Sull’inopponibilità dei “debiti futuri” al cessionario d’azienda
04 Luglio 2017
Massima
Il cessionario d'azienda non è responsabile dei debiti relativi all'azienda ceduta sorti successivamente alla cessione, se non per i debiti effettivamente risultanti dalle scritture contabili e per quelli non risultanti qualora il creditore dia prova della insussistenza della sostanziale alterità fra il cedente ed il cessionario dell'azienda, non essendo sufficiente che le sopravvenienze passive siano semplicemente riconducibili a rapporti giuridici risultanti dai libri contabili obbligatori. Il caso
La società ricorrente, incorporante della società conferitaria dell'azienda, impugnava la sentenza della Corte d'Appello di Bologna che ne aveva respinto le doglianze avverso la sentenza di primo grado, la quale aveva dichiarato l'inefficacia dei pagamenti eseguiti nei confronti dell'impresa individuale conferente ex art. 67, comma 1, n.2 e comma 2, l. fall. La Corte territoriale aveva affermato che la società incorporante, in quanto conferitaria dell'azienda che aveva ricevuto il pagamento, era da considerarsi legittimata passiva relativamente all'azione revocatoria del pagamento originariamente rivolto all'impresa conferente d'azienda, atteso che con il conferimento le erano state trasferite, oltre all'intero complesso dei beni aziendali già appartenenti all'imprenditore individuale, tutte le posizioni attive e passive risultanti dalle scritture contabili regolarmente tenute dell'azienda, fra cui andavano di conseguenza ricompresi anche i debiti eventuali e futuri derivanti dal vittorioso esperimento dell'azione revocatoria. Per questi motivi la società conferitaria veniva condannata alla restituzione delle somme che l'imprenditore individuale conferente aveva ricevuto durante il periodo sospetto dalla società poi sottoposta all'amministrazione straordinaria. Nel ricorso per cassazione la società conferitaria lamentava dunque la violazione dell'art. art. 2560, comma 2, c.c., assumendo di dovere rispondere soltanto dei debiti già esistenti dell'azienda dell'imprenditore individuale conferente in quanto, con il suo conferimento, la società sarebbe subentrata in ogni posizione giuridica attiva già facente capo all'impresa individuale, e non anche delle posizioni giuridiche passive non risultanti dalle scritture contabili dell'azienda conferita, atteso che per tali posizioni sarebbe stata necessaria un'espressa pattuizione di accollo di debiti futuri. Le questioni controverse relative all'interpretazione dell'art. 2560 c.c., ovvero se la cessione dell'azienda comporti in ogni caso per il cessionario l'accollo dei debiti anche futuri, hanno poi sollecitato, stante l'assenza di un orientamento consolidato in materia, l'intervento delle Sezioni Unite della Cassazione, interpellate con ordinanza della medesima Corte, 21 aprile 2016, n. 8090 (in questo portale, con news). Le questioni
La Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, ha avuto occasione di pronunciarsi sull'ambito dell'applicazione dell'art. 2560, comma 2 c.c., in tema di responsabilità del cessionario per i debiti derivanti da rapporti rientranti nella cessione. L'intervento delle Sezioni Unite si è reso necessario per fare chiarezza su molteplici punti, utili per la risoluzione della questione di diritto principale, e cioè se la cessione (al pari del conferimento) dell'azienda comporti, comunque, per il cessionario l'accollo dei debiti futuri, sorti successivamente alla cessione, ma relativi a rapporti rientranti nel trasferimento stesso. Nello specifico, la questione oggetto dell'intervento delle Sezioni Unite riguarda l'opponibilità alla società conferitaria dell'azienda della dichiarazione d'inefficacia di pagamenti effettuati dall'impresa insolvente nei confronti dell'azienda prima che questa venisse conferita, con conseguente obbligo di restituzione delle medesime somme in capo alla conferitaria. La Suprema Corte si è dunque occupata della fattispecie riguardante il conferimento d'azienda, ma la questione si pone identica anche per la cessione d'azienda, dal momento che l'applicabilità degli artt. 2556 e ss. c.c. a tali fattispecie non è in discussione (Cass. 23 dicembre 2016 n. 26953, in questo portale, con nota di Corrado, Conferimento d'azienda e responsabilità solidale della conferitaria per crediti dei dipendenti della conferente; Cass., 24 aprile 2008, n. 10676; Cass. 16 maggio 1997, n. 4351, Cass. sez. lav. 05 maggio 1995 n. 4873).
Le soluzioni giuridiche
La soluzione fornita dalla sentenza in commento si pone in contrasto con la decisione della Corte territoriale. Il ragionamento seguito dalla Corte d'Appello - che poneva in capo alla stessa società conferitaria (o cessionaria) dell'azienda la legittimazione passiva nel caso di azione revocatoria fallimentare esercitata dalla procedura ed avente ad oggetto pagamenti eseguiti in favore di un imprenditore individuale che avesse poi conferito la propria azienda in tale società sulla scorta della conoscibilità, tramite i libri contabili obbligatori, del precedente rapporto contrattuale intrattenuto dal dante causa con un imprenditore - non è stato condiviso dalle Sezioni Unite, che non lo ha ritenuto sufficiente ai fini dell'insorgere della responsabilità solidale prevista dalla norma. Tale interpretazione, ad avviso della Corte, “dilata a dismisura l'ambito di applicazione dell'art. 2560, comma 2 c.c., includendo nella previsione di solidarietà obbligazioni non ancora venute alla luce, sulla sola base di un documentato fatto genetico mediato”. L'inclusione nell'alveo della responsabilità del cessionario di un mero rischio di sopravvenienza passiva, anziché di un debito già maturato ed annotato nei libri contabili, non è dunque per i giudici di ultima istanza coerente con la lettera della legge. Ciò in considerazione della dizione della rubrica (debiti relativi all'azienda ceduta) e del testo dell'art. 2560 c.c., che non ne consentirebbe l'estensione a situazioni di mera soggezione ad una successiva azione revocatoria, a tutela del legittimo affidamento del cessionario, essenziale per favorire la circolazione del complesso di beni e rapporti costituente l'azienda. La natura costitutiva, e non dichiarativa, dell'azione revocatoria (Cass., n. 7182/2013; Cass, n. 13560/2012) non è infatti da sola sufficiente ad escludere la retroattività ex tunc degli effetti, normale -del resto- in azioni costitutive tipiche (quali le azioni di risoluzione e annullamento del contratto). La ricostruzione della Corte di Cassazione trova tuttavia un limite nella mancanza di effettiva alterità fra i soggetti titolari dell'azienda: il conferimento dell'azienda di un'impresa unipersonale in società unipersonale presuppone, infatti, la mancanza di un effettivo trasferimento da un soggetto ad un altro. La perdurante identità soggettiva sostanziale, significativa di una conoscenza diretta dei rapporti giuridici in fieri, è estranea alla ratio protettiva del successore a titolo particolare d'azienda.
Osservazioni
Sulla natura della responsabilità del cessionario La normativa sulla cessione (e - come detto - sul conferimento) d'azienda risponde alle diverse esigenze da un lato di tutela creditori dell'impresa cedente e dall'altro di garanzia della certezza nella circolazione dei beni. Nulla vieta, naturalmente, la possibilità per cessionario e cedente di accollarsi i debiti futuri, ovvero di regolare in altro modo i propri rapporti, come del resto, ampiamente applicato nella prassi. La necessità di tutelare i creditori del cedente per metterli al riparo da fenomeni elusivi ha però portato alla formulazione dell'art. 2560 c.c.: la liberazione dell'alienante dai debiti aziendali presuppone l'espressa dichiarazione in tal senso da parte di ogni singolo creditore, mentre a carico del cessionario viene posta una responsabilità per i debiti dell'azienda ceduta. Le obbligazioni di cui si discute non sono tuttavia quelle derivanti da contratti a prestazioni corrispettive non ancora eseguite, nei quali il cessionario subentra ex art. 2558 c.c. Diversa è infatti la situazione relativa alla continuazione nei contratti a prestazioni corrispettive non personali dell'azienda: in tal caso, in deroga alla disciplina generale, non è neppure richiesto il consenso del contraente ceduto, ai fini del trapasso del rapporto contrattuale al cessionario, dal momento che al contraente ceduto è consentito solamente di poter recedere dal contratto per giusta causa entro tre mesi dalla notizia del trasferimento. È dunque evidente che il legislatore, con la normativa sulla cessione d'azienda, intende garantire una continuità dei rapporti al fine di evitare la dispersione del valore economico dell'azienda. Tale meccanismo troverà perciò applicazione quando i debiti si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite, in cui il cessionario sia subentrato a norma dell'art. 2558 c.c., nel qual caso la responsabilità si inserirà nell'ambito della più generale sorte del contratto, anche se in fase contenziosa al tempo della cessione dell'azienda (Trib. Milano, 3 dicembre 2014 n. 14413). Il disposto dell'art. 2560, comma 2, c.c. si occupa invece di garantire tale continuità per quanto riguarda i debiti in sé soli considerati, con il duplice intento di tutelare i creditori e non penalizzare eccessivamente la posizione del cessionario. Rimane tuttavia controverso se le passività aziendali si trasferiscano in capo all'acquirente quale obbligato in via principale a seguito di accollo cumulativo esterno ex lege, a condizione che risultino dalle scritture contabili obbligatorie, ovvero se la responsabilità di tale soggetto sia da ritenersi sussidiaria, rimanendo debitore effettivo il cedente. Gli autori che sostengono tale ultima interpretazione, consistente nella permanenza della titolarità dei debiti in capo al cedente, risultando dunque la responsabilità del cessionario come accessoria, finiscono sostanzialmente col ritenere che il secondo comma dell'art. 2560 c.c. sia una norma posta a garanzia dei soli creditori, la quale andrebbe semplicemente ad ampliare il numero di soggetti responsabili delle obbligazioni, affinché la cessione d'azienda non danneggi soggetti che sono rimasti terzi al fenomeno circolatorio. (Cottino, L'imprenditore, in Diritto Commerciale, diretto da Cottino, I, 1, Padova, 2001, 245 ss.; Angelici, Ferri, Manuale di diritto commerciale, Torino, 2010, 224 ss.; Ferrari, voce Azienda, in Enc. dir., Milano, Giuffrè, 1959). A tale impostazione non può non obiettarsi, tuttavia, che se la cessione d'azienda non portasse al trasferimento della titolarità del debito al cessionario, la previsione di cui al comma 1 dell'art. 2560 c.c., relativa alla liberazione dell'alienante, non potrebbe trovare giustificazione, cosa che a parere dello scrivente rende maggiormente coerente con la lettera della legge la tesi della responsabilità in via principale del cessionario (Galgano, Diritto Commerciale, L'imprenditore, Bologna, 2013, 74; Casanova, Impresa e azienda, in Trattato Vassalli, X, Torino, 1974, 830 ss.; P. Rescigno, Studi sull'accollo, Milano, Giuffrè, 1958, 273 ss; Cian, Rapporto fideiussorio e trasferimento dell'azienda, nota a Cass. 12 aprile 2001, n. 5495, in Giur. comm., 2001, II, 545 ss). La soluzione dipende certamente anche da cosa si intende per azienda che, per espressa disposizione legislativa, è “il complesso dei beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa”. L'azienda si configura pertanto quale unità dinamica, in contrapposizione rispetto al sistema del diritto privato anteriore al codice del 1942, incentrato sull'economia statica del diritto di proprietà e, come tale, inclusiva di un complesso eterogeneo di beni che non si limitano ai soli beni considerati come oggetto di specifici diritti reali o personali. L'inclusione, fra tali “beni” oggetto del trasferimento, anche dei contratti e dei rapporti giuridici di debiti e crediti, sembra dunque potersi giustificare alla luce di tale ampia definizione di azienda, comportando a parere dello scrivente che il cessionario dell'azienda risponde dei debiti di cui all'art. 2560 in veste di obbligato principale, in forza del trasferimento della titolarità di debiti e crediti. La differente qualificazione del tipo di responsabilità del cessionario, peraltro, non sembrerebbe riguardare un mero aspetto nominalistico, dal momento che la stessa Corte di Cassazione con l'ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite ha affermato che, se si ritenesse che il cessionario assuma la veste di obbligato principale e che il trasferimento riguardi tutte le situazioni giuridiche riconducibili all'azienda, dovendo dunque la stessa qualificarsi come universitas iuris (inclusiva anche di tutti i rapporti giuridici attivi e passivi a essa pertinenti), dovrebbe di conseguenza includersi nel trasferimento anche la situazione di soggezione a debiti futuri, nella specie quelli derivanti da dichiarazione d'inefficacia di pagamenti. L'obbligo restitutorio dovrebbe dunque gravare sull'universitas iuris cui il pagamento giovò. Lo stesso atto di cessione dell'azienda, peraltro, prevedeva espressamente che la società conferitaria subentrasse in tutte le situazioni attive e passive quali risultanti dalle scritture contabili regolarmente tenute. La soluzione delle Sezioni Unite in commento, come detto, ha invece deciso che la trasferibilità al cessionario dei debiti dell'azienda sia limitato, come del resto anche la lettera della legge sembra suggerire, ai soli debiti effettivamente risultanti dalle scritture contabili, escludendo dunque sopravvenienze passive riconducibili a rapporti giuridici risultati dagli stessi libri contabili obbligatori. La Corte ha quindi evitato di esprimersi sulla natura della responsabilità del cessionario, non facendone neppure conseguire diverse conseguenze in ordine all'ampiezza della responsabilità dello stesso. La Corte ha dunque condivisibilmente inteso porre dei limiti all'applicabilità dell'art. 2560, comma 2 c.c., alla luce della lettera della legge, dal momento che il comma 1 del medesimo articolo parla comunque di debiti “anteriori al trasferimento”. Allo stesso tempo, tuttavia, è dubbio se l'interpretazione della norma offerta dalla Suprema Corte abbia lasciato degli “spazi di manovra” al fine di ampliare la responsabilità del cessionario. Innanzitutto, la ricostruzione della norma operata dalla Corte, come specificato dagli stessi giudici, trova un limite nella “effettiva alterità soggettiva” dei soggetti titolari dell'azienda, ovvero nella valutazione che il Giudice debba svolgere in ordine alla conoscenza diretta dei rapporti giuridici in fieri da parte del cessionario. Ciò può sicuramente essere utilizzato per impedire che, per mezzo di manovre elusive, si eseguano cessioni o conferimenti d'azienda allo scopo di danneggiare i creditori dell'impresa cedente, quale alternativa all'utilizzo della controversa figura dell'abuso di diritto (Trib. Reggio Emilia, 16 giugno 2015. n. 964, il quale hastabilito che la pretesa del cessionario di limitare la sua responsabilità relativamente al credito non risultante dalle scritture contabili, ai sensi dell'art. 2560, comma 2, c.c., configura un esercizio abusivo del suo diritto previsto dall'indicata disposizione, ove la cessione dell'azienda da parte di una società, successivamente posta in liquidazione, in favore di un'altra di nuova costituzione, con compagine sociale del tutto o quasi coincidente con la prima, abbia come finalità unica e decisiva quella di rendere inesigibili i crediti vantati dal terzo nei confronti del soggetto cedente). Dimostrando infatti la perdurante identità soggettiva, anche solo sostanziale, dei soggetti coinvolti nel trasferimento dell'azienda, si ricade, seguendo il ragionamento della Corte, in una situazione “estranea alla ratio protettiva del successore a titolo particolare nell'azienda, sottesa all'art. 2560 cod. civile”. Ci si può chiedere poi se, oltre che dalla perdurante identità soggettiva dei titolari dell'azienda, tale conoscenza diretta dei rapporti giuridici dell'azienda possa desumersi anche da altri fattori. È bene ricordare che l'interpretazione dell'art. 2560 c.c. dominante in giurisprudenza (per tutti, Cass., n. 22831/2010), tuttavia, ha stabilito che l'elemento per cui la presenza dei debiti debba risultare dai libri contabili obbligatori dell'alienante rappresenta un elemento costitutivo della responsabilità dell'acquirente e non può essere desunto in via presuntiva, né acquisito diversamente, neppure con la prova per mezzo di testimoni. È evidente, dunque, come la decisione della Cassazione vada a limitare ulteriormente la possibilità per i creditori dell'azienda di aggredire i beni del cessionario, salvo, ovviamente, che la situazione di fatto sia estranea alla ratio di tutela dell'acquirente. Qualora, invece, l'acquirente fosse effettivamente soggetto estraneo all'alienante, in considerazione della lettera della norma e della qualificazione della presenza del debito nei libri contabili obbligatori come elemento costitutivo della responsabilità dell'acquirente, non sembra sia possibile allargarne in alcun modo la responsabilità oltre i confini stabiliti dall'art. 2560, comma 2 c.c., postulando una (indimostrata) sua conoscenza dei rapporti giuridici in fieri.
La cessione di tutte le situazioni giuridiche attive e passive, analogia con l'art. 58 TUB: un'occasione mancata Come noto, l'art. 58 D. Lgs. 385/1993, che regola le cessioni di azienda tra istituti di credito, prevede che le passività si trasferiscano al cessionario in forza della sola cessione e del decorso del termine di tre mesi dalla pubblicità della stessa, con il sorgere di una responsabilità diretta dell'acquirente e non la mera solidarietà con l'obbligazione in capo al cedente. Secondo la giurisprudenza prevalente, ciò comporta dunque anche il trasferimento dei debiti per sanzioni irrogate dopo la cessione, per fatti commessi in precedenza (dunque, debiti futuri ma che derivino da rapporti precedenti). Ora, sebbene tale norma sia pacificamente considerata derogatoria della disciplina generale per le cessioni d'azienda, la Corte di Cassazione, con l'ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite, si era interrogata sulla possibilità che il meccanismo di cui all'art. 2560, comma 2 c.c., sostanziandosi in un accollo cumulativo con trasferimento dei debiti al cessionario, comportasse il trasferimento di tutte le posizioni attive e passive anche nel caso di cessione di aziende commerciali, in particolar modo nella fattispecie concretamente considerata, ove l'atto di cessione espressamente prevedeva che quest'ultima riguardasse “tutte le situazioni attive e passive quali risultanti dalle scritture contabili regolarmente tenute”. Tale questione, posta dall'ordinanza della Cassazione, è poi rimasta senza risposta nella pronuncia a Sezioni Unite, la quale, tuttavia, ha valorizzato l'accertamento di fatto che l'imprenditore conferente, con dichiarazione resa nel corso dell'assemblea straordinaria della società, aveva inteso conferire nel capitale societario la totalità dei rapporti attivi e passivi rientranti nell'universitas iuris aziendale, e cioè “anche i debiti futuri”. Tale aspetto è stato evidentemente valutato dalla Suprema Corte come ulteriore elemento per affermare la responsabilità del cessionario per i debiti derivanti dall'esercizio dell'azione revocatoria di pagamenti risultanti dalla contabilità aziendale, nella evidenziata prospettiva di una necessaria valutazione caso per caso dei rapporti che cedente e cessionario hanno inteso trasferire e della effettiva conoscenza dell'acquirente della situazione aziendale extracontabile, non potendosi affermare di default -analogamente a quanto invece accade per quanto riguarda la cessione di azienda in ambito bancario- che il cessionario subentri comunque in ogni rapporto attivo e passivo. La soluzione adottata dalla Cassazione pare dunque, seppur ometta di prendere posizione su di una questione che sarebbe stata dirimete quale quella della responsabilità in proprio od in solido per debiti futuri, condivisibile, in quanto consente di tutelare, rispettando la ratio della disposizione di legge, da un lato, la posizione del cessionario (che altrimenti potrebbe essere gravemente pregiudicata da una applicazione di default del principio di responsabilità) e, dall'altro, dei creditori, che potranno dimostrare nel concreto la mancanza di terzietà dell'acquirente. Al pari, la soluzione consente di evitare l'utilizzo della norma con finalità elusive, impedendo che la limitazione di responsabilità così garantita al cessionario trovi applicazione nei casi in cui non vi sia effettiva alterità soggettiva fra soggetto conferente e conferitario. |