Non assoggettabili a fallimento le STP
22 Settembre 2017
Massima
Le s.t.p. costituite per l'esercizio in via esclusiva di attività professionale (nello specifico attività di commercialista con iscrizione nell'apposita sezione dell'albo) e che abbiano effettivamente svolto in via esclusiva tali prestazioni, non possono essere assimilate alle altre società commerciali (non esercitando un'attività di carattere commerciale e non rivestendo la qualità di imprenditore) e non sono pertanto assoggettabili a fallimento. Il caso
Due ex dipendenti di una società tra professionisti (s.t.p.) avevano maturato ingenti crediti per retribuzioni non corrisposte, indennità di fine rapporto e t.f.r.; importi tutti riconosciuti dal Giudice del Lavoro, ma non versati dalla società.
I creditori presentavano istanza di fallimento.
La società spiegava di essere stata costituita inizialmente nel 2004 come s.r.l. e di essersi poi trasformata in società tra professionisti nel 2014. La compagine era composta da un dottore commercialista iscritto al relativo albo e altri 3 soci che svolgevano prestazioni "tecniche" come previsto dall'art. 10 L. 183/2011. Vi erano poi altri 5 dipendenti assunti. L'oggetto sociale consisteva nell'esercizio in via esclusiva di attività professionale di dottore commercialista con iscrizione al relativo albo nella sezione speciale apposita.
Morto il dottore commercialista, constatata la mancanza di altri soci con la qualifica professionale per l'iscrizione all'albo (gli altri erano infatti sprovvisti dei requisiti), la s.t.p. veniva messa in liquidazione. Nelle more della liquidazione perveniva l'istanza di fallimento dei due ex dipendenti per i crediti sopra indicati. Le questioni giuridiche
La Legge n. 183/2011 ha introdotto nel nostro ordinamento la figura delle società tra professionisti.
L'art. 10 in particolare abroga la disciplina contenuta nella L. 23 novembre 1939, n. 1815 che da un lato consentiva l'esercizio delle professioni ricorrendo alla forma dello “studio professionale associato” (art. 1) e dall'altro lato, vietava di “costituire, esercitare o dirigere, sotto qualsiasi forma diversa da quella di cui al precedente articolo, società, istituti, uffici, agenzie od enti, i quali abbiano lo scopo di dare, anche gratuitamente, ai propri consociati od ai terzi, prestazioni di assistenza o consulenza in materia tecnica, legale, commerciale, amministrativa, contabile o tributaria“ (art. 2).
La nuova normativa consente invece di costituire società per l'esercizio di attività professionali regolamentate in un sistema ordinistico secondo i modelli disciplinati dai titoli V e VI del libro V del codice civile, cioè società semplice, s.n.c., s.a.s., s.p.a., s.a.p.a., s.r.l. e società cooperativa.
L'elemento di novità introdotto dal legislatore consiste quindi nella possibilità di ricorrere anche ai modelli di società di capitali. Peraltro, al fine di salvaguardare il principio secondo cui la prestazione professionale si basa sull'intuitus personae si è imposto l'obbligo di informare il cliente di tutti gli aspetti che riguardano lo svolgimento dell'incarico, dandogli la possibilità di scegliere il professionista a cui affidarsi (in questo senso si è evidenziata la distinzione tra “conferimento” dell'incarico alla s.t.p. e “esecuzione” dello stesso affidata al socio professionista, così Verna, La disciplina sulle società professionali: novità, conferme, osservazioni critiche, in Giurisprudenza Commerciale, 4/2014). Fondamentale per la s.t.p. è l'esercizio in via esclusiva di prestazioni professionali da parte dei soci. L'oggetto sociale deve quindi essere limitato alle sole attività professionali regolamentate e deve essere svolto da coloro che risultano iscritti nei relativi albi, collegi, ordini.
Conseguentemente possono essere ammessi in qualità di soci solo professionisti iscritti ad ordini, mentre la partecipazione di soggetti diversi è consentita soltanto per prestazioni tecniche (ad esempio softwaristi, periti, odontotecnici, disegnatori, ecc.) meramente strumentali all'attività professionale oggetto della società, o per finalità di investimento. Al riguardo si è chiarito che il numero di soci professionisti e la loro partecipazione al capitale deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle decisioni (art. 9-bis, comma 1 lett. B, D.L. 24 gennaio 2012, n. 1 convertito con modifiche in legge 24 marzo 2012, n. 27).
Il decreto di attuazione n. 34/2013 ha poi distinto due tipologie societarie di s.t.p.: 1) le "società tra professionisti" o "società professionali" costituite secondo i citati modelli regolati dai Titoli V e VI del Libro V del Codice civile aventi ad oggetto l'esercizio di una o più attività professionali per le quali sia prevista l'iscrizione in appositi albi o elenchi regolamentati; 2) le «società multidisciplinari» costituite per l'esercizio di più attività professionali diverse. Le possibili soluzioni
Il problema trattato dal provvedimento in esame riguarda in particolare il tipo di procedura applicabile a tali società in caso di insolvenza. Nello specifico ci si è domandati se la s.t.p. organizzata in forma di s.r.l. che svolge attività di dottore commercialista sia assoggettabile o meno a fallimento.
La legge non prevede una soluzione in argomento (maggiori indicazioni sono dettate per le società tra avvocati) così nel dubbio si sono sviluppate due opposte correnti di pensiero. Da un lato si è evidenziato che l'art. 10, comma 3, L. 183/2011 sopra ricordato prevede che la s.t.p. può essere costituita secondo le forme societarie previste dai titoli V e VI del libro V del codice civile, cioè, come detto, società semplice, s.n.c., s.a.s., s.r.l., s.a.p.a., s.p.a. e società cooperative. Di tutti questi modelli solo la società semplice per definizione non svolge attività commerciale e di impresa. Da questo si è dedotto che se la s.t.p. opta per uno degli altri modelli, dovrebbe di conseguenza essere astrattamente assoggettabile alle procedure concorsuali, compreso il fallimento in presenza dei requisiti dimensionali di cui all'art. 1 l.fall. (così osserva Busani, Niente fallimento per le società tra professionisti, Il Sole 24 ore). Di contro si è rilevato che la Legge 183/2011, come abbiamo visto, impone alla s.t.p. di svolgere per statuto solo attività “professionale” (non di impresa) tanto che la presenza di soci non professionisti è possibile a patto che questi svolgano funzioni meramente tecniche o partecipino con finalità di investimento. In tale ottica quindi la s.t.p. non sarebbe assoggettabile a fallimento (Busani – Lucchini Guastalla, Lo studio diventa società, il Sole 24 Ore, 2011; Rombolà, Società tra professionisti un'analisi ragionata della nuova figura giuridica, in Altalex, 2013) potendo ricorrere, in ipotesi, solo a procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento.
Peraltro la “riserva” di attività professionale esclusivamente in capo ai soci ne accentuerebbe proprio il carattere personale (Verna, La disciplina sulle società professionali: novità, conferme, osservazioni critiche, Giurisprudenza Commerciale, 4/2014). Secondo questa corrente di pensiero si è ritenuto che solo nel caso in cui concretamente la s.t.p. si trovasse a svolgere attività commerciali perderebbe il requisito di società "professionale" e sarebbe assoggettabile a fallimento, sempre alle condizioni di cui all'art. 1 l.fall. (Patimo, No al fallimento per le STP, 2013). Ulteriore indizio a sostegno dell'esclusione dal fallimento è legato alla normativa sulle società tra avvocati. Il Legislatore infatti era già intervenuto nel 2001 (con il d.lgs. 96/2001 “Attuazione della direttiva 98/5/CE volta a facilitare l'esercizio permanente della professione di avvocato in uno stato membro diverso da quello in cui è stata acquisita la qualifica professionale”) dettando una disciplina specifica ed esclusiva per la professione forense (sui dubbi di coesistenza tra normative diverse in tema di s.t.p., s.t.a., studi e associazioni professionali si rimanda a Verna, La disciplina sulle società professionali: novità, conferme, osservazioni critiche, Giurisprudenza Commerciale, 4/2014). Nello specifico l'art. 16 del d.lgs. 96/2001 al terzo comma prevede espressamente che le società tra avvocati non possono fallire, mentre sarebbero assoggettabili alle procedure di composizione delle crisi da sovraindebitamento (Natalucci, Società tra avvocati, in questo portale, 18 giugno 2014). Da qui per analogia si è sostenuto che neppure le s.t.p. siano soggetti fallibili.
Anche la successiva legge delega 247/2012 (richiamata dal Tribunale di Forlì) sul riordino della professione forense (delega poi “scaduta” e non esercitata nei termini previsti) all'art. 4 in tema di associazioni tra avvocati e all'art. 5 sulle società tra avvocati escludeva espressamente l'assoggettabilità a fallimento. La decisione del Tribunale
In definitiva il Tribunale di Forlì, facendo da “apripista” in argomento (il decreto in effetti rileva espressamente la mancanza di precedenti giurisprudenziali editi sul tema), ha aderito alla communis opinio dottrinale sopra brevemente riepilogata e ha stabilito che le s.t.p. costituite per l'esercizio in via esclusiva di attività professionale - effettivamente svolta - non possono essere equiparate a società commerciali e come tali non sono sottoponibili a fallimento.
Nel caso di specie infatti la s.t.p., pur avendo la forma di s.r.l., rispettava tutti i crismi previsti dalla Legge n. 183/2011, svolgeva per statuto solo attività professionale di dottore commercialista ed era inserita nell'apposita sezione dell'albo professionale.
Solo il socio di maggioranza era dottore commercialista iscritto all'albo, mentre gli altri soci - come consentito dalla stessa legge 183 - svolgevano mere attività tecniche ausiliare e strettamente funzionali all'oggetto sociale.
In altre parole la s.t.p. in questione, pur avendo in effetti superato le soglie di cui all'art. 1 l.fall., non può essere qualificata come "imprenditore commerciale" e come tale non è sottoponibile a fallimento.
Fonte: IlFallimentarista |