Offerta pubblica di vendita di azioni e reato di manipolazione del mercato

01 Giugno 2017

Il reato di manipolazione di mercato di cui all'art. 185 D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 ha natura di illecito di mera condotta, essendo sufficiente per la sua integrazione che siano posti in essere comportamenti idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, senza che sia necessario il verificarsi di tale evento.
Massima

Il reato di manipolazione di mercato di cui all'art. 185 D.Lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (TUF) ha natura di illecito di mera condotta, essendo sufficiente per la sua integrazione che siano posti in essere comportamenti idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, senza che sia necessario il verificarsi di tale evento.

Il caso

Il consiglio di amministrazione della società SEA S.p.a., impresa esercente servizi aeroportuali partecipata dal Comune di Milano, dalla Provincia di Milano e dalla società F2i S.g.r. S.p.a., decideva di quotarsi sul mercato azionario, procedendo a un'offerta pubblica iniziale di azioni finalizzata all'ammissione in un mercato regolamentato (cd. IPO, acronimo di “initial public offering”). L'attività di cd. premarketing dell'offerta si svolgeva tra il 6 ed il 16 novembre 2012. In quest'arco temporale veniva determinato il prezzo di collocamento delle azioni in un intervallo variabile tra un minimo ed un massimo e veniva fissata la data di inizio delle operazioni di vendita per il 19 novembre 2015 ed il termine finale per il 30 novembre 2012. In data 15 novembre 2012, si svolgeva un consiglio di amministrazione, seguito da un comunicato stampa con cui si divulgavano informazioni sulle intenzioni societarie.

La decisione di quotarsi in borsa generava un conflitto con la società F2i S.p.a., socio di minoranza della SEA S.p.a.

Due consiglieri d'amministrazione della stessa SEA S.p.a. e l'amministratore delegato della F2i S.p.a., in data 19 novembre 2012, inviavano un esposto alla Consob, segnalando «presunte omissioni nel comunicato stampa della SEA successivo al consiglio di amministrazione del 15 novembre 2015 per la mancata comunicazione di un'informativa inerente ai fattori negativi di rischio nella procedura in atto». Di questo esposto era informata la stampa.

L'offerta pubblica di vendita delle azioni non sortiva effetto positivo. Il 30 novembre 2012, infatti, veniva ritirata.

In data 4 dicembre 2012, anche la SEA presentava un esposto alla Consob, evidenziando i comportamenti tenuti dal socio F2i anche attraverso le azioni dei due consiglieri di amministrazione della stessa SEA.

Nello stesso mese di dicembre, la società F2i S.p.a. acquistava le azioni della SEA s.p.a. che appartenevano alla Provincia di Milano, le quali, dopo l'insuccesso dell'IPO, «erano state poste in vendita con una procedura particolarmente rapida».

Così ricostruiti i passaggi fondamentali della vicenda come emergono dalla sentenza della Corte di cassazione, il pubblico ministero contestava all'amministratore delegato della società F2i S.p.a. e ai due consiglieri d'amministrazione della SEA S.p.a. l'illecito penale di cui all'art. 185 D. Lgs. n. 58/1998 (hinc, T.U.F.) nonché alla società F2i S.p.a. l'illecito amministrativo punito dall'art. 25-sexies del d. lgs. n. 231 del 2001 «per aver diffuso false notizie, provocando un'alterazione del prezzo di mercato delle azioni della SEA S.p.a. per la quale era stata avviata procedura per l'ammissione alla quotazione in borsa». In particolare, l'accusa ipotizzava che la F2i S.p.a., ostacolando il progetto del Comune di Milano di quotare in borsa la SEA, mirasse ad assumere una posizione dominante nella compagine societaria.

All'esito dell'udienza preliminare, con sentenza del 17 luglio 2015, il GUP del Tribunale di Milano dichiarava non doversi procedere nei confronti degli imputati e della società F21 S.p.a. in ordine ai reati ed all'illecito amministrativo loro rispettivamente ascritti.

Avverso questa decisione, il Procuratore della Repubblica proponeva ricorso per cassazione, lamentando, in primo luogo, la manifesta illogicità della sentenza nella parte in cui aveva escluso che le condotte tenute dagli imputati avessero influito sulla decisione del consiglio di amministrazione del 15 novembre 2012 di fissare il prezzo di collocamento delle azioni. La delibera del consiglio, infatti, costituiva una «semplice premessa rispetto ad ulteriori comportamenti illeciti», i quali avevano determinato la revoca dell'offerta pubblica di vendita.

Il ricorrente, inoltre, deduceva la violazione di legge perché la sentenza aveva escluso che la condotta contestata fosse riconducibile al reato di cui all'art. 185 T.U.F. Questo illecito penale, invece, concerne fatti relativi non solo agli strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato, ma anche a quelli per i quali sia stata presentata una richiesta di ammissione a detta negoziazione. Le azioni della SEA S.p.a. rientravano in questa seconda categoria, in quanto la società aveva presentato regolare richiesta ed era stata ammessa alla negoziazione con un provvedimento della Borsa italiana.

Con l'ultimo motivo, alternativo rispetto ai precedenti, il ricorrente deduceva la violazione dell'art. 2637 c.c., in quanto, dal momento che aveva ritenuto insussistente l'ipotesi delittuosa contemplata dall'art. 185 T.U.F., il Gup avrebbe dovuto valutare se il fatto fosse suscettibile di integrare il reato di aggiotaggio. Di questo reato avrebbero dovuto riscontrarsi i presupposti, essendo state diffuse notizie false idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari evidentemente reputati non quotati.

Le questioni

La prima questione affrontata dalla decisione in esame riguarda la configurabilità del reato di manipolazione del mercato durante lo svolgimento di un'offerta pubblica di vendita di azioni societarie finalizzata alla quotazione. A tale riguardo, la sentenza si è soffermata in particolare sul momento in cui le condotte illecite possono essere tenute nel corso di una procedura che, per sua natura, si sviluppa in tempi progressivi.

La seconda questione concerne gli elementi costitutivi del reato di aggiotaggio punito dall'art. 2637 c.c. ed il rapporto sussistente tra questo illecito e quello di manipolazione del mercato.

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando la decisione del Gup.

Il reato di manipolazione del mercato di cui all'art. 185 T.U.F. è di mera condotta. Per la sua integrazione è sufficiente che siano posti in essere comportamenti diretti a cagionare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari, senza che sia necessario il verificarsi di tale evento.

Trattandosi di un reato di pericolo concreto, è necessario che l'azione sia idonea a mettere in pericolo l'interesse protetto dalla norma, costituito dal corretto ed efficiente andamento del mercato al fine di garantire che il prezzo del titolo nelle relative transazioni rifletta il suo valore reale e non venga influenzato da atti o fatti artificiosi o fraudolenti.

Nel caso di specie, la Corte ha escluso la sussistenza di detta idoneità.

La determinazione del valore delle azioni offerte in vendita dalla SEA S.p.a., infatti, era avvenuta nella fase precedente alla trattativa di mercato, nell'ambito dell'attività di cd. premarketing dell'offerta promossa dalla società, che si era svolta tra il 6 ed il 16 novembre 2012. La condotta degli imputati, concretizzatasi nell'esposto alla Consob del 19 novembre 2012, pertanto, era successiva e, quindi, non avrebbe potuto influire sul prezzo delle azioni della SEA S.p.a.

Nel caso in esame, pertanto, secondo la Corte, non sussiste alcun elemento sintomatico di artifici posti in essere dagli imputati con conseguente alterazione del mercato azionario.

Anche il motivo con cui si prospettava la sussistenza dell'illecito di cui all'art. 2637 c.c. è stato ritenuto infondato.

Il reato di aggiotaggio commesso mediante “altri artifizi” è integrato da una condotta posta in essere al fine di alterazione del mercato. Questa condotta deve risultare oggettivamente artificiosa, venendo realizzata con modalità di azione, di tempo e di luogo di per sé tali da poter incidere sul normale andamento del corso dei titoli. Nel caso di specie, non è stata ravvisata tale connotazione della condotta degli imputati perché tenuta in epoca successiva a quella della determinazione della quotazione dei titoli oggetto di offerta al pubblico mercato.

Osservazioni

L'offerta pubblica di vendita (OPV) costituisce lo strumento per mezzo del quale una società offre agli investitori la totalità o una parte delle proprie azioni, con l'intento di allargare o, comunque, di modificare la propria compagine sociale o per realizzare, come nel caso di specie, operazioni di privatizzazione.

L'OPV può assumere differenti configurazioni in funzione dei soggetti destinatari dell'offerta stessa. Si distinguono, pertanto, offerte pubbliche, destinate al pubblico indistinto degli investitori, offerte istituzionali, rivolte unicamente agli investitori istituzionali e collocamenti privati, riservati ad un numero limitato di soggetti selezionati.

Qualora l'offerta pubblica di vendita sia finalizzata alla quotazione viene realizzata un'offerta pubblica iniziale (IPO) (F. Capriglione, L'ordinamento finanziario italiano, Padova, 2010, 902). Essendo rivolta al pubblico indistinto degli investitori, costituisce una fattispecie di sollecitazione all'investimento. La società che intende procedere alla sua realizzazione, pertanto, deve dare preventiva comunicazione alla Consob specificando tutte le caratteristiche dell'offerta, elencando tutti i soggetti che prenderanno parte all'operazione e indicando il ruolo di ciascuno. La società deve contestualmente redigere il prospetto informativo secondo lo schema indicato dalla stessa Consob (Francesco Accettella, Collocamento di strumenti finanziari, in Dig. comm., 2015).

L'IPO, come si comprende agevolmente, è un'operazione complessa che inizia con la decisione strategica della società relativa alla convenienza della quotazione e che si articola in più fasi ognuna delle quali coinvolge diversi soggetti (società emittente, global coordinator, sponsor, specialist, advisor finanziario, studi legali, membri del consorzio di collocamento).

La procedura di ammissione in Borsa, quindi, si svolge in un lungo arco temporale, all'interno del quale si compiono diverse fasi: pianificazione; due diligence, redazione del prospetto informativo e della documentazione obbligatoria per la quotazione; ammissione alla quotazione; costituzione del consorzio di collocamento; attività di marketing; road show; bookbuilding; collocamento; successiva negoziazione.

Uno dei momenti più delicati dell'IPO è la determinazione dell'intervallo di prezzo preliminare (cd. range) dell'offerta, che viene compiuta sulla base di una valutazione dell'impresa che deve essere quotata. La “forchetta” del prezzo di offerta giudicato equo dall'impresa e dagli intermediari viene pubblicata nel prospetto informativo, insieme ad una serie di informazioni riguardanti le modalità dell'offerta, i principali dati contabili dell'impresa e una relazione sulle sue strategie e sulle sue prospettive future.

Nella sentenza illustrata, la Suprema Corte non ha escluso che anche nel corso dell'IPO possa essere compiuto il reato di manipolazione del mercato, potendo essere tenute condotte volte a provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni.

L'art. 185, comma 1, T.U.F., più in particolare, incrimina due condotte tipiche, tra loro alternative, che si sostanziano nella “diffusione di notizie false” (c.d. manipolazione informativa) ovvero nel porre in essere “operazioni simulate” o “altri artifici” su strumenti finanziari idonei ad provocare «una sensibile alterazione del prezzo» (c.d. manipolazione operativa).

Nel caso in esame, viene in rilievo la condotta di diffusione di notizie false sugli strumenti finanziari per mezzo della pubblicazione in organi di stampa o della divulgazione, con qualsiasi altro mezzo idoneo a raggiungere un numero indeterminato di persone, anche se circoscritte nell'ambito di un determinato ambiente o settore produttivo.

Per notizia s'intende qualunque indicazione circostanziata e precisa sugli strumenti finanziari. Essa deve avere contenuto oggettivo, ossia consistere nella comunicazione di un fatto storico, dovendosi escludere dalla nozione contemplata dalla norma le impressioni soggettive, le critiche e le valutazioni personali, anche di tipo politico, e le cd. “voci di corridoio”.

La notizia falsa, perché difforme dalla realtà, deve possedere potenzialità lesiva nel senso di essere idonea a trarre in inganno i destinatari. Il carattere ingannatorio della condotta, comune ad entrambe le ipotesi delittuose previste dall'art. 185, comma 1, T.U.F., infatti, nella manipolazione informativa si esprime proprio nella falsità della notizia oggetto di diffusione.

La diffusione di notizie non veritiere determina un'errata percezione dell'andamento del mercato e l'alterazione della capacità di elaborazione delle informazioni da parte del pubblico, con effetti di falsa rappresentazione della realtà economica e contenuto illusorio per la generalità degli investitori, le cui scelte di investimento sono orientate verso direzioni che altrimenti non sarebbe seguite.

La condotta deve essere concretamente idonea a provocare una sensibile alterazione del prezzo degli strumenti finanziari (E. Amati, N. Mazzacuva, Diritto penale dell'economia, Padova, 2016, 318). Tale espressa previsione contenuta nella norma attribuisce alla fattispecie prevista dall'art. 185 T.U.F. la natura di reato di pericolo concreto (L. Giordano, A. Nocera, I reati finanziari, in C. Parodi (diretto da), Diritto penale dell'impresa, Milano, 2017, 483).

L'azione, dunque, deve essere in grado di mettere in pericolo l'interesse protetto dalla norma, costituito dal corretto ed efficiente andamento del mercato al fine di garantire che il prezzo del titolo nelle relative transazioni rifletta il suo valore reale e non venga influenzato da atti o fatti artificiosi o fraudolenti (Cass. pen. 6 maggio 2015, n. 45347; Cass. pen. 3 aprile 2014, n. 25450).

A tal riguardo, ad un vaglio di natura oggettiva sulla idoneità in astratto della condotta manipolativa sui prezzi dei prodotti, si deve affiancare una valutazione di tipo soggettivo, fondata sulla capacità in concreto dell'informazione di incidere sulle scelte di investimento del modello di “investitore ragionevole”. L'art. 181, comma 4, T.U.F., invero, individua l'informazione sensibile come quella che “presumibilmente un investitore ragionevole utilizzerebbe come uno degli elementi su cui fondare le proprie decisioni di investimento”.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha escluso che la condotta tenuta dagli imputati - e dalla società F2i S.p.a. cui era contestato l'illecito amministrativo – abbia avuto un'effettiva influenza sulla determinazione del prezzo delle azioni offerte in vendita dalla SEA S.p.a.

La definizione del loro valore tra un minimo ed un massimo, infatti, era avvenuta nell'ambito della fase di premarketing dell'offerta promossa dalla società, che si era svolta tra il 6 ed il 16 novembre 2012. La condotta degli imputati, concretizzatasi nell'esposto alla Consob del 19 novembre 2012 era successiva e, quindi, non aveva inciso sulla fissazione del range del prezzo delle azioni della SEA S.p.a.

Alla fissazione del prezzo definitivo, poi, non si era mai giunti, perché l'offerta era stata revocata.

La soluzione accolta dalla Corte appare suggerita dalla peculiarità della vicenda nella quale alla conclusione dell'IPO ed alla quotazione sul mercato delle azioni, dunque alla determinazione del prezzo di vendita definitivo, non si era arrivati perché, ai sensi dell'art. 95-bis, comma 2, T.U.F. la società SEA S.p.a. aveva revocato l'offerto di vendita delle azioni a seguito della pubblicazione di un nuovo prospetto (P. Fioruzzi, E.S. De Nardis, N.B. Puppieni, Art. 95-bis Revoca dell'acquisto o della sottoscrizione, in M. Fratini Marco, G. Gasparri (a cura di), Il testo unico della finanza, Torino, 2012, 1105)

Potrebbe sostenersi, tuttavia, che, seppur nell'ambito della forbice fissata dalla società che aveva deciso di quotarsi in Borsa, poteva essere valutata l'idoneità della condotta descritta ad influenzare il prezzo delle azioni.

Nel caso di offerta al pubblico di titoli, infatti, il prezzo definitivo sarebbe stato determinato dalle condizioni del mercato e dall'accoglienza degli investitori. Non può escludersi che l'esposto più volte indicato fosse atto astrattamente in grado di influenzare le scelte degli investitori, determinando il prezzo di vendita nell'ambito del predetto range. L'atto, del resto, era stato comunicato alla stampa allo scopo di informare i potenziali investitori.

L'accertamento dei potenziali effetti delle condotte di manipolazione sull'alterazione dei prezzi dei titoli, più in particolare, deve seguire criteri probabilistici, prescindendo dai risultati poi concretamente prodotti dalla diffusione dell'informazione falsa o della conoscenza degli atti fraudolenti.

A tal proposito, appare utile aggiungere che l'evento giuridico di pericolo concreto deve essere verificato attraverso il criterio della prognosi postuma, secondo una valutazione ex ante in rapporto ad una figura di investitore ragionevole.

In questa prospettiva, il fatto che l'offerta dei titoli da parte della società SEA S.p.a. sia stata revocata non solo non impedisce che la condotta, valutata ex ante, fosse reputata idonea ad influenzare il prezzo delle azioni nell'ambito della forbice predetta, ma anzi dimostra quanto le notizie fossero price sensitivity.

La valutazione sulla “sensibile” alterazione dei prezzi, inoltre, costituisce un dato non definibile in via anticipata, trattandosi di elemento di misurazione variabile in funzione dell'andamento storico dei prodotti finanziari e delle condizioni del mercato. In tal senso, potrebbe essere reputata sufficiente la variazione potenziale nella forbice del prezzo dell'offerta, se determinata da notizie false.

Anche seguendo questa diversa prospettazione, peraltro, per la configurabilità del reato sarebbe stato necessario dimostrare che le notizie diffuse comunicate erano false. Su questo profilo dalla sentenza della Corte di cassazione non emergono elementi di giudizio.

La Suprema Corte, inoltre, ha ritenuto che la condotta ha riguardato uno strumento rispondente alla previsione normativa dell'art. 185 T.U.F., perché, evidentemente, compiuta su titoli ammessi alla negoziazione.

Ciò esclude la configurabilità del reato di aggiotaggio previsto dall'art. 2637 c.c., che incrimina le manipolazioni che hanno per oggetto strumenti finanziari non quotati o per i quali non è stata presentata una richiesta di ammissione alla negoziazione in un mercato regolamentato ovvero incidono sulla stabilità di banche o di gruppi bancari.

Al riguardo, la Corte ha precisato che la tipicità della condotta di aggiotaggio non può essere desunta solo dalla ricorrenza del fine di alterazione del mercato perseguito dal suo autore, essendo invece necessario che la stessa risulti oggettivamente artificiosa. Occorre ravvisare comportamenti compiuti con modalità di azione, di tempo e di luogo di per sé tali da poter incidere sul normale andamento del corso dei titoli (Cass. pen. 8 novembre 2012, n. 4324). Secondo la decisione in esame, pertanto, l'esclusione della sussistenza del reato deriva anche dalla mancata dimostrazione di una condotta artificiosa.

Su quest'ultimo aspetto, peraltro, va considerato che anche la fattispecie di aggiotaggio prevede, accanto alla condotta “manipolativa”, quella “informativa” che appare attagliarsi meglio alla contestazione sollevata (F. D'Alessandro, L'aggiotaggio e la manipolazione del mercato, in G. Canzio, L.D. Cerqua, L. Lupária, Diritto penale delle società, Padova, 2016, 729).

Questo punto, nondimeno, risulta marginale, dal momento che è stato accertato che la condotta ha riguardato strumenti finanziari “per i quali è stata presentata una richiesta di ammissione alle negoziazioni in un mercato regolamentato italiano o di altro Paese dell'Unione europea” e, dunque, riconducibili all'ambito operativo dell'art. 185 T.U.F.

Nella decisione, infine, la Suprema Corte ha riproposto l'indirizzo giurisprudenziale secondo cui l'elemento differenziale delle ipotesi delittuose di manipolazione del mercato, rispetto agli omologhi illeciti amministrativi di cui all'art. 187-ter T.U.F., anch'essi denominati di manipolazione del mercato, è la presenza di condotte qualificabili lato sensu come truffaldine o artificiose, idonee a concretizzare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari (Cass. 16 marzo 2006, n. 15199).

Gli illeciti amministrativi in tema di abuso di mercato, invero, per la loro struttura, sono pressoché sovrapponibili rispetto a quelli penali e ben possono colpire i medesimi fatti materiali. Attuando nel 2005, con la legge n. 62/2005, la direttiva 2003/6/CE, infatti, il legislatore ha creato un sistema complesso, che si articola su un duplice regime sanzionatorio, definito in gergo “doppio binario” cd. cumulativo.

Questo genere di modello non era escluso dalla direttiva comunitaria predetta che, all'art. 14, obbligava gli Stati membri ad adottare sanzioni amministrative efficaci, dissuasive e proporzionate ai comportamenti, ma riconosceva loro la facoltà di prevedere, per gli stessi fatti, anche illeciti penali. Con la sentenza del 4 marzo 2014, Grande Stevens ed altri c. Italia, come è noto, la Corte EDU ha affermato che la pendenza del procedimento penale per il reato di manipolazione del mercato secondo la legge italiana, dopo che sia divenuto definitivo il procedimento amministrativo con cui la Consob ha applicato sanzioni amministrative per i medesimi fatti, costituisce violazione del divieto del bis in idem, ai sensi dell'art. 4, Protocollo n. 7, della CEDU. Su questo stesso tema è tornata la Corte EDU con la sentenza del 15 novembre 2016, nelle cause n. 24130/11 e 29758/2011, A. e B. contro Norvegia, fissando i limiti e le condizioni di legittimità del regime del doppio binario sanzionatorio alla luce del divieto di bis in idem sancito dall'art. 4, Protocollo n. 7, della CEDU. Secondo questa decisione, non costituisce violazione dell'art. 4, Protocollo n. 7, CEDU la previsione di norme interne che consentano di avviare, per la repressione del medesimo fatto-reato, il procedimento penale e quello amministrativo separatamente ed in modo parallelo ovvero di dare priorità nella trattazione al più grave e socialmente riprovevole aspetto concernente illecito penale, con la possibilità di irrogare sanzioni di tipo diverso, tra loro variamente cumulate o combinate. E' stato ritenuto insita in ciascun sistema processuale la previsione di separati piani sanzionatori e non può essere suscettibile di sindacato la scelta del legislatore nazionale di prevedere un duplice binario processuale, penale ed amministrativo, per la medesima condotta illecita (L. Giordano, A. Nocera, I reati finanziari, in C. Parodi (diretto da), Diritto penale dell'impresa, Milano, 2017, 500).

Conclusioni

La decisione in esame, dunque, non esclude l'astratta configurabilità del reato di manipolazione del mercato nel corso dell'IPO. La Suprema Corte, tuttavia, ha affermato che il reato non può essere commesso con la diffusione di notizie false dopo la determinazione del range in base al quale sarà determinato il prezzo delle azioni.

Nella peculiare vicenda esaminata, infatti, è stata adottata una soluzione rigorosa, consigliata verosimilmente dal fatto che alla conclusione dell'IPO ed alla quotazione sul mercato delle azioni, cioè alla determinazione del prezzo di vendita definitivo, non si era arrivati, perché la società SEA S.p.a. aveva revocato l'offerta di vendita delle azioni dopo la pubblicazione di un nuovo prospetto.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.