Responsabilità di amministratori e sindaci di società in house: riflessi sul riparto di giurisdizione
18 Gennaio 2016
Massima
La Corte dei Conti ha giurisdizione sull'azione di responsabilità esercitata dalla Procura della Repubblica presso detta Corte quando tale azione sia diretta a far valere la responsabilità degli organi sociali per danni da essi cagionati al patrimonio di una società in house, per tale dovendosi intendere quella costituita da uno o più enti pubblici per l'esercizio di pubblici servizi, di cui esclusivamente tali enti possano esser soci, che statutariamente esplichi la propria attività prevalente in favore degli enti partecipanti e la cui gestione sia per statuto assoggettata a forme di controllo analoghe a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici.
La giurisdizione della Corte dei Conti non è tuttavia configurabile se al momento in cui risale la condotta ipotizzata come illecita non sussistevano, avendo riguardo allo statuto sociale allora applicabile, i requisiti propri della società in house. Il caso
La Aziende Industriali Municipali Vicenza S.p.a. (AIM S.p.a.) ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Vicenza tredici tra ex amministratori ed ex sindaci della società al fine di sentirli condannare – per mala gestio i primi e per omesso controllo i secondi – al risarcimento dei danni dalla stessa patiti.
Alcuni dei convenuti, una volta costituitisi in giudizio, hanno eccepito il difetto di giurisdizione del giudice adito sostenendo che la società AIM S.p.a., poiché interamente partecipata dal Comune di Vicenza, deputata alla gestione di servizi pubblici essenziali e sottoposta all'invasivo controllo dell'ente pubblico partecipante, sarebbe dotata dei requisiti propri di una società in house, di talché l'azione di responsabilità nei riguardi dei suoi organi sarebbe esperibile dinanzi alla Corte dei Conti ad opera del Procuratore contabile presso detta Corte.
Con apposito ricorso la società attrice ha dunque proposto istanza per regolamento di giurisdizione ai sensi dell'art. 41 c.p.c. Di qui la sentenza n. 5848/2015 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione. La questione
La questione di giurisdizione che le Sezioni Unite sono chiamate a risolvere si pone, ad avviso delle stesse, nei seguenti termini: “se l'azione sociale di responsabilità proposta nei confronti di amministratori e sindaci di una società per azioni partecipata da un ente pubblico territoriale, che per quel medesimo ente svolge servizi pubblici essenziali, competa oppure no al giudice ordinario”.
In realtà, la problematica è ben più ampia: in simili casi, infatti, non si tratta solamente di agire in base alle regole e ai principi che governano il processo contabile, anziché quello civile; si tratta, invece, di mutare anche la disciplina sostanziale del rapporto controverso (M. Antonioli, Società a partecipazione pubblica e giurisdizione contabile, Milano, 2008, 37). Pertanto, più puntualmente, l'alternativa che si pone è se debba ritenersi che rispetto agli amministratori e ai sindaci diuna società per azioni partecipata da un ente pubblico territoriale, che per quel medesimo ente svolge servizi pubblici essenziali, si applichino le norme di diritto societario in tema di responsabilità (artt. 2393 e ss. e art. 2407 c.c.), con conseguente giurisdizione del giudice ordinario, o se invece debba riconoscersi in capo agli stessi, al pari dei funzionari pubblici, la responsabilità amministrativa per danno erariale, con conseguente giurisdizione della Corte dei Conti.
Fatta questa doverosa premessa, al fine di meglio “inquadrare” la pronuncia che qui si commenta è opportuno prendere le mosse dal noto leading case in materia, rappresentato da Cass., S.U., 19 dicembre 2009, n. 26806 (in Soc., 2010, 804). Le soluzioni giuridiche
Cass. n. 26806/2009 ha segnato una brusca interruzione nel progressivo ampliamento giurisprudenziale – delineato dalle stesse Sezioni Unite – della giurisdizione contabile (V. Tenore, La giurisdizione della corte dei conti sulle s.p.a. a partecipazione pubblica, in Foro Amm. – C.d.S., 2010, 92 ss.). Nel fare ciò, i Giudici di legittimità hanno osservato che le società a partecipazione pubblica “non perdono la loro natura di enti privati per il solo fatto che il loro capitale sia alimentato anche da conferimenti provenienti dallo Stato o da un altro ente pubblico”; che in tali società, per espressa previsione legislativa, gli amministratori di nomina pubblica “hanno i diritti e gli obblighi dei membri nominati dall'assemblea” (art. 2449 c.c.) e soggiacciono dunque alle azioni di responsabilità spettanti alla società, ai soci, ai creditori sociali ed ai terzi a norma del codice civile; che il quesito riguardante la configurabilità della giurisdizione contabile (espressamente esclusa solo per gli amministratori di società quotate con partecipazione pubblica inferiore al 50% dall'art. 16-bis, d.l. n. 248/2007, conv. in l. n. 31/2008) deve essere risolto, in assenza di norme esplicite, avendo riguardo ai principi generali e alle linee portanti del sistema.
Proprio in riferimento a tale quesito, la Suprema Corte ha risposto in maniera differente a seconda che il danno azionabile sia stato arrecato direttamente al socio pubblico o, invece, al patrimonio sociale. Nel primo caso ha ritenuto che la configurabilità dell'azione del p.m. contabile non incontri significativi ostacoli e che vada dunque sancita la sussistenza della giurisdizione della Corte dei Conti. Di contro, nel secondo caso è pervenuta alla soluzione opposta sulla base di argomenti così sintetizzabili: a) un rapporto di servizio – che rappresenta il fondamento teorico della responsabilità amministrativa, essenziale perché sia configurabile la giurisdizione della Corte dei Conti – può eventualmente sussistere fra società ed ente pubblico socio, non tra quest'ultimo e gli amministratori della società; b) il danno arrecato dagli organi della società al patrimonio sociale non implica alcun danno erariale, bensì unicamente un danno sofferto da un soggetto privato (la società appunto), riferibile al patrimonio appartenente soltanto a quel soggetto e non certo ai singoli soci, pubblici o privati che siano; c) l'ipotizzata azione di responsabilità dinanzi al giudice contabile, presentando presupposti e caratteristiche diversi da quelli delle azioni contemplate dal codice civile, non sarebbe coordinabile con queste ultime, dalla cui esperibilità non si può prescindere; d) il rischio di un vuoto di tutela per l'interesse pubblico non sussiste, dal momento che l'azione sociale di responsabilità può essere esercitata anche da una minoranza qualificata nella s.p.a. (art. 2393-bis c.c.) e da ciascun socio nella s.r.l. (art. 2476, comma 3, c.c.), quindi il socio pubblico può tutelare i propri interessi e se ciò non fa l'azione del p.m. contabile è proponibile nei confronti del rappresentante dell'ente pubblico rimasto inerte.
L'impostazione di fondo è chiara: ritenuta insuperabile la distinzione fra la personalità giuridica della società partecipata e la personalità giuridica del socio partecipante, i due soggetti non possono essere confusi e sottoposti al medesimo regime giuridico (L. Torchia, Società pubbliche e responsabilità amministrativa: un nuovo equilibrio, in Giorn. dir. amm., 2012, 323 ss.). Le Sezioni Unite hanno così stabilito un criterio suscettibile di generale applicazione in materia di società a partecipazione pubblica (L.E. Fiorani, Le azioni di responsabilità nelle società a partecipazione pubblica, in Giur. comm., 2011, 315 ss.), pur facendo salva la specificità di singole società il cui statuto sia soggetto a regole legali sui generis come nel caso della RAI, per la quale la natura di società per azioni assumerebbe – secondo Cass., S.U., 22 dicembre 2009, n. 27092 (in Foro it., 2010, 1472) – il carattere di abito formale rispetto ad una “natura sostanziale di ente assimilabile ad una amministrazione pubblica”, con conseguente natura erariale del danno a questa cagionato dai suoi amministratori, sindaci e dipendenti.
Come è stato autorevolmente notato (C. Ibba, Forma societaria e diritto pubblico, in Riv. dir. civ., 2010, 10365 ss.), attraverso il “combinato disposto” di queste pronunce le Sezioni Unite non solo hanno enunciato sia la regola (giurisdizione ordinaria) sia l'eccezione (giurisdizione contabile), ma hanno altresì circoscritto gli spazi applicativi dell'eccezione stessa, nei quali rientrano solo pochissimi esemplari di società legali a statuto singolare fortemente derogatorio rispetto al diritto comune. Di recente, però, gli spazi applicativi dell'eccezione si sono ulteriormente dilatati per effetto della nota sentenza Cass., S.U., 25 novembre 2013, n. 26283 (in Soc., 2014, 55 ss.), riguardante il caso di una società in house providing, una società di capitali dotata cioè di specifici requisiti che le permettono di beneficiare dell'affidamento in via diretta di servizi pubblici locali di rilevanza economica (art. 113, d.lgs. n. 267/2000): natura esclusivamente pubblica dei soci; esercizio dell'attività in prevalenza a favore dei soci stessi; sottoposizione ad un controllo analogo a quello che gli enti pubblici soci esercitano sui propri uffici. Queste caratteristiche – che devono sussistere tutte contemporaneamente e devono tutte trovare il loro fondamento in precise e non derogabili disposizioni dello statuto sociale – renderebbero evidente, secondo i giudici di legittimità, “l'anomalia del fenomeno dell'in house nel panorama del diritto societario”. Anomalia determinata dal fatto che la società in house è completamente priva di un potere decisionale suo proprio, in conseguenza del totale assoggettamento dei suoi organi al potere gerarchico dell'ente pubblico titolare della partecipazione sociale. A causa del penetrante potere di comando direttamente esercitato sulla gestione della società, infatti, essa non risulta “in grado di collocarsi come un'entità posta al di fuori dell'ente pubblico, il quale ne dispone come di una propria articolazione interna”. Per le Sezioni Unite è allora evidente che “il velo che normalmente nasconde il socio dietro la società è dunque squarciato: la distinzione tra socio (pubblico) e società (in house) non si realizza più in termini di alterità soggettiva”.
Tale coincidenza fra società ed ente pubblico che ad essa partecipa determina la riespansione dei confini della responsabilità amministrativa per danno erariale e dunque della giurisdizione contabile. Invero, da un lato gli organi della società in house, assoggettati come sono a vincoli gerarchici facenti capo alla P.A., sono da ritenersi personalmente legati a questa da un vero e proprio rapporto di servizio. Dall'altro, se non risulta possibile configurare un rapporto di alterità fra l'ente pubblico partecipante e la società in house che ad esso fa capo, anche la distinzione fra i rispettivi patrimoni si può porre in termini di separazione patrimoniale, ma non di distinta titolarità. Pertanto, il danno inferto al patrimonio della società da atti illegittimi degli amministratori, cui possa aver contribuito un colpevole difetto di vigilanza dei sindaci, è arrecato ad un patrimonio separato ma pur sempre riconducibile all'ente pubblico: è quindi un danno erariale.
Ebbene, la pronuncia qui in commento non fa che confermare tale nuovo indirizzo, inaugurato con Cass. n. 26283/2013 e ormai in corso di consolidazione (Cass., S.U., 10 marzo 2014, n. 5491, in Soc., 2014, 953 ss.; Cass., S.U., 9 luglio 2014, n. 15594, e Cass., S.U., 24 ottobre 2014, 22609). Poiché però la verifica dei requisiti dell'in house providing deve essere svolta avendo riguardo al momento in cui risale la condotta ipotizzata come illecita (Cass., S.U., 26 marzo 2014, n. 7177), i Giudici di legittimità osservano che AIM S.p.a., pur essendo divenuta una società in house nel corso della sua esistenza, di certo non lo era al tempo in cui i suoi amministratori e sindaci hanno tenuto i comportamenti per i quali sono stati citati dinanzi al Tribunale di Vicenza. Di talché, nel caso in esame la giurisdizione della Corte de Conti non è configurabile. Osservazioni
A partire da Cass. n. 26283/2013 le Sezioni Unite, pur statuendo la permanente validità del principio generale formulato con Cass. n. 26806/2009, hanno deciso di sottrarvi le società in house. Tuttavia, data la grande diffusione che queste società hanno, la “nuova eccezione” – ha subito osservato qualcuno – risulta assai rilevante, al punto da avere quasi il sapore di un revirement (F. Cintioli, Società in mano pubblica, interesse sociale e nuove qualificazioni della giurisprudenza, in GiustAmm.it, 2014, p. 14).
Non solo: la soluzione prospettata dalla Corte regolatrice fa riemergere, per le società in house, il delicato problema (fortemente dibattuto in dottrina) della convivenza tra i due sistemi di responsabilità, amministrativo-contabile da un lato e civile-societario dall'altro, che l'arresto del 2009 aveva saggiamente tenuto separati, evitando sovrapposizioni di sorta (G. Poli, T. Ventrella, La responsabilità per danno erariale: l'irrisolto conflitto con l'azione civile e gli ultimi approdi in materia di società “in house”, in GiustAmm.it, 2014).
Per non dire, poi, dei destabilizzanti scenari apertisi a livello sistematico in conseguenza dell'argomentare della Corte, ad esempio in ambito fallimentare, dove la questione del trattamento da riservare alle società in house insolventi è divenuta in breve tempo un vero e proprio rompicapo giuridico per molti tribunali (M. Vescovi, Il fallimento delle società in house al tempo dello squarcio del velo della personalità giuridica, in GiustAmm.it, 2015). Ma questa è un'altra storia.
Quanto mai opportuna, in definitiva, è la recente scelta del legislatore di riordinare la disciplina delle partecipazioni societarie delle pubbliche amministrazioni e – per quello che qui più interessa – di addivenire ad una “precisa definizione del regime delle responsabilità degli amministratori delle amministrazioni partecipanti nonché dei dipendenti e degli organi di gestione e di controllo delle società partecipate” (art. 18, comma 1, lett. c), l. n. 124/2015, recante “Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche”). |