Responsabilità degli amministratori per inadempimento della società
03 Dicembre 2015
Massima
Quanto all'inadempimento contrattuale di una società di capitali, esso non implica, di per sé, la responsabilità per danni dell'amministratore nei confronti dell'altro contraente, appunto perché il danno direttamente arrecato ai terzi ha una propria autonoma genesi, non derivando dal danno arrecato al patrimonio sociale.
Ove il terzo alleghi di essere stato indotto a contrattare con la società, che poi sia rimasta inadempiente, a ciò indotto dal fatto che dai bilanci risultassero circostanze non rispondenti al vero che lo abbiano indotto a concludere il contratto, egli è tenuto a provare la specificità di tali circostanze, nonché l'idoneità di esse a trarlo in inganno (Cass. 2 giugno 1989, n. 2685, in caso di effettuazione di forniture di merci alla società), importando il riferimento all'incidenza diretta del danno sul patrimonio del terzo danneggiato, quale tratto distintivo della responsabilità ex art. 2395 c.c., un esame rigoroso del nesso causale. In tali casi, può configurarsi allora un concorso tra l'inadempimento della società e l'illecito dell'amministratore.
A fronte dell'inadempimento contrattuale di una società di capitali, la responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti dell'altro contraente non deriva automaticamente da tale loro qualità, ma implica, secondo la previsione dell'art. 2395 c.c., la prova di una condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, del danno e del nesso causale tra questa e il danno patito dal terzo contraente. In particolare, in ipotesi di bilancio contenente indicazioni inveritiere, che si assumano avere causato l'affidamento del terzo circa la solidità economico-finanziaria della società e la decisione del medesimo di contrattare con essa, il terzo che agisca per il risarcimento del danno avverso l'amministratore che abbia concorso alla formazione del bilancio asseritamente falso è onerato di provare non soltanto tale falsità, ma anche, mediante qualsiasi mezzo di prova, il nesso causale tra il dato falso e la propria determinazione di concludere il contratto, da cui sia derivato un danno in ragione dell'inadempimento della società alle proprie obbligazioni.
Chi si duole della falsità di tali dati e risultanze (di bilancio) è tenuto ad allegare, e poi a dimostrare, anche l'idoneità dei medesimi a trarre in inganno la sua fiducia. Il caso
Con domanda di risarcimento del danno formulata (in epoca antecedente la riforma del diritto societario) mediante costituzione di parte civile nel processo penale promosso contro gli amministratori di una s.r.l., veniva richiesto dagli interessati l'accertamento della responsabilità degli amministratori stessi ai sensi dell'art. 2395 c.c., lamentando la conclusione di contratti preliminari di vendita di immobili mai realizzati, per i quali i promissari acquirenti avevano già versato acconti, a ciò indotti in forza del bilancio non veritiero predisposto dagli amministratori della s.r.l. medesima. Con ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Trieste, gli amministratori della s.r.l. contestavano la mancanza della prova da parte dei presunti danneggiati circa la sussistenza del nesso causale tra la condotta illecita degli amministratori e il danno lamentato dai terzi in conseguenza dell'inadempimento della società agli obblighi derivanti dai contratti preliminari di vendita anzidetti. Le questioni
Il concorso di responsabilità della società e degli amministratori in ipotesi di inadempimento contrattuale della società
Nella sentenza in esame è riguardata un'ipotesi di concorso tra l'inadempimento della società (alle obbligazioni derivanti dai contratti preliminari conclusi con i promissari acquirenti degli immobili) e l'illecito compiuto dagli amministratori (nella redazione di un bilancio falso, che abbia tratto in inganno il terzo che si sia trovato a contrarre con la società). E', qui, utile ribadire che il terzo che sia rimasto danneggiato per effetto dell'inadempimento contrattuale della società, al fine di ottenere il risarcimento dei danni dallo stesso subiti, può trovarsi nella facoltà di citare nel medesimo giudizio (o in giudizi separati) sia la società sia gli amministratori di quest'ultima, laddove ricorrano i presupposti previsti nell'articolo 2395 c.c. (nelle s.p.a. e nell'art. 2476, sesto comma nelle s.r.l.) (si veda Cass. 5 agosto 2008, n. 21130, in Giust. civ. Mass., 2008, 7-8, 1244; Cass. 3 dicembre 2002, n. 17110, in Giust. civ. Mass., 2002, 2100; Cass. 1° aprile 1994, n. 3216, in Foro it., 1995, I, 1302; Cass. 22 gennaio 1993, n. 781, in Le Società, 1993, 913; Cass. 21 maggio 1991, n. 5723, in Giust. civ. Mass., 1991; Cass. 2 giugno 1989, n. 2685, in Giust. civ. Mass. 1989, fasc. 6). La società sarà chiamata a rispondere a titolo di responsabilità contrattuale ai sensi dell'art. 1218 c.c. per la violazione delle obbligazioni contenute nel contratto concluso con il terzo (sia in virtù del rapporto organico con gli amministratori, sia in virtù del rapporto di preposizione con gli stessi, rilevante ai sensi dell'art. 2049 c.c.), mentre gli amministratori saranno chiamati a rispondere a titolo di responsabilità extracontrattuale ai sensi dell'art. 2395 c.c. per il comportamento che questi abbiano posto in essere direttamente in danno del terzo. In un tale scenario, qualora il terzo citi in giudizio soltanto la società e sussistano i presupposti per l'applicazione dell'articolo 2395 c.c. (si veda il paragrafo seguente), questa non potrà chiedere l'integrazione del contraddittorio mediante la chiamata in giudizio degli amministratori responsabili del comportamento dannoso. La chiamata in garanzia ai sensi dell'art. 32 c.p.c., infatti, è ammessa quando vi sia connessione oggettiva tra i titoli delle rispettive pretese, ovvero, quando sia unico il fatto generatore del danno (Cass. 12 luglio 2004, n. 12899, in Mass. Giur. It., 2004). In ogni caso, la società, qualora risulti soccombente all'esito del giudizio, potrà agire nei confronti degli amministratori per il risarcimento del danno subito mediante l'esercizio dell'azione di responsabilità ai sensi dell'art. 2393 c.c. (Cass. 22 gennaio 1993, n. 781, cit.).
La responsabilità degli amministratori verso il terzo e il nesso di causalità necessario
Gli amministratori possono essere ritenuti personalmente responsabili per il danno subito dal terzo che abbia concluso un contratto con la società amministrata nel caso in cui sia possibile provare che il terzo sia stato direttamente danneggiato, ossia qualora sia dimostrabile che specifici comportamenti degli stessi amministratori siano risultati idonei a trarre in inganno la fiducia del terzo. In proposito, le questioni di maggiore interesse sono rappresentate dall'interpretazione che debba essere data dell'avverbio “direttamente” utilizzato dal legislatore negli artt. 2395 c.c. e 2476, sesto comma c.c. e, di conseguenza, dall'individuazione del nesso di causalità necessario all'insorgere della responsabilità in parola. Deve condividersi l'opinione per cui l'interpretazione dell'avverbio “direttamente” debba essere ampia, non dovendo questo essere inteso quale sinonimo di “personalmente” (nel senso dell'appartenenza al terzo del diritto soggettivo leso), ma andando piuttosto riferito al rapporto di causalità giuridica che si instaura tra gli amministratori ed il danneggiato; derivandone la possibilità per il terzo danneggiato di agire nei confronti degli amministratori anche nel caso in cui tale terzo non abbia concluso alcun contratto con gli amministratori stessi, in applicazione, dunque, dei principi che sanzionano la responsabilità extracontrattuale ai sensi dell'art. 2043 c.c. (si veda, per tutti, F. Bonelli, La responsabilità degli amministratori, in Trattato delle società, a cura di Colombo - Portale, Torino, 1991, 450; F. Bonelli, Gli amministratori di s.p.a. dopo la riforma delle società, Milano, 2004, 223; Cass. 2 giugno 1989, n. 2685, cit. ; Cass. 1° aprile 1994, 3216, cit.; Cass. 5 agosto 2008, n. 21130, cit.). Né può ritenersi condivisibile l'interpretazione per la quale le prescrizioni dell'art. 2395 c.c. si applichino soltanto nelle ipotesi in cui il comportamento degli amministratori sia diretto a pregiudicare il terzo (si veda in tal senso App. Bologna, 27 maggio 1995, in Dir. fall., 1996, II, 307), giacché tra le cause di responsabilità l'art. 2395 c.c. (così come l'art. 2476, sesto comma c.c.) contempla non soltanto il dolo, ma anche la colpa. Ciò posto, deve, tuttavia, considerarsi che un'interpretazione eccessivamente estensiva dell'avverbio “direttamente” amplierebbe enormemente l'ambito di applicazione della norma, legittimando, ad esempio, l'instaurazione di azioni risarcitorie da parte di tutti coloro che abbiano riposto affidamento su un bilancio di esercizio inveritiero. Conseguentemente, si deve ritenere che gli amministratori siano ritenuti responsabili verso i terzi (e i singoli soci) soltanto nell'ipotesi in cui sussista uno specifico nesso di causalità tra il comportamento illecito degli stessi amministratori e il danno subito dal terzo, dovendo quest'ultimo provare in giudizio l'idoneità del comportamento degli amministratori a indurlo a contrarre con la società (oltre alla sentenza in commento, si veda in particolare Cass. 2 giugno 1989, n. 2685, cit.). Più precisamente, nell'ipotesi della redazione di un bilancio falso, il terzo è tenuto a provare che la falsità dei dati riportati nel bilancio sia stata specifica e idonea a trarlo in inganno, inducendolo a contrarre con la società; non ritenendosi che tra il semplice dato falso riportato in bilancio e l'induzione alla conclusione di contratti sussista un nesso eziologico sufficiente a far insorgere la responsabilità degli amministratori. Con riguardo, poi, a comportamenti ulteriori alla redazione del bilancio falso, si sottolinea che possono essere utili alla concretizzazione di un valido nesso eziologico tutti quei comportamenti (ad esempio, assicurazioni fornite al terzo circa la solidità finanziaria della società) che siano stati specificamente idonei a trarre in inganno la fiducia del terzo e ad indurlo a contrarre con la società: dovranno, quindi, essere individuati in giudizio precisi soggetti coinvolti, tempi, oggetto e modalità di tali comportamenti (si veda la sentenza in commento; Cass. 2 giugno 1989, n. 2685, cit.; Trib. Milano 20 marzo 2012, in Società, 2012, 6, p. 712). In merito ai criteri di accertamento del nesso causale, è poi utile sottolineare che la giurisprudenza segue il principio del “più probabile che non” (come richiamato anche nella sentenza in commento), secondo cui, se appare più probabile, che improbabile, che l'evento dannoso sia derivato eziologicamente dalla condotta attiva od omissiva di un soggetto, la responsabilità di quest'ultimo sarà fondata ed egli sarà chiamato a risarcire il danno (si veda Cass. 18 marzo 2015, n. 5450, in Società, 2015, 6, 767). In base a tale principio, “l'esistenza del nesso di causalità tra una condotta illecita ed un evento di danno può essere affermata dal giudice civile anche soltanto sulla base di una prova che lo renda probabile, a nulla rilevando che tale prova non sia idonea a garantire una assoluta certezza al di là di ogni ragionevole dubbio (Cass. 26 luglio 2012, n. 13214; Cass. 9 giugno 2011, n. 12686): infatti, la disomogenea morfologia e la disarmonica funzione del torto civile rispetto al reato impone, nell'analisi della causalità materiale, l'adozione del criterio della probabilità relativa (anche detto criterio del "più probabile che non"), che si delinea in una analisi specifica e puntuale di tutte le risultanze probatorie del singolo processo, nella loro irripetibile unicità, con la conseguenza che la concorrenza di cause di diversa incidenza probabilistica deve essere attentamente valutata e valorizzata in ragione della specificità del caso concreto, senza potersi fare meccanico e semplicistico ricorso alla regola del "50% plus unum"” (Cass. 21 luglio 2011, n. 15991).” (si veda Cass. 22 ottobre 2013, n. 23933, in Foro it. 2013, 12, I, 3419). Osservazioni
La sentenza in esame indica, in maniera del tutto condivisibile, la possibilità per il terzo di cumulare l'azione extracontrattuale verso gli amministratori ai sensi degli artt. 2395 c.c. e 2476, sesto comma c.c. con quella contrattuale verso la società. Viene altresì ribadita, ai fini dell'accertamento del nesso causale necessario all'insorgere della responsabilità degli amministratori, la necessità della prova della sussistenza di specifiche circostanze che siano state idonee a trarre in inganno il terzo che abbia contrattato con la società. Conclusioni
E' condivisibile quanto confermato nella sentenza in commento relativamente al cumulo delle azioni verso la società (per responsabilità contrattuale) e verso gli amministratori (per responsabilità extracontrattuale), come sopra detto. E' altrettanto condivisibile quanto statuito con riguardo all'onere probatorio richiesto ai fini dell'accertamento del nesso di causalità, giacché la sussistenza della responsabilità degli amministratori verso il terzo non può prescindere dall'accertamento di uno specifico comportamento dannoso degli stessi, in applicazione dei più generali principi dettati dall'art. 2043 c.c. in tema di responsabilità aquiliana. |