Nel sollevare la questione, il rimettente non si è preliminarmente interrogato sulla possibilità per una società di capitali di partecipare ad una società di fatto a fronte del disposto dell'art. 2361, comma 2, c.c.. Questo, infatti – a seguito delle modifiche introdotte dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6 – nel consentire alle società per azioni di assumere partecipazioni in imprese comportanti la responsabilità illimitata, stabilisce che tale assunzione sia deliberata dall'assemblea dei soci e che gli amministratori ne diano specifica informazione nella nota integrativa del bilancio.
Massima
Nel sollevare la questione, il rimettente (ndr: il Tribunale di BARI) non si è preliminarmente interrogato sulla possibilità per una società di capitali di partecipare ad una società di fatto a fronte del disposto dell'art. 2361, comma 2, c.c. Questo, infatti – a seguito delle modifiche introdotte dal decreto legislativo 17 gennaio 2003, n. 6 (Riforma organica della disciplina delle società di capitali e società cooperative, in attuazione della L. 3 ottobre 2001, n. 366) – nel consentire alle società per azioni di assumere partecipazioni in imprese comportanti la responsabilità illimitata, stabilisce che tale assunzione sia deliberata dall'assemblea dei soci e che gli amministratori ne diano specifica informazione nella nota integrativa del bilancio. Ebbene, il giudice a quo non ha verificato la compatibilità di tale previsione con la possibilità per le società di capitali di partecipare a società di fatto la cui costituzione avviene per facta concludentia, prescindendo, dunque, da qualunque formalità. In particolare, il Tribunale non ha preso posizione in ordine alla discussa questione concernente le conseguenze del mancato rispetto degli adempimenti previsti dall'art. 2361, comma 2, c.c., se, cioè, l'assunzione di partecipazioni in società di persone sia comunque efficace, rilevando eventualmente solo sul piano interno alla società ai fini della configurabilità di una responsabilità degli amministratori, ovvero se tale mancanza precluda la stessa possibilità per una società per azioni di partecipare ad una società di fatto. Il rimettente non ha nemmeno accertato se la conclusione valida per le società per azioni, cui ha specificamente riguardo l'art. 2361 c.c., possa estendersi anche alle società a responsabilità limitata per le quali manca una analoga previsione espressa. Poiché le soluzioni a tale questione emerse nella giurisprudenza di merito, così come in dottrina, non sono univoche, mentre la Corte di cassazione non si è ancora pronunciata, il rimettente avrebbe dovuto esprimersi su di essa dal momento che la soluzione positiva costituisce presupposto imprescindibile per l'eventuale applicazione della disposizione censurata. La mancanza di ogni argomentazione al riguardo si risolve in un difetto di motivazione sulla rilevanza della questione prospettata, comportandone l'inammissibilità.
Il caso
Il Tribunale di Bari, con ordinanza in data 20 novembre 2013, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, comma 5, l. fall. nella parte in cui non consentirebbe l'estensione del fallimento, originariamente dichiarato nei confronti di una società di capitali, ad una società di fatto costituita tra la società fallita e altri soci. Il Tribunale pugliese era stato chiamato a pronunciarsi su un ricorso ex art. 147, comma 5, l. fall. col quale il Curatore di una società a responsabilità limitata dichiarata fallita (Fallimento SRL) chiedeva l'accertamento dell'esistenza di una società di fatto tra la fallita SRL ed altri soggetti (sia persone fisiche sia altre società di capitali) e, conseguentemente, chiedeva che fosse dichiarato (in estensione del Fallimento SRL) anche il fallimento della predetta società di fatto (SDF tra la fallita SRL e gli altri soggetti persone fisiche e giuridiche) nonché dei singoli soggetti (PF e PG) quali soci illimitatamente responsabili. Nell'ordinanza di rimessione il giudice a quo si esprime in questi termini: «Orbene, ai sensi dell'art. 147, comma 5, l.fall., se, dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale, risulta che l'impresa è in realtà riferibile ad una società di fatto di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile, il Tribunale dichiara il fallimento della società (di fatto) e dei soci illimitatamente responsabili (così come previsto dall'art. 147, comma 4, l.fall., nel caso di fallimento di una società in cui, successivamente alla dichiarazione di fallimento, risultino dei soci illimitatamente responsabili). In base al tenore letterale dell'art. 147, comma 5, dunque, ove l'attività d'impresa sia riferibile non già al soggetto fallito, ma ad una più ampia compagine sociale della quale il fallito era socio illimitatamente responsabile, può operarsi l'estensione del fallimento alla società di fatto ed agli altri soci illimitatamente responsabili, unicamente nelle ipotesi in cui il fallimento originario (da estendere alla s.d.f.) riguardi un imprenditore individuale, e non già una società commerciale. Non pare possibile, in proposito, una interpretazione estensiva della norma in esame (come pure proposto in giurisprudenza: cfr. Trib. Vibo Valentia 10 giugno 2011, in Banca, borsa e tit. credito, 2013, 457; Trib. Forlì 9 febbraio 2008, in Fallimento, 2008, 1328), essendo chiaro il riferimento al fallimento "dell'imprenditore individuale", che esclude quindi la possibilità di procedere all'estensione del fallimento alla s.d.f., quando il fallimento originario riguardi una società di capitali, e quindi un imprenditore collettivo. Tale norma, tuttavia, ad avviso del Collegio, appare in contrasto con gli artt. 3, comma 1, e 24, comma 1, Cost., nella parte in cui, nell'ipotesi di fallimento originariamente dichiarato nei confronti di una società di capitali, non consente l'estensione del fallimento ad una società di fatto tra la società originariamente dichiarata fallita ed altri soci di fatto, siano essi persone fisiche o società». E, dopo avere sottolineato (i) che a seguito della riforma del diritto societario sono stati dissipati i dubbi in ordine alla possibilità, per le società di capitali, di partecipare a società di persone; ed anche (ii) che la regola dettata dall'art. 2361, comma 2, c.c. (possibilità di partecipare in altre imprese in veste di socio illimitatamente responsabile), ancorché dettata nell'ambito della disciplina delle società per azioni deve ritenersi applicabile anche alla società a responsabilità limitata (in base al riferimento contenuto dall'art. 111-duodecies disp att. c.c.) il Collegio barese reputava che in tal modo si creasse una violazione del dettato costituzionale sotto un duplice profilo. Una disparità di trattamento tra SDF, posto che, ove il fallimento venga richiesto immediatamente nei confronti della stessa società di fatto, esso sarebbe ammissibile ex art. 147, comma 1, l. fall., mentre non sarebbe possibile ove venga richiesto in estensione, quando il fallimento originariamente dichiarato riguardi una società di capitali. Ma anche una - diversa - violazione degli artt. 3 e 24 Cost. ove si consideri che, mentre è certamente possibile l'estensione del fallimento di un imprenditore individuale (persona fisica) ad una SDF con altre persone (sia persone fisiche sia società di capitali), tale estensione è esclusa quando il fallimento originario riguardi una società di capitali (questa è la tesi del Collegio rimettente) Sulla base di tali premesse, il Tribunale di Bari ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, comma 5, l. fall., “nella parte in cui, nell'ipotesi di fallimento originariamente dichiarato nei confronti di una società di capitali, non consente l'estensione del fallimento ad una società di fatto tra la società originariamente dichiarata fallita ed altri soci di fatto, siano essi persone fisiche o altre società, per contrasto con gli artt. 3, comma 1, e 24, comma 1, Cost.”.
Le questioni giuridiche e la soluzione
La Corte Costituzionale non si esprime sulla questione sollevata dal Collegio barese e non fornisce la sua interpretazione dell'art. 147, comma 5, l. fall. Infatti, il giudice delle leggi, ritenendo non accertata la sussistenza delle condizioni per l'eventuale applicazione dell'art. 147, comma 5, l.fall. alla fattispecie concreta all'esame del giudice a quo, ha ritenuto preclusa ogni verifica in ordine alla rilevanza della questione prospettata ed ha - quindi - dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, comma 5, del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 sollevata dal Tribunale di Bari in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. In pratica la Corte Costituzionale, mettendo in dubbio una delle affermazioni dalle quali muove il ragionamento del giudice a quo (ossia la configurabilità di una società di fatto tra società di capitali, anche per fatti concludenti e con le SRL), non affronta la questione centrale dell'estensione del fallimento ad una SDF composta anche da società di capitali e, suggerendo un coinvolgimento/pronuncia della Cassazione, non prende posizione, ma dichiara inammissibile la questione sottoposta al suo vaglio. Nella sentenza in commento, infatti, il giudice costituzionale afferma che il tribunale di Bari non si è preliminarmente interrogato sulla possibilità per una società di capitali di partecipare ad una società di fatto a fronte del disposto dell'art. 2361, comma 2, c.c. il quale - nel consentire alle società per azioni di assumere partecipazioni in imprese comportanti la responsabilità illimitata - stabilisce che tale assunzione sia deliberata dall'assemblea dei soci e che gli amministratori ne diano specifica informazione nella nota integrativa del bilancio. Secondo il giudice ad quem, il Collegio pugliese: - non avrebbe verificato la compatibilità di tale previsione con la possibilità per le società di capitali di partecipare a società di fatto la cui costituzione avviene per facta concludentia, prescindendo, dunque, da qualunque formalità; - non avrebbe preso posizione in ordine alla discussa questione sulle conseguenze del mancato rispetto degli adempimenti previsti dall'art. 2361, comma 2, c.c., se, cioè, l'assunzione di partecipazioni in società di persone sia comunque efficace, rilevando eventualmente solo sul piano interno alla società ai fini della configurabilità di una responsabilità degli amministratori, ovvero se tale mancanza precluda la stessa possibilità per una società per azioni di partecipare ad una società di fatto; - e neppure avrebbe accertato se la conclusione valida per le società per azioni, cui ha specificamente riguardo l'art. 2361 c.c., possa estendersi anche alle società a responsabilità limitata per le quali manca una analoga previsione espressa. La Corte Costituzionale, rilevando che tale questione è controversa in dottrina e tra le corti di merito, dopo aver sottolineato che la Corte di cassazione non si è ancora pronunciata sul punto, ha ritenuto inammissibile la questione di legittimità costituzionale per carenza di motivazione dell'ordinanza del giudice rimettente.
Osservazioni
Soluzione sbrigativa? Invito esplicito alla Corte di Cassazione ad esprimersi sul punto? A ben vedere, se rileggiamo l'ordinanza del tribunale di Bari non sembra che il giudice rimettente abbia omesso di esaminare (quantomeno per relationem) quegli interrogativi che la Corte reputa non affrontati. Nell'ordinanza di rimessione, infatti, si richiama esplicitamente l'art. 111-duodecies disp att. c.c. per sostenere l'applicabilità anche alle SRL dell'art. 2361 dettato per le SPA. Ed anche le ulteriori questioni, seppur non sviscerate dal tribunale di Bari, si potevano facilmente ritenere affrontate tramite il puntuale richiamo alla giurisprudenza di merito che ha esaustivamente affrontato tutti i temi ed i dubbi “rilevati” dalla Corte. Giurisprudenza di merito (Trib. Milano, 28 marzo 2013; Trib. Milano, sezione specializzata in materia di impresa b, sentenza n. 11985/2013 pubbl. il 30 settembre 2013; Trib. Nola, sez. commerciale, 29 maggio 2013; App. Catanzaro n. 846/2012; Trib. Brindisi 7 gennaio 2013; Trib. Vibo Valentia, 10 giugno 2011; Trib. Gela 15 ottobre 2013) che - sostanzialmente - sembra ormai propendere definitivamente per la configurabilità di una società di fatto tra società di capitali anche in assenza delle condizioni previste dall'art. 2361, comma 2, c.c. Una lettura sistematica della normativa - condivisa da chi scrive - conduce inevitabilmente ad identificare una società di fatto, ammissibile anche tra una (o più) persone giuridiche ed una (o più) persone fisiche, in quella società (più o meno occulta) nella quale sono rinvenibili tutti gli elementi previsti dall'art. 2247 c.c., desumibili anche per fatti concludenti. I pochi sostenitori della teoria definita “formalista” sono sempre più isolati (Trib. Mantova 24 aprile 2013 - v. anche i precedenti richiamati) e seguono una risalente impostazione che - forse - non tiene conto dell'importante indizio costituito dal nuovo art. 147 l. fall., il quale prevede espressamente l'ipotesi di cui ancora si dubita. Certo è che la Corte Costituzionale, con la pronuncia in commento, è in grado di ridare nuova linfa ai sostenitori della teoria cd. “formalista” e rimettere nuovamente in discussione l'approdo cui si era giunti. Ma il vero interrogativo sollevato dal tribunale di Bari era un altro. Partendo dall'assunto secondo il quale è certamente configurabile una società di fatto tra (e/o con) società di capitali anche in assenza delle condizioni previste dall'art. 2361, comma 2, c.c. (quindi desumibile anche per fatti concludenti, sulla base di indici rilevatori che evidenziano un disegno imprenditoriale unitario ed il perseguimento di interessi riferibili ad una unica società di fatto), il Collegio barese dubitava della possibilità di poter estendere il fallimento ex art. 147, comma 5, l. fall. nella (sola) ipotesi in cui il primo fallimento dichiarato riguardasse una SRL (o società di capitali in generale), ritenendolo - viceversa - chiaramente possibile (in base al tenore letterale dell'articolo/comma in commento) qualora il fallimento dichiarato per primo fosse quello di un imprenditore individuale. Questo il ragionamento del tribunale di Bari. L'art. 147, comma 5, l. fall., prevede che se, dopo la dichiarazione di fallimento di un imprenditore individuale, risulta che l'impresa è in realtà riferibile ad una società di fatto di cui il fallito è socio illimitatamente responsabile, il Tribunale dichiara il fallimento della società (di fatto) e dei soci illimitatamente responsabili. Ma tale ipotesi di estensione - stante il tenore letterale della norma - può verificarsi solo se il fallimento originario (da estendere alla SDF) riguardi un imprenditore individuale, e non già una società commerciale. Per tale motivo riteneva tale norma, così interpretata, lesiva degli art. 3 e 24 della Costituzione e chiedeva l'intervento del giudice delle leggi. Non si può fare a meno di rilevare che l'interpretazione del giudice a quo pure presta il fianco a diverse critiche laddove dà rilievo eccessivo al tenore letterale della norma e poco spazio ad una più corretta (almeno è la nostra idea) applicazione analogica/estensiva del comma in commento. Se si ritiene comunque possibile l'estensione del fallimento alla SDF composta anche da società di capitali, tale estensione deve essere possibile sia quando il primo fallimento dichiarato riguardi un imprenditore individuale sia quando l'originario fallimento riguardi una società. Già la semplice applicazione di tale principio costituisce interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata del sistema. Tale è l'interpretazione già fatta propria da numerosi tribunali che hanno deciso situazioni del genere (estensione alla SDF di fallimenti di SRL) senza ricorrere all' “incidente costituzionale” (v. tra le tante le già citate Trib. Milano, 28 marzo 2013; Trib. Nola, sez. commerciale, 29 maggio 2013). Chissà, magari la Cassazione sentirà il richiamo della Consulta e vorrà dire la sua sull'argomento!
Riferimenti giurisprudenziali, bibliografici e normativi
Si rimanda ai provvedimenti indicati in commento.
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