Accertamento dei crediti per emolumenti dei sindaci e cause di ineleggibilità

11 Luglio 2017

Qualora l'attività di consulenza prestata per una società fallita sia svolta dallo studio professionale di cui sia membro il sindaco, ciò che rileva è il rapporto associativo fra il sindaco ed il consulente, per cui occorre valutare i profili di compromissione patrimoniale verificando quale sia la quantità dei ricavi derivanti dalla collaborazione altrui destinata a refluire nel patrimonio personale del sindaco in rapporto all'entità del compenso sindacale, tenendo presente la sua posizione nella compagine associativa.
Massima

Qualora l'attività di consulenza prestata per una società fallita sia svolta dallo studio professionale di cui sia membro il sindaco, ciò che rileva è il rapporto associativo fra il sindaco ed il consulente, per cui occorre valutare i profili di compromissione patrimoniale verificando quale sia la quantità dei ricavi derivanti dalla collaborazione altrui destinata a refluire nel patrimonio personale del sindaco in rapporto all'entità del compenso sindacale, tenendo presente la sua posizione nella compagine associativa. L'indipendenza del controllore, quindi, risulta messa in pericolo tutte le volte in cui egli si possa attendere dal rapporto di consulenza del suo associato un ritorno economico personale superiore a quello che gli deriva dalla retribuzione sindacale.

Il caso

Avanti il Tribunale di Bologna veniva presentata opposizione ex art. 98 l. fall. avverso il decreto di esecutività dello stato passivo per ottenere la riforma del provvedimento con il quale il Giudice delegato aveva rigettato la domanda di insinuazione presentata da un sindaco della società fallita.

Il Tribunale ha ritenuto di riformare parzialmente il provvedimento e di ammettere al passivo del fallimento quella parte del credito per il compenso richiesto per l'attività prestata come sindaco nel periodo anteriore alla nomina dello stesso quale componente del consiglio di amministrazione dello studio che prestava attività di consulenza alla fallita.

La questione

La pronuncia in esame si occupa della questione relativa all'accertamento dei crediti per emolumenti dei sindaci e delle cause di ineleggibilità ex art. 2399 c.c.

La soluzione giuridica

Il Tribunale di Bologna fornisce una soluzione al problema in linea con il generale indirizzo della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, qualora l'attività di sindaco venga prestata da soggetto collegato ad altro che presti la propria attività di consulenza alla medesima società, ciò che rileva – ai fini di una eventuale incompatibilità – è il rapporto associativo fra il sindaco ed il consulente e la valutazione dell'eventuale compromissione patrimoniale.

La decisione del Tribunale richiama, anzitutto, il disposto dell'art. 2399, comma 1, lett c) c.c. che statuisce l'ineleggibilità (o comunque l'eventuale decadenza) a sindaco di una società per azioni di coloro che sono legati alla società da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza.

Dopo di che, il Tribunale richiama la motivazione di una recente sentenza della Suprema Corte (Cass. sez. I, 8 maggio 2015, n. 9392) in cui si legge che la ratio sottesa alla causa di ineleggibilità per i sindaci “risiede nell'esigenza di garantire l'indipendenza di colui che è incaricato delle funzioni di controllo in presenza di situazioni idonee a compromettere tale indipendenza”.

Di conseguenza, sussiste la compromissione dell'indipendenza del sindaco, non solo quando il controllore sia direttamente implicato nell'attività sulla quale dovrebbe esercitare il controllo, ma anche nell'ipotesi residuale di cui alla lett. c) dell'art. 2399 c.c., quando quella implicazione riguarda un socio o un associato del sindaco, come accade nel caso in cui l'attività di consulenza sia prestata dallo studio professionale di cui sia membro il sindaco.

In tale ipotesi, prosegue il Tribunale richiamando l'insegnamento dei giudici di legittimità, "ciò che rileva è il rapporto associativo fra il sindaco e il consulente, talché occorre valutare i profili di compromissione patrimoniale verificando quale sia la quantità dei ricavi derivanti dalla collaborazione altrui destinata a rifluire nel patrimonio personale del sindaco in rapporto all'entità del compenso sindacale, tenendo presente la sua posizione nella compagine associativa. In applicazione di tale criterio, occorre concludere che l'indipendenza del controllore sia messa in pericolo tutte le volte in cui egli si possa attendere dal rapporto di consulenza del suo associato un ritorno economico personale superiore a quello che gli deriva dalla retribuzione sindacale".

Fatte queste premesse, il Tribunale ritiene che il caso sottoposto alla sua analisi rientri nella residuale ipotesi di cui alla lett. c) dell'art. 2399 c.c., essendo pacifico che la ricorrente avesse ricoperto contemporaneamente l'incarico di sindaco e fosse al contempo collaboratrice dello studio che assisteva la società fallita.

Il Tribunale puntualizza, però, che la ricorrente non era né associata né socia dello studio professionale e che con esso aveva esclusivamente un rapporto di prestazione d'opera intellettuale libero professionale (emetteva cioè fattura allo studio per le sue singole prestazioni professionali).

Pertanto, la sentenza in oggetto mette in evidenza, sotto il profilo rilevante del rapporto associativo fa il sindaco e il consulente, il fatto che i ricavi che la ricorrente percepiva dalla collaborazione con lo studio associato derivavano dalla propria attività professionale e non dalla partecipazione ai ricavi che lo studio traeva dalla consulenza prestata in favore della società poi fallita.

Oltretutto, nel corso del giudizio, non è stato in alcun modo contestato il fatto che la stessa ricorrente non abbia svolto alcuna attività professionale per lo studio associato nel periodo di operatività dell'incarico come sindaco.

Il Tribunale rileva, però, che tale circostanza non è di per sé sufficiente ad escludere la compromissione dell'indipendenza della ricorrente, dal momento che la stessa, per un certo periodo, era stata anche componente del consiglio di amministrazione dello studio associato che aveva con la società poi fallita un rapporto stabile e continuativo di assistenza e consulenza contabile, amministrativa e fiscale e da cui ricavava apprezzabili proventi.

Rileva, altresì, il Tribunale che la determinazione dei compensi spettanti allo studio per l'attività di consulenza in favore della società attiene direttamente alla gestione dell'impresa esercitata dallo studio e per essa dalla ricorrente.

In tale situazione, il Tribunale reputa che il contemporaneo esercizio della funzione di amministratore dello studio associato e di sindaco nella società integri un'ipotesi di ineleggibilità c.d. residuale di cui alla lett. c) dell'art 2399 c.c.

A prova della bontà di tale soluzione – sottolinea il Tribunale – basti pensare all'eventualità che il sindaco, nell'esercizio dei poteri di controllo, si trovi nella necessità di verificare la congruità dei compensi erogati allo studio associato di cui è amministratore, per intuire quanto sia compromessa l'imparzialità della ricorrente.

Conclusivamente, vista la particolarità del caso, il Tribunale ha operato una distinzione tra il compenso richiesto dalla ricorrente per l'attività di sindaco prestata dalla medesima prima della sua nomina a componente del consiglio di amministrazione dello studio di consulenza, ammettendo tale credito al passivo del fallimento, ed ha invece confermato l'esclusione dei compensi richiesti per l'attività successiva alla nomina di componente del consiglio di amministrazione.

Osservazioni

Il tema della verifica dei crediti degli emolumenti dei sindaci è stato in più occasioni affrontato dalla Corte di Cassazione giungendo ad affermarne l'esclusione dal passivo ogni qualvolta vi sia un'ipotesi di decadenza del sindaco che si trovi nella situazione di ineleggibilità prevista dall'art. 2399 c.c.

La lettera c) di tale norma, infatti, prevede l'ineleggibilità (e comunque la decadenza) di coloro che sono legati alla società (o alle società da questa controllate o alle società che la controllano o a quelle sottoposte a comune controllo) da un rapporto di lavoro o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d'opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale che ne compromettano l'indipendenza.

Pertanto, non può assumere l'incarico di sindaco non solo colui che abbia un rapporto “diretto” con la società vigilata (o con società collegate), ma anche colui che abbia comunque un rapporto di natura patrimoniale che ne comprometta la sua indipendenza.

La ratio dell'art. 2399 c.c. risiede, infatti, nell'esigenza di garantire l'indipendenza di colui che è incaricato, anche nell'interesse dei terzi, delle funzioni di controllo, in presenza di situazioni idonee a compromettere tale indipendenza, quando cioè, il controllore sia direttamente implicato nell'attività sulla quale dovrebbe, in seguito, esercitare le funzioni di controllo.

Purtroppo, però, il legislatore non ha fissato una soglia patrimoniale quantitativa, né in termini assoluti né relativi, e, pertanto, la valutazione dell'incompatibilità dell'incarico professionale che abbia una rilevanza economica tale da mettere in pericolo la libertà di giudizio del sindaco stesso è rimessa esclusivamente all'interpretazione giurisprudenziale.

Alla luce di ciò, la Cassazione ha ritenuto sussistere la compromissione dell'indipendenza del sindaco non solo quando lo stesso sia direttamente implicato nell'attività sulla quale dovrebbe esercitare il controllo (vedi al riguardo Cass. 9 maggio 2008, n. 11554), ma anche quando lo stesso soggetto abbia svolto contemporaneamente attività di sindaco e di consulente in favore della società vigilata, poi fallita, sulla base del riscontro che i crediti insinuati al passivo fallimentare erano di gran lunga inferiori ai proventi derivanti dalla consulenza (cfr. Cass. 8 maggio 2015, n. 9392).

Il caso preso in esame dal Tribunale di Bologna è ancor più particolare; si trattava di un professionista che fatturava singole prestazioni di consulenza allo studio che forniva consulenza contabile ed amministrativa alla società della quale lo stesso, per un certo periodo, era stato sindaco. Il professionista in questione, peraltro, non era né socio né associato dello studio di consulenza e, nel periodo dell'incarico sindacale, non aveva fornito prestazioni specifiche a favore dello studio di consulenza. In ragione di ciò, si poteva ritenere fosse venuta meno una diretta compromissione patrimoniale del medesimo.

Il Tribunale ha, però, ritenuto di escludere comunque una parte del credito per emolumenti sindacali poiché dall'istruttoria era emerso che il professionista, per un certo periodo, aveva ricoperto contemporaneamente sia la carica di sindaco che quella di consigliere di amministrazione dello studio che forniva consulenza alla società vigilata, poi fallita.

I giudici di merito hanno quindi ritenuto che la situazione venutasi così a creare concretasse una causa di decadenza dalla carica di sindaco, in considerazione della potenziale compromissione della sua imparzialità; compromissione che sarebbe stata ancor più evidente nell'eventualità che il sindaco, nell'esercizio dei poteri di controllo, si fosse trovato nella necessità di verificare la congruità dei compensi erogati allo studio associato di cui era amministratore.

La decisione in esame si pone, quindi, nel solco giurisprudenziale già tracciato in materia di concreta individuazione delle condizioni che rendono un rapporto patrimoniale tale da compromettere l'indipendenza del sindaco, aggiungendovi una nuova fattispecie.

Guida all'approfondimento

In giurisprudenza, sul tema della ineleggibilità dei sindaci, oltre alle sentenze richiamate dalla pronuncia in esame (Cass. 8 maggio 2015, n. 9392; Cass. 9 maggio 2008 n. 11554) si vedano anche: Cass. 1 marzo 2016, n. 4069 (con news, in questo portale); Cass. 28 marzo 2013, n. 7902, che ha ritenuto concretamente incompatibile con la carica di sindaco della società poi fallita, invocata dal ricorrente quale ragione giustificativa del credito di cui aveva chiesto l'insinuazione al passivo del sopravvenuto fallimento di quest'ultima, la contemporanea, reiterata ed incisiva prestazione professionale da lui svolta, in un limitato arco di tempo e con l'intesa della sua onerosità, per conto della medesima società.

In dottrina sul tema generale delle cause di ineleggibilità del sindaco si veda: Maffei Alberti, Commentario breve al diritto delle società, Padova, 2015, sub art. 2399 c.c..

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