In sede di omologa del concordato proposto da un'impresa in amministrazione straordinaria ai sensi dell'art. 78 D.Lgs. 270/1999, il Tribunale è chiamato a operarne una valutazione anche nel merito, tenendo nel debito conto tutte le circostanze del caso concreto e i diversi interessi coinvolti.
Massima
In sede di omologa del concordato proposto da un'impresa in amministrazione straordinaria ai sensi dell'art. 78 D.Lgs. 270/1999, il Tribunale è chiamato a operarne una valutazione anche nel merito, tenendo nel debito conto tutte le circostanze del caso concreto e i diversi interessi coinvolti. In questa valutazione, occorre procedere:
a) alla verifica formale della legittimità della proposta (e del piano a questa collegato); b) alla verifica relativa alla sussistenza di un giusto equilibrio fra il sacrificio imposto ai creditori e l'interesse preminente alla ristrutturazione dell'impresa; c) alla verifica ex ante della capacità delle proponenti di soddisfare le obbligazioni nascenti dal concordato; d) alla verifica della sussistenza di concrete prospettive di ristrutturazione dell'impresa.
Nel concordato straordinario di ristrutturazione, in ragione della soluzione concordataria prescelta, è possibile modulare diversi gradi di soddisfacimento dei creditori, senza che ciò possa essere assimilato alle classi del concordato fallimentare, la cui corretta formazione è diretta alla verifica dell'approvazione della proposta da parte della maggioranza dei creditori medesimi. Il proponente del concordato straordinario deve individuare dei criteri ragionevoli sulla base dei quali graduare il soddisfacimento delle diverse categorie dei creditori e il Tribunale ha il compito di accertare non solo la sussistenza di concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico e delle attività imprenditoriali, ma anche che il sacrificio imposto ai creditori sia strettamente funzionale al raggiungimento del fine della ristrutturazione, affinché l'impresa sia in grado di recuperare in un tempo congruo un rapporto fisiologico tra costi e ricavi.
Le norme dettate in materia di concordato fallimentare possono ritenersi applicabili in sede di concordato straordinario solo quando risultino compatibili con gli scopi di questo. Tale giudizio di compatibilità non può essere esteso all'art. 124 l. fall. Il concordato fallimentare è, infatti, un concordato con scopo meramente liquidatorio, che ha quale oggetto l'universalità del patrimonio del debitore fallito in rapporto con la totalità dei debiti alla data di apertura del fallimento, mentre il concordato di ristrutturazione è uno strumento conservativo diretto alla prosecuzione dell'attività di impresa. Pertanto l'art. 124 l. fall., se ha senso con riferimento ai principi generali della par condicio creditorum e del rispetto dell'ordine delle cause legittime di prelazione, i quali presuppongono la destinazione dell'intero patrimonio del debitore al soddisfacimento di tutti i suoi creditori, non può essere utilmente invocato nell'ipotesi di concordato straordinario di ristrutturazione, nel quale ai creditori viene destinata quella parte del patrimonio del debitore che non risulti necessaria alla continuazione dell'attività di impresa. In siffatta evenienza, è fuor di luogo far questione di par condicio e di rispetto dell'ordine delle cause legittime di prelazione, né si impone, di conseguenza, la verifica (secondo i criteri stabiliti dalla richiamata disposizione) del grado di soddisfacimento dei singoli creditori privilegiati in caso di liquidazione totale del patrimonio della debitrice, e, quindi, in rapporto al ricavato dei beni oggetto di prelazione.
Nel concordato straordinario, l'obiettivo della ristrutturazione legittima la sottrazione ai creditori di parte (anche consistente) del patrimonio dell'impresa debitrice e, in particolare, del complesso dei beni (intesi in senso giuridico) necessari alla prosecuzione dell'attività imprenditoriale.
Il caso
Con sentenza in data 5 aprile 2013, il Tribunale di Palermo ha rigettato la domanda di omologazione della proposta unitaria di concordato straordinario di ristrutturazione avanzata dal liquidatore di AMIA S.p.A. in amministrazione straordinaria (società controllante) e di AMIA ESSEMME S.r.l. in amministrazione straordinaria (società controllata). La proposta prevedeva la scissione parziale di AMIA S.p.A. e la costituzione di una nuova società (che avrebbe assicurato la continuazione dell'esercizio dell'impresa), partecipata al 100% dal Comune di Palermo ed avente ad oggetto la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti nell'area del Comune di Palermo, attività qualificabile come servizio pubblico essenziale. Secondo la proposta formulata, la continuazione aziendale sarebbe stata garantita attraverso il conferimento alla società neocostituita (c.d. NewCo): a) di un patrimonio netto di circa cinque milioni di euro; b) dell'azienda riferibile ad AMIA ESSEMME S.r.l. composta dai rapporti di lavoro dipendente, dai debiti a questa correlati e da alcuni beni materiali di scarsa consistenza patrimoniale; c) da una parte delle attività facenti capo alla società scissa (AMIA S.p.A.), ad eccezione degli elementi del patrimonio non strettamente necessari alla prosecuzione dell'impresa, che sarebbero stati liquidati per garantire il soddisfacimento, nel termine di quattro anni, dei creditori concordatari e delle spese prededucibili. La proposta prevedeva, inoltre, il c.d. effetto obbligatorio, ossia la limitazione del diritto dei creditori concordatari al pagamento, ad opera della società scissa, delle sole percentuali previste nella proposta, con esclusione di ogni responsabilità in capo alla NewCo. Le classi e le percentuali di soddisfacimento dei creditori erano previste distintamente per le due società; sarebbe stato garantito il pagamento integrale dei crediti prededucibili, dei crediti privilegiati dei lavoratori già collocati a riposo e dei crediti IVA; mentre agli altri creditori, suddivisi in due classi separate (privilegiati e chirografari), veniva offerto un pagamento in misura percentuale. Secondo quanto prospettato dalle proponenti, infine, la società neocostituita sarebbe stata avviata in condizioni di equilibrio patrimoniale e finanziario, mentre avrebbe raggiunto l'equilibrio economico nel medio periodo al verificarsi di condizioni che, fatta eccezione per alcune di esse (riduzione progressiva del personale e rinegoziazione di alcuni rapporti contrattuali), sarebbero state rimesse direttamente alle scelte politico-amministrative ed alle risorse economiche del Comune di Palermo. La proposta di concordato straordinario come sopra sommariamente riassunta è stata avversata da un gran numero di creditori che ne hanno contestato la legittimità e la convenienza. Il Tribunale ha dunque proceduto ad un vaglio molto ampio della proposta, attinente sia a profili di legittimità che di merito, giungendo a respingere la richiesta di omologazione del concordato in quanto, pur garantendo un “giusto equilibrio” tra il sacrificio imposto ai creditori ed il perseguimento del “preminente” fine di ristrutturazione dell'impresa, la proposta ed il piano apparivano comunque non idonei a garantire il soddisfacimento delle obbligazioni concordatarie ed il raggiungimento in tempi brevi del riequilibrio economico da parte della NewCo.
Le questioni giuridiche e la soluzione
La sentenza in commento consente di analizzare l'istituto del cd. concordato straordinario di ristrutturazione, disciplinato dagli artt. 78 e 56, comma 3, ultimo periodo, D.Lgs. 8 luglio 1999, n. 270 (c.d. legge Prodi bis) e di chiarire alcuni aspetti fondamentali della disciplina ad esso applicabile. Infatti l'art. 78 D.Lgs. 270/1999 stabilisce che al concordato straordinario “si applicano le disposizioni dell'articolo 214, secondo, terzo, quarto e quinto comma della legge fallimentare, sostituito al commissario liquidatore il commissario straordinario”. Il fatto però che il c.d. decreto correttivo (D.Lgs. 12 settembre 2007, n. 169) abbia profondamente innovato il contenuto e la struttura dell'art. 214 l. fall. e gli articoli ivi richiamati senza aggiornare il D.Lgs. 270/1999 (o, comunque, senza coordinare le norme), determina una serie di difficoltà interpretative che impongono di adottare un'interpretazione adeguatrice di tali norme alla luce degli interessi peculiari che la disciplina dell'amministrazione straordinaria è diretta a contemperare.
Nello stato d'insolvenza della grande impresa, infatti, il fine pubblico della conservazione della stessa nell'interesse dell'economia e della salvaguardia dei livelli occupazionali induce necessariamente a ridisegnare gli equilibri di un contesto in cui la massimizzazione del profitto da parte dei creditori non rappresenta più l'obiettivo unico della procedura, ma deve concorrere con le esigenze a cui tende la procedura dell'amministrazione straordinaria.
Il concordato straordinario di ristrutturazione è, infatti, un istituto diverso da quelli previsti dalla legge fallimentare e da quello previsto nell'ambito della liquidazione coatta amministrativa, avendo in comune con quest'ultimo soltanto la caratteristica della coattività e cioè della mancanza di votazione da parte dei creditori (anche se il ruolo di questi ultimi diventa più rilevante con la riforma). Tale differenza sostanziale, che contraddistingue il concordato straordinario di ristrutturazione anche dal concordato straordinario liquidatorio, si riflette sull'obiettivo principale cui deve tendere la soluzione concordataria finalizzata alla conservazione dell'impresa, che è quello di realizzare un giusto equilibriotra i due distinti interessi coinvolti: l'interesse alla conservazione dell'impresa e quello dei creditori alla soddisfazione dei propri diritti. Questa, in sintesi, la matrice del ragionamento del Tribunale di Palermo nella sentenza in commento, nella quale sono state adottate una serie di soluzioni che, nell'ottica di un'interpretazione adeguatrice delle norme in tema di concordato fallimentare richiamate, appaiono nel loro complesso condivisibili (in quanto finalizzate a realizzare un equo contemperamento degli interessi in gioco) purché interpretate nell'ottica della massima tutela possibile di tutti gli interessi coinvolti (sia pubblici che privati). Orbene, con riferimento al concordato straordinario, nella decisione in commento appaiono di particolare interesse: a) l'attribuzione all'autorità giudiziaria di un ruolo decisivo nell'apprezzamento del giusto equilibrio tra interessi pubblici e privati; b) l'ampiezza del sindacato giurisdizionale nella fase di omologazione ed il criterio scelto per la valutazione di merito della proposta; c) nell'ottica del bilanciamento tra interessi contrapposti, l'interpretazione offerta in relazione all'applicabilità dei principi della par condicio creditorum e del rispetto delle cause legittime di prelazione, nonché dell'art. 124 l. fall.
L'inquadramento giuridico
Come noto, l'esigenza a cui il Legislatore ha inteso far fronte con l'introduzione dell'amministrazione straordinaria è quella di salvaguardare il bene impresa “mediante prosecuzione, riattivazione o riconversione delle attività imprenditoriali” (art. 1 D.Lgs. 270/1999) da attuare secondo i due percorsi alternativi della cessione e della ristrutturazione.
Infatti, nella prospettiva della conservazione dell'impresa che presenti concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico, la procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese è concepita su due direttrici alternative costituite: - da un lato, dalla liquidazione coattiva propedeutica alla riallocazione dell'azienda (o di rami della stessa), programmata mediante una gestione intermedia dell'attività economica della durata di un anno; - dall'altro lato, in caso di concrete possibilità di recupero della solvibilità dell'impresa e della sua redditività, dalla ristrutturazione della stessa da attuare mediante un programma di prosecuzione dell'attività della durata di due anni (art. 27 D.Lgs. 270/1999).
La sostanziale diversità fra i due programmi e, conseguentemente, tra le soluzioni concordatarie prospettabili nei due diversi contesti (concordato liquidatorio, diretto al soddisfacimento dei creditori, e concordato di ristrutturazione, finalizzato anche, e soprattutto, al raggiungimento di un nuovo equilibrio economico-finanziario da parte dell'impresa) comporta un diverso bilanciamento dei distinti interessi coinvolti: l'interesse pubblico alla conservazione dell'impresa ed al mantenimento dei livelli occupazionali e quello dei creditori alla soddisfazione dei propri diritti. Occorre a questo punto chiedersi quale sia la relazione che lega tali interessi e se si possa affermare la prevalenza dell'uno rispetto all'altro nell'ambito di una soluzione concordataria finalizzata alla ristrutturazione della grande impresa sottoposta ad una procedura di amministrazione straordinaria. In linea con quanto sostenuto da una parte della dottrina, nella sentenza in commento il Tribunale di Palermo afferma chiaramente la prevalenza dell'interesse pubblico rispetto a quello dei creditori. Il fine conservativo sul quale sarebbe imperniata l'amministrazione straordinaria, infatti, differenzia in maniera radicale il concordato straordinario dal concordato fallimentare ed anche dagli altri concordati c.d. coattivi, così imponendo di rendere applicabili le norme sul concordato fallimentare e quelle in tema di liquidazione coatta amministrativa (espressamente richiamate attraverso il rinvio all'art. 214 l. fall.) soltanto in quanto compatibili. Secondo il Tribunale di Palermo, ciò autorizzerebbe una deroga ai principi della par condicio creditorum e del rispetto delle cause legittime di prelazione, i quali presuppongono la destinazione dell'intero patrimonio del debitore al soddisfacimento di tutti i suoi creditori. Nell'ipotesi di concordato straordinario di ristrutturazione, infatti, ai creditori viene destinata soltanto quella parte del patrimonio del debitore che non risulti necessaria alla continuazione dell'attività di impresa. In particolare, ad avviso dei giudici palermitani, “l'obiettivo della ristrutturazione legittimerebbe la sottrazione ai creditori di parte (anche consistente) del patrimonio dell'impresa debitrice”, mentre all'autorità giudiziaria spetterebbe il compito di accertare, oltre alla sussistenza di concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico e delle attività imprenditoriali, “anche che il sacrificio imposto ai creditori sia strettamente funzionale al raggiungimento del fine della ristrutturazione, affinché l'impresa sia in grado di recuperare in un tempo congruo un rapporto fisiologico tra costi e ricavi”. In definitiva, secondo il Tribunale di Palermo, l'interesse dei creditori si pone su un piano recessivo rispetto a quello pubblico, a tutela del quale tutte le norme sul concordato straordinario di ristrutturazione dovrebbero essere dirette. La perentoria affermazione della decisione in commento non trova però il conforto unanime della dottrina. Vi è infatti chi sostiene che le finalità di conservazione del patrimonio produttivo individuano in realtà soltanto lo scopo-mezzo della procedura, mentre lo scopo-fine sarebbe comunque da individuare prevalentemente nel soddisfacimento dei creditori, da attuarsi “attraverso” la procedura (ove venga adottato il programma di cessione) o “per effetto” della procedura (ove venga adottato il programma di ristrutturazione). Secondo tale ricostruzione, pertanto, la tutela degli interessi dei creditori dovrebbe comunque collocarsi in posizione preminente, relegando il concordato straordinario a strumento alternativo, rispetto alla liquidazione del patrimonio secondo le forme ordinarie, per il soddisfacimento dell'interesse dei creditori. In questo stesso ordine di idee, in antitesi con quanto affermato dal Tribunale di Palermo, seppure con riferimento al diverso istituto della liquidazione coatta amministrativa, la giurisprudenza di legittimità ha rilevato che nella disciplina peculiare del concordato coattivo l'interesse pubblico si attua nella sola scelta di convenienza tra conservazione o liquidazione dell'impresa (rimessa all'autorità amministrativa), ma non prevale su quello dei creditori concorrenti alla soddisfazione delle loro ragioni, tutelabile mediante le eventuali opposizioni. Sarebbe quindi sempre necessario offrire ai creditori prospettive di soddisfacimento “almeno equivalenti” a quelle realizzabili con la liquidazione. La Corte di cassazione ha infatti chiarito che “il concordato coattivo, non diversamente da quello fallimentare, offre ai creditori concorsuali una forma di soddisfazione delle loro ragioni alternativa rispetto alla liquidazione del patrimonio secondo le forme ordinarie e l'unica differenza tra i due istituti è nel fatto che nel concordato fallimentare la scelta tra la liquidazione ordinaria e quella concordataria è rimessa all'approvazione dei creditori per il loro apprezzamento di convenienza, mentre nel concordato coattivo detta valutazione è fatta dall'Autorità amministrativa in funzione dell'interesse pubblico a preservare l'impresa, interesse che tuttavia non giustifica alcuna riduzione del diritto dei creditori a far valere le loro legittime pretese sull'intero patrimonio del debitore a norma dell'art. 2740 c.c.” (cfr. Cass. civ. 6 febbraio 2013, n. 2782; Cass. civ. 18 marzo 2008, n. 7263; Cass. civ. 19 settembre 2006, n. 20259). Nella più recente delle sentenze citate, inoltre, si prospettano dubbi di legittimità costituzionale della normativa ove interpretata nel senso di consentire il perseguimento dell'interesse pubblico addossando il sacrificio della conservazione dell'impresa soltanto sui creditori (“il perseguimento di obiettivi di pubblica utilità non giustifica, infatti, il sacrificio delle ragioni dei creditori, che con quegli obiettivi non hanno alcuna relazione di strumentalità (diversamente da quanto avviene nel caso dell'espropriazione per pubblica utilità), né dei diritti dei privati che da quell'azione amministrativa non siano avvantaggiati in modo particolare, sì da giustificare il sacrificio medesimo”: così Cass. civ. 6 febbraio 2013, n. 2782, cit.).
Ad avviso di chi scrive, tali dubbi di legittimità costituzionale possono riguardare anche il diverso istituto del concordato straordinario, pur se finalizzato alla conservazione dell'impresa. Nel caso in cui venga adottato il piano di ristrutturazione, infatti, l'art. 56 del D.Lgs. n. 270/1999 consente di indicare quale sia il patrimonio destinato alla prosecuzione dell'impresa e quello da dismettere, nonché una definizione “convenzionale delle scadenze dei debiti o di definizione mediante concordato”, ma non anche di derogare al principio di cui all'art. 2740 c.c. e, quindi, di diminuire sensibilmente la garanzia patrimoniale sulla base della quale era stato concesso credito all'imprenditore. Non sembra pertanto potersi dare una prevalenza all'uno o all'altro degli interessi suscettibili di venire in rilievo nell'ambito di un concordato straordinario di ristrutturazione. Preso atto della centralità dell'interesse pubblico, infatti, il programma di indirizzo (e quindi anche la relativa soluzione concordataria) dovrebbe assicurare comunque una pari considerazione delle ragioni creditorie, sia nell'ipotesi di cessione dei complessi aziendali, sia nell'ipotesi della ristrutturazione dell'impresa. L'impasse che si viene a creare sembra tuttavia superabile facendo corretta applicazione dei criteri di valutazione che sono stati individuati nella decisione in commento, che andranno calibrati caso per caso, a seconda che il concordato proposto persegua un fine liquidatorio e, quindi, la massimizzazione del profitto dei creditori, oppure di ristrutturazione, nel quale i contrapposti interessi privati e pubblici (conservazione dell'impresa e salvaguardia dei livelli occupazionali) dovranno necessariamente essere contemperati. In questa prospettiva appare senz'altro condivisibile l'affermazione della centralità dell'autorità giudiziaria, la quale è chiamata a garantire (nel suo ruolo istituzionale di “protezione” del credito) che in un concordato straordinario di ristrutturazione venga assicurato il giusto equilibrio degli interessi in gioco, anche attraverso una valutazione di merito della proposta, successiva a quella operata dal Ministero in sede di autorizzazione. La scelta del Legislatore di rendere coattivo il concordato straordinario è infatti diretta a non far prevalere l'interesse egoistico della maggioranza dei creditori, ma a fare in modo che tale strumento possa essere orientato a perseguire anche l'interesse pubblico dell'economia (a cui l'autorità amministrativa è preposta), consentendo la conservazione dell'impresa. In questo contesto, la tutela del credito non è affidata al diretto interessato, ma viene rimessa all'autorità amministrativa (prima) ed all'autorità giudiziaria poi (in sede di omologa), attraverso una valutazione di convenienza della proposta, sia in relazione agli interessi pubblici che a quelli privati, in conformità agli indirizzi della procedura. Pertanto, come rilevato dal Tribunale di Palermo, quando l'autorità giudiziaria è chiamata ad omologare una proposta di concordato straordinario, la sua valutazione non deve limitarsi ad una mera verifica formale della stessa, ma si dovrà spingere ad un'analisi di merito diretta a verificare sia il reale perseguimento dell'interesse pubblico alla conservazione dell'impresa, sia il rapporto e, soprattutto, l'equilibrio, tra gli interessi in gioco. Ciò è possibile in quanto, durante tutta la procedura, il sindacato del tribunale si estende sempre (nella fase di apertura – art. 30 – durante la procedura – artt. 69 e 70 – e nella fase di chiusura – art. 76) ad una valutazione delle concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico e delle attività imprenditoriali. Si tratta di un sindacato che potrà esercitarsi appieno quando, come nel caso che ha originato la decisione in commento, vi sia stata opposizione da parte dei creditori. In detta ipotesi, nella fase di omologa del concordato, il criterio unitario da utilizzare in questa valutazione di merito non potrà che essere quello indicato per la stessa autorizzazione ministeriale dall'art. 78, vale a dire la convenienza e la compatibilità della proposta con il fine conservativo della procedurae, quindi, il giusto equilibrio tra i sacrifici imposti a tutte le parti coinvolte. Per usare le parole del Tribunale di Palermo, “il proponente deve individuare dei criteri ragionevoli sulla base dei quali graduare il soddisfacimento delle diverse categorie dei creditori e il Tribunale ha il compito di accertare non solo la sussistenza di concrete prospettive di recupero dell'equilibrio economico e delle attività imprenditoriali ma anche che il sacrificio imposto ai creditori sia strettamente funzionale al raggiungimento del fine della ristrutturazione, affinché l'impresa sia in grado di recuperare in un tempo congruo un rapporto fisiologico tra costi e ricavi”. Tale criterio sembra poter agevolare il successo delle proposte funzionali alla conservazione dell'impresa e dei valori aziendali nell'interesse dell'economia, attraverso la garanzia di un sindacato ampio dell'autorità giudiziaria, alla quale è demandata la mediazione, in via definitiva, degli interessi coinvolti.
Conclusioni
A prescindere dal caso concreto sottoposto al vaglio del Tribunale di Palermo, la decisione in commento risulta condivisibile nella parte in cui attribuisce all'autorità giudiziaria un ruolo centrale nella mediazione di contrapposti interessi costituzionalmente garantiti (pubblici e privati) che si attua: (i) da un lato, offrendo un'interpretazione adeguatrice, in quanto compatibile, delle norme del concordato fallimentare e della liquidazione coatta amministrativa espressamente richiamate dall'art. 78 D.Lgs. 270/1999; (ii) e, dall'altro lato, attraverso un sindacato ampio della proposta concordataria, diretto a valutare che la proposta di concordato sia idonea ad offrire una soluzione equilibrata ai sacrifici imposti ai diversi soggetti coinvolti nella crisi della grande impresa e ad assicurare il raggiungimento del fine della procedura, che è quello di garantire il soddisfacimento delle obbligazioni concordatarie e della ristrutturazione dell'impresa entro un termine ragionevole.
Viceversa, la sentenza non sembra pienamente condivisibile nella parte in cui si afferma una prevalenza dell'interesse pubblico su quello dei creditori, tale da giustificare la sottrazione di parte (anche consistente) del patrimonio dell'impresa debitrice funzionale alla prosecuzione dell'attività imprenditoriale, che invece è posto a garanzia dei diritti di questi ultimi. Pur riconoscendo la centralità dell'interesse pubblico alla conservazione dell'impresa e dei livelli occupazionali, infatti, non sembra che l'attuale assetto normativo (che comprende anche le norme comunitarie poste a tutela della concorrenza, nonché una sempre maggiore propensione del Legislatore a coinvolgere i creditori nella gestione della crisi dell'impresa) consenta di addossare soltanto al ceto creditorio il sacrificio della continuazione aziendale. La salvaguardia dei complessi produttivi ed il mantenimento dei livelli occupazionali, che rappresentano senza dubbio un valore tutelato dall'ordinamento (oggi espressamente riconosciuto anche nel concordato preventivo, con D.L. 83/2012, convertito in L. 134/2012), non possono far carico solo sul ceto creditorio e, quindi, andare a detrimento soltanto delle ragioni di quest'ultimo. Il contemperamento tra i diversi interessi coinvolti, pertanto, dovrà comunque essere raggiunto attraverso la comparazione tra la percentuale attribuita ai creditori e l'ipotetico vantaggio futuro raggiungibile nella sede alternativa della liquidazione, tenendo conto anche dell'interesse alla salvaguardia dell'impresa. Di conseguenza, nel caso in cui si scelga di perseguire, ove possibile, la strada della continuazione aziendale (che già richiede un sacrificio per i creditori, sui quali è addossato il rischio dell'esito negativo della stessa), non potendosi sottrarre alla garanzia patrimoniale offerta dai beni dell'imprenditore una parte (consistente) dell'attivo, occorrerà necessariamente “coinvolgere” il ceto creditorio nella continuazione dell'attività imprenditoriale. In altre parole, se da un lato il fine della ristrutturazione in un concordato straordinario consente di privilegiare soluzioni che contemplino un trattamento anche deteriore rispetto alle aspettative astrattamente possibili (ma spesso non realizzabili) in sede liquidatoria, dall'altro lato la continuazione aziendale non può non essere intesa anche in funzione del soddisfacimento dei creditori.
In concreto, tale soddisfacimento potrebbe essere raggiunto, a mente dell'art. 124, comma 2, lett. c), l. fall., “attraverso qualsiasi forma” e, quindi: - sia direttamente, mediante l'accollo dei debiti, seppure in misura parziale, da parte dell'impresa che continua l'attività; - sia indirettamente (attraverso la trasformazione coattiva di una parte del capitale di credito in capitale di rischio, garantita dall'eterotutela offerta dalle valutazioni operate dell'amministrazione, prima, e dell'autorità giudiziaria, poi) mediante “l'attribuzione ai creditori, o a società da questi partecipate, di azioni, quote ovvero obbligazioni, anche convertibili in azioni o altri strumenti finanziari e titoli di debito”.
Riferimenti bibliografici e giurisprudenziali
In dottrina si segnala: M. SANDULLI, La nuova amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi: prime riflessioni, in Giust. civ., II, 57; A. MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013; V. ZANICHELLI, L'amministrazione straordinaria, in Fallimento e altre procedure concorsuali, G. Fauceglia e L. Panzani (diretto da), Milano, 2009, vol. 3, 2010; A. NIGRO – D. VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, Bologna, 2012; F. FIMMANO', Il concordato straordinario, in Giur. comm., 2008, I, 968; F. FIMMANO', La ristrutturazione mediante concordato della grande impresa in amministrazione straordinaria, in Dir. Fall., 2010, 328 ss.; A. LENDVAI, L'istituto del concordato coattivo nell'amministrazione straordinaria, in Il Fallimentarista.it, 19 novembre 2013; F. DI MARZIO, Diritto negoziale e crisi della grande impresa, in il Fallimentarista.it, 13 aprile 2012; F. TOMASSO, La riforma del concordato nella liquidazione coatta amministrativa e nell'amministrazione straordinaria ad opera del decreto correttivo, in Fall., 2008, 1, 110; F. TOMASSO, L'interesse pubblico nel concordato, in Fall., 2011, 2, 2005; C. DALMASSO DI GARZEGNA, Il concordato delle società, in Il Caso.it, 2013. In giurisprudenza: Cass. civ. 6 febbraio 2013, n. 2782; Cass. Civ. 18 marzo 2008, n. 7263; Cass. Civ. 19 settembre 2006, n. 20259; Trib. Varese, 4 aprile 2006, in Nuova giur. civ. comm. I, 448; App. Bologna, Sez. III, 30 aprile 2010, in Fall., 2011, 2, 205; Trib. Verona, 14 giugno 2012, ivi, 2013, 3, 363.
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