L’inapplicabilità della postergazione nelle società cooperative
17 Novembre 2016
Massima
In materia di società cooperative, al rimborso dei finanziamenti erogati dalle c.d. compagnie finanziarie a norma dell'art. 17 L. 27 febbraio 1985, n. 49, non è applicabile la regola della postergazione di cui all'art. 2467 c.c. Il caso
Una compagnia finanziaria costituita a norma della L. 27 febbraio 1985, n. 49 si rivolgeva alla Corte di Cassazione per l'annullamento del decreto con cui il giudice di primo grado, rigettando la sua opposizione contro lo stato passivo di una società cooperativa in liquidazione coatta amministrativa, aveva escluso che il credito per la restituzione del finanziamento erogato dalla compagnia medesima ai sensi dell'art. 17 L. 27 febbraio 1985, n. 49, avesse rango ipotecario, confermandone la degradazione a postergato. La parte ricorrente, in particolare, si doleva che il giudice del merito non avesse considerato la specialità, anche di natura pubblicistica, dei finanziamenti dalla medesima erogati, in qualità di socia della cooperativa, a fini di sostegno alle attività economiche di quest'ultima in coerenza con la predetta L. 27 febbraio 1985, n. 49; non si trattava cioè di prestiti “anomali”, ovvero sostitutivi di capitale, effettuati esclusivamente per rimediare alla sottocapitalizzazione della società finanziata e dunque soggetti alla postergazione del rimborso. La Suprema Corte accoglieva questa impostazione e cassava il decreto impugnato, con rinvio al giudice di primo grado per un nuovo giudizio nel merito, sulla base del principio di diritto sopra riportato in massima. Le questioni
La sentenza in esame fornisce l'occasione per fare il punto sulla regola della postergazione ex art. 2467 c.c. dei finanziamenti effettuati dai soci in favore di società a responsabilità limitata e sull'orientamento interpretativo in ordine alla sua eventuale applicabilità ad altri tipi societari. Lo sviluppo di tali questioni, infatti, è prodromico alla soluzione della problematica specifica posta dalla sentenza in commento, ovvero l'eventuale applicabilità dell'art. 2467 c.c. ai finanziamenti erogati dalle c.d. compagnie finanziarie di cui all'art. 17 L. 27 febbraio 1985, n. 49, alle società cooperative. L'art. 2467 c.c., al primo comma, prevede che il rimborso dei «finanziamenti dei soci a favore della società» sia postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento, debba essere restituito. Al secondo comma, la norma precisa che si intendono finanziamenti dei soci a favore della società «quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento». In presenza di queste condizioni patrimoniali e finanziarie, gli amministratori non possono rimborsare i finanziamenti dei soci poiché il rimborso metterebbe a repentaglio il soddisfacimento degli altri creditori e la somma eventualmente rimborsata dovrebbe essere restituita alla società ove il rimborso fosse avvenuto nell'anno precedente la dichiarazione di fallimento. Il campo soggettivo di applicazione della norma in esame si estende a coloro che erano soci al momento dell'esecuzione dei finanziamenti, non rilevando l'assunzione o la perdita della qualità di socio in un momento successivo e nemmeno all'atto della restituzione del finanziamento (si veda la Bussola: Finanziamenti e apporti spontanei dei soci, in questo portale, che correttamente definisce «irrilevanti eventuali scissioni tra la posizione di socio e quella di creditore determinatesi in relazione a successive vicende circolatorie della partecipazione sociale o del credito»). In merito all'oggetto dei finanziamenti, l'espressione «in qualsiasi forma effettuati» impedisce che l'àmbito di estensione della norma venga circoscritto ai soli prestiti di denaro, essendo piuttosto applicabile alle ipotesi più disparate di erogazione di utilità che assolvano sotto il profilo finanziario alla stessa funzione della dazione di danaro: si può pensare al prestito di cose fungibili, alla fornitura di beni o servizi, all'accollo di un debito sociale previa liberazione della società (cfr. Trib. Firenze, 18 aprile 2016), alla non riscossione di crediti, alla concessione di garanzie personali o reali nell'interesse della società (poiché ciò permetterebbe alla società medesima di ottenere prestiti da parte di terzi ai quali altrimenti non avrebbe accesso; in questo caso, «ricorrendo i presupposti di cui all'art. 2467 c.c., il rimborso del finanziamento è comunque subordinato al soddisfacimento degli altri creditori ed i soci perdono il diritto alla liberazione del bene oggetto della garanzia o al rimborso di quanto loro spettante in via di regresso a seguito della escussione della garanzia medesima»: così D. Fico, La postergazione dei finanziamenti “indiretti” effettuati dai soci, in questo portale). Come correttamente sottolinea Trib. Milano 25 luglio 2014, non rientrano invece nei finanziamenti oggetto di postergazione ex art. 2467 c.c. i prestiti obbligazionari, che rimangono disciplinati dalla loro normativa specifica (cfr. artt. 2410 e ss. c.c.). La sentenza Trib. Padova, 28 ottobre 2015 (in questo portale, con nota di Fico, La postergazione dei finanziamenti “indiretti” effettuati dai soci, cit.) ha recentemente fatto applicazione della regola in esame ritenendo che, con riferimento all'intervallo temporale a ridosso della decisione di mettere in liquidazione la società per le forti perdite registrate, i soci finanziatori avessero «adeguata consapevolezza dell'eccessivo indebitamento in cui operava la società», con la conseguenza che le «forniture» dai medesimi prestate alla società «assurgano a finanziamenti indiretti effettuati dai soci» da rimborsare in via postergata.
In presenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi di cui si è detto, nonché dei c.d. indici di sottocapitalizzazione previsti dall'art. 2467, comma 2, c.c. (eccessiva sproporzione tra debiti e patrimonio netto della società ovvero crisi di liquidità che richieda il ricorso a conferimenti piuttosto che a prestiti), i soci finanziatori hanno diritto al rimborso delle somme versate nella società soltanto dopo l'integrale soddisfacimento di coloro che risultino creditori al momento del rimborso; in buona sostanza, il prestito effettuato dal socio viene considerato alla stessa stregua di un apporto di capitale proprio. Questa vera e propria riqualificazione del rapporto tra le parti da finanziamento a conferimento manifesta la ratio della norma, quella di contrastare il fenomeno della sottocapitalizzazione, ovvero la situazione in cui la società, allorché si trovi in una situazione di crisi, soddisfa il fabbisogno finanziario per il conseguimento dell'oggetto sociale ricorrendo al capitale di credito (finanziamenti) in luogo del capitale di rischio (conferimenti). Per questa via, anziché capitalizzare la società esponendo ulteriormente il loro patrimonio personale a responsabilità per le obbligazioni sociali, i soci effettuano un prestito spostando il rischio d'impresa sui creditori. Oltre che in materia di società a responsabilità limitata (cfr. art. 2467 c.c.), il legislatore ha espressamente previsto la postergazioni del rimborso anche per i finanziamenti effettuati a favore di una società (di qualunque tipo essa sia: s.r.l., s.p.a., ecc.) da chi su di essa esercita attività di direzione e coordinamento ovvero da altri soggetti ad essa sottoposti (cfr. art. 2497-quinquies c.c.). La regola della postergazione, invece, è parzialmente derogata nella disciplina del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione dei debiti, in particolare all'art. 182 quater L. fall., il quale prevede che i finanziamenti effettuati dai soci in esecuzione del concordato o dell'accordo, ovvero in funzione della loro ammissione od omologazione, nel caso di successivo fallimento sono prededucibili nella misura dell'80% e quindi da restituire con preferenza rispetto agli altri creditori; perciò gli effetti di cui all'art. 2467 c.c. (restituzione al fallimento delle somme rimborsate ed insinuazione come creditore postergato) operano solo sul restante venti per cento. Muovendo da questo quadro normativo, la giurisprudenza si è chiesta se sia possibile desumere dall'art. 2467 c.c. un principio generale applicabile a tipi societari diversi dalla società a responsabilità limitata, fra i quali, in primis, le società per azioni. Secondo l'opinione oggi prevalente in giurisprudenza, la regola della postergazione è stata formalmente prevista soltanto in materia di società a responsabilità limitata poiché esse sono ontologicamente più esposte al rischio di sottocapitalizzazione (vista la titolarità in capo ai soci di ampi e penetranti poteri individuali di informazione e controllo, essi si trovano in posizione di vantaggio nei confronti dei creditori esterni e quindi si presumono in grado di diagnosticare la crisi d'impresa con maggiore tempestività); si tratterebbe, però, dell'espressione di un principio generale applicabile anche alle società per azioni c.d. chiuse, che presentano in concreto situazioni organizzative (base azionaria familiare o comunque ristretta, coincidenza fra le persone dei soci e quelle degli amministratori, ecc.) connotate dalla possibilità per il socio finanziatore di apprezzare la (adeguata o meno) capitalizzazione della società finanziata (come avviene appunto per i soci di società a responsabilità limitata, dotati fra l'altro dei poteri di controllo di cui all'art. 2476, comma 2, c.c.). In questo senso si veda Cass. 7 luglio 2015, n. 14056 (in questo portale, con nota di Papini, Postergazione del finanziamento dei soci e s.p.a. “chiuse”) che prende le mosse dalla ratio dell'art. 2467 c.c., ovvero «quella di regolare i fenomeni di sottocapitalizzazione nominale in società chiuse (fenomeni determinati dalla convenienza dei soci a ridurre l'esposizione al rischio d'impresa, ponendo i capitali a disposizione della società nella forma di finanziamento anziché in quella di conferimento)», ratio che rende applicabile la norma anche alle società per azioni c.d. chiuse, che non presentano differenze particolari rispetto alle società a responsabilità limitata e che anzi dànno luogo ad analoghe esigenze di tutela dei creditori sociali. Questo orientamento della Suprema Corte è stato seguìto dalla successiva giurisprudenza di merito. Si segnala al riguardo Trib. Milano 28 luglio 2015, in questo portale, con nota di Papini, cit.), secondo cui la regola della postergazione, «oltre a soddisfare esigenze di tutela dei creditori che possono in concreto ricorrere non solo nell'ambito di srl ma anche nell'ambito di spa c.d. chiuse, come posto in luce dalla Cassazione, non risulta di per sé una disciplina singolare o isolata nel complessivo disegno del diritto societario, ma appare invece del tutto coerente con le linee fondanti di tale disegno, prevedenti, per lo svolgimento di attività di impresa in forma societaria, l'immissione da parte dei soci di capitale di rischio e il rinnovo di tale immissione nel caso di perdita del capitale originario, sicché, in tale contesto di norme (relativo in particolare alla disciplina dei conferimenti e agli obblighi di ricapitalizzazione), la valenza anti-elusiva della postergazione dei finanziamenti dei soci ex art. 2467 cc appare espressione di un principio generale, volto ad evitare uno spostamento del rischio di impresa sui creditori»; secondo il Tribunale meneghino, la tendenziale estensione della regola in esame risulta poi «avvalorata dalla disciplina ex art. 2497-quinquies cc in tema di postergazione dei finanziamenti infra-gruppo, disciplina che anch'essa prescinde dal dato formale della forma societaria per collegare la postergazione ad altra situazione nella quale il socio finanziatore, quale esercente attività di direzione e coordinamento rispetto alla società finanziata, è “tipicamente” in grado di valutare compiutamente la situazione di adeguata o meno capitalizzazione della società». In senso analogo anche Trib. Roma, 15 settembre 2015, che muovendo da identiche premesse ha ritenuto applicabile l'art. 2467 c.c. all'interno di una società per azioni, «attesa la partecipazione di due soli soci, peraltro legati da vincoli di parentela con l'amministratore unico della stessa». È dubbio, infine, se la regola della postergazione operi anche in materia di società di persone, nelle quali i creditori sociali sono già tutelati dalla responsabilità illimitata dei soci. Per l'applicabilità analogica dell'art. 2467 c.c. ai finanziamenti erogati dai soci accomandanti di società accomandita semplice, v. TOMBARI, La partecipazione di società di capitali in società di persone come nuovo “modello di organizzazione della attività di impresa”, in Riv. Soc., 2006, 201. Le soluzioni giuridiche
In questo contesto si colloca la sentenza di legittimità in commento, la quale ha cassato la decisione del giudice di merito che aveva ritenuto applicabile l'art. 2467 c.c. alle società cooperative in forza dell'art. 2519, comma 2, c.c., a norma del quale, in assenza di disposizioni specifiche per questo tipo sociale, «l'atto costitutivo può prevedere che trovino applicazione, in quanto compatibili, le norme sulla società a responsabilità limitata nelle cooperative con un numero di soci cooperatori inferiori a venti ovvero con un attivo dello stato patrimoniale non superiore ad un milione di euro». Secondo la Cassazione, il giudice del merito ha errato nell'estendere l'àmbito applicativo dell'art. 2467 c.c. al caso concreto, poiché mancava del tutto la prova dei presupposti necessari per l'applicazione integrativa della disciplina delle società a responsabilità limitata in materia di società cooperative: non era dimostrato, infatti, l'espresso richiamo nell'atto costitutivo della cooperativa in causa, né la presenza dei requisiti dimensionali – in relazione alternativa – del numero di soci o dell'attivo patrimoniale. Ad ogni modo, ha precisato la Suprema Corte, se anche fossero state presenti tutte le necessarie condizioni di legge, il ricorso suppletivo all'art. 2467 c.c. sarebbe stato escluso dal mancato rispetto del canone di compatibilità contestualmente prescritto dall'art. 2519 c.c., mancando una «affinità di tipo sociale» tra le società a responsabilità limitata e le società cooperative. Queste ultime, infatti, sono rette da princìpi «estranei se non contrapposti a quelli imperanti nelle società lucrative», come ad esempio lo scopo mutualistico (art. 2511 c.c.), la variabilità di soci e capitale (artt. 2511 e 2524 c.c.), la parità di peso del voto tra i soci (art. 2538, comma 2, c.c.) e il tetto massimo alla partecipazione sociale (art. 2525 c.c.). Tutti questi principi – si puntualizza nella sentenza in commento – appaiono «concorrenti a contenere, se non sminuire, l'influenza del singolo socio sulle scelte gestionali dell'impresa», così che, per questa via, viene meno l'identità di ratio sottesa alla regola della postergazione. In questo senso si era già espresso Trib. Treviso, 19 gennaio 2015, in IlFallimentarista.it, ritenendo che «a differenza dei soci finanziatori delle società lucrative … il prestito sociale cooperativo può riguardare una grande quantità di soggetti i quali non hanno poteri tali da incidere sulla gestione sociale; infine, va considerato che le finalità perseguite dal socio cooperativo con il prestito rispondono a proprie esigenze di risparmio o di investimento, a differenza del socio finanziatore di srl che interviene mettendo a disposizione della società nuovi mezzi finanziari in forza dell'interesse che ha nella società»; ciò ritenuto, il Tribunale di Treviso aveva concluso che il prestito sociale cooperativo non potesse essere assimilato al finanziamento ex art. 2467 c.c., in quanto, per la stessa struttura della cooperativa, esso riguardava soggetti che non avevano il potere di incidere sulla gestione sociale. A maggior ragione, poi, la Cassazione ha precisato che la regola della postergazione sarebbe esclusa anche nel più specifico caso dei finanziamenti apportati dai c.d. soci sovventori di società cooperative: i quali, a differenza dei c.d. soci cooperatori, sono chiamati soltanto ad apportate capitale nell'impresa, senza partecipare alla realizzazione dello scopo mutualistico. A norma dell'art. 4 della L. 31 gennaio 1992, n° 59, i soci sovventori non possono essere titolari di più di un terzo dei voti spettanti ai soci presenti o rappresentati in assemblea; inoltre, essi possono essere nominati amministratori, ma la maggioranza degli stessi deve essere costituita da soci cooperatori. Può così escludersi «che nelle cooperative il socio finanziatore o sovventore, cui resta ex lege sottratto il controllo delle maggioranze in seno agli organi sociali (sia nell'assemblea, che nel consiglio di amministrazione, ovvero nel collegio sindacale), possa determinare gli indirizzi gestionali della società ed influire in maniera determinante sulla decisione di procedere a manovre sul capitale sociale, piuttosto che ricorrere ad altre forme di raccolta del risparmio tra i soci» e perciò anche in questo più specifico caso «viene meno anche l'identità di ratio sottesa, secondo la prevalente dottrina, alla regola della postergazione». Agli argomenti sopra riportati che escludono comunque l'applicabilità della postergazione in materia di società cooperative, la sentenza in commento, ad abbondanza, ne ha aggiunto un altro per l'ipotesi – ricorrente nella fattispecie concreta sottoposta al suo esame – di prestiti concessi alle società cooperative dalle c.d. compagnie finanziarie disciplinate all'art. 17 L. 27 febbraio 1985, n. 49 (c.d. legge Marcora). La norma in questione, al fine di favorire «lo sviluppo di piccole e medie imprese costituite nella forma di società cooperativa o di piccola società cooperativa, ivi incluse quelle costituite nella forma di cooperativa sociale, appartenenti al settore di produzione e lavoro», aveva istituito il c.d. fondo «per gli interventi a salvaguardia dei livelli di occupazione» ed altresì previsto che il Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato (oggi Ministero dello Sviluppo Economico) potesse utilizzare le disponibilità del fondo per partecipare al capitale sociale di società finanziarie appositamente costituite: le quali, a loro volta, potevano assumere partecipazioni temporanee di minoranza all'interno di società cooperative ovvero anche prestare finanziamenti alle stesse. La natura di vera e propria sovvenzione pubblica finalizzata alla salvaguardia dei livelli occupazionali nelle società cooperative trova riscontro nel riconoscimento del rango privilegiato ai relativi crediti da rimborso: l'art. 4, comma 5, della legge Marcora prevede infatti che i finanziamenti «erogati dalle società finanziarie ai sensi dell'articolo 17, comma 5, hanno privilegio sugli immobili, sugli impianti e su ogni loro pertinenza, sui macchinari e sugli utensili della cooperativa, comunque destinati al suo funzionamento ed esercizio». Alla luce di simile quadro normativo, e tornando alla fattispecie concreta sottoposta al suo esame, la Suprema Corte ha così potuto concludere che la disciplina dei prestiti concessi alle società cooperative dalle c.d. compagnie finanziarie «rende palese la linea di fondo di politica del diritto: volta non già a declassare i finanziamenti erogati in forza di una legge speciale – quasi dissimulassero comportamenti opportunistici di soci mossi da finalità lucrative […] – bensì, all'opposto, ad assegnare loro un rango privilegiato», con conseguente, evidente, impossibile applicazione della regola della postergazione. Per tutti questi motivi, la sentenza in commento ha concluso che erroneamente il giudice del merito aveva ritenuto che i crediti discendenti dai finanziamenti elargiti dalla compagnia finanziaria ricorrente ad una società cooperativa, ora in liquidazione coatta amministrativa, quando quest'ultima versava già in stato di crisi meritassero di essere collocati al rango postergato in virtù di un'applicazione estensiva dell'art. 2467 c.c. Conclusioni
La sentenza in commento si pone in continuità con l'orientamento giurisprudenziale in forza del quale l'art. 2467 c.c. contiene un principio generale applicabile non soltanto alle società a responsabilità limitata, ma anche alle società per azioni e ad altri tipi di società, purché, in concreto, ricorrano le medesime esigenze di tutela dei creditori estranei alla società rispetto ai soci finanziatori. Codesto orientamento, infatti, è alla base dell'indagine svolta dalla Suprema Corte: la quale, dopo aver verificato la conformazione della compagine sociale mutualistica mettendone in risalto le differenze rispetto alle società lucrative, ha correttamente escluso la possibilità di applicare la regola della postergazione al rimborso dei finanziamenti concessi dai soci investitori di società cooperative. |