, secondo questa tesi, la compensazione andrebbe a ledere i diritti dei terzi creditori.

Quella che appare essere la tesi assolutamente prevalente (cfr. in giurisprudenza: Cass. 19 marzo 2009 n. 6711; Cass. 24 aprile 1998 n. 4236; Cass. 5 febbraio 1996 n. 936; Trib. Milano 25 ottobre 2005, in Soc., 2006, 1268; cfr. in dottrina ex multis, V. Salafia, Aumento del capitale e conferimento di crediti, in Le Società, 1988, 178; F. Di Sabato, Sulla estinzione per compensazione del debito di conferimento, in Contratto e impresa, 1995, 656) cui aderisce espressamente il Tribunale di Roma con la sentenza in oggetto, afferma che l'aumento di capitale sottoscritto mediante estinzione per compensazione di un debito del socio, non è contrario all'interesse della società o dei terzi, comportando, in concreto, un aumento della garanzia patrimoniale generica offerta dalla società ai creditori, “in quanto dalla trasformazione del credito del socio in capitale di rischio, deriva che detta garanzia non copre più il credito del socio” (così Cass. 5 febbraio 1996 n. 936, cit.). Confermando quanto qui sostenuto, altra dottrina (Consiglio Notarile dei Distretti Riuniti di Firenze, Prato e Pistoia, Aumento di capitale mediante compensazione e crediti postergati – Massima n. 23; Consiglio Notarile di Milano, Massima n. 125; Comitato Notarile Campano, Massima n. 4 ; Comitato Triveneto dei Notai, Massima I.A.4) osserva che l'obbligo di conferimento di denaro in esecuzione di un deliberato aumento di capitale può ben essere estinto mediante compensazione di un credito vantato verso la società, anche in mancanza di espressa previsione della delibera di aumento. Tale modalità non richiede neanche il consenso della società al momento dell'esecuzione della sottoscrizione qualora la compensazione sia legale (e quindi, come noto, abbia ad oggetto crediti certi, liquidi ed esigibili). Rileva, in senso decisivo per il Tribunale di Roma, la precisazione secondo cui l'assemblea dei soci, nel predisporre l'operazione, possa espressamente escludere la compensabilità del credito da restituzione con il debito da sottoscrizione, rinunciando, sostanzialmente, alla compensazione ai sensi dell'art. 1246, comma 1, n. 4) c.c..

In altri termini, secondo la tesi anche qui sostenuta, l'aumento di capitale sottoscritto attraverso l'estinzione per compensazione non è contrario all'interesse della società o dei terzi, comportando l'estinzione del debito (posta passiva) della società verso il socio e, in definitiva, un aumento della garanzia patrimoniale generica offerta dalla società ai creditori.

Ciò posto, il giudice territoriale, assumendo una posizione netta, sposta la sua attenzione sul rapporto tra la compensabilità del debito da aumento di capitale e l'eventuale natura postergata del finanziamento, ai sensi di quanto disposto dall'art. 2467 c.c.

In linea del tutto generale, non essendo questa la sedes materiae, con riferimento alla disciplina della postergazione dei finanziamenti soci, il Tribunale condivide la lettura unitaria della norma espressa anche da altra giurisprudenza di merito (Trib. Milano, 6 febbraio 2015; Trib. Milano, 14 marzo 2014), secondo cui la qualità di finanziamento postergato deve essere riconosciuta a quel versamento effettuato da chi sia socio in un momento di squilibrio economico della vita sociale, nel quale sarebbe ragionevole effettuare un conferimento (cfr. in dottrina C. Caccavale, F. Magliulo, M. Maltoni, F. Tassinari, La riforma della società a responsabilità limitata, Milano, 2004, 123). Si osserva, poi, che la norma è posta a tutela dei creditori ed in quanto tale inderogabile.

Nel particolare, il punto di osservazione del Giudice di Roma è duplice. In senso critico, infatti, non condivide la posizione assunta dal Consiglio Notarile di Firenze, Pisa e Pistoia (cfr. Massima n. 23, cit.) – confermata successivamente anche dal Consiglio Notarile della Campania (cfr. Massima n. 4 cit.) – secondo cui la natura di debito postergato non osta alla compensazione quale modalità di esecuzione di un deliberato aumento di capitale, posto che la conversione del credito da finanziamento in capitale di rischio è strettamente funzionale alla tutela dei creditori, ma, al contrario, viene esaltata la ratio legis dell'art. 2467 c.c. (in tal senso in dottrina N. Abriani, Finanziamenti anomali dei soci e regole di corretto finanziamento nella società a responsabilità limitata, in Studi in onore di Giuseppe Zanarone, Torino, 2011, 319). Si afferma, infatti, che l'operazione di compensazione appare tutelare proprio gli interessi dei creditori, in quanto l'effetto è quello di rendere definitivamente inesigibile, in considerazione del fatto che il rimborso del capitale è l'ultima fase della liquidazione, che avviene solo dopo il soddisfacimento degli interessi che la norma è volta a tutelare. In altri termini, ogni operazione che comporti la “conversione” di un finanziamento in capitale di rischio, deve ritenersi in sintonia con lo spirito della norma sulla postergazione.

Secondo il Tribunale, tuttavia, il principio della compensabilità tra credito del socio e debito derivante dalla sottoscrizione di un deliberato aumento di capitale, trova un limite proprio nella disciplina della postergazione portata dall'art. 2467 c.c.

Così intesa, la postergazione legale, prevalendo sul regolamento negoziale voluto dalle parti, esige il rispetto della preferenza con i terzi e si pone quale condizione sospensiva del diritto al rimborso (in senso conforme, G.F. Campobasso, I prestiti postergati nel diritto italiano, in Ricapitalizzazione delle banche e nuovi strumenti di ricorso al mercato, a cura di G.B. Portale). Ciò posto, ne consegue che l'inesigibilità del credito derivante dalla postergazione legale, impedisce l'operatività della compensazione con il debito derivante dalla sottoscrizione dell'aumento di capitale, tanto nella forma legale, venendo meno il requisito dell'esigibilità, quanto in quella volontaria perché è dovere dell'amministratore opporre la postergazione del finanziamento (cfr. Trib. Milano 11 novembre 2010; Trib. Milano, 13 giugno 2016). Nella prospettiva assunta dal Tribunale, non è condivisibile, pertanto, che tramite la compensazione si ottenga una conversione del credito da finanziamento in capitale di rischio, poiché l'estinzione del debito del socio attraverso il meccanismo compensativo, implica una restituzione impropria del finanziamento stesso.

Come già evidenziato dalla recente giurisprudenza di merito (cfr. Trib. Roma, 1 giugno 2016) l'inesigibilità del credito deve essere intesa alla stregua di un divieto di adempiere fino a quando la società si trovi nelle condizioni indicate dall'art. 2467 c.c.; di conseguenza, non può che emergere, in caso di danno al patrimonio sociale, un profilo di responsabilità degli amministratori – verso la società e verso i creditori - che restituiscano ai soci quanto versato anche in pendenza della postergazione. Il profilo di responsabilità che si palesa in capo all'amministratore, dovuto all'inadempimento dell'obbligo di conservare l'integrità del patrimonio sociale, non comporta, tuttavia, anche conseguenze in tema di invalidità del contratto concluso. La decisione di accettare la compensazione, infatti, è atto gestorio e, come tale, di competenza dell'organo amministrativo; ne consegue che il contratto posto in essere (in questo caso la compensazione) resta valido ed efficace, nonché opponibile, salva l'exceptio doli cioè l'intenzione del socio di agire in danno alla società e salva comunque la responsabilità nei rapporti interni con la società medesima.

Conclusioni

La decisione del Tribunale di Roma esalta e conferma il principio, peraltro già ampliamente sostenuto sia in dottrina che in giurisprudenza, secondo cui il ricorso al meccanismo compensativo sia riconducibile ad una ordinaria forma di esecuzione dell'obbligo del socio a seguito della sottoscrizione di un aumento di capitale. Dal punto di vista operativo ed a conferma di quanto affermato, la sentenza in oggetto condivide, a ragione, quella tesi secondo cui la compensazione, quale modalità di liberazione dell'aumento di capitale, salvo diversa previsione assembleare, opera anche in mancanza di espressa indicazione in delibera.

Tuttavia, laddove gli amministratori dimostrino che un certo finanziamento possa definirsi “postergato”, è loro dovere opporre tale natura alla richiesta del socio, dimostrando così che l'inderogabilità dell'art. 2467 c.c. deve certamente prevalere sulla volontà del socio. La disciplina di cui alla norma ora citata può allora considerarsi un limite all'operare della compensazione o, per meglio qualificarlo secondo le indicazioni di questa giurisprudenza, come una condizione sospensiva dell'esigibilità del finanziamento del socio.

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