Concessione o appalto? Profili distintivi ai fini della competenza della sezione specializzata in materia di imprese
06 Luglio 2015
Massima
Il contratto tra un ente pubblico (nella specie, un comune) ed un imprenditore, che, indipendentemente dal nomen iuris attribuitogli dalle parti (nella specie, appalto), si risolva in una concessione di servizi, non appartiene alla competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa in quanto il rischio di gestione nel quale incorre l'amministrazione aggiudicatrice è assunto integralmente, o in misura significativa, dalla controparte contrattuale; ove, peraltro, sia configurabile un appalto pubblico di servizi di rilevanza comunitaria, la controversia resta devoluta alla sezione specializzata purché il contratto riguardi servizi resi alla P.A. (e non al pubblico degli utenti) e non determini, in ogni caso, in ragione delle modalità di remunerazione, l'assunzione del rischio di gestione ad opera della controparte della P.A. Il caso
Il Tribunale di Bergamo declinava la propria competenza in favore della sezione specializzata per le imprese del Tribunale di Brescia dal momento che, vertendosi in tema di contratto pubblico di appalto di servizio di distribuzione gas, si applicava l'art. 2 del D.L. n. 1 del 2012, convertito con modificazioni nella legge n. 27/12.
Veniva successivamente adita la Suprema Corte tramite regolamento di competenza. Il ricorrente contestava l'applicabilità della norma sopra menzionata nei casi, come quello per cui è causa, di concessione di servizi e non di appalti.
Con la pronuncia in commento, i giudici di legittimità accolgono il ricorso e dichiarano la competenza del Tribunale ordinario di Bergamo. Ad avviso della Cassazione, la vertenza non rientra nella competenza delle sezioni specializzate in materia di impresa, ai sensi del D.Lgs. 27 giugno 2003, n. 168, art. 3, comma 2, lett. f) come modificato dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla L. 24 marzo 2012, n. 27. Quanto sopra in quanto, nella fattispecie, il contratto tra l'ente pubblico e l'imprenditore, il quale, indipendentemente dal nomen iuris attribuito dalle parti (nella specie, "appalto"), si risolve in una concessione. Le questioni giuridiche
La pronuncia è persuasiva.
Il d.lgs. n. 163 del 2006 (c.d. codice appalti), all'art. 3, definisce "appalti pubblici di servizi" i "contratti a titolo oneroso, stipulati per iscritto tra una stazione appaltante o un ente aggiudicatore e uno o più operatori economici, aventi per oggetto la prestazione di servizi come definiti dal presente codice" e "concessione di servizi" un "contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo, in conformità all'art. 30".
Si tratta di figure negoziali ontologicamente distinte, corredate da una distinta disciplina, seppure l'art. 30 citato, pur sottraendo le concessioni di servizi alla disciplina del codice, faccia salvo il rispetto dei principi desumibili dal Trattato e dei principi generali relativi ai contratti pubblici. La Procura Generale, nella pronuncia in commento, sostiene che si tratterebbe di un richiamo “contraddittorio”. Pare il contrario, in quanto, in maniera armonica, i principi cui sono ispirati tutti i contratti pubblici della P.A. devono essere i medesimi.
Per il carattere derogatorio, e quindi eccezionale, della norma sulla competenza appena richiamata, essa deve essere di stretta interpretazione, non potendo giustificarsi la sua estensione a figure contrattuali diverse da quelle espressamente contemplate (gli appalti).
Una volta rilevato che il contratto per cui è causa, a prescindere dal nomen iuris ad esso attribuito dalle parti, prevede l'obbligo della controparte del Comune di versare a quest'ultimo un canone annuo di affidamento, espresso in forma di percentuale fissa ed invariabile del margine di distribuzione percepito, in relazione al servizio svolto per la distribuzione del gas naturale, la fattispecie negoziale è stata sussunta entro la definizione di concessione di pubblico servizio, di cui all'art. 30 del d.lgs. n. 163/06.
Nella concessione di servizi la controprestazione a favore del concessionario consiste unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio, nonostante sia prevista la fissazione anche di un prezzo, qualora al concessionario venga imposto di praticare nei confronti degli utenti prezzi inferiori a quelli corrispondenti alla somma del costo del servizio e dell'ordinario utile di impresa, ovvero qualora sia necessario assicurare al concessionario il perseguimento dell'equilibrio economico-finanziario degli investimenti e della connessa gestione in relazione alla qualità del servizio da prestare. Osservazioni
La pronuncia in commento è rispettosa della normativa interna sopra menzionata e in linea con le moderne tendenze normative comunitarie.
Sono state approvate tre nuove direttive in materia di contratti pubblici: la n. 24 del 2014 sugli appalti pubblici, la n. 25 del 2014 sui settori c.d. esclusi dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali e la n. 23 del 2014 sui contratti di concessione. Quest'ultima rappresenta una novità, mentre le prime due superano le precedenti direttive nn. 18 e 19 del 2004.
La nuova direttiva in tema di concessioni si sofferma sul concetto di rischio operativo che diventa l'elemento che maggiormente distingue la concessione rispetto all'appalto. Si precisa che alcuni accordi remunerati esclusivamente dall'amministrazione aggiudicatrice dovrebbero configurarsi come concessioni qualora il recupero degli investimenti effettuati e dei costi sostenuti dall'operatore per eseguire il lavoro o fornire il servizio dipenda dall'effettiva domanda del servizio o del bene o della loro fornitura. Il rischio operativo deve essere inteso come rischio di esposizione alle fluttuazioni di mercato che possono derivare da un rischio sul lato della domanda o sul lato dell'offerta.
Come recentemente enunciato dal Consiglio di Stato con sentenza 26/05/2015, n. 2660, deve escludersi che, in ragione del loro tenore, le nuove direttive siano da ritenersi immediatamente applicabili. Tanto più che è ancora in corso il termine previsto per la loro attuazione da parte dello Stato. È vero, però, che la giurisprudenza comunitaria riconosce una forma di rilevanza giuridica alla direttiva anche prima che sia scaduto il termine per il recepimento. Non si tratta del dovere di immediata applicazione o dell'obbligo di interpretazione conforme (che operano solo dopo che è scaduto il termine di recepimento), ma soltanto di un obbligo negativo, che si sostanzia nel dovere di astenersi da una interpretazione potenzialmente pregiudizievole per i risultati che la direttiva intende conseguire.
In definitiva, nel caso di specie, da quanto emerge dalla pronuncia, sembra evincersi che il rischio operativo, che potremmo definire in termini riduttivi, ma esemplificativi, come incertezza per l'imprenditore di recuperare i costi e gli investimenti effettuati soggiacendo all'alea del mercato, fosse a carico del soggetto privato, contraente con il Comune. Da ciò discende la corretta qualificazione dell'operazione economica in termini di concessione e il sovvertimento della pronuncia del Tribunale di Bergamo sotto il profilo della competenza. |