Intestazione fiduciaria di quota e clausola di prelazione

16 Maggio 2016

L'intestazione fiduciaria di quote di partecipazione societaria integra gli estremi dell'interposizione reale di persona, per effetto della quale il fiduciario ne acquista la titolarità, pur essendo, in virtù del rapporto interno avente natura obbligatoria stipulato con il fiduciante, tenuto ad osservare un certo comportamento nonché a ritrasferire i titoli a quest'ultimo ad una scadenza convenuta, ovvero al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario.
Massima

L'intestazione fiduciaria di quote di partecipazione societaria (o di titoli azionari) integra gli estremi dell'interposizione reale di persona, per effetto della quale il fiduciario acquista la titolarità delle quote o delle azioni, pur essendo, in virtù di un rapporto interno avente natura obbligatoria stipulato in precedenza con il fiduciante, tenuto ad osservare un certo comportamento nonché a ritrasferire i titoli a quest'ultimo ad una scadenza convenuta, ovvero al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario.

Il caso

Avverso la sentenza n. 281/2014 della Corte d'Appello di Venezia due soci di una s.r.l. (nelle more divenuta s.p.a.), in qualità di parte ricorrente, proponevano ricorso in sede di legittimità al fine di ottenere la cassazione del su indicato provvedimento con cui veniva rigettato il proprio appello avverso la sentenza di merito di primo grado. Alla base della controversia in oggetto, i soci-ricorrenti, in forza di un negozio fiduciario, trasferivano ad altri soci della s.r.l. le loro quote di partecipazione; in seguito i soci-fiduciari conferivano le dette quote, unitamente a quelle di loro proprietà, in altra società che quindi assumeva la qualità di socio della s.r.l.

I soci-ricorrenti, dunque, proponevano domanda di nullità o inefficacia del conferimento delle quote sociali da parte dei fiduciari in favore della s.a.s., in pretesa violazione della clausola di prelazione di cui allo statuto sociale; affermavano, inoltre, l'invalidità di una delibera assembleare (successiva al negozio di conferimento) approvata con voto determinante della s.a.s., ormai divenuta socio.

La Corte territoriale rigettava integralmente le pretese attoree e considerava infondata la domanda, subordinata, di simulazione del contratto sociale della s.a.s. Riteneva, quindi, la Corte d'Appello che i ricorrenti fossero certamente legittimati all'impugnazione della su menzionata delibera, in quanto, in quel momento erano da considerarsi soci; ciò che difettava era il fondamento della domanda, o meglio, il presupposto di diritto: l'invalidità derivava dal diritto all'esercizio della prelazione per il caso di trasferimento delle quote sociali – negozio precedente alla delibera – allorché la qualità effettiva di soci spettava solo ai fiduciari dei ricorrenti, sulla base di una interposizione reale di persona. Aggiungeva, altresì, la Corte che la circostanza che la stessa s.r.l. avesse partecipato ad un patto parasociale, con cui venivano riconosciuti determinati altri diritti ai ricorrenti, non potesse comunque condurre ad un esito diverso da mere conseguenze risarcitorie, dovendosi escludere ogni illegittimità dell'iscrizione della conferitaria s.a.s. nel libro soci.

Era infine infondata la domanda di simulazione del contratto sociale della s.a.s. che, secondo statuizione dei giudici di primo grado, aveva operato nel rispetto dell'oggetto sociale gestendo la partecipazione nella s.r.l., non potendosi, peraltro, invocare profili di nullità per il caso di mancato rispetto del limite dell'oggetto sociale, sussistendo, semmai, una inopponibilità ai terzi di buona fede.

Nell'adire il giudice di legittimità, la parte ricorrente, fonda la sua pretesa su alcuni motivi che, per mera connessione dell'oggetto, possono così esporsi: violazione degli articoli 2377 c.c., 2469 c.c. e 100 c.p.c., avendo la corte trascurato che oggetto di domanda attorea era la violazione della clausola statutaria di prelazione, per mancato rispetto del procedimento di denuntiatio, da cui deriva la nullità del trasferimento della quota sociale, quindi la mancanza della qualità di socio della s.a.s. e, in conseguenza, la carenza di legittimazione al voto assembleare, posto che la titolarità sostanziale delle quote spetta ai ricorrenti-fiducianti, avendo la sentenza, sul punto, frainteso i principi sulla sostituzione societaria.

In ultimo, viene prospettato l'abuso del diritto ai sensi dell'art. 1175 c.c., non avendo la sentenza esaminato l'aspetto dell'exceptio doli, che avrebbe chiarito come, in forza del patto parasociale, i fiduciari avrebbero dovuto permettere l'esercizio dei diritti sociali ai fiducianti in quanto titolari sostanziali delle quote.

Le questioni

Con il provvedimento in esame la Corte rigetta il ricorso presentato sulla base di un procedimento logico-giuridico che, muovendo dalla qualificazione del negozio fiduciario (intercorso tra ricorrenti e altri soci) come interposizione reale di persona, nega la violazione della clausola di prelazione affermando la bontà del conferimento delle quote sociali posto in essere dai fiduciari in favore di una s.a.s., da cui discende, per quest'ultima, l'acquisto della qualità di socio e la legittimazione all'esercizio dei diritti di intervento e voto in assemblea.

In materia societaria, la fattispecie, nota come intestazione fiduciaria di quote di partecipazione (o titoli azionari), ricorre nel caso in cui un soggetto (fiduciario) acquista la titolarità delle quote di partecipazione sociale o dei titoli azionari con l'obbligo, derivante dal c.d. pactum fiduciae, di osservare un certo comportamento convenuto con il fiduciante.

Come afferma la costante giurisprudenza della Corte di Cassazione, orientamento confermato anche dal provvedimento in esame, l'intestazione fiduciaria di titoli azionari (o di quote di partecipazione societaria) integra gli estremi dell'interposizione reale di persona, per effetto della quale l'interposto acquista la titolarità delle azioni o delle quote, pur essendo, in virtù di un rapporto interno con l'interponente di natura obbligatoria, tenuto ad osservare un certo comportamento convenuto in precedenza con il fiduciante, nonché a ritrasferire i titoli a quest'ultimo ad una scadenza convenuta, ovvero al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario (Cass. 9 maggio 2011, n. 10163; Cass. 6 maggio 2005, n. 9402; Cass. 16 novembre 2001, n. 14375).

Tale orientamento appare conforme al sistema della titolarità delle partecipazioni sociali, per il quale è socio – e come tale legittimato all'esercizio dei diritti sociali – colui che risulti iscritto nel libro soci per le s.p.a. o nel Registro Imprese, per la s.r.l. (Boggiali-Ruotolo, S.r.l. a capitale ridotto e intestazione fiduciaria, CNN Quesito 278/2013). In altri termini, l'interposizione derivante dal negozio fiduciario si caratterizza per il fatto che gli effetti reali prodotti dal contratto si consolidano in capo al fiduciario; non si può distinguere quindi tra intestazione sostanziale e intestazione formale delle quote: la realità degli effetti fa sì che la qualità effettiva di socio sia riconosciuta solo al fiduciario. Tali sono gli elementi propri dell'istituto della c.d. fiducia romanistica, che si connota per l'attribuzione al fiduciario della titolarità del diritto (che come detto configura un'interposizione reale di persona), e l'effetto traslativo è realmente voluto dalle parti.

Non è questa, tuttavia, l'unica forma di fiducia conosciuta nel panorama giuridico: alla fiducia di tipo romanistico, infatti, si affianca anche un diverso tipo di rapporto fiduciario, c.d. germanistico, che non realizza un trasferimento di proprietà, ma prevede la mera legittimazione ad esercitare un diritto che rimane in capo al fiduciante: in altri termini si realizza una scissione tra intestazione formale (al fiduciario) e intestazione sostanziale (al fiduciante) dei diritti.

Sebbene l'impostazione di tipo romanistico sia stata accolta con maggior favore nel nostro ordinamento giuridico (sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza sopra citate) non si può negare che lo stesso legislatore abbia istituzionalizzato la struttura del negozio fiduciario di tipo germanistico: diversi sono infatti gli effetti nel caso in cui il rapporto intercorra con una c.d. società fiduciaria, ovvero quella società che in forma di impresa assume l'amministrazione dei beni per conto di terzi (art. 1 l. 1966/39). In linea con tale impostazione, esiste anche un orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale in caso di intestazione di azioni o quote in capo ad una società fiduciaria, i beni alla stessa intestati non entrano a far parte del suo patrimonio, ma restano nella titolarità del fiduciante (Cass. 14 ottobre 1997, n. 10031; Mannetta-Dragone, Negozio fiduciario, interposizione fittizia e cenni sul negozio di accertamento, in Giust. Civ., 2007, 2613. Per approfondimenti in tema v. Ginevra, La partecipazione fiduciaria in s.p.a., Torino, 2012).

Nel caso di specie non ricorrono, tuttavia, i presupposti per una qualificazione del rapporto come fiducia di tipo germanistico; pertanto i Giudici di legittimità affermano, sulla base delle risultanze dei gradi di merito, dove il rapporto era stato interpretato come interposizione reale di persona (quindi qualificandolo in termini di fiducia di tipo romanistico), che i ricorrenti non risultano titolari della quota e quindi dei diritti sociali.

Negata quindi la legittimità all'esercizio dei diritti sociali in capo ai fiducianti, la Corte di Cassazione, nell'esame del ricorso, sposta l'attenzione sulla pretesa violazione della clausola di prelazione contenuta nello statuto sociale.

Come noto, la prelazione è quel diritto, in capo ad un soggetto, di essere preferito a parità di condizioni con terzi nella costituzione di un negozio giuridico. L'inserimento della clausola di prelazione nello statuto sociale – che costituisce un c.d. limite alla circolazione della quota ex art. 2469, comma 1, c.c. – da un lato, consente al socio, ricorrendone i presupposti convenzionalmente previsti, di realizzare il proprio intento dispositivo e il valore della propria quota; dall'altro lato, rappresenta per i consoci uno strumento di tutela che consente anche di mantenere invariata la loro posizione nella compagine sociale accrescendone proporzionalmente la partecipazione (Busi, Le clausole di prelazione nelle S.P.A., in Riv. not., 2005, 457).

Poiché la clausola di prelazione ha natura convenzionale, anche nel caso in esame la fonte per l'interpretazione della stessa risiede nello statuto sociale. Qui si evince che la nascita del diritto in capo ai soci è prevista per le ipotesi di sicura cessione onerosa della quota. I ricorrenti lamentano la violazione della clausola di prelazione statutaria per il caso di conferimento delle partecipazioni sociali in altra società. Il conferimento è la prestazione alla quale si obbliga la parte di un contratto sociale con lo scopo di dotare la società di quanto necessario per lo svolgimento dell'attività di impresa e funzionale all'acquisto della qualità di socio.

Affinché sorga il diritto di prelazione in capo al socio, deve guardarsi non tanto all'onerosità del conferimento (che è oneroso in sé), ma solamente alla fungibilità della controprestazione, cioè di quanto si ottiene a fronte del conferimento (la partecipazione sociale). La tutela della prelazione opera, infatti, in tutti quei negozi nei quali le controprestazioni, in quanto fungibili, consentono da una parte il rispetto delle parità di condizioni e dall'altra consentono al titolare della quota di realizzare comunque l'interesse soddisfatto dalla controprestazione pattuita.

La denuntiatio cui il socio alienante è per statuto obbligato, al fine di avvisare gli altri soci, si atteggia quale meccanismo funzionante in caso di sostituzione soggettiva, evitabile dai soci aventi diritto solo mediante una controprestazione identica a quella indicata dal socio cedente.

Con specifico riferimento al caso di specie, non può che farsi riferimento a quella costante giurisprudenza di legittimità secondo cui il diritto di prelazione non sorge in caso di conferimento in società: la fattispecie difetta dell'elemento essenziale della parità di condizioni, dovendosi considerare il conferimento come funzionale all'acquisto della qualità di socio, per sua natura infungibile, nel senso che gli altri soci non sono in grado di procurare all'alienante la stessa posizione giuridica da questi ottenuta con il conferimento della sua quota in altra società (Cass. 17 luglio 2012, n. 12230; Cass. 30 luglio 2007, n. 16853).

Lo stesso statuto sociale non sembrava poi prevedere criteri di valutazione della partecipazione sociale laddove la stessa fosse stata trasferita per un corrispettivo infungibile (c.d. prelazione impropria): in quel caso, sarebbe stato possibile estendere l'operatività della prelazione anche a quei trasferimenti nei quali difetta proprio la fungibilità di ciò che si ottiene a fronte, tra cui può certamente ricomprendersi il conferimento in società.

È la stessa Corte di Cassazione, del resto, ad affermare che la clausola di prelazione può essere intesa come comprensiva di quei negozi, nei quali la posizione offerta in cambio dall'acquirente delle quote non sia fungibile, solo in presenza di espressa previsione in tal senso (Cass. 12 gennaio 1989, n. 93; cfr. sul punto Comitato Triveneto dei Notai, massima I.I.22, secondo cui la clausola di prelazione è applicabile anche ai negozi con corrispettivo infungibile, purché però siano previsti dei meccanismi correttivi che consentano al socio cedente di realizzare il valore economico delle quote).

A sottolineare la portata applicativa della clausola di cui trattasi, la Corte di Cassazione effettua un parallelo con precedenti statuizioni relative ai regimi di prelazione legale. La stessa Corte, infatti, aveva espresso il principio di diritto secondo cui il conferimento di un fondo rustico in società di capitali non implica prelazione e riscatto in favore dell'affittuario, in quanto, configurandosi un trasferimento privo di controprestazione in denaro e correlato dall'acquisto della qualità di socio, non è assimilabile ai contratti di scambio di cui alla L. n. 590/1965 (Cass. 29 novembre 2005, n. 26044; Cass. 8 giugno 1992, n. 7039; Casu, La prelazione agraria, CNN Studio 66/2006-C). Eadem ratio in materia di c.d. prelazione urbana, laddove a più riprese si afferma che il conferimento nel capitale sociale della proprietà di un immobile già concesso in locazione, non fa sorgere in capo al conduttore i diritti di prelazione e riscatto di cui agli artt. 38 e 39 della legge 392/1978, poiché il conferimento non equivale ad un trasferimento oneroso, ma è elemento essenziale del contratto sociale: esso è dunque funzionale all'acquisto della qualità di socio (Cass. 15 gennaio 2014, n. 710; Cass. 17 luglio 2012, n. 12230; Cass. 18 settembre 2008, n. 23956; CASU, La prelazione urbana, CNN Studio 226/2006-C). In ultimo, secondo la Suprema Corte non può, in senso contrario a quando su esposto, opporsi la disciplina prevista in materia prelazione legale sui beni culturali di cui all'art. 60 del D.Lgs. n. 42/2004, stante la peculiare dimensione pubblicistica che governa la facoltà di acquisto da parte dello Stato e degli enti pubblici, anche nel caso di conferimento del bene in società; la norma è, infatti, di stretta interpretazione (quindi insuscettibile di applicazione analogica) e piuttosto evidenzia come, nella prelazione convenzionale del caso in esame, non era stato previsto nessun meccanismo di funzionamento per il conferimento delle quote in società.

Conclusioni

Il pronunciato della Corte alimenta quel costante orientamento giurisprudenziale secondo cui la fiducia societaria si sostanzia in una interposizione reale di persona, in cui l'unico soggetto legittimato all'esercizio dei diritti sociali, nonché a disporre delle quote di partecipazione al capitale, è il fiduciario (fiducia c.d. romanistica).

Nel caso esaminato, allora, al di là delle considerazioni sull'applicabilità della tutela della prelazione al negozio di conferimento, la stessa non può operare a favore dei ricorrenti in quanto non sono soci. Resta ferma l'eventuale relazione risarcitoria tra le parti del negozio fiduciario.

Superando il provvedimento della Corte e partendo dalle distinzioni tipologiche del negozio fiduciario, ci si potrebbe chiedere quali effetti sarebbero derivati da una qualificazione del rapporto in termini di fiducia germanistica, nella quale la titolarità della quota sarebbe rimasta in capo ai fiducianti, dovendosi escludere qualunque effetto reale.

Tuttavia anche in tal caso gli unici legittimati all'esercizio dei diritti sociali, ivi incluso il diritto di prelazione per il caso di trasferimento della partecipazione sociale, sarebbero i fiduciari, salvo che i fiducianti si attivino con gli appositi rimedi per risolvere il rapporto fiduciario e così legittimarsi all'esercizio dei diritti sociali.

Peraltro nel caso di specie – prelazione propria – sembravano difettare i presupposti per l'esercizio del diritto di prelazione, chiunque ne fosse legittimato.

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