La responsabilità degli amministratori in caso di riduzione del capitale al di sotto del minimo legale
20 Marzo 2017
Massima
La redazione dei bilanci d'esercizio assolve ad una pluralità di funzioni non solo interne all'azienda (consentendo all'imprenditore di verificare concretamente l'andamento della propria attività in un dato periodo ed ai soci di verificare se siano stati conseguiti utili, eventualmente ripartibili), ma anche esterni. Sotto quest'ultimo profilo i bilanci costituiscono una sorta di biglietto da visita dell'imprenditore, massimamente importante nell'ambito delle società di capitali dove l'elezione di un soggetto totalmente autonomo e distinto rispetto a coloro che esercitano congiuntamente l'attività di impresa in forma societaria fa sì che oggetto della garanzia generica ex art. 2740 c.c. possano essere solo i beni formalmente appartenenti alla società, la rappresentazione dei quali avviene nello stato patrimoniale del bilancio.
La regola sancita dall'art. 2447 c.c., definita con terminologia gergale regola del “ricapitalizza e liquida” sottende un principio generale che presiede ad un'economia di libero mercato e cioè che il rischio d'impresa, in ogni sua fase, grava sempre, rigorosamente e imprescindibilmente solo in capo all'imprenditore e non può essere mai traslato sui suoi creditori. Ne consegue che in presenza dell'erosione del capitale sociale l'imprenditore si trova davanti ad un bivio: o immette nuove risorse nella propria impresa oppure deve procedere alla liquidazione. Non può invece, proprio perché ciò costituirebbe un'evidente violazione dello stesso art. 2447 c.c., continuare l'attività d'impresa allocandone il rischio in capo ai suoi creditori. Laddove ciò avvenisse si radicherebbe in capo agli amministratori ed ai sindaci una responsabilità di tipo patrimoniale. Il caso
Nella sentenza del Tribunale di Prato in esame sono presi in analisi, tra i molteplici argomenti, i temi della responsabilità degli amministratori della società fallita per l'illegittima redazione del bilancio (con particolare riferimento a illegittime sopravvalutazioni di magazzino, di partecipazioni, di crediti nei confronti di società partecipate estere a titolo di rimborso di finanziamenti soci erogati in favore di queste ultime, di crediti commerciali inesistenti, inesigibili o di dubbia esigibilità) e della continuazione dell'attività d'impresa in una situazione di perdita del capitale sociale al di sotto del limite legale. Le questioni
La responsabilità degli amministratori per l'irregolare redazione del bilancio e la protrazione dell'attività in situazione di erosione del capitale (I) Nel caso oggetto di analisi, è stata riscontrata una mala gestio degli amministratori consistente nell'irregolare redazione del bilancio, in violazione, in particolare, dell'art. 2426 n. 3), 4), 8) e 9) c.c. Il Tribunale di Prato ha, dunque, sottolineato che nella redazione del bilancio: - il magazzino è stato sopravvalutato, “anche mediante ricorso ad artifizi, come quello di evitare vendite a stock, con un progressivo innalzamento delle rimanenze”; - il valore delle partecipazioni in società è stato iscritto “al valore nominale del capitale posseduto, senza tener conto che il valore del patrimonio netto [delle società] era drasticamente inferiore”; - sono stati iscritti in bilancio crediti nei confronti delle partecipate, “mentre era ben chiaro che tali finanziamenti non sarebbero mai stati restituiti”; - sono stati iscritti in bilancio crediti commerciali, senza prevedere adeguati fondi svalutazione. Nel valutare il comportamento degli amministratori, il Giudice ha poi analizzato la funzione del bilancio d'esercizio, sia internamente alla società sia verso il pubblico, sottolineando che tale documento, così come evidenziato nei principi contabili nazionali e internazionali (O.I.C. e I.A.S.), deve prevedere un'informazione patrimoniale, finanziaria ed economica tale da: - consentire all'imprenditore di verificare concretamente l'andamento della propria attività in un dato periodo ed ai soci di verificare il conseguimento di utili, eventualmente ripartibili; - consentire ai terzi di verificare l'andamento dell'attività economica della società e, conseguentemente, l'attitudine o meno dell'impresa alla solvibilità e al corretto adempimento delle obbligazioni assunte dalla società verso i terzi. Dunque, in ragione di tali finalità, il Tribunale di Prato ha sottolineato il carattere imperativo delle norme che regolano la redazione del bilancio (art. 2423 c.c. ss.) (in tal senso si veda Cass. 10 giugno 2014, n. 13031, per la quale “Tali norme, infatti, non solo sono imperative, ma contengono principi dettati a tutela, oltre che dall'interesse dei singoli soci ad essere informati dell'andamento della gestione societaria al termine di ogni esercizio, anche dell'affidamento di tutti i soggetti che con la società entrano in rapporto, i quali hanno diritto a conoscere l'effettiva situazione patrimoniale e finanziaria dell'ente”). Proprio la natura pubblicistica degli interessi tutelati dalle norme imperative in esame, prosegue il Tribunale di Prato, comporta l'indisponibilità di tali interessi da parte dei soci; sicché la violazione degli artt. 2423 c.c. ss. non solo non può essere sanata mediante una delibera assembleare di approvazione del bilancio, ma si ripercuote anche sulla validità della delibera stessa. Nella sentenza in commento viene, infine, sottolineata la previsione di una norma di salvaguardia (art. 2423, comma 5 c.c.), in funzione della quale laddove l'applicazione delle norme giuridiche in materia di bilancio conduca, in casi eccezionali, a fornire delle informazioni non veritiere e non corrette, il redattore è tenuto a disapplicare la normativa civilistica, applicando le regole contenute nei principi contabili nazionali ed internazionali (in tal senso si vedano: App. Torino, 8 agosto 2007, in Società, 2008, 7, 869, per la quale “Le poste di bilancio devono essere valutate nel rispetto dei principi generali sanciti dagli artt. 2423, 2423-bis c.c., opportunamente integrati ed interpretati dai principi contabili nazionali (OIC) ed internazionali (IAS)”; Trib. Prato 14 settembre 2012, in Società, 2013, 269 ss. per il quale “rispetto alle norme dettate nel codice civile assumono funzione complementare, di integrazione tecnica e parametro di riferimento a livello interpretativo i principi elaborati, a livello nazionale, dall'OIC e, al livello internazionale, dallo IASB"; S. Fortunato, Bilancio e contabilità d'impresa in Europa, in www.researchgate.net, 2010, 3 ss.).
(ii) Nel caso in esame, l'irregolare redazione del bilancio da parte dell'organo gestorio è stata volta all'occultamento della reale situazione contabile della società (i.e., l'erosione del capitale sociale, peraltro nel caso di specie sussistente da diversi anni), così consentendo la protrazione dell'attività d'impresa da parte degli amministratori, pur in una situazione di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale (in violazione dell'art. 2447 c.c.). Situazione questa che prevede necessariamente l'applicazione del principio del c.d. “ricapitalizza o liquida” (contenuto, appunto, nell'art. 2447 c.c. per le S.p.A. e nell'art. 2482-ter c.c. per le S.r.l.), in funzione del quale i soci vengono posti di fronte alla scelta se sciogliere la società o se investire nuove risorse ricapitalizzandola, così rivelando al mercato le proprie aspettative sul valore della società e sulle capacità di ripresa della stessa. In particolare, l'art. 2447 c.c. (e l'art. 2482-ter c.c.) impone agli amministratori di convocare “senza indugio” (e, dunque, non appena emerga un'effettiva erosione del capitale sociale al di sotto del minimo legale) l'assemblea, al fine dell'adozione dei provvedimenti previsti dall'articolo citato: onere, questo, che prescrive, evidentemente, un obbligo in capo all'organo gestorio di costante verifica della situazione economica e patrimoniale della società, così da potersi avere tempestiva conoscenza del verificarsi di situazioni di crisi o di squilibrio finanziario che possano condurre ad uno stato di insolvenza (si veda R. Rordorf, Doveri e responsabilità degli amministratori di società di capitali in crisi, in Società, 2013, 6, 669).
Il danno risarcibile In relazione a quanto detto, merita, comunque, precisarsi che, in applicazione dei principi che regolano il risarcimento del danno, l'alterazione delle scritture contabili e, dunque, l'occultamento della reale situazione patrimoniale della società, pur costituendo essa una condotta contraria alla legge, non è di per sé fonte di responsabilità risarcitoria degli amministratori nei confronti della società e/o dell'insieme dei creditori della società stessa, se non nella misura in cui sia dimostrato che tale condotta abbia comportato un depauperamento del patrimonio sociale (si veda, per tutte, Cass., 28 aprile 1997, n. 3652, per la quale “in tema di responsabilità degli amministratori di società per azioni ex art. 2392 c.c., l'eventuale esistenza di una denunciata violazione di legge (nella specie, consistente nell'avere presentato all'assemblea una relazione non rispondente alla situazione patrimoniale della società, così evitando l'adozione dei provvedimenti richiesti dagli artt. 2446 e 2447 c.c. in caso di più gravi perdite di capitale) non è di per sé sola sufficiente a determinare una responsabilità risarcitoria a carico degli amministratori nei confronti della società, ove non si dimostri che, a causa di quella violazione, la società medesima ha subito un danno”. Conformi: App. Milano, 11 luglio 2007, in Società, 2008, 590; Cass. 12 marzo 2008, n. 6719; App. Torino, 12 gennaio 2009, in Fall., 2010, 1, 35). Fermo quanto sopra esposto, occorre sottolineare che in ipotesi di protrazione dell'attività in situazione di erosione del capitale sociale, si ha responsabilità degli amministratori per il pregiudizio subito dal patrimonio della società laddove sussistano i seguenti presupposti:
Ciò posto, si segnala che la Suprema Corte (Sezioni Unite) ha recentemente precisato che l'irregolarità nella tenuta delle scritture contabili costituisce, comunque, una condotta da ritenersi di per sé (almeno potenzialmente) idonea a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio sociale (si veda Cass. SS. UU., 6 maggio 2015, n. 9100, richiamata nella stessa sentenza del Tribunale di Prato); sottolineando che in assenza di contabilità o in presenza di contabilità non intelligibile, e dunque in ipotesi di difficile quantificazione e prova del danno (non riconducibile, appunto, ad un determinato comportamento), il Giudice può provvedere alla liquidazione del danno in via equitativa, tenendo conto, in tutto o in parte, dello sbilancio patrimoniale della società (in applicazione, quindi, del criterio della differenza tra attivo e passivo accertati in sede fallimentare), restando comunque a carico dell'attore l'obbligo di indicare le ragioni che non hanno permesso l'accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli concretamente riconducibili alla condotta degli amministratori. Deve ritenersi, in ogni caso, plausibile una liquidazione equitativa del danno in applicazione del metodo dei c.d. netti patrimoniali (in funzione del quale il danno risarcibile è individuato nella differenza tra il passivo in essere al momento della messa in liquidazione della società [o della dichiarazione di fallimento, se non preceduta dalla fase di liquidazione] e quello in essere nel momento del verificarsi della causa di scioglimento della società) in presenza di situazioni di prosecuzione dell'attività di impresa per un periodo di tempo considerevole, laddove non sia possibile ricostruire ex post le singole operazioni non conservative e di collegare ad esse un danno al netto degli eventuali ricavi (si veda A. Dal Moro e A. Mambriani, cit.). Osservazioni
L'irregolare o omessa tenuta delle scritture contabili e la prosecuzione illecita dell'attività di impresa in violazione dell'art. 2447 c.c. costituiscono condotte idonee a giustificare, in ogni caso, in ipotesi di depauperamento del patrimonio sociale, un'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori per il danno da questi arrecato alla società e/o all'insieme dei creditori della società stessa. Conclusioni
Qualora gli amministratori si siano resi colpevoli dei comportamenti ora detti, viste le difficoltà probatorie del pregiudizio causato da tali condotte illegittime, deve ritenersi che la liquidazione del danno possa avvenire in via equitativa e che la relativa quantificazione possa aversi mediante l'applicazione del criterio della differenza tra il passivo e l'attivo accertati in sede fallimentare (fermo restando l'onere a carico dell'attore di indicare le ragioni che non hanno permesso l'accertamento degli specifici effetti pregiudizievoli concretamente riconducibili alla condotta degli amministratori). |