Rappresentanza dei liquidatori nel procedimento di revoca del concordato
03 Ottobre 2016
Massima
L'assemblea di una s.p.a. può disporre limitazioni dei poteri dei liquidatori anche con riguardo alla rappresentanza della società stessa, sicché, ove i poteri rappresentativi, senza distinzione fra attività negoziali ed attività processuali, risultino dall'assemblea conferiti congiuntamente a tutti i liquidatori, è inammissibile il ricorso per cassazione proposto per la società in base a mandato difensivo conferito da uno solo di essi.
Stante la natura unitaria del procedimento previsto dall'art. 173 l. fall., in caso di revoca del concordato e contestuale richiesta di fallimento, il diritto di difesa della società fallenda risulta garantito dall'udienza di convocazione delle parti in vista della decisione sulla revoca del concordato, senza che siano necessari ulteriori adempimenti procedurali. Il caso
Con ricorso depositato presso la Suprema Corte di Cassazione, un ex liquidatore (nonché già socio e amministratore) di una società per azioni (dichiarata fallita) impugna la sentenza della Corte d'appello con la quale è stato respinto e dichiarato inammissibile il reclamo a suo tempo presentato dal liquidatore in questione contro il decreto-sentenza del Tribunale che aveva revocato la pregressa ammissione al concordato preventivo della s.p.a. e dichiarato il fallimento della s.p.a. medesima. La Corte d'appello aveva ritenuto innanzitutto inammissibile il reclamo, proposto da un solo liquidatore, in quanto i poteri rappresentativi della società erano stati conferiti congiuntamente a un collegio di tre liquidatori: la procura alle liti, conferita per la proposizione del reclamo in appello a uno solo dei tre liquidatori, non poteva dunque essere considerata valida al fine della legitimatio ad processum della s.p.a. medesima. Di conseguenza, il reclamo proposto alla Corte d'appello era stato da quest'ultima preso in considerazione esclusivamente come depositato dal singolo liquidatore in proprio, non in rappresentanza della s.p.a. La Corte d'appello aveva dunque esaminato il reclamo soltanto dal punto di vista dell'interesse personale di cui era portatore l'ex liquidatore reclamante (già socio e amministratore della s.p.a.) analizzandolo nel merito esclusivamente da questo punto di vista, e lo aveva infine giudicato infondato.
Innanzitutto, la Corte di II grado aveva ritenuto che il Giudice di prime cure avesse correttamente avviato il procedimento previsto e descritto dall'art. 173 l. fall., sussistendone i presupposti: dopo che la s.p.a. era stata ammessa al concordato preventivo, erano emersi ricavi non contabilizzati per circa 2 milioni di Euro relativi a immobili compravenduti dalla s.p.a. La grave circostanza de qua era stata immediatamente comunicata al Tribunale dal commissario giudiziale, come dovuto. Il Tribunale aveva quindi aperto d'ufficio il procedimento per la revoca dell'ammissione al concordato preventivo e aveva dato comunicazione di tale avvio del procedimento ai creditori e al pubblico ministero. Il Tribunale aveva quindi accertato la sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 1 e 5 della l. fall. e, su richiesta del PM, aveva dichiarato il fallimento della s.p.a. con sentenza contestuale al decreto di revoca della pregressa ammissione al concordato. La Corte d'appello ha ribadito dunque l'unitarietà del procedimento che, volto inizialmente a indagare la sussistenza dei presupposti per la revoca del concordato in precedenza autorizzato, sfocia poi, in caso affermativo, nell'ulteriore valutazione circa la sussistenza dei presupposti di fallibilità, ai sensi degli artt. 1 e 5 l. fall. e, in caso positivo, su richiesta dei creditori o del PM, nella dichiarazione di fallimento (decreto di revoca del concordato e contestuale sentenza di fallimento). Sulla base di tale affermata unicità del procedimento, la Corte d'appello ha condiviso la tesi, pressoché unanime, secondo la quale il giudice delegato alla trattazione debba essere il medesimo, sia per quanto concerne la valutazione dei presupposti che possono determinare la revoca del concordato preventivo che per quanto riguarda la sussistenza degli elementi che giustificano anche la dichiarazione di fallimento.
La Corte d'appello ha ritenuto, inoltre, che la circostanza per cui la s.p.a. fosse comparsa all'udienza ex art. 15 l. fall. a mezzo di difensore ma in persona di uno soltanto dei liquidatori, potesse rilevare sotto il profilo della carenza, in capo all'unico liquidatore comparso, dei poteri di amministrazione e rappresentanza della s.p.a. in liquidazione, ma che non potesse privare lo stesso anche della legittimazione a ricevere, nell'interesse della società, le comunicazioni effettuate in udienza dal Tribunale, il quale aveva reso edotto il liquidatore comparso dell'iniziativa di fallimento ad opera del PM. Per questi motivi, la s.p.a. in liquidazione non aveva alcun diritto ad essere nuovamente informata dell'iniziativa volta alla dichiarazione di fallimento. Le questioni
L'ex liquidatore, già socio e amministratore della s.p.a., ricorre in Cassazione sulla base di cinque motivi. Con il primo, il ricorrente ritiene che la Corte d'appello abbia violato gli artt. 75 e 182 c.p.c. in quanto anche un solo liquidatore (già socio e amministratore) avrebbe potuto reclamare il provvedimento di I grado costituito dal decreto di revoca del concordato preventivo e dalla contestuale sentenza di fallimento; in ogni caso, qualora il Tribunale avesse ritenuto che necessitasse una procura conferita a tutti e tre i liquidatori, avrebbe dovuto concedere un termine alla parte per consentire la costituzione, nel giudizio di reclamo, anche degli alti due liquidatori. In secondo luogo, la Corte d'appello avrebbe violato l'art. 24 Cost. nel ritenere unitario il procedimento ex art. 173 l. fall. e, così facendo, nel ritenere che il difensore nominato dalla s.p.a. in liquidazione per il procedimento di revoca del concordato potesse considerarsi nominato anche per il procedimento di dichiarazione di fallimento. In terzo luogo, vi sarebbe stata violazione degli artt. 173 e 15 l. fall. avendo la Corte d'appello considerato come unitario il procedimento di revoca del concordato e quello volto alla dichiarazione di fallimento, anziché ritenerle due fasi distinte, con conseguente necessità di una nuova delega al giudice istruttore. Con il quarto motivo, l'ex liquidatore della s.p.a. fallita ritiene illegittimo che lo stesso giudice sia autorizzato a istruire sia la fase volta alla revoca del concordato preventivo che quella orientata all'eventuale dichiarazione di fallimento. Infine, il ricorrente si duole della violazione degli artt. 137 e ss. c.p.c. e dell'art. 106 del D.P.R. n. 1229/1959 in quanto sarebbe stata irrituale la convocazione della società in liquidazione per l'istruttoria fallimentare in occasione della stessa udienza chiamata per la discussione sulla sussistenza dei presupposti per la revoca del concordato preventivo. Osservazioni
Il provvedimento in commento prende in esame due temi in particolare:
I. il tema delle peculiarità dei poteri rappresentativi conferiti ai liquidatori al momento della loro nomina, così come previsto dall'art. 2487 c.c. La norma codicistica contempla la possibilità che siano nominati più liquidatori (collegio) per la medesima società e che il potere di rappresentanza dell'ente sia attribuito non a tutti i liquidatori nominati, ma soltanto ad uno o ad alcuni tra di essi (lett. b), art. 2487 c.c.). Tale possibilità costituisce eccezione alla regola per cui il potere di rappresentanza si intende conferito a tutti i liquidatori nominati, se sono più d'uno, motivo per cui un'eventuale deroga sul punto deve essere indicata per iscritto nell'atto stesso di nomina dei liquidatori. Nel caso in esame, il reclamo alla Corte d'appello è stato proposto da parte di un solo liquidatore, mentre emerge che la rappresentanza della s.p.a era stata devoluta dall'assemblea a tutti e tre i liquidatori nominati, congiuntamente tra loro: il reclamo avverso il decreto/sentenza di I grado avrebbe quindi dovuto essere proposto da tutti i liquidatori nell'interesse della società (cfr. art. 75, comma 3, c.p.c.). Quanto, poi, al potere/dovere del giudice di assegnare alle parti un termine perentorio per sanare l'eventuale difetto di rappresentanza rilevato d'ufficio (art. 182, comma 2, c.p.c.), argomento richiamato dal ricorrente in Cassazione a sostegno del primo motivo di impugnazione, la Suprema Corte rileva innanzitutto l'indeterminatezza dell'oggetto della doglianza medesima, non adeguatamente coltivata dal ricorrente e, in ogni caso, osserva che il testo dell'art. 182 c.p.c., nella formulazione applicabile ratione temporis alla fattispecie sub iudice in I grado, attribuiva al giudice soltanto un potere discrezionale di integrazione del rilevato difetto di rappresentanza e non un dovere in tal senso (così come invece previsto a seguito della modifica legislativa apportata al comma 2 dell'art. 182 c.p.c. dall'art. 46, comma 2, L. n. 69 del 18.06.09, a decorrere dal 4.7.09 per i giudizi successivamente instaurati), qualora la parte avesse esplicitamente richiesto al giudice di concederle un termine di rinvio per effettuare la suddetta integrazione (in tal senso: Cass. sent. n. 17301/2013: “La mancata assegnazione di un termine per l'eventuale sanatoria della procura ritenuta invalida non comporta violazione dell'art. 182 c.p.c., se non in caso di diniego a fronte di una esplicita richiesta della parte, che ben può attivarsi, come ha fatto tardivamente, per il rilascio di una nuova e valida procura nel caso in cui, come quello per cui si controverte, la questione della validità della procura sia stata oggetto dell'attività defensionale e istruttoria.”). Peraltro, nel caso di specie, l'ex liquidatore reclamante in appello non aveva nemmeno svolto alcuna attività tesa a ottenere dal giudice di II grado la concessione di un termine perentorio per l'integrazione del difetto di rappresentanza della s.p.a.
II. Il secondo tema esaminato dal provvedimento in commento è quello dell'unitarietà del procedimento previsto e descritto dall'art. 173 l. fall. La norma in questione è stata modificata a mezzo dell'art. 14 del D. Lgs. n. 169/2007, con efficacia a decorrere dal 01.01.08: la modifica legislativa è quindi applicabile, ratione temporis, alla fattispecie in esame (s.p.a. ammessa al concordato preventivo con Decreto del 8.07.08). A seguito della novella anzidetta, l'art. 173 l. fall. esprime chiaramente una ratio volta a sancire l'unitarietà del procedimento che, iniziato per valutare la sussistenza dei presupposti per la revoca del concordato preventivo, può proseguire con l'analisi anche dei presupposti che, ai sensi degli artt. 1 e 5 l. fall., comportano la dichiarazione di fallimento. Il procedimento che indaga la sussistenza dei presupposti per la revoca del precedente decreto ammissivo del concordato si svolge secondo le regole di cui all'art. 15 l. fall. e, all'esito, il giudice delegato per l'istruttoria emette decreto: in caso di ritenuta sussistenza degli elementi che giustificano la revoca del concordato, qualora al giudice delegato sia giunta richiesta in tal senso da parte dei creditori o del PM, viene immediatamente avviata anche l'istruttoria circa la sussistenza dei presupposti di fallibilità e, in caso affermativo, il (medesimo) giudice delegato pronuncia sentenza di fallimento contestualmente (in uno) all'adozione del decreto di revoca del concordato preventivo. La Suprema Corte ritiene dunque corretto che la società rispetto alla quale sono stati ritenuti sussistenti i presupposti per la revoca del concordato sia messa a conoscenza della richiesta pervenuta al giudice istruttore da parte del PM (o del/i creditore/i) di avviare anche l'ulteriore indagine sui presupposti di fallibilità in occasione della stessa udienza di convocazione delle parti in vista della decisione sulla revoca del concordato. La Cassazione ritiene che non siano necessari ulteriori adempimenti procedurali affinchè sia assicurato il diritto di difesa della fallenda società e che sia in tal modo rispettato il procedimento descritto all'art. 15 l. fall., avendo il difensore presente in udienza la possibilità di interloquire immediatamente anche in merito alla sussistenza dei presupposti di fallibilità, nonché di visionare i documenti depositati e di estrarne copia. Secondo la Cassazione, in particolare, sussiste un rapporto di complementarietà inscindibile tra le questioni trattate, da un lato, nel procedimento che porta alla revoca del concordato e, dall'altro lato, in quello che sfocia nella dichiarazione di fallimento, motivo per cui il diritto di difesa della società in concordato al vaglio di revoca potrà essere fatto valere contestualmente anche per quanto riguarda i presupposti di fallibilità che alla stessa dovessero essere contestati. Secondo la Cassazione, quindi, la società debitrice non deve essere nuovamente convocata, non essendo necessario instaurare il contraddittorio con specifico riferimento all'istanza di fallimento, già esaminata all'interno dell'udienza chiamata per la decisione sulla revoca del concordato preventivo. Il riferimento normativo è il comma 2 dell'art. 173 l. fall., secondo il quale la sentenza di fallimento viene emessa, qualora ne sussistano i presupposti di legge, a conclusione del procedimento di revoca del concordato, senza che siano necessari ulteriori passaggi procedurali.
La sentenza in evidenza, così come quella in commento, sono confermate anche da Cass. Civ. Sez. I, sent., 23-06-2011, n. 13818; Cass. Civ. Sez. I, sent., 16-03-2012, n. 4209; Cass. Civ. Sez. I, sent., 31-01-2014, n. 2130. Conclusioni
Senz'altro condivisibile, conforme alla giurisprudenza in materia nonché alle norme di legge vigenti, risulta la sentenza della Suprema Corte n. 3813 dello scorso 26 febbraio, qui in commento, sia per quanto riguarda gli aspetti concernenti i poteri rappresentativi attribuiti ai liquidatori dall'assemblea, sia con riferimento all'interdipendenza tra il procedimento di revoca del concordato preventivo e quello di delibazione circa i presupposti di fallibilità. Non sono, infatti, ragionevolmente sostenibili diverse opzioni interpretative del dettato normativo di cui all'art. 173 l. fall.
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