Compensi all'amministratore di una società in dissesto: bancarotta fraudolenta, non preferenziale
28 Luglio 2017
Massima
Risponde del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione e non di quello di bancarotta preferenziale l'amministratore che, in assenza di delibera assembleare che stabilisca la misura dei suoi compensi, prelevi somme in pagamento dei crediti verso la società in dissesto la cui congruità non sia fondata su dati ed elementi di confronto che ne consentano un'adeguata e oggettiva valutazione, quali gli emolumenti riconosciuti dall'assemblea ai precedenti amministratori, gli impegni orari osservati, i risultati garantiti, gli eventuali compensi corrisposti ai dirigenti di vertice della società, i compensi riconosciuti agli amministratori delle società del medesimo settore e di analoga grandezza.
(Fonte: IlPenalista.it)
Il caso
L'amministratore di una società di capitali (S.R.L.) veniva condannato per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale in relazione ai prelievi di somme di denaro dai conti correnti della società in stato di dissesto giustificati dalla necessità di remunerare la propria attività e quella svolta dalla moglie. Il giudice di merito aveva ritenuto tali prelievi privi di giustificazione in quanto l'imputato non aveva fornito adeguata prova circa il credito vantato per compensi e rimborsi, per il quale non era intervenuto alcun riconoscimento formale da parte degli organi della società, a mezzo di delibera societaria che determinasse l'importo dei compensi per gli amministratori. L'imputato proponeva ricorso per cassazione lamentando che la condotta di appropriazione delle somme costituenti emolumenti per l'amministratore e la moglie era stata erroneamente qualificata come bancarotta per distrazione (art. 216, comma 1, l. fall.), mentre doveva ritenersi al più integrata la diversa ipotesi di bancarotta preferenziale (art. 216, comma 3, e 223 l. fall.), stante la ritenuta congruità di quanto ottenuto in pagamento. La questione
Il quesito in esame può essere articolato nei seguenti termini: la percezione da parte di un soggetto che rivesta ruoli di gestione di una società (quale, ad esempio, il presidente del consiglio di amministrazione ovvero l'amministratore delegato) di somme per compensi spettanti agli amministratori, ancorchè la società versi in uno stato di dissesto, configura in ogni caso una ipotesi di bancarotta fraudolenta per distrazione, oppure la meno grave ipotesi di bancarotta preferenziale, violando il soddisfacimento della pretesa creditoria le regole poste a tutela della par condicio creditorum? Le soluzioni giuridiche
Con la sentenza in commento (Cass. pen., Sez. V, 23 febbraio 2017, n. 17792) si ravviva il contrasto nella giurisprudenza della Corte intorno ai caratteri che differenziano la fattispecie di bancarotta per distrazione, prevista dall'art. 216, comma 1, n. 1, l. fall. da quella di bancarotta preferenziale, punita dal comma 3 del medesimo articolo, nel caso di prelevamento di somme di denaro da parte dell'amministratore di una società in dissesto per il pagamento degli emolumenti ritenuti spettanti. Le due ipotesi di bancarotta divergono sul piano della offensività: le condotte di distrazione di beni societari pongono in pericolo le ragioni creditorie in sé, mentre quelle di bancarotta preferenziale violano le norme della par condicio creditorum, anche se non si risolvono in un pregiudizio economico per la società in dissesto. Il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione e quello di bancarotta preferenziale hanno ambiti diversi: il primo postula il compimento di atti di distrazione o dissipazione di beni societari, tali da creare pericolo per le ragioni creditorie, a prescindere dalla circostanza che abbiano prodotto il fallimento, essendo sufficiente che questo sia effettivamente intervenuto; il secondo, di contro, punisce tutte quelle condotte che violano le norme sulla corretta e paritaria partecipazione dei creditori alla procedura fallimentare. Per il caso dell'amministratore che si ripaghi dei propri crediti verso la società in dissesto favorendo se stesso, quale creditore, l'elemento che differenzia le due ipotesi di bancarotta è la condizione che legittima la percezione degli emolumenti. La Sez. V della Corte ripercorre sinteticamente gli orientamenti espressi dalla giurisprudenza di legittimità, che divergono in merito alla interpretazione delle forme di riconoscimento dei crediti dell'amministratore.
La tesi “formalistica”. Secondo un primo orientamento, in stretta applicazione delle norme del codice civile in tema di compensi degli amministratori, la condotta dell'amministratore che prelevi somme dalle casse sociali a titolo di pagamento di proprie competenze, in assenza della delibera assembleare di cui all'art. 2389 c.c.. che stabilisca la misura del compenso degli amministratori integra in ogni caso il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione. La tesi è stata espressa da Cass. pen., Sez. V, 14 ottobre 1999, n. 14380, che individua l'ipotesi di bancarotta fraudolenta per distrazione in qualsivoglia condotta che procuri un indebito vantaggio patrimoniale per l'amministratore. La condotta non deve necessariamente avere ad oggetto somme di denaro entrate nelle casse sociali e può certamente essere realizzato anche tramite compensazione, attuata nella consapevolezza dello stato di insolvenza dell'impresa ed in previsione della dichiarazione di fallimento, tra un debito dell'amministratore verso la società ed i crediti da lui vantati nei confronti della stessa. Più di recente, il criterio “formalistico” è stato ribadito da Cass. pen., Sez. V, 30 maggio 2012, n. 25292, secondo cui, ai fini della configurabilità del delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è sufficiente, nel caso di imprese sociali, qualunque operazione diretta a distaccare dal patrimonio sociale, senza immettervi il corrispettivo, beni ed altre attività in genere, così da impedirne l'apprensione da parte degli organi fallimentari. Tale depauperamento si risolve in un pregiudizio per i creditori della società all'atto del fallimento. Si osserva, per altro verso, che “l'amministratore che si ripaghi dei suoi crediti verso la società è ugualmente responsabile di bancarotta per distrazione, non potendosi scindere la qualità creditore da quella di amministratore, come tale vincolato alla società dall'obbligo di fedeltà e da quello della tutela degli interessi sociali anche nei confronti dei terzi" (in senso conforme Cass. pen., Sez. V, 4 aprile 2003, n. 22022; Cass. pen., Sez. V, 7 giugno 2006, n. 2647). Il principio è stato, da ultimo, ribadito da Cass. pen., Sez. V, 3 novembre 2016, n. 50836 che, in termini di estremo rigore, ha ritenuto sussistere il reato di bancarotta per distrazione nella condotta dell'amministratore di società di capitali che aveva prelevato dalla società in dissesto somme di denaro, pur se corrispondenti ai compensi deliberati dal consiglio di amministrazione. Si è affermato, nella specie, che, a legittimare il prelievo dalla casse sociali degli amministratori a titolo di compenso, non sarebbe (necessaria e) sufficiente una qualunque delibera societaria ma solo quella dell'assemblea, deputata, ai sensi dell'art. 2389 c.c., salvo diversa disposizione statutaria, a stabilire la spettanza e la misura di tale emolumento. Non assume alcuna rilevanza la eventuale congruità delle somme prelevate dai conti della società, senza autorizzazione degli organi sociali, dall'amministratore per ripagarsi dei suoi crediti verso la società in dissesto (Sez. V, 16 aprile 2010 – 7 giugno 2010, n. 21570), ovvero le modalità di appropriazione di somme di denaro, come nel caso di compensazione di crediti per emolumenti dell'amministratore (Sez. VI, 27 marzo 2008 – 30 aprile 2008, n. 17616).
Il criterio sostanziale. La “congruità” delle somme percepite. In senso contrario, le posizioni giurisprudenziali più recenti hanno privilegiato l'aspetto sostanziale”, ritenendo che risponde del reato di bancarotta preferenziale, e non di quello di bancarotta fraudolenta per distrazione, l'amministratore che ottenga in pagamento di suoi crediti verso la società in dissesto, relativi a compensi e rimborsi spese, una somma congrua rispetto al lavoro prestato (Cass. pen.,Sez. V, 10 luglio 2015, n. 48017). Tale indirizzo giurisprudenziale richiede che le somme prelevate dall'agente che rivesta compiti di amministratore siano “congrue” perché si configuri la fattispecie di bancarotta preferenziale. In particolare, Cass. pen., Sez. V, 16 aprile 2010, n. 21570 ha ritenuto che integra il reato di bancarotta preferenziale la condotta dell'amministratore di società fallita che abbia effettuato prelevamenti di retribuzione autorizzati, quale compenso per l'attività svolta, se non risulti altro compenso e sia incontestata la congruità del prelievo. Né rileva la mancata contabilizzazione dei prelevamenti effettuati a titolo di retribuzione dovuta, ove se ne ravvisi la congruità. L'orientamento segue una linea di sostanziale continuità con il principio affermato da Cass. pen., Sez. V, 6 luglio 2006, n. 38149 secondo cui la condotta di prelevamento di somme corrispondenti ai compensi spettanti agli amministratori, ancorché la società versi in stato di dissesto, configura una ipotesi di bancarotta preferenziale in quanto l'amministratore, che contemporaneamente riveste anche la veste di creditore, soddisfa il proprio credito violando le norme poste a tutela della par condicio creditorum (in senso conforme, Cass. pen., Sez. V, 17 ottobre 2007, n. 46301; Cass. pen., Sez. V, 5 ottobre 2007, n. 43869). Sul punto, Cass. pen., Sez. V, 2 ottobre 2013, n. 5186 ha precisato che è del tutto irrilevante la specifica qualità di amministratore della società rivestita dall'agente, che eventualmente rileva in sede di commisurazione della sanzione, atteso che l'offensività del reato di bancarotta preferenziale incide sulle condizioni di partecipazione paritaria dei creditori della società fallita (negli stessi termini, Cass. pen., Sez. V, 18 maggio 2006, n. 23730). Osservazioni
Il contrasto insanabile negli orientamenti della giurisprudenza di legittimità ha spinto la Suprema Corte a tentare una sintesi, proponendo una soluzione che, pur tenendo conto delle spinte, ormai dominanti, verso l'applicazione di un criterio discretivo sostanziale, le contemperi ancorando la richiesta valutazione di congruità a dati oggettivi. La Corte ha osservato che la maggiore latitudine dell'orientamento “sostanziale” non può consentire che sia rimesso al mero arbitrio dell'amministratore la determinazione dell'entità delle somme da percepire, giustificando come congruo qualunque compenso da lui stesso asserito. Il citato requisito della congruità dei pagamenti ottenuti dalla società in dissesto deve fondarsi su dati che ne consentano un'adeguata ed oggettiva valutazione. Dovranno così riportarsi, da parte dell'amministratore che intende sostenere la legittimità del credito, una serie di elementi di confronto, quali, ad esempio, gli emolumenti riconosciuti dall'assemblea ai precedenti amministratori, gli impegni orari osservati, i risultati garantiti, gli eventuali compensi corrisposti ai dirigenti di vertice della società, i compensi riconosciuti agli amministratori delle società del medesimo settore e di analoga grandezza, ed altri elementi di raffronto ritenuti utili. In assenza di indicazione di elementi oggettivi di riscontro non potrà che configurarsi nella condotta sopra descritta la fattispecie della bancarotta fraudolenta per distrazione. La soluzione consente di superare il rigido criterio formalistico che richiede necessariamente la delibera assembleare per la determinazione dei compensi ai sensi dell'art. 2389 c.c. in ragione della oggettiva e verificabile dimensione di congruità dei compensi percepiti. MAFFEI– ALBERTI (a cura di), Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2002; MAZZACUVA, Giurisprudenza sistematica di Diritto Penale, I reati nel fallimento e nelle altre procedure concorsuali, Torino, 2002; SCHIAVANO, La nuova bancarotta fraudolenta societaria, in Riv. Trim. Dir. Pen. Econ., 2003, I, pag. 263 ss.
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