Cancellazione della società di capitali dal registro imprese e responsabilità dei soci

Daniele Fico
26 Settembre 2017

I soci sono coloro che sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definiti all'esito della liquidazione, indipendentemente, dunque, dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione.
Massima

I soci sono coloro che sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definiti all'esito della liquidazione, indipendentemente, dunque, dalla circostanza che essi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione.

Il caso

La questione affrontata nella prima delle due sentenze (n. 15035/2017) ha ad oggetto il ricorso presentato da un soggetto, in proprio e quale ex socio di una società a responsabilità limitata (nelle more cancellata dal registro delle imprese) avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Molise con la quale era stato accolto l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate con conseguente conferma degli avvisi di accertamento emessi per il recupero, ai fini Irpeg, Irpef, Irap ed Iva, per l'anno d'imposta 2001.

La seconda sentenza (n. 15474/2017), invece, concerne il ricorso presentato da due soci di società a responsabilità estinta avverso la sentenza della Corte d'Appello di Napoli (pubblicata il 27 giugno 2015) per violazione e falsa applicazione degli artt. 2495, comma 2, c.c. e 112 c.p.c. In particolare, gli istanti hanno censurato la sentenza impugnata nella parte nella quale aveva disposto la loro condanna al pagamento ai creditori di una somma costituente oggetto del debito della società estinta.

La questione giuridica e la soluzione

Con le sentenze in esame, i giudici di legittimità hanno affrontato la dibattuta questione inerente agli effetti della cancellazione delle società dal Registro delle Imprese, offrendo, tuttavia, due soluzioni diametralmente opposte.

La sentenza n. 15035/2017, partendo dal principio (sancito peraltro dalle sentenze delle Sezioni Unite 12 marzo 2013, n. 6070 e n. 6072), secondo cui, a seguito dell'estinzione della società, si determina un fenomeno di tipo successorio, in base al quale l'obbligazione della società non si estingue ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione, ribadiscono l'orientamento che individua sempre nei soci coloro che sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata, ma non definiti all'esito della liquidazione, indipendentemente, quindi, dalla circostanza che i medesimi abbiano goduto di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione (in senso conforme, Cass. 7 aprile 2017, n. 9094). In tale ottica, il fatto che i soci abbiano goduto, o meno, di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione non è dirimente ai fini dell'esclusione dell'interesse ad agire. Il creditore può avere comunque interesse all'accertamento del proprio diritto e, quindi, interesse a proseguire il giudizio nel caso in cui vi fosse la possibilità, per i soci, di succedere in eventuali rapporti attivi della società non definiti al termine della liquidazione (si pensi, a titolo esemplificativo, alla presenza di sopravvenienze attive derivanti da crediti della società incerti e non liquidi al momento della liquidazione).

Allo stesso tempo, non può dubitarsi, a parere dei giudici di legittimità, neanche della sussistenza in capo all'ex socio della legittimazione attiva, pur nell'ipotesi di incertezza o attuale mancanza di attivo e, di conseguenza, del relativo riparto; legittimazione che discende dalla qualità di successore che, alla luce di quanto sopra, occorre comunque riconoscere al socio.

Tali considerazioni hanno quindi condotto la S.C. a rigettare il ricorso e condannare il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Con la sentenza 15474/2014, invece, i giudici di legittimità riconoscono la responsabilità dei soci di società estinta nei limiti delle somme dagli stessi riscossi sulla base del bilancio finale di liquidazione, evidenziando, al riguardo, che, in caso contrario, si sarebbe configurata una responsabilità diretta ed illimitata dei soci per le obbligazioni sociali, in contrasto con il principio della responsabilità limitata dei soci delle società di capitali. Se è vero, infatti, osserva la S.C., che tra la società cancellata dal registro delle imprese ed i suoi soci può configurarsi una vicenda successoria; è altrettanto vero che la successione ha luogo soltanto se ricorra la condizione posta dal secondo comma del già citato art. 2495 c.c. e, pertanto, che vi siano state somme riscosse dai soci in base al bilancio finale di liquidazione. Da ciò consegue che, al fine della condanna dei ricorrenti non è sufficiente la cancellazione della società dal registro imprese, essendo necessario che i creditori fornissero la prova della percezione della anzidette somme.

In virtù di quanto sopra la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso.

Osservazioni

Le due sentenze oggetto di commento offrono lo spunto per alcune riflessioni in merito alla responsabilità dei soci di società di capitali a seguito della cancellazione della società dal registro imprese.

Al riguardo, l'art. 2495, comma 2, c.c., stabilisce che, dopo la cancellazione della società i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti verso i soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse sulla base del bilancio finale di liquidazione. Tale principio è ribadito in campo tributario dal terzo comma dell'art. 36 d.p.r. 602/1973, secondo cui: “i soci o associati, che hanno ricevuto nel corso degli ultimi due periodi d'imposta precedenti alla messa in liquidazione danaro o altri beni sociali in assegnazione dagli amministratori o hanno avuto in assegnazione beni sociali dai liquidatori durante il tempo della liquidazione, sono responsabili del pagamento delle imposte dovute dai soggetti di cui al primo comma nei limiti del valore degli stessi, salvo le maggiori responsabilità stabilite dal codice civile”.

Trattasi di un fenomeno successorio la cui ampiezza, tuttavia, è oggetto di ampio dibattito, soprattutto tra i giudici di legittimità.

Sul tema, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenze 12 marzo 2013, n. 6070 e n. 6072) hanno affermato il principio in base al quale alla iscrizione della cessazione della società consegue l'effetto estintivo della medesima precisando che, qualora all'estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in base al quale:

a) l'obbligazione della società non si estingue, fatto che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, pendente societate, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali;

b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo.

Su quest'ultimo aspetto, pertanto, le Sezioni Unite, escluso il ricorso all'assimilazione della fattispecie dell'eredità giacente, hanno avallato l'ipotesi della successione dei soci nei rapporti attivi non definiti in sede di liquidazione del patrimonio sociale, con la motivazione che, venuto meno il vincolo societario con l'estinzione dell'ente collettivo, la titolarità dei beni e dei diritti residui o sopravvenuti tornerà ad essere “direttamente imputabile a coloro che della società costituivano il sostrato personale”, di tal che s'instaurerà “tra i soci medesimi, ai quali quei diritti o quei beni pervengono, un regime di contitolarità o di comunione indivisa, onde anche la relativa gestione seguirà il regime proprio della contitolarità o della comunione” (così, sentenza n. 6070/2013. Per un approfondimento, v. G.B. Barillà, Cancellazione della società dal registro delle imprese e sopravvenienze attive: il dibattito prosegue, in Giur. comm., 2014, 5, 791 e ss.).

L'art. 2495, comma 2, c.c., riconosce espressamente una responsabilità dei soci nei confronti dei creditori insoddisfatti nei limiti delle somme dagli stessi riscosse sulla base del bilancio finale di liquidazione (e nei confronti dei liquidatori qualora il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi). Tale disposizione, tuttavia, non affronta la questione delle sopravvenienze attive e dei residui non liquidati (nonostante l'espresso invito contenuto, in sede della riforma del diritto societario, nella legge delega 3 ottobre 2001, n. 366).

A ben vedere, la questione non è di poco conto dal momento che se, da un lato, è ben noto che i soci di società di capitali non possono rispondere illimitatamente delle obbligazioni sociali; dall'altro, si pone l'interrogativo inerente alla sorte dei beni e diritti sopravvenuti e, come tali, non evidenziati nel bilancio finale di liquidazione.

La prima delle due sentenze esaminate (15035/2017), in conformità all'opinione espressa con la sentenza Cass. n. 9094/2017, ed alle sopra menzionate sentenze delle Sezioni Unite, ribadisce il principio in virtù del quale la presenza di una distribuzione di attivo a seguito di liquidazione non può essere considerata causa ostativa al riconoscimento della legittimazione passiva in capo ai soci e, conseguentemente, alla prosecuzione nei loro confronti del processo originariamente instaurato contro la società, successivamente estinta. In tale ottica, i giudici di legittimità hanno osservato che la possibilità di sopravvenienze attive o anche semplicemente la possibile esistenza di beni e diritti non contemplati nel bilancio finale di liquidazione non consentono di escludere l'interesse del creditore insoddisfatto a procurarsi un titolo nei confronti dei soci, “in considerazione della natura dinamica dell'interesse ad agire, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti”.

Di diversa opinione, invece, la seconda sentenza oggetto di esame (15474/2017) nella quale i giudici di legittimità se, da un lato, riconoscono - in conformità al pensiero espresso con la più volte menzionata sentenza Sezioni Unite n. 6070 del 12 marzo 2013 - che tra la società cancellata dal registro delle imprese ed i suoi soci sia configurabile una vicenda successoria, motivo per il quale il successore intra vires dei debiti trasmessigli non cessa, per questo, di essere un successore; dall'altro osservano come la successione abbia luogo soltanto ove ricorra la condizione di cui all'art. 2495, comma 2, c.c., e, quindi, se vi siano state somme riscosse dai soci sulla base del bilancio finale di liquidazione. Al fine della condanna dei soci, pertanto, non è sufficiente il dato della cancellazione della società dal registro imprese, essendo al contrario necessario che i creditori insoddisfatti forniscano la prova della percezione delle predette somme.

Conclusioni

Le due sentenze esaminate, di segno diametralmente opposto, evidenziano le difficoltà interpretative ed i conseguenti diversi orientamenti in seno alla Corte di Cassazione in relazione alla responsabilità dei soci di società di capitali a seguito della cancellazione della società dal registro imprese. Infatti, nonostante l'intervento chiarificatore delle Sezioni Unite del 12 marzo 2013, i giudici di legittimità continuano ad offrire diverse opinioni sull'argomento. In particolare, preso atto che la cancellazione della società dal registro imprese genera un fenomeno di tipo successorio sui soci, si discute in merito all'ampiezza della responsabilità dei medesimi verso i creditori insoddisfatti. In altri termini, si discute in relazione a se tale responsabilità debba essere circoscritta alle somme riscosse dai soci in base al bilancio finale di liquidazione (secondo un interpretazione meramente letterale del secondo comma dell'art. 2495 c.c.) o debba estendersi anche ai beni e diritti non compresi in tale bilancio ed alle eventuali sopravvenienze attive.

Il motivo delle predette incertezze interpretative e dei continui capovolgimenti di fronte dei giudici di legittimità va rinvenuto, probabilmente, nel silenzio del legislatore della riforma del diritto societario sulle sorti delle sopravvenienze attive e dei residui non liquidati; questione che, a parere dello scrivente, soltanto con un intervento del legislatore medesimo pare poter trovare definitiva soluzione.

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