La bancarotta fraudolenta patrimoniale come reato di pericolo concreto

26 Maggio 2017

Nell'annullare con rinvio la decisione della Corte di merito la Cassazione, dopo avere indugiato sulla linea di confine esistente tra il delitto societario di infedeltà patrimoniale e la bancarotta fraudolenta prefallimentare per distrazione ...
Massima

La bancarotta fraudolenta patrimoniale è reato di pericolo concreto ed esso, correlato all'idoneità della condotta ad arrecare offesa all'integrità della garanzia dei creditori, deve permanere fino all'epoca che precede l'atto di apertura della procedura concorsuale.

Fonte: IlPenalista.it

Il caso

Il Gip del tribunale di Roma ha condannato l'imputato, amministratore di società dichiarata fallita l'8 marzo 2006, per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale (distrazione prefallimentare), per avere, nel maggio 2003, quando la società cominciava a manifestare uno stato di crisi finanziaria, venduto un immobile sottocosto (circa 21.000 euro contro un valore commerciale di circa 46.000), ai genitori della moglie i quali lo avevano poi conferito in altra società, costituita nel 2005 ed amministrata dalla figlia, moglie dell'imputato.

La Corte d'appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado

La Corte di cassazione, con la sentenza che si annota, ha annullato con rinvio la sentenza di conferma.

Ne ha ritenuto viziata la motivazione per manifesta illogicità.

Spiega la Corte che era stata giudicata distrattiva la vendita di un immobile della società, per un valore dimezzato rispetto a quello assunto in contabilità e così considerato di mercato, in favore di familiari stretti dell'amministratore ma non si era spiegato perché, tenuto conto dell'epoca della vendita (tre anni prima della dichiarazione di fallimento), altro analogo comportamento dello stesso imputato (la vendita sottocosto di merci aventi un valore assai maggiore di quello dell'immobile), coevo al precedente, parimenti contestato dall'accusa, era stato ritenuto privo di rilievo penale.

In tale caso il giudice di merito aveva riconosciuto la vendita sottocosto ma aveva escluso la natura fraudolenta di quella iniziativa perché determinata dalla necessità di reperire liquidità per soddisfare almeno in parte i debiti verso i fornitori.

Con riferimento all'immobile, aveva invece negato tale prospettiva, assegnando rilievo predominante al beneficio che da tale favorevole alienazione avrebbero tratto i familiari del ricorrente.

La questione

Nell'annullare con rinvio la decisione della Corte di merito la suprema Corte, dopo avere indugiato sulla linea di confine esistente tra il delitto societario di infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c.) e la bancarotta fraudolenta prefallimentare per distrazione, invita la Corte del rinvio a verificare se l'ingiustificato distacco di una parte del valore del bene, frutto dell'atto dell'amministratore, sia espressione, per la prossimità allo stato di insolvenza o per altra causa, di una consapevole e concreta esposizione a pericolo degli interessi dei creditori.

Lo invita, dunque, a ricondurre la propria analisi nel contesto delle condizioni economiche della società, al fine di accertare se, tenuto conto della lontananza della dichiarazione di fallimento, anche la vendita sottocosto dell'immobile avesse determinato il rischio di sottrarre il maggior valore del bene a una possibile futura procedura concorsuale, con la conseguente lesione dell'interesse procedimentale della massa, a fianco a quello - soddisfatto - dei singoli creditori.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione dà spazio ad alcune articolate e complesse considerazioni sulla bancarotta fraudolenta patrimoniale prefallimentare come reato di pericolo concreto.

La sentenza è molto articolata e non è stata per ora ufficialmente massimata. Provo ad abbozzare almeno le conclusioni del ragionamento:

a) la bancarotta fraudolenta patrimoniale è un reato di pericolo concreto e detto pericolo (evento giuridico del reato come ribadito da Cass. pen., Sez. unite, 27 gennaio 2011, n. 21039, p.m. in proc. Loy) deve essere correlato all'idoneità della condotta ad arrecare offesa all'integrità della garanzia dei creditori, come categoria, in caso di apertura di procedura concorsuale;

b) la valutazione della sussistenza del concreto pericolo «deve poggiare su criteri ex ante» in relazione alle caratteristiche complessive della condotta e della situazione finanziaria della società, senza che sia esclusa dalla valutazione la permanenza o meno della stessa situazione, fino all'epoca che precede l'atto di apertura della procedura;

c) ai fini della configurazione delle componenti oggettiva e soggettiva della fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale ha valore fortemente indiziante l'avere agito nella "zona di rischio penale", che è quella che in dottrina viene comunemente individuata come prossimità dello stato di insolvenza (NUVOLONE collocava l'inizio della «zona di rischio penale» nel sorgere dell'insolvenza, ritenendo che la repressione penale interessare «quegli atti che, per loro natura e per direzione soggettiva, tendono a creare una situazione di squilibrio tale tra attivo e passivo che, in rapporto alla capacità dell'impresa e alle normale vicende commerciali, si può ritenere insuperabile»); in altre parole, l'apprezzamento di uno stato di crisi, normalmente conosciuto dall'agente imprenditore, è destinato a orientare la "lettura" di ogni sua iniziativa di distacco dei beni nel senso dell'idoneità a creare un pericolo per l'interesse dei creditori sociali;

d) quanto detto non esclude, tuttavia, che il reato possa rimanere integrato da comportamenti anche antecedenti a tale fase di crisi della vita della azienda, a condizione però che questi presentino caratteristiche obiettive (si pensi all'operazione fittizia, alla distruzione o alla dissipazione) che, di regola, non richiedono particolari e ulteriori accertamenti per provare l'esposizione a pericolo del patrimonio e che risultino e permangano congruenti rispetto all'evento giuridico (esposizione a pericolo degli interessi della massa) che poi si addebita all'agente;

e) per le residue tipologie di bancarotta (essenzialmente gli atti di spesa non orientati su obiettivi correlati all'oggetto della impresa e cronologicamente distaccati, in modo significativo, dall'epilogo della vita della stessa) il compito dell'interprete, volto sempre a dimostrare l'idoneità lesiva di simili comportamenti rispetto agli interessi dei creditori della procedura concorsuale, è più complesso e oneroso.

Osservazioni

La decisione si propone, dunque, il difficile obiettivo di fare il punto sull'effettivo significato delle condotte che danno vita al fatto tipico della bancarotta fraudolenta patrimoniale.

Deve subito dirsi che la decisione e i principi affermati sono condivisibili.

Le condotte di bancarotta fraudolenta patrimoniale sono, tra l'altro, individuate dal Legislatore con termini così pregnanti da consentire, già sul piano letterale, la selezione come fatti penalmente rilevanti dei soli comportamenti concretamente offensivi degli interessi patrimoniali dei creditori. Quando ha ritenuto che così non fosse, il Legislatore si è «rifugiato» nel modello del reato a dolo specifico: si pensi ai fatti di esposizione e di riconoscimento di passività inesistenti.

La descrizione normativa del dolo assurge, in tali casi, ad elemento di specificazione della condotta, nel senso di introdurre, quale requisito per la tipicità del fatto, l'oggettiva adeguatezza dell'azione a produrre l'evento lesivo che l'agente pone nel fuoco dell'intenzione e che è espressione dell'interesse tutelato; in altri termini, il dolo specifico preveduto dalle norme anzidette sortisce l'effetto di selezionare, entro il genus delle condotte descritte, attribuendo ad esse sole il crisma della rispondenza al tipo, le condotte che si presentino obiettivamente idonee a condurre al risultato lesivo del bene protetto, del quale lo stesso dolo si rivela sintomatico.

È interessante notare che la suprema Corte afferma che la ricostruzione ermeneutica prospettata va oltre il problema della collocazione della dichiarazione di fallimento all'interno della fattispecie.

Il riferimento è alla recente Cass. pen., Sez. V, 8 febbraio 2017, n. 13910, Santoro che ha affermato che la dichiarazione di fallimento non va più considerata come elemento costitutivo del reato ma va intesa come condizione obiettiva estrinseca di punibilità.

Vediamo le affermazioni più significative di questa sentenza:

  • la tradizionale qualificazione della dichiarazione di fallimento come elemento costitutivo improprio è incompatibile con i principi costituzionali in materia di personalità della responsabilità penale;
  • l'offesa agli interessi patrimoniali dei creditori si realizza già con l'atto depauperativo dell'imprenditore, il quale, non essendo il dominus assoluto e incontrollato del patrimonio aziendale, non può fare dei suoi beni un utilizzo che leda o metta in pericolo gli interessi tutelati;
  • la dichiarazione di fallimento, in quanto evento estraneo all'offesa tipica ed alla sfera di volizione dell'agente, rappresenta una condizione obiettiva estrinseca di punibilità (ai sensi dell'art. 44 c.p.) che restringe l'area del penalmente illecito, imponendo la sanzione penale solo in quei casi nei quali alle condotte di per sè offensive degli interessi dei creditori segua la dichiarazione di fallimento;
  • il reato, dunque, non si esaurisce nella condotta umana imposta o vietata ma comprende altresì tutte le componenti essenziali che integrano la fattispecie ivi comprese le condizioni obiettive di punibilità non facenti parte del precetto, con la conseguenza che il reato si consuma allorquando tutti i predetti elementi vengano realizzati e nel luogo e momento in cui si realizza l'ultima componente (l'art. 158, comma 2, c.p., dimostra che è proprio il verificarsi della condizione obiettiva di punibilità ad assumere rilievo determinante ai fini della consumazione del reato).

Ebbene, come si diceva, la sentenza che si annota non sembra particolarmente colpita dal novum della sentenza Santoro ma neppure la critica se non forse nella parte in cui afferma che lontano dalla fase di crisi o di insolvenza, e in specie quando l'impresa o la società sono in bonis, l'imprenditore può dare dinamicamente a singoli propri beni delle destinazioni che non necessariamente collidono ed anzi possono coesistere col principio di responsabilità di cui all'art. 2740 c.c., essendo egli semmai tenuto alla conservazione del valore del patrimonio nel suo complesso.

Ma, a parte questa considerazione, la sentenza in esame sembra ritenere che il mutamento di rotta non crei particolari problemi nella “gestione” della norma penale. E forse è proprio così.

La sentenza Santoro afferma, invero, che dum condicio pendet il reato (condizionale) non esiste, facendo così rivivere il pensiero di maestri della materia (DELITALA, CARNELUTTI, DELOGU, ESCOBEDO, MANZINI, ecc.) per i quali il reato è un fatto punibile per sua essenza, ragion per cui non può dirsi reato quel fatto cui non consegue la pena se non quando la condizione si avvera.

Insomma avveramento della condizione e momento consumativo coincidono (come dimostrerebbe l'art. 158 c.p.), perché non può ritenersi consumato un reato prima che il fatto assuma rilevanza penale e il fatto assume rilevanza penale solo all'avveramento della condizione.

La sentenza SANTORO mostra anche implicitamente di condividere la moderna sistematica quadripartita (v. MARINUCCI e DOLCINI) secondo la quale il nome di reato deve attribuirsi solo ad un fatto antigiuridico, colpevole e punibile.

In altre parole, se non si è verificata la prevista condizione obiettiva che fonda la punibilità o se sussiste una causa che la esclude, il reato non esiste; esiste solo un fatto antigiuridico e colpevole.

Resterebbe semmai da chiedersi il perché si qualifichi la condizione obiettiva di punibilità come “estrinseca”. Estrinseca vuol dire esterna. Esterna a cosa? Certamente non al reato, dato che ancora non esiste.

La sentenza Santoro si stacca dunque dall'orientamento tradizionale, il cui emblema è la ormai famosa Cass. pen., Sez. unite, 25 gennaio 1958, Mezzo, anche in materia di punibilità, dato che quest'ultima aveva affermato «che la dichiarazione di fallimento, pur costituendo un elemento imprescindibile per la punibilità dei reati di bancarotta, si differenzia concettualmente dalle condizioni obiettive di punibilità vere e proprie perché […] queste presuppongono un reato già strutturalmente perfetto […], sotto l'aspetto oggettivo e soggettivo», declinando in tal modo il favore per la teoria tripartita.

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