La bancarotta fraudolenta per distrazione tra società collegate o infragruppo
09 Maggio 2017
Massima
In tema di reati fallimentari, la distrazione di somme di denaro della società fallita verso altre società appartenenti allo stesso gruppo integra condotta illecita penalmente rilevante sotto il profilo del reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, ogni qualvolta avvenga senza idonee garanzie ovvero in mancanza di vantaggi compensativi per la fallita. E' lecita la distrazione di fondi avvenuta tra società infra-gruppo quando si verifichi un saldo finale positivo per il complesso del gruppo societario, talchè l'operazione temporaneamente svantaggiosa per la società fallita risulti compensata alla luce di tali benefici. L'esistenza di vantaggi compensativi o del saldo finale positivo per il complesso del gruppo societario costituisce onere probatorio in capo all'amministratore della società fallita, che abbia posto in essere la condotta distrattiva. Il caso
Con ricorso ex art. 606 c.p.p. si richiedeva l'annullamento della sentenza di condanna pronunciata dalla Corte d'Appello di Bologna, confermativa della precedente affermazione di responsabilità pronunciata dal Tribunale di Ferrara, con cui l'imputato era stato condannato, tra l'altro, per il reato previsto dall'art. 216 l. fall., per avere egli, quale amministratore di una S.p.A. poi dichiarata fallita, distratto ingenti somme per finalità estranee agli interessi della società stessa, depauperandone in tal modo il patrimonio. Con il ricorso per Cassazione, l'imputato ha sollevato diversi profili critici relativi al percorso motivazionale della Corte territoriale, di cui ha lamentato contraddittorietà e lacunosità sotto differenti aspetti. Per la parte che qui interessa, il ricorrente ha eccepito che i giudici di merito fossero incorsi in violazione di legge, applicando erroneamente la fattispecie normativa de qua in assenza dei presupposti, in quanto le condotte distrattive poste in essere dall'amministratore della fallita si inserivano in operazioni “infragruppo” che non avevano apportato alcun danno alla società stessa, sussistendo comunque vantaggi compensativi (tuttavia non meglio specificati). La Suprema Corte ha disatteso in toto le doglianze del ricorrente imputato, tutte ritenute prive di fondamento e talora inammissibili, ma sul punto qui evidenziato ha svolto alcune brevi considerazioni concernenti il reato di bancarotta patrimoniale preferenziale infragruppo.
Le questioni
La sentenza in commento, nel respingere in toto il ricorso proposto da un amministratore di società di capitali imputato per bancarotta fraudolenta patrimoniale, si occupa ancora del tema della bancarotta per distrazione. L'insegnamento fornito dalla sentenza in esame non si scosta, ma anzi ne conferma i principi, dal sentiero interpretativo divenuto ormai jus receptum nella giurisprudenza di legittimità e di merito. Ed invero la Suprema Corte conferma la correttezza del percorso argomentativo, sotto il profilo dell'applicazione della normativa speciale in materia di reati fallimentari, seguito dalla Corte territoriale, peraltro già confermativo della decisione del giudice di primo grado. La questione che viene portata all'esame della Corte concerne i rapporti patrimoniali tra distinte società appartenenti allo stesso gruppo societario. Nello specifico, ciò che viene qui analizzato sono le fuoriuscite di denaro dal patrimonio della società (poi) fallita a vantaggio di altre società “consorelle” ed il quesito che si pone è se tali dazioni siano lecite ovvero rilevanti sotto il profilo come elemento costitutivo del reato di bancarotta per distrazione. Occorre differenziare le ipotesi, non apparendo possibile una risposta univoca ed omnicomprensiva. In primo luogo, pare potersi affermare che il giudizio di liceità o meno di una dazione a qualsiasi titolo di somme di denaro o altri beni da parte di una persona giuridica a favore di un'altra non può mutare a seconda che le società appartengano o meno ad uno stesso gruppo; ciò per l'evidente principio, pur tuttavia ribadito espressamente in giurisprudenza, che ogni singola società di capitali, anche quando sia collocata in un medesimo gruppo societario, conserva la propria individualità ed autonomia patrimoniale, esattamente come si verifica per società tra loro estranee. Sotto questo profilo, perciò, qualsiasi distrazione “infragruppo” non potrà avere una valutazione di altro tipo che non sia quella dell'utilità e pertinenza rispetto alla sua situazione contabile, esattamente come ogni altra società. Questo dato è reso evidente dal fatto che il creditore della società A, la quale abbia in ipotesi svuotato la propria consistenza patrimoniale mediante attività distrattive a favore della società B facente parte dello stesso gruppo, non potrà agire per il proprio credito nei confronti della società B, la quale è e rimane del tutto indipendente dalla società “consorella”. Ciò premesso, l'analisi va dunque concentrata caso per caso, sul tipo di attività distrattiva che l'amministratore di società ha posto in essere. Il principio generale che la giurisprudenza pone, e che la sentenza oggetto di commento fa proprio e ribadisce, tiene conto dal un lato al saldo finale delle operazioni infragruppo, che qualora sia positivo determina la liceità della distrazione, e dall'altro al concetto del cd “vantaggio compensativo”, concetto che trova una sua definizione nella lettera dell'art. 2634, comma 3, c.c. e si individua perciò da un vantaggio per la società “conseguito o fondatamente prevedibile, derivante dal collegamento o dall'appartenenza di gruppo”. Ciò che importa rimarcare, e che la Suprema Corte ha ribadito, è il fatto che l'onere di provare la sussistenza di vantaggi compensativi è esclusivamente dell'imputato che intenda far valere tale circostanza, non potendosi né dedurre ad opera del giudice, né essere solo genericamente affermata. Sono questi due elementi in valutazione, tra loro strettamente intersecantesi, che devono orientare il giudice nel giudizio di liceità o meno della condotta dell'amministratore della società fallita, rispetto a dazioni a favore di società infragruppo: laddove la valutazione sia positiva, significherà che la realtà di gruppo complessivamente considerata ha compensato un atto che, in sé considerato, poteva apparire temporaneamente sfavorevole o nocivo per la fallita (e perciò risultare di fatto non dissipativo, né penalmente rilevante). Di certo risulteranno dissipative, e perciò integranti distrazione rilevante ai fini della bancarotta, le dazioni di risorse effettuate a favore di altra società dello stesso gruppo imprenditoriale, che versi in difficoltà economiche, poiché tale stato patrimoniale non consentirebbe, evidentemente, una previsione positiva per gli interessi della società sacrificata (si pensi al recupero di un finanziamento, ad esempio). Aldilà di questa ipotesi, in ogni caso e in via più generale, qualsiasi fuoriuscita di risorse dalla società fallita in favore di altre società collegate o infragruppo, che non appaia inerente o compatibile con l'interesse della sacrificata, ovvero che non sia assistita da idonee garanzie di recupero, ovvero ancora che non porti vantaggi compensativi – da dimostrare compiutamente ed in concreto – e ad un saldo finale positivo per il gruppo, integrerà un mero depauperamento della società, rilevante ex art. 216 comma 1, l. fall. nel momento in cui intervenga sentenza di fallimento, che come è noto, costituisce condizione obbiettiva di punibilità della fattispecie. Osservazioni
La sentenza in epigrafe appare di facile lettura e, comunque, non presenta “sorprese” interpretative o cambi di orientamento degni di particolare analisi. Viceversa si colloca, come già notato, in un solco giurisprudenziale non solo ormai granitico, ma altresì del tutto condivisibile, nell'ottica da un lato dei principi generali che regolano l'individualità delle persone giuridiche, la cui individualità patrimoniale è impermeabile a commistioni con società collegate, e dall'altro della tutela dei diritti dei creditori della fallita nel caso in cui la stessa sia stata illecitamente svuotata di consistenza con conseguente vanificazione delle garanzie. Ora, se questi sono i principi che la sentenza in commento ha richiamato per respingere la doglianza del ricorrente sul punto, deve dirsi che un'ombra rimane – pur nella lettura delle motivazioni, non associata alla conoscenza di tutte le risultanze processuali di fatto, quando si osservi che la denunciata violazione di diritto da parte della difesa faceva riferimento, secondo la stessa ricostruzione della sentenza, ad un'ipotesi contraria: la fallita avrebbe in realtà ricevuto – e non erogato – finanziamenti da parte delle società dello stesso gruppo imprenditoriale; ma di più: tali prestiti non sarebbero stati onerati di interessi, di talchè nessuna dissipazione o depauperamento della fallita si sarebbe realizzato. E ciò anche alla luce, comunque, di un realizzato vantaggio compensativo. Ora, a fronte di questo rilievo, la Corte segnala che il ricorrente non ha adempiuto al suo preciso onere di provare il vantaggio compensativo genericamente dedotto (e, come tale, da considerarsi inesistente), ma non convince nel momento in cui si limita a ribadire i principi meglio sopra richiamati senza spiegare, né affrontare l'elemento centrale: vi è stata una distrazione? Poiché è evidente che se la ricostruzione di fatto operata dal ricorrente trova riscontro in atti – e la Cassazione non smentisce questo dato – a parere di chi scrive non sussisteva alcuna attività distrattiva, alcuna fuoriuscita di denaro della fallita, la quale ha ricevuto finanziamenti a titolo gratuito da parte di altre società ad essa collegate. Si potrà forse ritenere che una simile condotta, in un momento di dissesto economico-patrimoniale, rilevi come attività non coerente con l'imprenditore avveduto e con l'obbligo generale su di lui gravante di fallire in proprio e di non ritardare tale passaggio, quando si avveda che la decozione non è altrimenti reversibile. Ma è evidente che, in questo caso, si tratterebbe di ben altro tipo di reato (bancarotta semplice) e che comunque ci si addentra in un terreno incerto concernente il sottile discrimine tra il diritto dell'imprenditore di cercare di risollevare le sorti della propria società e le operazioni aleatorie e “di pura sorte”, tra cui sicuramente può farsi rientrare l'indebitamento dato dal ricorso a nuovi prestiti. Conclusioni
Pare potersi dire che la sentenza qui oggetto di esame ripercorre un'analisi condivisibile, sotto il profilo dogmatico, della disciplina in materia di reati fallimentari infragruppo, con speciale riguardo alla bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione. Come si è visto, tuttavia, la sentenza appare poco perspicua, almeno dalla lettura del riepilogo che il relatore ha svolto circa i motivi di ricorso, laddove non si è occupata di dare conto, anche solo per smentirla, della rilevata insussistenza di condotte distrattive strettamente intese. E non è revocabile in dubbio che solo la distrazione, ovverosia la fuoriuscita di denaro o di altre utilità, dal patrimonio della fallita può integrare la fattispecie di cui all'art. 216, comma 1, l. fall., viceversa non potendosi estendere in via interpretativa questo elemento ad altre condotte di segno addirittura contrario (come parrebbe nel caso di specie). |