La responsabilità concorrente dei sindaci nei reati di bancarotta fraudolenta

13 Ottobre 2016

Nei reati di bancarotta fraudolenta, i membri del collegio sindacale della società fallita rispondono, in concorso con gli amministratori, in virtù dell'omesso controllo sulla gestione societaria da parte di questi ultimi, quando per le modalità e le circostanze di fatto sia configurabile in tale omissione il dolo eventuale.La mancanza di requisiti o qualità soggettive per la validità formale della nomina a sindaco di una società, non fa venir meno la responsabilità penale di quest'ultimo quando ne abbia comunque esercitato le funzioni.
Massima

Nei reati di bancarotta fraudolenta, i membri del collegio sindacale della società fallita rispondono, in concorso con gli amministratori, in virtù dell'omesso controllo sulla gestione societaria da parte di questi ultimi, quando per le modalità e le circostanze di fatto sia configurabile in tale omissione il dolo eventuale.

La mancanza di requisiti o qualità soggettive per la validità formale della nomina a sindaco di una società, non fa venir meno la responsabilità penale di quest'ultimo quando ne abbia comunque esercitato le funzioni.

Il caso

Con ricorso ex art. 606 c.p.p. tre sindaci di una società fallita impugnavano la sentenza di condanna della Corte d'appello di Palermo, nella parte di conferma della precedente condanna per concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale.

Con i distinti ricorsi per Cassazione, in gran parte modulati sulle stesse censure di diritto, gli imputati avevano lamentato che fosse stata riconosciuta la loro responsabilità, a titolo di concorso omissivo ex art. 40 cpv. c.p., nonostante essi non avessero le qualità soggettive per poter rivestire la carica di sindaco: a ciò avrebbe dovuto conseguire l'inconfigurabilità a loro carico della posizione “di garanzia”, requisito indefettibile del concorso improprio.

Ancora, osservavano le difese dei ricorrenti che l'omesso controllo sull'operato dell'amministrazione della società ed altresì la mera partecipazione all'approvazione del bilancio non potessero essere elementi sufficienti per integrare la responsabilità dolosa richiesta dal reato di bancarotta, dovendosi invece configurare semmai una negligenza colposa, del tutto insufficiente ai fini dell'affermazione di responsabilità penale.

Tali censure in punto di diritto, per quanto qui interessa esaminare, costituivano l'errore in cui era incorso il Tribunale e successivamente il Giudice di appello, con sentenza che meritava perciò annullamento da parte della Suprema Corte.

Le questioni

La sentenza in commento, nel dichiarare infondate e, come tali, respingere le critiche dei ricorrenti, si colloca nella scia di precedenti pronunce in tema di responsabilità omissiva dei sindaci nei reati del fallimento.

Le questioni che, dunque, sono state poste dai ricorrenti e a cui la sentenza in esame ha dato risposta sono, per quanto qui interessa, due.

Invertendo l'ordine con cui le doglianze sono state sollevate dalle difese e con cui la Corte le ha esaminate, interessa dapprima illustrare quella che è – a parere di chi scrive – la più suggestiva delle tesi prospettate. Ed essa tocca, invero, un punto centrale su cui ruota la affermazione di responsabilità dei membri del collegio sindacale, ovverosia il titolo a cui essi concorrono negli atti di bancarotta fraudolenta, documentale o patrimoniale, degli amministratori. Se il loro concorso è di tipo omissivo improprio, in quanto, ex art. 40 cpv. c.p., essi sono tenuti ad attivarsi per impedire che la commissione di atti di mala gestio comunque a danno della società, l'omissione del controllo cui sono tenuti per legge in virtù della loro posizione di garanzia è di per sé sufficiente ad integrare l'ipotesi criminosa concorsuale di cui sono chiamati a rispondere? E ancora: la semplice approvazione del bilancio societario implica di per sé concorso nelle condotte criminose di bancarotta consumate, in ipotesi, dagli amministratori?

E' fuor di dubbio che, trattandosi di ipotesi fraudolente e non di bancarotta semplice, l'elemento soggettivo del dolo deve essere integrato e verificato in capo anche a chi, per aver omesso il controllo dovuto, si ritenga concorrente nel reato. Consegue a ciò che l'omissione colpevole, dovuta a negligenza, superficialità o erroneo affidamento, non possa integrare un fatto penalmente rilevante sotto il profilo del reato di bancarotta fraudolenta. In questo senso, perciò, anche la mera partecipazione alla assemblea di approvazione del bilancio da parte dei sindaci non può essere ritenuta condotta incidente e concorrente all'attività criminosa degli amministratori.

A fronte di questa doglianza la Corte Suprema, con la sentenza in esame, ha ripercorso il solco di precedenti pronunce sul tema, affermando che i membri del collegio sindacale rispondono in concorso, ex art. 40 cpv. c.p., a titolo di dolo eventuale, quando ricorrano elementi di sospetto, nella gestione societaria, che avrebbero dovuto indurre gli stessi ad intervenire esercitando il controllo a loro demandato, per impedire l'evento. Ciò che, dunque, va accertato semmai non è l'omissione del controllo, che è la premessa logico-fattuale dell'imputazione a carico dei sindaci, ma l'esistenza di elementi di fatto costituenti indizi tali da far ritenere che la gestione societaria non fosse corretta. E' in questo quadro, infatti, che l'inerzia del collegio sindacale si traduce in prospettazione della possibilità che chi amministra stia consumando condotte contra legem e contestuale accettazione di tale rischio: dunque, una consapevole e volontaria omissione di intervento a fronte di una situazione di fatto che rendeva evidente un rischio di attività illecita.

Di più: la pregnanza dell'intervento dei sindaci deve essere particolarmente elevata, poiché essi non possono accontentarsi di una parvenza superficiale di correttezza contabile, sulla scorta dei documenti messi a loro disposizione dagli organi societari, mentre si devono spingere ad esercitare poteri di accertamento dell'operato degli amministratori. Ecco perché, a parere della Corte, il mero assenso all'approvazione del bilancio societario non è incolpevole o privo di rilevanza, traducendosi invece, almeno in alcune circostanze che dovranno essere verificate caso per caso, in dolosa accettazione del rischio eventuale della commissione di reati.

L'altra questione cui merita far cenno, nella fattispecie che ne occupa, è la rilevanza della carenza ab origine dei requisiti soggettivi, in capo al soggetto che abbia rivestito la carica di membro del collegio sindacale di una società e ne abbia esercitato le funzioni, ai fini della valida nomina a sindaco.

Secondo la tesi difensiva, la intrinseca invalidità della nomina a sindaco farebbe venir meno, in relazione all'agente, la stessa posizione di garanzia che è il presupposto costitutivo della sua responsabilità concorrente per i reati di bancarotta (come si è visto supra).

La Corte ha respinto tale prospettazione, sul presupposto che la mancanza di requisiti soggettivi può avere semmai un rilievo contrattuale o incidere sulla validità della delibera di nomina, a nulla viceversa rilevando ai fini dell'affermata responsabilità penale omissiva concorrente.

Osservazioni

La questione concernente l'elemento soggettivo del reato in relazioneall'omesso controllo da parte del collegio sindacale è, a parere di chi scrive, assolutamente pregnante e degna di nota, almeno in linea generale e teorica. E' vero, d'altro canto, che la risposta interpretativa fornita dalla Corte di legittimità, in linea con i precedenti sul punto, appare di certo condivisibile e di buon senso, posto che non vi sono ragioni giuridiche che possano escludere la contestazione a titolo di dolo eventuale in relazione alla fattispecie in esame. E tuttavia, la doglianza sollevata dalle difese dei ricorrenti non è priva di fondamento, laddove non può darsi alcun automatismo tra l'omissione del controllo da parte dei sindaci e l'affermazione di responsabilità concorrente in capo agli stessi, solo ed unicamente in virtù dell'applicazione del disposto dell'art. 40 cpv. c.p. Non può essere esclusa, infatti, in assoluto ed in via generale l'ipotesi di un'inerzia del sindaco meramente negligente, colposa, e perciò del tutto irrilevante sotto il profilo del reato di bancarotta fraudolenta: occorre un quid pluris, che dovrà essere accertato e comprovato espressamente caso per caso, al fine di individuare quali elementi indiziarii eventualmente avrebbero dovuto segnalare l'eventualità di una amministrazione societaria illecita.

Quali elementi potranno essere ritenuti significativi in questo senso? Devono ritenersi valutabili, in questo senso, anche le caratteristiche soggettive degli amministratori, la confusività della tenuta contabile e documentale, l'approssimazione degli atti di gestione, ma anche la qualità e l'esperienza professionale dei sindaci stessi, nel senso che da essi tanto più sarà maggiormente esigibile un controllo sull'operato degli amministratori, quanto più la loro qualificazione professionale sia elevata. Sull'accertamento del dolo eventuale in concreto, perciò, da parte dei giudici di merito potrà concentrarsi eventualmente una difesa, sulla scorta della presenza o meno degli elementi oggettivi e soggettivi presenti nel caso in esame, non potendosi mai escludere in linea teorica – come già detto – una inerzia negligente dei sindaci.

Il tema ulteriore, ma strettamente correlato, dell'ampiezza del controllo che i sindaci debbono esercitare sulla gestione societaria, apre il fronte a un'ulteriore osservazione. Si dice, infatti, che al collegio sindacale è devoluto un obbligo di controllo particolarmente pregnante, che si deve spingere fino al contenuto degli atti di amministrazione e, comunque, deve verificare la rispondenza tra realtà contabile e situazione sostanziale e reale.

Su questo punto, la sentenza in esame fa riferimento ai doveri di diligenza e professionalità che, gravando sui sindaci, imporrebbero una condotta di questa ampiezza. Non è chiaro, allora, se si debba intendere che questo ampio controllo, questo esercizio di poteri invasivi nelle dinamiche societarie, debba essere svolto sempre, pur in assenza di quegli elementi di sospetto di cui si è appena detto. Il quesito non è di secondo momento, poiché, in caso affermativo, non si comprenderebbe il ragionamento sviluppato, appunto, sulla ricorrenza di indizi rivelatori di un rischio, ai fini di riconoscere integrato il dolo eventuale nel mancato controllo. Si dovrebbe concludere che sempre ed in ogni modo, la verifica puramente contabile sarà da ritenersi superficiale ed inidonea a preservare i sindaci da un rimprovero, addirittura a titolo di concorso, nella responsabilità penale dell'amministratore.

Questa questione è talmente centrale che porta con sé ulteriori sviluppi. Intanto questi poteri di controllo penetrante della gestione devono trovare il limite dell'insindacabilità delle scelte imprenditoriali ed amministrative, le quali, laddove non integrino fatti-reato, rientrano nella libera determinazione degli organi di gestione, quand'anche ritenute in ipotesi opinabili o sbagliate. In secondo luogo, il discorso può portare, come ha in effetti portato, ad interpretazioni giurisprudenziali che allargano la responsabilità dei sindaci per i reati de quibus da ipotesi di concorso omissivo a responsabilità diretta per i fatti di bancarotta. Ciò sulla scorta del fatto che anche i sindaci sarebbero destinatari degli stessi obblighi di completezza e verità nella redazione del bilancio, cosicché sarebbe improprio ritenerli soggetti che rispondono “in concorso” con fatti altrui (cioè dell'amministratore) e solo per omissione: nei confronti dei sindaci, secondo questa linea interpretativa, si deve ritenere ravvisabile una responsabilità diretta per fatto proprio commissivo, non già quindi per non aver impedito, ma per aver condiviso ed approvato con gli amministratori comunicazioni sociali e bilancio non corrispondenti al vero (Cass. pen. 21 ottobre 1999, n. 12018).

Resta fermo, ovviamente, l'obbligo dell'accertamento che essi sindaci abbiano avuto la consapevolezza della falsità o incongruenza delle scritture.

Quanto alla seconda questione di cui si è occupata la sentenza in commento e che qui è stata ripresa, concernente la carenza di requisiti per la valida nomina a sindaco della società, la soluzione fornita dalla Corte nel respingere la tesi difensiva appare del tutto conforme a regole di diritto. Rileva qui, all'evidenza, la circostanza che la carica di sindaco sia stata effettivamente ricoperta e le relative funzioni esercitate: una volta assodato ciò, è irrilevante, ai fini che qui si vorrebbero far valere, che quella nomina fosse viziata in origine e quindi revocabile, ciò attenendo a diversi profili (quali, appunto, la responsabilità contrattuale o l'invalidità della delibera di nomina), ma certo non a quelli penali.

Né può ritenersi corretta la definizione, a parere di chi scrive, di un tale agente quale “sindaco di fatto”, quasi per delineare la sua responsabilità penale sulla scorta di quella dell'amministratore di fatto della società. Immediato è il parallelo con la disciplina prevista dall'art. 2030 c.c. per chi gestisce gli affari altrui senza mandato, e ne assume di conseguenza la responsabilità.

Nel caso di specie, in realtà, pare più corretto ritenere che il sindaco che ha in concreto assunto la carica ed esercitato la funzione, sia a tutti gli effetti sindaco di diritto, non già di fatto, poiché realmente investito di una nomina, ancorché viziata da carenza di requisiti: prevale qui, giocoforza, la circostanza dell'aver esercitato la carica, in ciò fondandosi l'assunzione della posizione di garanzia (o degli obblighi di intervento diretto, di cui si è detto) che consentono nei suoi confronti la affermazione di responsabilità penale. Si pensi, infatti, per converso, alla pacifica non perseguibilità dei sindaci “supplenti” che, nonostante la nomina formale non abbiano mai posto in essere in concreto alcuna mansione.

Conclusioni

La responsabilità penale del collegio sindacale delle società si delinea in pieno come una responsabilità a tutto tondo, complessa ed estesa, a fronte di una percezione diffusa di un ruolo secondario dei sindaci rispetto alla gestione ed alla vita societaria.

Come si è visto, la vastità degli oneri che, in via di interpretazione dei doveri gravanti su di essi ad opera della legge civile, è possibile configurare a loro carico può spingersi fino ad esigere un intervento penetrante nelle dinamiche di amministrazione, che probabilmente potrebbe risultare di difficile attuazione nella realtà. Ma le conseguenze di un comodo “quieto vivere”, o di un controllo che si limiti alla verifica superficiale della correttezza contabile può portare addirittura a configurare a carico dei sindaci una responsabilità penale che travalica i confini posti dal capoverso dell'art. 40 c.p., per delinearsi come responsabilità diretta per fatto proprio.

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