Ancora sulla responsabilità solidale della banca per ricorso abusivo al credito
20 Giugno 2017
Massima
Non è preclusa al curatore fallimentare la possibilità di convenire in giudizio l'istituto di credito che ha erogato credito alla società, laddove l'azione proposta sia finalizzata ad evidenziare la responsabilità della banca, in via solidale con l'organo amministrativo, per il danno cagionato alla società fallita in ragione del ricorso abusivo al credito. Il caso
La Curatela del Fallimento di una S.r.l. ha convenuto in giudizio alcuni istituti di credito al fine di sentirle condannare, in via solidale con gli amministratori della fallita società, al risarcimento dei danni cagionati alla società in ragione delle seguenti condotte: 1) mantenimento della abusiva concessione di linee di credito nonostante la palese insolvenza della società 2) mala gestio individuabile nella prosecuzione dell'attività pur in presenza di conclamato default 3) mancata attivazione dei rimedi e delle procedure previste e consentite dalla legge in caso di perdita del capitale sociale.
Il Tribunale di Monza, con pronunzia successivamente confermata dalla Corte d'Appello di Milano, ha: 1) dichiarato il fallimento carente di legittimazione passiva relativamente alla pretesa risarcitoria azionata contro gli istituti bancari convenuti per i danni cagionati ai creditori; 2) rigettato la domanda avente ad oggetto il risarcimento dei danni diretti cagionati dalle banche al patrimonio sociale 3) accolto la domanda ad oggetto il risarcimento del danno, a titolo di responsabilità dell'organo gestorio, limitandone però la quantificazione alla sola attività distrattiva posta in essere dagli amministratori.
Avverso la pronunzia della Corte d'Appello ha proposto ricorso per cassazione la Curatela essenzialmente censurandola sotto il profilo della violazione e della falsa applicazione delle norme di diritto, avendo il giudice del gravame errato nel valutare gli elementi posti a fondamento dell'azione giungendo così a ritenere che la domanda proposta fosse tesa al risarcimento dei danni subiti dai creditori sociali e non, come invece risultava pacifico dagli atti di causa, dei danni subiti dalla società. La curatela ha inoltre censurato la pronunzia della Corte d'Appello laddove ha ritenuto di escludere la responsabilità degli amministratori per non avere adottato i provvedimenti previsti dalla legge in caso di perdita del capitale sociale. La Suprema Corte ha accolto il ricorso presentato dal Fallimento, cassando con rinvio, stigmatizzando, in alcuni passaggi anche piuttosto severamente, l'operato della Corte d'Appello colpevole di avere superficialmente e frettolosamente valutato gli istituti giuridici sottesi all'azione del Fallimento giungendo così al travisamento degli elementi strutturali dell'azione proposta nonché alla errata qualificazione (e quantificazione) del danno risarcibile. La questione
La pronuncia oggetto di commento offre lo spunto per effettuare una ulteriore e ancor più approfondita disamina ed un minuzioso censimento dell'estensione del perimetro entro cui il Curatore fallimentare, titolare della legittimazione attiva per la proposizione delle azioni definite “di massa” (vale a dire quelle azioni la cui finalità sia di reintegrare il patrimonio del soggetto fallito nell'interesse del ceto creditorio), può azionare la responsabilità delle banche laddove queste abbiano consentito agli amministratori di una società già in default di accedere – direttamente o indirettamente – al credito bancario pur in difetto di merito creditizio. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte con la pronuncia in commento ha disarticolato la pronunzia della Corte d'Appello di Milano evidenziando gli elementi di criticità e di debolezza del provvedimento oggetto di ricorso e traendone spunto per soffermarsi sugli arresti giurisprudenziali più rilevanti ad essi afferenti. Se è incontestabile che il ricorso al credito bancario non rappresenti in se e per sé una condotta sanzionabile o addebitabile in termini di responsabilità, è altrettanto pacifico, però, che il momento storico, il contesto e le modalità con cui tale condotta si manifesta possono condurre alla contestazione all'organo amministrativo (e, come vedremo, alle banche) dei danni che tale condotta ha cagionato. Duplice è la tipologia dei danni conseguenti al ricorso abusivo al credito così come duplice è la tipologia di soggetti cui ricondurre la titolarità della relativa azione risarcitoria. E' dato quindi individuare una prima tipologia di danno cagionato direttamente ai creditori sociali e percepibile nello sbilancio tra attivo e passivo – aggravato dalla concorrente responsabilità delle banche che hanno impropriamente ed imprudentemente consentito alla società decotta di accedere al credito bancario. Riconosciamo in seconda istanza una ulteriore tipologia di danno che è quello proprio della società e che si manifesta nell'aggravamento del passivo reso possibile dalla erogazione di finanza da parte degli istituti di credito, erogazione necessaria, sotto il profilo dell'efficienza causale, all'occultamento dello stato di insolvenza. Effettuata questa preliminare distinzione è agevole considerare come la Suprema Corte, nella pronuncia oggetto di commento, ha completamente riconsiderato l'iter logico-valutativo della Corte d'Appello di Milano confutandone radicalmente gli assunti. Preso infatti atto la che la pronunzia oggetto poggiava su affermazioni apodittiche in merito alla assoluta neutralità dell'operazione di ricorso al credito bancario, la Suprema Corte ha ben rilevato come l'avventata richiesta da parte degli amministratori di nuova finanza, erogata colpevolmente ed imprudentemente dalle banche coinvolte nella vertenza, sia stato atto idoneo a cagionare un danno per la società in sé. Da ciò ne è conseguito l'insorgere di una obbligazione risarcitoria sia in capo agli amministratori sia in capo alle banche quali terzi responsabili in via solidale posto che la concessione di credito bancario – in difetto del dovuto controllo da parte dell'istituto bancario (operatore altamente qualificato) della meritevolezza della erogazione – integra condotta illecita e dotata di intrinseca efficacia nella causazione del danno risarcibile. Considerato quindi che è incontestata la titolarità attiva in capo al curatore per quanto attiene la proponibilità delle azioni di massa e che, quindi, la responsabilizzazione dell'organo gestorio e del terzo che alla causazione del danno ha concorso, è certamente sussumibile in tale categoria laddove sia finalizzata all'ottenimento del ristoro di un danno cagionato alla società, si deve necessariamente giungere alla conclusiva e definitiva censura della pronunzia della Corte di Appello di Milano così come indicato dalla Suprema Corte di Cassazione Va inoltre rilevato che la cassazione della sentenza in commento ha interessato anche un ulteriore e non secondario aspetto relativo al danno risarcibile ed alla sua quantificazione. La Corte d'Appello di Milano, infatti, aveva confermato la sentenza di primo grado laddove aveva sottolineato che il finanziamento abusivo avrebbe potuto costituire un danno solo per l'illecito aggravamento degli oneri finanziari e non, come indicato dalla curatela, per l'intero differenziale tra attivo e passivo fallimentare, vieppiù in considerazione del fatto che, aveva rilevato il Tribunale di Monza, l'attore aveva omesso di indicare gli atti pregiudizievoli da cui fare conseguire l'eventuale danno cagionato. Anche tale passaggio è stato aspramente criticato dalla Suprema Corte che ha per contro rilevato come la Curatela aveva, diversamente da quanto avvertito dai giudici di merito, richiesto il risarcimento del danno quantificato nel differenziale tra l'esposizione debitoria alla data in cui il capitale sociale risultava già perduto e quella riscontrata alla data di fallimento. Correttamente, ha osservato la Corte, la Curatela aveva così quantificato il danno posto che in atti era stata postulata la responsabilità solidale delle banche per l'aggravamento del dissesto quale diretta conseguenza del ricorso abusivo al credito. Inoltre la Corte, confermando l'orientamento già espresso recentemente dalla SS.UU. sul punto, ha ribadito la legittimità dell'adozione del criterio dei netti patrimoniali – per quanto attiene la quantificazione anche equitativa del danno risarcibile – in presenza, come nel caso di specie, della allegazione da parte della Curatela dell'inadempimento dell'amministratore idoneo a porsi come causa del danno lamentato e delle ragioni che hanno impedito una ricostruzione analitica e dettagliata delle condotte e degli effetti dannosi ad esse riconducibili. Osservazioni
La responsabilizzazione – e la conseguente condanna – delle banche coinvolte nella vicenda in commento è stata dalla S.C. riconosciuta e statuita, è opportuno rilevarlo, in via solidale ed in concorso con la responsabilità degli amministratori della società che, trovatasi nella condizione di totale disgregazione e perdita del capitale sociale, non hanno attivato quei rimedi che l'ordinamento mette a disposizione a tutela della società, dei soci e, non da ultimi, dei creditori sociali. Non si può, infatti, non considerare che oggi molteplici sono gli strumenti idonei a sanare o anche solo gestire la crisi d'impresa: è infatti possibile avvalersi dei piani di risanamento ex art. 67 L.Fall., comma 3, lett. d) della Legge Fallimentare, così come della procedura di concordato preventivo ex artt. 160 e ss. e degli accordi di ristrutturazione del debito ex art. 182-bis L.Fall. E non vanno in ogni caso trascurate le prescrizioni del codice civile che impongono agli amministratori di attivarsi prontamente per la ricapitalizzazione della società ovvero per la messa in liquidazione della stessa. La concorrente responsabilità della banca, in caso di negligente e colpevole erogazione del credito, si fonda sull'omesso controllo da parte dell'istituto erogante delle condizioni di meritevolezza che devono sussistere tanto nella fase genetica ed iniziale del rapporto quanto per tutta la durata dello stesso imponendosi in capo alla banca, operatore professionale altamente qualificato e specializzato, un obbligo di controllo che si deve sviluppare longitudinalmente fino alla cessazione del rapporto. In materia di responsabilità delle banche per abusivo ricorso al credito bancario si segnalano le pronunce delle SS.UU nn. 7029, 7030 e 7031 del 28 marzo 2006 e, più recentemente la sentenza 1 giugno 2010 n. 13413. Anche la giurisprudenza di merito, in verità con orientamenti contrastanti, si è più volte soffermata sul tema in oggetto: si vedano Trib. Foggia, 7 maggio 2002, in Fall., 2002, 1157; Trib. Foggia, 12 dicembre 2000, in Dir. banca e mercato fin., 2002, I, 260, Trib Prato, 15 febbraio 2017 n. 152, in questo portale, con nota di Cerisoli, La responsabilità solidale della banca con gli amministratori della società fallita per ricorso abusivo al credito; ed ancora App. Milano, 11 maggio 2004, Trib. Lucca, 10 marzo 2017. Sulla quantificazione del danno, si veda SS.UU. sent. 6 maggio 2015, n. 9100 (in questo portale, con commento di Auricchio, Covino, Jeantet, Danno azionabile contro amministratori e sindaci: il criterio del “patrimonio netto fallimentare”. |