Interessi moratori e usura: profili di illegittimità costituzionale
09 Marzo 2017
Massima
Gli interessi di mora non rientrano nel perimetro di operatività degli artt. 644 c.p. e 1815, comma 2, c.c.; il loro eventuale assoggettamento al tasso soglia, calcolato con riferimento ai soli interessi corrispettivi, è privo di razionalità e censurabile ex art. 3 Cost. Il caso
L'azione giudiziaria è promossa per contestare, nell'ambito di un rapporto di leasing, la pattuizione di interessi (anche moratori) usurari (L. n. 108/1996). La domanda è respinta dal giudice con una articolata motivazione tendente a dimostrare che gli interessi moratori non possono integrare una fattispecie usuraria, ferma restando la possibilità di ricondurli ad equità ex art. 1384 c.c. La questione
L'interessante decisione in commento si inserisce nel mai sopito dibattito sull'assoggettabilità o no degli interessi moratori alla disciplina antiusura (L. n. 108/1996); in particolare, il Tribunale di Milano introduce rilievi di carattere costituzionale nel panorama degli argomenti tradizionalmente utilizzati a sostegno dell'esclusione degli interessi di mora dalla disciplina antiusura. Le soluzioni giuridiche
Come noto, secondo un diffuso convincimento giurisprudenziale anche gli interessi di mora (autonomamente considerati) devono essere inclusi nelle soglie d'usura (per tutti Cass. nn. 4251/1992, 5286/2000, 14899/2000, 5324/2003, 350/2013, 602/2013, 603/2013 nonché Corte Cost. n. 29/2002, secondo cui è “plausibile l'assunto” che gli interessi di mora siano assoggettati al tasso-soglia). Il principale argomento abitualmente posto a sostegno di questo indirizzo è la affermata esistenza di un “principio di omogeneità di trattamento degli interessi, pur nella diversità di funzione” e la circostanza che “il ritardo colpevole […] non giustifica il permanere della validità di una obbligazione così onerosa e contraria alla legge” (così la Cassazione nelle decisioni da ultimo citate). Ulteriori argomenti a favore di questo orientamento (maggioritario) sono sintetizzabili come segue: a) la L. 28.2.2001, n. 24, di interpretazione autentica della L. n. 108/1996, testualmente disciplina gli “interessi […] promessi o convenuti, a qualunque titolo”, quindi anche gli interessi moratori (depone in tale direzione anche la Relazione governativa al d.l. n. 394/2000); b) l'art. 644 c.p. stabilisce il “limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari” senza operare distinzioni tra tipologie di interessi; c) i rischi di una utilizzazione strumentale degli interessi moratori, se sottratti alla disciplina antiusura; d) l'irrazionalità di sanzionare i vantaggi usurari nella fase fisiologica del rapporto e non in quella patologica (mora); e) gli interessi di mora, infine, secondo talune ricostruzioni sarebbero anch'essi “collegati alla erogazione del credito” (Trib. Torino 27 aprile 2016) ed avrebbero una funzione remunerativa, se determinati operando una maggiorazione (c.d. spread di mora) degli interessi corrispettivi (Trib. Torino 31 ottobre 2014; Trib. Pescara 30 aprile 2015). In sostanza, alla base dell'orientamento suddetto è posto un “principio di omogeneità di trattamento” degli interessi, desumibile dall'allineamento dei tassi moratori a quelli pattuiti per i corrispettivi previsto dall'art. 1224, comma 1, c.c.: anche gli interessi moratori, che troverebbero il loro fondamento nella naturale fecondità del denaro, avrebbero dunque una funzione almeno in parte remunerativa dell'uso di altrui denaro, senza una sostanziale soluzione di continuità tra la fase fisiologica e quella patologica del rapporto.
L'opposta tesi, che esclude la possibilità di applicare la normativa antiusura agli interessi moratori, valorizza invece proprio la differenza concettuale e funzionale degli interessi di mora rispetto agli interessi corrispettivi. Secondo questo indirizzo (in arg. Trib. Cremona 9 gennaio 2015; Trib. Milano 29 gennaio 2015; Trib. Roma 7 maggio 2015; Trib. Rimini 6 febbraio 2015; Trib. Brescia 24 novembre 2014; Trib. Salerno 27 luglio 1998; Trib. Macerata 1 giugno 1999; Trib. Napoli 5 maggio 2000; Trib. Treviso 12 novembre 2015; Trib. Modena 7 giugno 2016; Trib. Brescia 30 settembre 2016; Trib. Napoli 21 novembre 2016; Trib. Perugia 23 giugno 2016; v. anche Cass. Pen. n. 5689/2012), ad escludere l'assoggettamento degli interessi di mora alla normativa antiusura concorrono: a) il rilievo che gli artt. 1815, comma 2, c.c., e 644, comma 1, c.p., si riferiscono, rispettivamente, agli interessi "convenuti" e "in corrispettivo", dunque valorizzando la fase fisiologica del rapporto (Trib. Verona 12 settembre 2015); b) la circostanza che le Istruzioni della Banca d'Italia per il calcolo del tasso effettivo globale medio (TEGM) non contemplano gli interessi di mora (c.d. principio di omogeneità di confronto): la L. n. 108/1996 esige, infatti, la rilevazione comparata di “operazioni della stessa natura” (la mancanza di un tasso soglia ad hoc degli interessi moratori ha indotto parte della giurisprudenza di merito ad escludere la loro assoggettabilità alla disciplina sull'usura: Trib. Varese 26 aprile 2016 e Trib. Milano 28 aprile 2016). Tale ultimo profilo (omogeneità di confronto) è stato di recente autorevolmente messo in risalto anche dalla Cassazione (Cass. nn. 12965/2016 e 22270/2016); c) la diversa funzione degli interessi moratori - comunque eventuali - aventi natura risarcitoria/sanzionatoria, alternativa rispetto agli interessi corrispettivi, aventi invece natura remunerativa: “gli interessi moratori non remunerano affatto il creditore dell'erogazione del credito, ma lo ristorano per il protrarsi della perdita della disponibilità di somme di denaro che egli non ha accettato, ma che subisce per effetto dell'inadempimento del debitore e per un periodo di tempo non prevedibile” (Trib. Treviso 12 novembre 2015); d) la circostanza che il c.d. TAEG ‘comunitario' (cfr. Direttiva 2008/48/CE e Direttiva 2014/17/UE, entrambe recepite dal nostro ordinamento) non contempla gli interessi moratori (credito ai consumatori). Nella direzione dell'esclusione del tasso di mora dal perimetro di operatività della L. n. 108/1996 si pone anche un orientamento giurisprudenziale che argomenta tale esclusione alla luce del D.L. n. 132/2014, convertito in L. n. 162/2014, che all'art. 17, comma 1, ha novellato l'art. 1284, ult. comma, c.c., prevedendo che il saggio degli interessi (di mora), dal momento in cui è proposta la domanda giudiziale, ove non sia pattuito dalle parti, è pari a quello previsto dal D. Lgs. n. 231/2002 (tasso BCE + 8 punti): c.d. tasso legale di mora nelle transazioni commerciali. Tale tasso, con riferimento a certe categorie di operazioni, quali i mutui, è spesso risultato superiore al tasso-soglia: le parti, dunque, secondo questo indirizzo giurisprudenziale, ben potrebbero oggi pattuire un interesse di mora pari o anche superiore a quello del D. Lgs. n. 231/2002, quindi superiore al tasso-soglia, e non incorrere in usura, essendo la loro condotta conforme al nuovo dettato dell'art. 1284 c.c. (Trib. Cremona 9 gennaio 2015; Trib. Vibo Valentia 22 luglio 2015; Trib. Treviso 12 novembre 2015; Trib. Monza 3 marzo 2016; Trib. Varese 26 aprile 2016 e 29 novembre 2016; Trib. Milano 28 aprile 2016 e 29 novembre 2016; Trib. Modena 7 giugno 2016). Anche in ambito penale, infine, è rilevato che, in riferimento all'art. 644 c.p., “nulla è detto circa l'interesse moratorio che pertanto, stante il divieto di interpretazione analogica ed il principio di tassatività della norma penale, non può essere ricompreso nel calcoli relativi al superamento o meno del tasso soglia” (Trib. Lecce, GIP, 3 marzo 2016).
La decisione in commento, che aderisce all'orientamento giurisprudenziale da ultimo descritto, si segnala soprattutto per avere arricchito di riferimenti costituzionali il panorama degli argomenti contrari all'assoggettamento degli interessi moratori alla normativa in tema di usura. Nel dettaglio, è rilevato che il TEGM, sulla cui base è calcolato il tasso soglia, è determinato avendo a riferimento i soli interessi corrispettivi: applicarlo anche agli interessi moratori "significa dare vita a un'applicazione priva di base normativa, che in caso di interpretazione estensiva (tasso soglia calcolato con riferimento agli interessi corrispettivi da riferirsi anche agli interessi moratori) sarebbe priva di razionalità, e censurabile quantomeno ex art. 3 Cost. in quanto 1) applicherebbe la legge in difetto dei necessari provvedimenti di sostanziale attuazione all'ipotetica volontà del legislatore (i.e. la determinazione del tasso soglia di mora), e inoltre 2) finisce per omologare situazioni diverse (già solo nella prassi il tasso di mora è ben diverso, e più elevato, di quelli corrispettivi), violando il principio di eguaglianza di trattamento, del quale è corollario l'illegittimità di disciplinare allo stesso modo situazioni in realtà diverse". È altresì rilevato che sostenere il carattere usurario degli interessi di mora comporterebbe, attesa la natura sanzionatoria dell'art. 644 c.p., la configurazione del relativo reato pur in mancanza di una idonea rilevazione del tasso medio moratorio, e quindi di un correlativo tasso soglia: una siffatta interpretazione della disposizione si esporrebbe anche'essa, secondo il giudice milanese, ad una censura di costituzionalità. Dotato di una propria intrinseca ragionevolezza è, infine, il terzo rilievo di (potenziale) incostituzionalità della tesi del carattere usurario degli interessi moratori. L'art. 1815 c.c., è osservato, si riferisce agli interessi corrispettivi; il secondo comma deve essere letto in relazione al primo, che contempla una norma relativa alla struttura del contratto (l'art. 1815, comma 1, c.c. non avrebbe senso se riferito ai soli interessi moratori, perché in tale caso sarebbe superfluo, posto che basterebbero già gli artt. 1224 e 1282 c.c.). Stando così le cose, in caso di interessi corrispettivi usurari nella è dovuto, ma in caso di inadempimento trovano applicazione le regole codicistiche: responsabilità del debitore ex art. 1218 c.c. e conseguente produzione degli interessi di mora ex artt. 1282 e 1224 c.c. Se, invece, ad essere entro il tasso soglia fossero gli interessi corrispettivi, e usurari quelli moratori, ex art. 1815, comma 2, c.c. nulla sarebbe dovuto anche in caso di ritardato pagamento. Si tratterebbe, conclude il giudice, "di una asimmetria censurabile ex art. 3 Cost.". Conclusioni
Resta inteso che la pattuizione di interessi di mora eccessivi, pur se al di fuori del perimetro di operatività degli artt. 644 c.p. e 1815, comma 2, c.c., è comunque proficuamente tutelabile con gli strumenti dell'art. 33, comma 2, lett. f), del Codice del consumo nonché, negli altri casi, ex art. 1384 c.c. (riduzione ad equità), attesa la indubbia riconducibilità degli interessi di mora nell'alveo delle clausole penali. Tale soluzione, è stato autorevolmente osservato: "ha l'indubbio pregio di consentire una modulazione del tasso degli interessi di mora in considerazione delle peculiarità di ciascuna singola situazione concreta ed, in sede applicativa, potrebbe al tempo stesso giovarsi dei rilevamenti ufficiali circa l'andamento medio dei tassi d'interesse praticati sul mercato, utilizzabili quale parametro tendenziale del giudizio equitativo" (R. Rordorf, Presidente aggiunto della Corte di Cassazione).
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