Concordato: primi dubbi sulla disciplina transitoria e sull’interpretazione delle “nuove” norme

08 Gennaio 2016

Le disposizioni introdotte dagli artt. 3 e 4 del D.L. 2015, n. 83 non si applicano alle procedure nelle quali prima dell'entrata in vigore della legge di conversione (L. 2015, n. 132) sia stata depositata la domanda ai sensi del sesto comma dell'art. 161 l.fall.
Massime

Le disposizioni introdotte dagli artt. 3 e 4 del D.L. 2015, n. 83 non si applicano alle procedure nelle quali prima dell'entrata in vigore della legge di conversione (L. 2015, n. 132) sia stata depositata la domanda ai sensi del sesto comma dell'art. 161 l.fall. (massima Trento).

L'attestazione prevista dall'art. 160 l.fall. ai fini della degradazione al chirografo dei crediti assistiti da privilegio può essere contenuta all'interno della relazione prevista dall'art. 161 l.fall.; laddove detta relazione non risulti sottoposta a giuramento, l'irregolarità formale è sanabile in corso di procedura (massima Trento).

Le disposizioni introdotte dagli artt. 3 e 4 del D.L. 2015, n. 83 si applicano anche ai concordati nei quali, pur essendo stata depositata la domanda ai sensi del sesto comma dell'art. 161 l.fall. in data anteriore, la proposta ed il piano definitivi siano stati depositati dopo l'entrata in vigore della legge di conversione (L. 2015, n. 132) (massima Pistoia).

Il limite minimo di soddisfo dei creditori, previsto dall'ultimo comma del novellato art. 160 l.fall., è applicabile a qualsiasi tipologia di concordato con la sola eccezione di quello in continuità; tale vincolo si intende riferito ad una ragionevole certezza di raggiungimento della percentuale del 20% indicata dalla norma, in base ad una assicurazione che deve essere espressamente contenuta nella proposta e che non si ritiene integrata da una mera previsione del raggiungimento della percentuale minima, ritenuto che sia fisiologica una possibile contrazione della percentuale concreta ricavabile dalla liquidazione (massima Pistoia).

Anche nel c.d. concordato “in continuità”, sebbene non si applichi ad esso il limite di cui all'ultimo comma dell'art. 160 l.fall., la proposta deve indicare quale sia il soddisfo che il piano assicura ai creditori (massima Pistoia).

Non può qualificarsi come “in continuità” il concordato nel quale il soddisfo riveniente dalla liquidazione di beni prevalga di gran lunga su quello derivante dal realizzo conseguito all'esito della prosecuzione dell'attività (massima Pistoia).

Il caso

Le due decisioni del Tribunale di Pistoia e del Tribunale di Trento sono tra le prime a confrontarsi con le disposizioni dettate dal D.L. 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, in L. 6 agosto 2015, n. 132. In entrambi i casi, il concordato preventivo di cui il Tribunale doveva esaminare l'ammissibilità scaturiva da una domanda “in bianco” ai sensi del sesto comma dell'art. 161 l.fall., depositata prima dell'entrata in vigore della legge di conversione ed il piano e la proposta definitivi erano strutturati in ossequio alla normativa, meno rigida, dettata in precedenza quanto alle previsioni di soddisfo del ceto creditorio; nel merito, inoltre, il piano di cui si occupa il Tribunale di Pistoia era caratterizzato dalla prevalenza – sotto il profilo numerico – del soddisfo riveniente dalla liquidazione di asset non strategici, rispetto a quello che ipotizzava di trarre dal complesso aziendale gestito “in continuità”; oltretutto, dalla narrativa della pronunzia si evince come la prosecuzione dell'attività non fosse un dato certo, essendo previsto che il concordato potesse entro un biennio mutarsi in liquidatorio in caso di mancato raggiungimento dei risultati ipotizzati; quanto alle prospettive di soddisfo, poi, lo stesso attestatore formulava una mera previsione dichiarando attendibile il raggiungimento di un soddisfo pari al 20%.

Le questioni giuridiche e la soluzione

La disciplina transitoria applicabile alle modifiche normative via via susseguitesi in ambito concorsuale crea da sempre qualche problema agli interpreti. Dai repertori di giurisprudenza si può evincere, ad esempio, la diatriba insorta con riguardo alla applicabilità a fattispecie anteriori di tutte o di talune specifiche disposizioni riformate dal D.L. 35/2005 in tema di revocatoria o, più di recente, delle disposizioni dettate dal D.L. 69/2013 a modifica dell'istituto del cosiddetto “concordato in bianco”: dalla antitesi tra la sentenza del Tribunale di Pistoia e quella trentina, oltre che dai primi commenti, pare si debba evincere che la stessa incertezza caratterizzerà le scelte interpretative della disciplina transitoria del D.L. 83/2015.

Ed invero, l'art. 23 del D.L. 83/2015 dispone che “Le disposizioni di cui all'articolo 1 si applicano ai procedimenti di concordato preventivo introdotti anche anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto. Le disposizioni di cui agli articoli 2, comma 1 si applicano ai procedimenti di concordato preventivo introdotti successivamente all'entrata in vigore del presente decreto. Le disposizioni di cui all'articolo 3 e quelle di cui all'articolo 4, si applicano ai procedimenti di concordato preventivo introdotti successivamente all'entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, senza precisare cosa si intenda per procedura “introdotta”; tant'è vero che, interpretando appunto a tale ultima previsione in modo divergente, la prima sentenza in commento esclude l'applicabilità dell'ultimo comma aggiunto all'art. 160 l.fall. e dell'inciso finale del secondo comma dell'art. 161 l.fall. alle procedure di concordato iniziate con domanda ai sensi del sesto comma dell'art. 161 l.fall. depositata prima del 20 agosto 2015 (data di entrata in vigore della legge di conversione) e, viceversa, il Tribunale di Pistoia ritiene applicabili le norme novellate anche in tal caso, se il piano e la proposta definitiva siano stati depositati in data successiva all'entrata in vigore delle disposizioni novellate.

Osservano, per un verso, i giudici toscani che con il ricorso prenotativo non potrebbe ritenersi introdotto il procedimento concordatario, atteso che sino al deposito del piano e della proposta definitivi resta incerto l'esito della pre-domanda, che risulterebbe caducata in caso di mancato rispetto dei termini concessi o dalla quale potrebbe anche scaturire non un concordato, bensì un accordo di ristrutturazione ai sensi dell'art. 182-bis l.fall.

In senso opposto, i giudici trentini opinano che il concordato venga sempre “introdotto” con la domanda, anche senza piano e proposta, sottolineando che la norma transitoria distingue tra norme applicate alle procedure “pendenti” e modifiche normative applicabili solo ai concordati “introdotti” dopo la loro entrata in vigore.

Superata la questione preliminare circa la disciplina applicabile, se la prima sentenza in commento si limita ad alcune precisazioni sull'ammissibilità (di un certo interesse, peraltro, laddove si conferma la falcidibilità del privilegio IVA di rivalsa a patto che il piano lo preveda e vi sia l'attestazione di incapienza di cui all'art. 160 l.fall., con qualche dubbio sulla soluzione “bonaria” di consentire di sanare ex post il vizio dell'omesso giuramento, tesi in contrasto con quanto osserva, ad esempio, Trib. Venezia, 8 maggio 2014, in Ilfallimentarista.it), il Tribunale di Pistoia è invece chiamato ad una analisi più complessa in merito alla valenza delle disposizioni introdotte dalla novella ed, in particolare, sull'ambito applicativo del limite minimo di soddisfo del ceto chirografario imposto con l'introduzione dell'ultimo comma dell'art. 160 l.fall., nonché a valutare le ragioni, l'ambito ed i limiti dell'esenzione dal predetto limite minimo concessa per i concordati con continuità aziendale di cui all'art. 186-bis l.fall.

La lettura delle diffuse argomentazioni sulle quali si fonda la pronunzia toscana conferma l'impressione che - se con i precedenti provvedimenti di riforma, dall'originario D.L. 35/2005 al noto D.L. 83/2012 che introdusse il concordato in bianco e che ha consacrato l'autonomia del concordato “in continuità” a detta di taluni si è operata una rivoluzione copernicana delle procedure minori - in relazione alle disposizioni del D.L. 83/2015 si sarebbe tentati di parlare di “Controriforma”, a partire dalla probabile origine “punitiva” della normativa, mirata a sanzionare (e sommessamente si osserva che forse una meno radicale soluzione poteva essere quella di rivedere i poteri di arresto della procedura e di risoluzione del concordato su iniziativa degli organi della procedura, anziché penalizzare a monte tutte le proposte), come ipotizza la sentenza pistoiese, le proposte concordatarie velleitarie, a seguito delle quali il soddisfo effettivo per il ceto creditorio risulta alla prova dei fatti di gran lunga inferiore a quello prospettato nel piano (v. anche G. Benvenuto, Le modifiche apportate alla procedura di concordato quale espressione dell'ottimismo della volontà, in Ilfallimentarista.it).

Tant'è vero che - quantomeno in linea di principio - i giudici toscani giustamente sottolineano come la novella non possa influire sugli arresti cui è pervenuta la Suprema Corte nel percorso interpretativo dal quale scaturisce la corrente oggi maggioritaria, secondo la quale il sindacato del Tribunale sull'ammissibilità (e omologabilità) del concordato non può esorbitare dalla verifica sulla fattibilità giuridica, non potendo mai trasmodare tale giudizio in valutazioni sulla fattibilità economica, e pur se la sentenza in commento ribadisce la rilevanza della attestazione dell'esperto ad “assicurare” il raggiungimento della percentuale minima, tuttavia, in un passaggio della sentenza si propone una sorta di postulato di fatto secondo il quale la percentuale meramente prevista dal debitore sarebbe oggettivamente soggetta a ridursi all'esito concreto della liquidazione (di modo che empiricamente il Tribunale ipotizza che perché possa ritenersi “assicurata” la percentuale minima del 20% occorrerebbe una previsione di un soddisfo pari almeno al 30%). Pare evidente che tale prospettazione conferma quanto sia potenzialmente dirompente l'impatto della novella sull'accesso alla procedura minore.

Ed invero, proprio muovendo da tali premesse, la sentenza in commento va a verificare in quali fattispecie e con quali limiti la misura minima di soddisfo prevista all'art. 160 l.fall. novellato sia derogabile in seno ad un concordato qualificabile come “in continuità”, sancendo che, per un verso, ai fini di distinguere detta figura dal concordato liquidatorio è necessario utilizzare il criterio della prevalenza ed ipotizzando, sotto altro profilo, che anche per il concordato “in continuità” valga il disposto del novellato art. 161 l.fall. laddove alla lett. e) del secondo comma prevede che “in ogni caso, la proposta deve indicare l'utilità specificamente individuata ed economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore”.

Il Tribunale di Pistoia giunge alla conclusione che la deroga per il concordato in continuità riguardi solo la percentuale minima, non anche la necessità di “assicurare” una individuata utilità ai singoli creditori. Per altro verso, i Giudici toscani danno atto della condivisibilità degli arresti giurisprudenziali in merito al limite di sindacabilità della fattibilità (giuridica) del concordato, confermando la tesi secondo la quale il tribunale potrebbe dichiarare inammissibile una proposta solo ove l'attestazione dell'esperto appaia carente ovvero se il piano appaia manifestamente irrealizzabile, escludendo un sindacato di merito – e quindi di “fattibilità economica” – sulla condivisibilità delle previsioni realizzative concrete.

Ciò premesso, rilevato che nel caso di specie mancava una specifica attestazione circa la percentuale non solo ipotizzata, bensì ragionevolmente certa, il Tribunale – ritenuto che il concordato non fosse qualificabile come in continuità – osserva come una mera previsione di pervenire al soddisfo minimo di legge implichi la probabilità che il soddisfo reale sia inferiore e quindi non soddisfi la prescrizione che vuole assicurato e non solo prospettato il soddisfo minimo del 20%; il concordato viene pertanto dichiarato inammissibile.

Osservazioni

La decisione del Tribunale di Pistoia lascia qualche dubbio anzitutto con riguardo alla interpretazione della disciplina transitoria proposta; più condivisibile, in tal senso, pare la sentenza del Tribunale di Trento.

L'impressione è che l'equivoco di fondo sia insito nel punto in cui la sentenza fa riferimento al concordato “in bianco” come procedura in cui il debitore si riserva la presentazione della domanda in data successiva: al contrario, l'art. 161 l.fall. indica chiaramente che anche quella di cui al sesto comma è una domanda di concordato e che la riserva è riferita solo al deposito della documentazione a corredo.

Vero è che, come osserva uno dei primi commentatori della novella (F. Lamanna, Le norma transitorie della miniriforma di cui al D.L. n. 83/2015: il significato di “procedimenti introdotti” dopo la legge di conversione, in Ilfallimentarista.it), la c.d. “pre-domanda” potrebbe essere sì generica da non consentire neppure di verificare se il debitore intenda da essa far scaturire un concordato o un accordo di ristrutturazione ed, in ogni caso, i suoi effetti potrebbero essere vanificati dalla mancata presentazione del piano; tuttavia, non vi è dubbio che il legislatore abbia fatto retroagire di fatto tutti gli effetti del concordato – quali l'esenzione da azioni esecutive, ma anche il vincolo al compimento di atti di straordinaria gestione e financo, da ultimo, il controllo del Commissario anche ai fini dell'applicazione dell'art. 173 l.fall. (figura e norma che non sarebbero applicabili all'accordo di cui all'art. 182-bis l.fall. e nonostante ciò introdotte ai sensi del sesto comma dell'art. 161 l.fall.) -, al deposito della domanda “in bianco”, con ciò dimostrando l'intenzione di considerare “introdotta” la procedura concorsuale sin dal deposito della domanda “prenotativa”. Non a caso, quando ha voluto anticipare l'applicazione di alcune disposizioni novellate, il legislatore ha utilizzato la diversa espressione di procedimenti “pendenti”, e non pare qui dubbio che il riferimento sia ai concordati che abbiano superato la fase di ammissione.

Sotto tale profilo, poi, la questione sui possibili esiti della domanda “in bianco” pare un falso problema, poiché è evidente che la questione di applicabilità o meno delle norme di cui al D.L. 83/2015 presuppone il deposito del piano definitivo (prima del quale non potrebbe configurarsi, ad esempio, un obbligo di esplicitare e cerziorare le percentuali offerte), di modo che non si sfugge ad una alternativa: in caso di mancato deposito del piano o di sua ritenuta non ammissibilità, così come in caso di “passaggio” all'accordo di ristrutturazione, non vi sarebbe motivo per applicare la nuova disciplina; in caso, invece, di ammissione, tutti gli effetti del concordato retroagirebbero alla domanda prenotativa e quindi non sarebbe ipotizzabile una diversa data di “introduzione” della procedura rispetto a codesta.

In tal senso, la conclusione cui perviene la pronunzia trentina si fonda su argomenti a mio avviso più solidi, laddove sottolinea come sia solo la domanda iniziale ad essere iscritta a RR.II. – anche se presentata nella forma incompleta consentita dal sesto comma dell'art. 161 l.fall. –, rilevando anche che a quel momento si anticipano gli effetti protettivi ed il decorso del periodo sospetto per le revocatorie, non essendo mai previsto nel corso della procedura il deposito di una ulteriore “domanda” e dovendosi quindi ricondurre l'opzione per l'accordo di ristrutturazione ad una modifica consentita che muta la procedura iniziata comunque con le forme del concordato preventivo.

Poiché, peraltro, le questioni di disciplina transitoria appaiono rilevanti, ma destinate a spegnersi con il passare del tempo, più interessante appare la prima esegesi delle norme novellate prospettata dal Tribunale di Pistoia.

Ebbene, mi pare anzitutto che la ratio dell'esenzione dei concordati “in continuità” dalla applicazione dei limiti di soddisfo posti dal D.L. 83/2015 individuata dai Giudici toscani, possa non risultare del tutto esaustiva, laddove si ipotizza che la ragione stia nell'oggettiva difficoltà di determinare il vantaggio che deriverebbe dalla prosecuzione dell'attività.

In realtà, è anzitutto controverso (e se ben si vede, anche la sentenza in commento opta per una diversa interpretazione) che con la proposta in continuità il debitore possa sic et simpliciter formulare una indicazione incerta circa la percentuale di soddisfo proposta: anzi, il fatto che debba essere comunque operata una comparazione con gli esiti liquidatori alternativi (Trib. Monza, 2 ottobre 2013, in Ilcaso.it) induce taluni a ritenere che l'indicazione debba essere espressa (in tal senso: Trib. Trento, 1° luglio 2014, in Ilcaso.it) ed anzi vincolante (Trib. Lecco, 10 luglio 2015, in IlFallimentarista.it, con nota di Paganini) e, del resto, gli esiti di una gestione non sono più aleatori ed “imprevedibili” di quanto non lo siano quelli di una scelta meramente liquidatoria (tanto da giustificare la risoluzione in caso di mancato adempimento nella misura promessa, come osserva Trib. Bergamo, 10 aprile 2014, in IlFallimentarista.it), soprattutto se, come vedremo, la prosecuzione della attività è finalizzata al trasferimento a terzi del complesso aziendale in tempi ragionevolmente contenuti. Del resto, è lo stesso Tribunale pistoiese ad opinare che valga anche per i concordati in continuità l'obbligo di indicare espressamente nella proposta l'utilità “assicurata” ai creditori e quindi il legislatore non sembra essersi troppo preoccupato della difficoltà di quantificare l'esito satisfattivo della prosecuzione dell'attività aziendale.

Ad avviso di chi scrive, nel prevedere l'esenzione in parola, il legislatore è stato invece ispirato anzitutto ad un palese favor per la soluzione conservativa, tale da giustificare anche una compressione del pur ribadito diritto dei creditori alla tutela del proprio credito, che va ricercata proprio nella previsione dell'obbligo per il debitore di indicare una utilità certa proposta ai singoli creditori (ovviamente intesi anche come classi di creditori), salvo che la stessa formulazione della norma implica che non necessariamente si tratti di una indicazione numerica né che debba essere assicurata anche per i concordati in continuità una determinata percentuale di soddisfo.

Del resto, la stessa ratio favorevole alle soluzioni basate sulla prosecuzione dell'attività, anche se esse comportano di per sé il rischio di penalizzare i creditori concorsuali, si evince non solo nella disciplina dell'amministrazione straordinaria, ma anche dalle disposizioni riformate in tema di esercizio provvisorio e più in generale dal principio di prededucibilità di crediti sorti in funzione (sul punto, di recente la Suprema Corte, con sentenza 4 novembre 2015 n. 22450 ha ribadito che la prededuzione prescinde da opinabili verifiche ex post sull'utilità delle prestazioni rese nel concordato).

In realtà – ma dubito che il ragionamento del legislatore si sia spinto sino a tanto – vi è una ulteriore ragione in forza della quale l'utilità per i creditori dell'impresa che proponga un concordato “in continuità” non è limitata al soddisfo ipotizzato sul crediti pregressi: ed invero, la prosecuzione dell'attività e dei rapporti con i fornitori “storici” comporta per questi ultimi una utilità indiretta – ma non per questo men concreta – costituita dall'esecuzione di nuove forniture che verranno perlopiù pagare non solo in prededuzione, ma anche in anticipo. Sarà interessante verificare se qualche attestazione particolarmente innovativa – al fine di adempiere al nuovo testo normativo ove impone appunto la indicazione dell'utilità specifica assicurata ai creditori – andrà a valutare la percentuale di soddisfo dei creditori ricomprendendovi l'impatto del pagamento dei crediti futuri sorti nel corso del concordato (ad esempio, se ad un fornitore che vanta un pregresso di 100 viene offerto un soddisfo del 10% dal concordato in continuità, ma si prevede che nel corso della gestione diretta e sino al riparto questi esegua forniture per 100 pagate interamente, si potrebbe dire che il soddisfo è pari a pari a 110/200 e quindi al 55%?) e se tale approccio verrà considerato inammissibile in forza di una interpretazione rigida della norma intesa come riferita al rapporto tra massa creditoria cristallizzata e soddisfo tratto dai riparti concorsuali.

Le questioni aperte

La pronunzia in commento giustamente riconduce la riforma ad una reazione contro l'abuso dello strumento concordatario ed implicitamente mette in guardia da un possibile escamotage del debitore, costituito dal presentare un concordato come “in continuità” per sfuggire all'obbligo di garantire il soddisfo minimo del 20%.

Ciò comporta, peraltro, che – al di là delle ipotesi caratterizzate da forzature che attestino un fine manifestamente elusivo (sul punto si veda App. Firenze, 20 maggio 2015, in Ilfallimentarista.it, che ha sanzionato come abusiva una proposta che ipotizzava la continuità per un'impresa inattiva che così modificava un piano liquidatorio “bocciato”) – ci si debba oggi più che in passato interrogare sui presupposti e sulle caratteristiche che connotano il concordato “in continuità” e lo distinguono da una procedura liquidatoria.

Sul punto, non mi pare in linea con la ratio normativa la valutazione di “prevalenza” che i giudici toscani utilizzano per escludere l'applicabilità dell'art. 186-bis l.fall., posto che (come rammenta Trib. Ravenna, 19 agosto 2014, in IlFallimentarista.it, con nota di Campione), la norma tollera la liquidazione di tutti i beni che non siano funzionali alla continuità senza che per ciò solo venga meno il regime speciale dalla stessa dettato. Semmai, si dovrà valutare caso per caso se la continuità aziendale abbia una funzione non significativa nel piano, verifica che potrà essere attuata anche proprio alla luce della comparazione dei vantaggi proposti, ma anche delle modalità con le quali venga ipotizzata la prosecuzione dell'attività d'impresa.

In particolare, una delle fattispecie più delicate che dovranno ora essere esaminate con attenzione è quello del concordato preventivo che si strutturi su un affitto di azienda (a maggior ragione se si tratti di affittanza già in corso all'avvio della procedura) e sulla successiva cessione a terzi dell'azienda.

Ed invero, sul punto la giurisprudenza è divisa: alcune pronunzie, confortate del resto dal testo normativo, individuano nella prosecuzione dell'attività di impresa l'unica condizione e la caratteristica peculiare del concordato “in continuità”; estendendo il concetto, si ritiene che l'istituto ricomprenda anche tutti i casi in cui l'attività prosegue in capo a terzi in forza di un contratto di affitto di azienda (Trib. Reggio Emilia, 21 ottobre 2014 in Ilcaso.it e Trib. Cassino, 31 luglio 2014, in Plurisonline.it); di senso opposto le pronunzie che, rilevando che l'art. 186-bis l.fall. non richiama appunto l'affitto, ritenuto che per l'applicazione della norma si debba configurare una effettiva prosecuzione dell'attività in capo all'imprenditore in crisi, ne escludono quindi l'operatività in caso di affitto di azienda ed in particolare quando il trasferimento a terzi preceda il concordato (Trib. Ravenna, 22 ottobre 2014 e Trib. Busto Arsizio, 1° ottobre 2014, entrambe in IlFallimentarista.it); una tesi intermedia, invece, ammette possa considerarsi “in continuità” il concordato che transiti per un affitto di azienda, ma solo se esso è finalizzato e già prevede la cessione dell'azienda stessa (Trib. Patti, 12 novembre 2013, in Fall., 2014, 114; Trib. Bolzano, 10 marzo 2015, in Ilfallimentarista.it). Tesi quest'ultima che, peraltro, si scontrava con la rigidità di qualche Tribunale ostile a proposte “chiuse” in cui l'affittuario di azienda era destinato per espressa previsione del piano a divenire senz'altro acquirente dell'azienda stessa (tesi di recente rivista da Trib. Roma, 31 luglio 2015, in IlFallimentarista.it, con nota di Campione, che ammette tale figura) e che oggi appare indebolita dall'espressa previsione della necessità di esperire sempre una procedura competitiva per reperire proposte migliorative ai fini della liquidazione dell'attivo concordatario (con il corollario che, a mio avviso, un piano che prevedesse il vincolo della cessione predeterminata non comporterebbe l'inammissibilità del concordato in quanto contra legem, bensì una sorta di sostituzione automatica di previsioni negoziali – richiamando la tesi circa la natura negoziale della proposta concordataria – e quindi l'applicazione del nuovo art. 163-bis l.fall.).

L'opinione di chi scrive è che se si vuole muovere dalla ratio della norma che traspare con evidenza dalla ricomprensione nell'istituto dell'ipotesi di trasferimento a terzi dell'azienda, si dovrebbe ritenere che il legislatore abbia voluto differenziare e favorire tutte le soluzioni concorsuali che consentano la conservazione della “vitalità” in tutto o in parte ed anche in forma indiretta dei complessi aziendali e quindi anche quando la continuazione avvenga in forma di affittanza; vero è che, come osserva taluno, tale opzione non è espressamente prevista dalla norma, considerata come di tipo eccezionale, e che l'affitto di azienda comporta un trasferimento a terzi del rischio di impresa che dovrebbe connotare la gestione aziendale (R. Amatore, Concordato con continuità aziendale e affitto di azienda, in Ilfallimentarista.it), ma a tali corrette sottolineature si potrebbe replicare che, da un lato, anche se si volesse considerare la norma come eccezionale (ma così potrebbe anche non essere se si ipotizzasse che l'art. 186-bis l.fall. configuri un istituto autonomo e non una deroga alle disposizioni sul concordato), ne sarebbe vietata l'applicazione analogica, ma non quella estensiva (laddove la disposizione espressamente prevede che sia considerato in continuità il concordato con trasferimento a terzi del complesso aziendale e quindi anche per estensione quello nel quale l'affitto sia solo un passaggio per la cessione già preconizzata, come osserva Trib. Roma, 24 marzo 2015, in Ilfallimentarista.it, con nota di G. Varrasi, L'ammissibilità dell'affitto di azienda con successiva cessione nel concordato preventivo) e, d'altro canto – avuto riguardo al caso dell'affitto strumentale ad una futura cessione non ancora prefigurata -, non è del tutto esatto che con l'affitto di azienda il rischio si trasferisca interamente all'affittuario, posto che al termine del contratto l'azienda potrebbe ritornare in capo all'impresa in crisi (e pervero, anche nel corso dell'affittanza il titolare mantiene il rischio di deprezzamento ed è soggetto ai rischi connessi con una eventuale incapacità dell'affittuaria di adempiere). Né vedo quali siano i benefici tipici della procedura in continuità che verrebbero estesi all'affittuario, al di là del mantenimento in vita e della possibilità di acquisire contratti con enti pubblici che, peraltro, costituisce (come osserva anche Trib. Bolzano, 10 marzo 2015, cit.) un beneficio indiretto per l'impresa in crisi sotto il profilo della conservazione del valore del compendio aziendale destinato a rientrare nella disponibilità del concedente o ceduto a terzi (si consideri anche la previsione della responsabilità dell'alienante nel caso di recesso delle controparti contrattuali di cui all'art. 2558 c.c.).

Conclusioni

Alla luce delle questioni sollevate, a prescindere dalle conclusioni alle quali è giunta la decisione in commento, il Tribunale di Pistoia, compiendo una analisi ampia ed attenta, ha iniziato un percorso interpretativo che dovrà essere necessariamente affrontato in relazione ai concordati disciplinati dalle norme oggi in vigore.

Anzitutto, occorrerà ora delimitare con criteri il più possibile oggettivi (chè la possibilità di interpretazioni discrezionali è sempre madre di ingiustificate disparità di trattamento) quale sia il campo di applicazione delle norme sul concordato “in continuità”, senza obliare quale sia la ratio del favore legislativo per tale figura e, per tale ragione, forse sarebbe opportuno chiarire una volta per tutte in quale misura sia possibile derogare alle tempistiche imposte in quella tipologia di concordato per il pagamento dei privilegiati ed in particolare se la deroga sia consentita per i privilegi generali in funzione delle tempistiche di liquidazione, quando il piano preveda la cessione a terzi dei beni aziendali (sui quali quindi gravano anche i privilegi generali).

Per altro verso, non mi trova concorde la tesi contenuta in un primo commento negativo della sentenza pistoiese (C. Ravina, Concordato preventivo: prime applicazioni delle nuove disposizioni di cui al d.l. 83/2015, in Ilfallimentarista.it), secondo la quale – contrariamente a quanto ritenuto dai giudici toscani – con la novella il legislatore avrebbe voluto ampliare il sindacato del Tribunale al di là dei limiti già fissati dalla giurisprudenza consolidatasi in tema di distinzione tra fattibilità giuridica ed economica: tale intento non risulta, infatti, né espressamente né implicitamente dalle nuove disposizioni, posto che vengono introdotti, per un verso, dei limiti minimi e, di contro, l'obbligo di indicare la percentuale “assicurata”, ma ciò non significa affatto che all'autorità giudiziaria sia attribuito un più ampio potere di revisione in merito al contenuto della proposta. Semmai, un altro tema che dovrà trovare risposta nella concreta applicazione delle norme novellate sarà il valutare in quale misura l'utilizzo di termini volti ad imporre l'indicazione di un vantaggio ragionevolmente certo e non meramente previsto, consentirà al Tribunale un esame più ficcante ed amplierà il ventaglio dei casi nei quali l'attestazione – o il piano in sé – verranno dichiarati manifestamente inadeguati (ed anzi, nella sanzione di inammissibilità dovrebbero incorrere tutte le proposte che contengano una indicazione “incerta” di soddisfo o che siano corredate da attestazioni meramente possibilistiche sull'indicazione prescritta in termini di assicurazione) e se ed entro quali limiti sia in tal senso consentito un sindacato volto a rivedere al ribasso le stime di realizzo, che peraltro, dovrebbe, ad avviso di chi scrive, restare confinato alle ipotesi in cui le previsioni attestate siano palesemente velleitarie o risultino fondate su presupposti di fatto chiaramente erronei.

Guida all'approfondimento

In dottrina, per una disamina della ratio e dei contenuti della novella del 2015, si veda: F. Lamanna, La legge fallimentare dopo la miniriforma del D.L. n. 83/2015, Milano, 2015, 15 ss..

Sulla distinzione tra concordati liquidatori o per garanzia e procedure “in continuità” si veda l'analisi sulla natura e l'autonomia di quest'ultimo istituto proposta da F. Rolfi – R. Ranalli, Il concordato in continuità, Milano, 2015, 6 e segg., nonché G.B. Nardecchia, Il concordato con garanzia e la continuità aziendale, in Fall., 2015, 846; V. Pettirossi, Il concordato preventivo: della fattispecie con continuità aziendale, in DF, 2015, I, 2005; L. Stanghellini, Il concordato con continuità aziendale, in Fall., 2013, 1222. Con particolare riguardo alla compatibilità tra continuità aziendale ed affitto di azienda, si esprime in senso positivo A. Patti, Il pagamento di debiti anteriori ex art. 182 quinquies, comma 4, l.fall. in favore dell'affittuario in continuità aziendale, in Fall., 2014, 192; G. Lo Cascio, Il punto sul concordato preventivo, in Fall., 2014, 7; più incerto, A. Lolli, Il concordato con continuità aziendale mediante l'intervento di terzi nel processo di risanamento: alcune considerazioni, in CeI, 2013, 1086, che propende per la necessità di una valutazione caso per caso volta a verificare se il trasferimento dell'azienda abbia la finalità precipua di favorire la realizzazione dell'attività d'impresa.

Quanto alla giurisprudenza, App. Firenze, 31 agosto 2015, in Ilfallimentarista.it e Trib. Roma, 29 gennaio 2014, in Fall., 2014, 479 ritengono pacifico che rientri nel campo applicativo dell'art. 186-bis l.fall. anche l'ipotesi di cessione di aziende in attività, situazione alla quale Trib. Ravenna, 29 ottobre 2015, in Ilcaso.it equipara anche la prosecuzione previa scissione societaria; sul punto, Trib. Cuneo, 31 ottobre 2013, in Fall., 2014, 191 e Trib. Arezzo, 27 febbraio 2015, in Ilcaso.it osservano come il legislatore abbia voluto differenziare e favorire tutte le soluzioni concorsuali che consentano la conservazione sotto il profilo oggettivo e non soggettivo; sul punto, Trib. Ravenna, 28 marzo 2015, in Fall., 2015, 858, ipotizza in caso di liquidazione parziale dell'attivo una distinzione non fondata su criteri di prevalenza bensì una “combinazione” delle due discipline.

In giurisprudenza, oltre alle sentenze citate nel testo, sulla compatibilità tra affitto di azienda e continuità aziendale, si vedano: Trib. Monza, 11 giugno 2013, in GC, 2015, II, 143; Trib. Reggio Emilia, 21 ottobre 2014, in Ilfallimentarista.it e Trib. Pordenone, 4 agosto 2015, in Ilfallimentarista.it (che muove dalla constatazione del mantenimento mediato della titolarità in capo all'impresa in crisi); Trib. Padova, 27 marzo 2014, in DF, 2015, II, 487, che ritiene stipulabile l'affitto anche in corso di procedura in continuità. Per la tesi opposta che esclude la continuità in caso di affitto, cfr. Trib. Busto Arsizio, 1° ottobre 2014, in Ilfallimentarista.it e Trib. Rimini, 1° ottobre 2015, in Ilcaso.it, che attribuisce natura liquidatoria al piano che si fondi su un affitto di azienda anteriore alla domanda; Trib. Avezzano, 22 ottobre 2014, in Fall., 2015, 842, che dichiara inammissibile un piano basato su un affitto di lunga durata non vincolato all'acquisto.

Quanto alla “serietà” della proposta di concordato, merita di essere richiamata la corrente giurisprudenziale – alla quale va forse ricondotta la scelta legislativa di introdurre limiti di soddisfo minimo – che ha sancito l'inammissibilità di proposte concordatarie con promessa di percentuali irrisorie: cfr. Trib. Modena, 3 settembre 2014 e Trib. Bergamo, 4 dicembre 2014, entrambe in Ilfallimentarista.it e Trib. Padova, 6 marzo 2014, in GC, 2015, II, 833; contra Trib. Lecco, 10 luglio 2015, in Ilfallimentarista.it; Trib. Palermo, 4 giugno 2014, in GC, 2015, II, 836; sulla censurabilità di proposte concordatarie manifestamente inidonee a far conseguire ai creditori il soddisfo proposto: Trib. Arezzo, 12 novembre 2013, in DF, 2015, II, 159; cfr. anche G. Giurdanella, Percentuali e tempi di realizzo nel concordato preventivo e controllo del Tribunale, in Fall., 2013, 1245 e, sulla natura vincolante o meno della percentuale “promessa”, anche ai fini della risoluzione del concordato, P. Pototschnig, Misura del soddisfacimento e azione di risoluzione del concordato per cessione dei beni, in Fall., 2015, 1238.

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