Responsabilità del soggetto che agisce in nome e per conto dell’associazione non riconosciuta
24 Novembre 2015
Massima
In materia di obbligazioni tributarie trova applicazione l'art. 38 del codice civile con il che del debito tributario risponde l'associazione non riconosciuta con il proprio fondo e solidalmente colui che, in nome e per conto dell'ente, ha posto in essere nel periodo di imposta in questione l'attività negoziale concretamente produttiva del credito per tributo non corrisposto e per sanzioni pecuniarie. Il caso
L'Agenzia delle Entrate, nel proporre ricorso per cassazione avverso una pronuncia della Commissione Tributaria Regionale, lamenta tra l'altro la violazione dell'art. 38 del codice civile sul presupposto che la titolarità formale della carica rappresentativa sarebbe stata sufficiente per determinare l'obbligazione solidale di chi detta carica riveste. L'Agenzia sostiene infatti che la Corte di legittimità avrebbe affermato costantemente la responsabilità dei soggetti che agiscono in nome e per conto dell'associazione, in aggiunta a quella dell'ente stesso. Si sosterrebbe che il solo dato formale rappresentato dalla legale rappresentanza in capo ad un soggetto che pur non aveva in concreto operato a commettere l'illecito tributario sarebbe sufficiente ad impegnare anche la sua personale e solidale responsabilità. Il quadro normativo
Il riferimento normativo ritagliato e specifico è rappresentato dall'art. 38 del codice civile che è inserito in uno scarno gruppo di disposizioni riguardanti le associazioni non riconosciute. In esso si stabilisce, diversamente dagli enti personificati, il principio secondo il quale delle obbligazioni contratte dall'ente rispondono, oltre che l'ente col proprio fondo, altresì, personalmente e solidalmente col fondo medesimo, le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione.
La previsione delle responsabilità personale e solidale delle persone che hanno agito in nome e per conto dell'ente in aggiunta a quella del fondo comune, costituisce la differenza più rilevante rispetto alla disciplina delle associazioni riconosciute ed è volta a contemperare l'assenza di un sistema di pubblicità legale con le esigenze di tutela dei creditori. Ne consegue che la responsabilità non é collegata a un dato meramente formale e cioè la rappresentanza dell'associazione, e si fonda invece sull'attività negoziale concretamente svolta e sulle obbligazioni assunte verso i terzi che hanno confidato nella solvibilità e nel patrimonio di chi ha agito (non importa quindi se rappresentante dell'ente oppure no). Pertanto essa trascende la posizione astrattamente assunta dal soggetto nell'ambito della compagine sociale, ricollegandosi piuttosto ad una concreta ingerenza dell'agente nell'attività dell'ente (Cass. n. 5746/2007). Ne consegue tra l'altro che chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l'onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell'interesse dell'associazione, non essendo sufficiente la prova in ordine alla carica rivestita all'interno dell'ente (Cass. n. 26290/2007 e Cass. n. 25748/2008).
Il principio si applica anche ai debiti di natura tributaria (a partire quanto meno dalla pronuncia della Suprema Corte n. 19486 del 2009). Si afferma quindi che ai debiti di imposta che non sorgono su base negoziale ma ex lege al verificarsi del relativo presupposto sono chiamati a rispondere tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto i soggetti che abbiano in concreto, nel periodo di imposta considerato, in ragione del ruolo da essi rivestito, diretto la gestione associativa (Cass. n. 20485/2013). L'obbligazione quindi, sia di tipo civilistico che di natura tributaria, non scatta a carico degli amministratori che abbiano deliberato l'atto che è fonte di dell'obbligazione senza però aver agito all'esterno attraverso la spendita del nome dell'associazione non riconosciuta. Fatto salvo il caso in cui abbiano effettivamente curato il completo svolgimento dell'attività negoziale pur riservando il potere rappresentativo dell'ente ad altro soggetto in virtù di mandato o di altro rapporto interno (Cass. n. 2648/1987). La responsabilità di cui si discute permane in caso di cessazione della carica per le obbligazioni sorte antecedentemente così pure come dopo lo scioglimento. L'avvicendarsi nella carica non determina, invece, alcun fenomeno di successione nel debito.
La responsabilità ha carattere accessorio anche se non sussidiario rispetto alla responsabilità primaria dell'associazione non riconosciuta per il tramite del proprio fondo: ne consegue che l'obbligazione di colui che ha agito, avente natura solidale, è inquadrabile tra quelle di garanzia ex lege e quindi assimilabile alla fidejussione e non consente al responsabile di invocare il beneficio della preventiva escussione del fondo comune (come avverrebbe per il socio illimitatamente responsabile nelle società di persone). Ulteriore conseguenza è che chi invoca in giudizio tale responsabilità ha l'onere di provare la concreta attività svolta in nome e nell'interesse dell'associazione non essendo sufficiente la sola prova in ordine alla carica rivestita all'interno dell'ente (Cass. n. 19486 del 2009 e Cass. n. 25748/2008) senza che questo – il principio cioè contenuto all'art 38 - implichi una violazione dell'art. 3 Cost. in presenza di diverso regime riguardante la società semplice, a motivo delle differenze intrinseche al tipo società non persona giuridica rispetto al tipo ente associativo, anch'esso non persona giuridica (Cass. n. 2648/1987). Mentre però la responsabilità solidale ed accessoria viene meno ex art. 1957 c.c. se il creditore non ha avanzato la propria richiesta entro sei mesi dalla scadenza dell'obbligazione principale (Cass. n. 22982/2004), simile limite temporale non pare trovare estensione al diritto tributario. Le questioni
Questo essendo il principio di diritto comune, che trova riscontro in plurime pronunce della Suprema Corte, va detto che non mancano arresti, anche in tema di debiti di natura tributaria, in cui si afferma che dei debiti di imposta, i quali non sorgono su base negoziale ma ex lege al verificarsi del relativo presupposto, sono chiamati a rispondere solidalmente, tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, i soggetti che, in forza del ruolo rivestito, non importa quale in astratto, abbiano diretto la gestione associativa nel periodo considerato. Ne consegue ancora una volta che il rappresentante pro-tempore potrebbe in concreto non aver svolto alcunché a titolo di obbligazioni tributarie, mentre potrebbe essere chiamato a rispondere colui che abbia concretamente posto in essere quegli atti gestori considerati tipici e qualificanti nel periodo di imposta qualificato. Con il che l'Ufficio non potrebbe assumere de plano che il rappresentante pro-tempore debba rispondere con il proprio patrimonio se questi in concreto non abbia posto in essere il presupposto di imposta.
Im sintesi, dunque, il principio contenuto all'art. 38, con riferimento alla responsabilità solidale di coloro che agiscono in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta, ponendo in essere la concreta attività negoziale riferibile all'associazione medesima anche a prescindere dalla rappresentanza formale, è pacificamente esteso ai debiti di natura tributaria per costante giurisprudenza della Suprema Corte (cfr. Cass. n. 16344/ 2008 e Cass. n. 19486/2009) ma comporta, sotto il profilo dell'onere della prova, che spetta all'organo accertatore l'onere di provare la concreta attività sanzionabile non essendo sufficiente la prova in punto carica rivestita.
Simile approccio, che risponde ad una lettura conforme al dato civilistico, ha messo e mette costantemente in imbarazzo gli accertatori che sono costretti a ricercare chi in concreto ha agito violando la disposizione tributaria. La circostanza non è di agevole indagine, impegna a volte la ricerca di più dati od elementi di fatto e di riferimento ma risponde ad un'esigenza riconosciuta dal legislatore, in difetto di personalità giuridica e di pubblicità legale propria del tipo associativo in parola.
Non va comunque sottaciuta, sempre a detta della Suprema Corte, una caratterista fondamentale che connota siffatte obbligazioni. Il principio in questione non esclude infatti che per i debiti di imposta, i quali non sorgono su base negoziale ma ex lege, al verificarsi del relativo presupposto, sia chiamato a rispondere solidamente tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che in forza del ruolo rivestito abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato. Cionondimeno il richiamo all'effettività della gestione, implicitamente contenuto all'art. 38 del codice civile, vale a circoscrivere la responsabilità personale del soggetto che riveste la carica sociale alle sole obbligazioni che siano concretamente insorte nel periodo di relativa investitura (Cass. n. 5746/2007).
Con il che la Suprema Corte arriva a distinguere tra obbligazioni frutto di una specifica fattispecie negoziale e obbligazioni che sorgono ex lege per il solo verificarsi del relativo presupposto: in questo secondo caso potrebbe essere coinvolta a certe condizioni la responsabilità di colui che ha rivestito nel periodo in parola la carica di legale rappresentante. Di qui l'eccezione al principio di diritto che non trova invece riscontro nel diritto civile dove invece la regula juris non soffre eccezioni. Conclusioni
La Suprema Corte con la sentenza in parola ribadisce a chiare lettere un principio che trova fondamento, come detto, nell'art. 38 c.c. e nella particolare disciplina in tema di associazioni non riconosciute, secondo il quale per soggetto che ha agito in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta, obbligato solidalmente con il fondo associativo, deve intendersi chi concretamente ha posto in essere, con effetti esterni, l'attività negoziale fonte di obbligazioni, in questo caso con l'Erario, e non necessariamente colui che è titolare del potere rappresentativo dell'ente. Nel far questo la Suprema Corte si inserisce in un trend che si è andato ormai consolidando con plurime pronunce, la più significativa delle quali essendo la n. 20485 del 2013. L'Ufficio anche in questo caso si era arroccato sulla tesi secondo la quale la semplice titolarità formale delle cariche rappresentative era sufficiente a determinare la co-obligazione di chi la riveste. La tesi non è invero sostenibile nei termini così esposti anche se va detto, per amore di verità, che nel caso sottoposto all'attenzione del giudice di legittimità non era chiaro, o comunque non lo era agli occhi dello stesso, se le obbligazioni in parola erano del tipo di quelle che sorgono su base negoziale oppure ex lege, al verificarsi del relativo presupposto, perché in simili circostanze potrebbe essere chiamato a rispondere solidamente tanto per le sanzioni pecuniarie quanto per il tributo non corrisposto, il soggetto che in forza del ruolo rivestito abbia diretto la complessiva gestione associativa nel periodo considerato. La sentenza della Corte di legittimità dianzi richiamata (Cass. n. 5746/2007) avrebbe potuto fornire utili indicazioni al riguardo. |