Al prestito obbligazionario non si applica la disciplina sulla postergazione

Martino Liva
11 Aprile 2017

L'emissione di obbligazioni costituisce un'operazione soggetta a disciplina specifica da parte del legislatore, che ha previsto, tra l'altro, quale caratteristica del prestito obbligazionario, la natura cartolare, con conseguente facoltà di trasferibilità a terzi.
Massima

L'emissione di obbligazioni costituisce un'operazione soggetta a disciplina specifica da parte del legislatore, che ha previsto, tra l'altro, quale caratteristica del prestito obbligazionario, la natura cartolare, con conseguente facoltà di trasferibilità a terzi. Pertanto, deve ritenersi esclusa l'applicabilità al prestito obbligazionario sottoscritto dai soci - specialmente se dotato del requisito della convertibilità in azioni - della disciplina in tema di postergazione dei finanziamenti soci di cui all'art. 2467 c.c.

La previsione di cui all'art. 2467 c.c. appare, ormai, pacificatamene applicabile anche alle società per azioni, specialmente se a compagine sociale familiare o comunque ristretta, essendo la ratio di tale norma non limitabile alle sole società a responsabilità limitata, come desumibile anche dal disposto dell'art. 2497-quinquies c.c..

Il caso

Il Tribunale di Bologna, con l'ordinanza in esame, ha accolto l'opposizione allo stato passivo di un fallimento di una società per azioni presentata da un fondo di investimento, attivo nel campo delle operazioni di private equity, che si era visto "declassare", da parte della curatela, il proprio credito verso la società derivante da un prestito obbligazionario convertibile, alla stregua di un finanziamento soci, pertanto suscettibile di postergazione in applicazione dell'art. 2467 c.c..

L'opponente, in particolare, secondo una prassi piuttosto frequente in questo tipo di operazioni, contestualmente all'investimento di equity aveva procedutoa dotare la società per azioni di ulteriori risorse finanziarie mediante la sottoscrizione di un prestito obbligazionario convertibile in azioni.

A fronte dell'opposizione presentata dal fondo di investimento, il Tribunale, senza disconoscere il principio giurisprudenziale ormai ultra-maggioritario, secondo cui la previsione di cui all'art. 2467 c.c. è applicabile anche alle società per azioni (quanto meno a quelle a ristretta base azionaria), ha accolto l'opposizione del fondo di investimento, riqualificando il credito derivante dal prestito obbligazionario convertibile quale credito chirografario, "senza postergazione rispetto agli altri creditori".

Le questioni

Il primo profilo di interesse su cui si è pronunciata la breve (ma allo stesso tempo densa) ordinanza del Tribunale di Bologna, concerne il più volte discusso tema dell'applicabilità del disposto di cui all'art. 2467 c.c. anche alle società per azioni. Come noto, infatti, tale norma - che mira a "punire" il comportamento opportunistico dei soci postergando il loro finanziamento rispetto a quello degli altri creditori laddove questo sia stato effettuato in un momento di eccessivo squilibrio patrimoniale dell'impresa o quando era ragionevole un conferimento - è prevista solo per le società a responsabilità limitata. Tuttavia, sin dai primi commenti successivi alla riforma del 2003, la disposizione in questione, in considerazione della sua ratio (vale a dire contrastare il fenomeno della sottocapitalizzazione nominale delle società a ristretta base sociale ed evitare un'ingiustificata esternalizzazione del rischio di impresa), è stata progressivamente estesa anche alle società per azioni (in dottrina si veda, tra gli altri, U. Tombari, Apporti spontanei e prestiti dei soci nelle società di capitali, in P. Abbadessa e G.B. Portale, Il nuovo diritto delle società: liber amicorum Gian Franco Campobasso, 2006; in giurisprudenza, Trib. Prato, 13 giugno 2013 in De Jure, Redazione Giuffrè; Trib. Venezia, 8 marzo 2001, in Banca borsa tit. cred. 2012, 2, II, 223). Talvolta, l'applicabilità dell'art. 2467 c.c. alle società per azioni è stata limitata a quei finanziamenti effettuati da soci di società per azioni solo laddove non fossero meramente dei finanziatori, ma in qualche modo coinvolti nell'attività di impresa, anche solo per l'esistenza di poteri di voice riflessi nello statuto (sul tema cfr. C. Angelici, La riforma delle società di capitali, 2006).

Pur esistendo posizioni contrarie all'applicabilità analogica dell'art. 2467 c.c. (cfr., ma solo con affermazione incidentale, Cass. Civ. 24 luglio 2007, n. 16393, in Riv. notariato 2009, 4, 1058), anche il Tribunale di Bologna ha aderito all'estensione della norma alla società per azioni, in adesione, in particolare, all'ultimo precedente della Corte di Cassazione al riguardo (cfr. Cass. Civ. 7 luglio 2015, n. 14056, in questo portale, con nota di Papini, Postergazione del finanziamento dei soci e s.p.a. “chiuse”). . In aggiunta, il Tribunale di Bologna ha richiamato l'"indizio" legislativo derivante dall'art. 2497-quinquies c.c. che, in tema di direzione e coordinamento, estende, a prescindere dal tipo societario, la disciplina di cui all'art. 2467 c.c. ai finanziamenti infragruppo, conseguendone, secondo i giudici bolognesi, che l'art. 2467 c.c. non costituisce una norma di carattere eccezionale ma l'espressione di un principio generale posto a difesa del corretto finanziamento dell'attività in forma societaria.

Sgombrati i dubbi sull'applicabilità dell'art. 2467 c.c. alla società per azioni, pure avanzati dal fondo di investimento, il Tribunale di Bologna ha proceduto comunque ad accogliere l'opposizione, propendendo, innanzitutto, per l'inapplicabilità ai prestiti obbligazionari della disciplina di cui all'art. 2467 c.c. in ragione del principio di specialità. Ai prestiti obbligazionari, infatti, il legislatore dedica una disciplina specifica (artt. 2410 c.c. e ss.), circostanza che supera l'apparente onnicomprensività della generale dizione di "finanziamenti dei soci" contenuto nel 2467 c.c.. A sostegno di tale tesi, peraltro, i giudici di Bologna osservano come anche la disciplina delle obbligazioni contenga, nel limite quantitativo all'emissione del prestito obbligazionario di cui all'art. 2412 c.c., quel principio - comune con l'art. 2467 c.c. - volto a scongiurare che si crei un eccessivo squilibrio tra patrimonio netto e indebitamento con conseguente trasferimento del rischio di impresa sui creditori. Di conseguenza, stante la comune ratio, esistendo una disciplina speciale (art. 2412 c.c.) non si vede, a detta del Tribunale di Bologna, perché se ne dovrebbe applicare una più generale (art. 2467 c.c.).

Oltre al principio di specialità, che impedisce di applicare a un prestito obbligazionario convertibile la previsione dell'art. 2467 c.c., vengono messi in luce due altri elementi specifici che conducono il Tribunale a fondare la decisione assunta.

Si tratta, in primo luogo, della circostanza per cui il prestito obbligazionario ha, per espressa previsione legislativa, natura cartolare. Ciò, lo connota quale "prestito generalizzato e apersonalistico", in grado di circolare anche nei confronti di terzi. Tale elemento, per i giudici bolognesi, di per sé estromette la natura del prestito obbligazionario dall'alveo dei finanziamenti soci di cui all'art. 2467 c.c., norma che per sua natura non può che rivolgersi a soggetti "qualificati" (i soci) vicini all'attività di impresa (soprattutto nella società a responsabilità limitata), punendone il comportamento opportunistico, che si concretizza nella scelta di sostenere finanziariamente della società in crisi mediante debito anziché equity, presentandosi per questo su un piano di parità con i creditori.

In aggiunta, è messo in luce dal Tribunale che anche il fine opportunistico che l'art. 2467 c.c. intende scoraggiare, è difficilmente riscontrabile nel caso di un prestito obbligazionario che abbia la caratteristica, come nel caso in questione, di essere convertibile in azioni, a maggior ragione se effettuato al momento dell'investimento in equity, quando la società non aveva indici di particolare squilibrio patrimoniale o crisi. In altri termini, la previsione della convertibilità in equity del prestito obbligazionario - sin dalla sua emissione - appare un indice determinante per individuare la volontà del finanziatore di dotare la società di risorse finanziarie con vincolo potenzialmente e prospetticamente di rischio. Al contrario, di quanto compie invece il socio mero finanziatore, nella fattispecie di cui all'art. 2467 c.c..

Osservazioni

L'ordinanza in esame ha il merito di stabilire alcune interessanti linee guida rispetto a una fattispecie alquanto frequente nella prassi delle operazioni di private equity, ove, spesso, l'investimento in capitale è accompagnato da altre forme di sostegno finanziario alla società target di varia natura. Quanto scritto dai giudici bolognesi, tuttavia, meriterebbe uno "stress test", alla luce dell'analisi delle clausole del regolamento del prestito obbligazionario, il cui contenuto aiuterebbe a vagliare ancor più analiticamente la bontà delle motivazioni dei giudici. Infatti, l'argomentazione fondata sul principio di cartolarità del prestito obbligazionario, potrebbe entrare in crisi nel caso in cui il regolamento del prestito ponesse limiti alla circolazione delle obbligazioni, favorendo il mantenimento delle stesse esclusivamente in capo ai soci, e, per ipotesi, nelle stesse proporzioni della partecipazione al capitale sociale.

Appare, inoltre, suggestiva la tesi dell'assimilazione dell'interesse giuridico tutelato dal riferimento al limite all'emissione di obbligazioni di cui all'art. 2412 c.c. e dal principio di postergazione di cui all'art. 2467 c.c. Al riguardo, tuttavia, occorre precisare che l'art. 2412 c.c. nel porre un limite a nuove emissioni considera, sostanzialmente, il solo indebitamento di natura obbligazionaria (anche alla luce di precedenti emissioni), mentre l'art. 2467 c.c. pare considerare il complessivo indebitamento, oltre che la "situazione finanziaria" della società, prevedendo quindi che scatti la regola della postergazione anche nel caso di mera crisi di liquidità della società, senza che necessariamente ciò abbia un impatto negativo sul patrimonio netto.

L'ordinanza risulta poi silente rispetto a un altro argomento adducibile a sostegno della tesi abbracciata - tenuto invece in alta considerazione da un'interessante pronuncia analoga a quella in commento (Trib. Milano, 25 luglio 2014) - consistente nel tenore dell'art. 2411, comma 1, c.c.. La norma in questione, più precisamente, rimette alla valutazione della società - al momento dell'emissione - la decisione di postergare gli obbligazionisti agli altri creditori. Laddove il regolamento del prestito obbligazionario, pur potendolo fare, non prevede la postergazione, ecco che l'interprete è legittimato a presumere che non fossero sussistenti, per stessa ammissione della società emittente, i requisiti di cui all'art. 2467 c.c..

Conclusioni

Pur in assenza dei una stringente verifica delle tesi dei giudici di Bologna, alla luce dell'esatto tenore del regolamento del prestito obbligazionario, la conclusione del Tribunale appare condivisibile e, soprattutto, idonea a delineare i requisiti che un prestito obbligazionario convertibile è opportuno abbia per non rischiare (o rischiare meno) di essere postergato rispetto al pagamento di tutti i creditori.

Tra queste, innanzitutto, la natura cartolare del prestito, con conseguente possibilità di circolazione delle obbligazioni nei confronti di terzi. Quindi, il requisito della convertibilità delle obbligazioni, che appare idoneo a "targare" il socio-finanziatore come soggetto in ogni caso "focalizzato" sul capitale, nel senso di essere sin da subito pronto a mutare la propria posizione di creditore in quella di socio. Da ultimo, soprattutto in scia della sentenza analoga del Tribunale di Milano sopra citata, l'assenza dal regolamento del prestito di una previsione - come consentito dall'art. 2411, comma 1, c.c. - di postergazione del prestito obbligazionario, che appare quale solido ulteriore elemento in grado di evitare riqualificazioni negative.

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