Il prestito titoli e l’usufrutto su titoli: strumenti diversi da equiparare
17 Agosto 2017
Massima
In tema di imposte sui redditi, l'operazione di stock lending, ossia di prestito di azioni, che preveda, a favore del mutuatario, il diritto all'incasso dei dividendi dietro versamento al mutuante di una commissione (corrispondente, o meno, all'ammontare dei dividendi riscossi) realizza il medesimo fenomeno economico dell'usufrutto di azioni, senza che rilevi, ai fini tributari, che in un caso si verta su un diritto reale e, nell'altro, su un diritto di credito, sicché è soggetta ai limiti previsti dall'art. 109, comma 8, del d.P.R. n. 917/1986, restando il versamento della commissione costo indeducibile. Il caso
Con la sentenza in commento, la Cassazione ha affrontato il caso della tassazione di un'operazione di prestito titoli, denominata stock lending: secondo la Suprema Corte, ai fini delle imposte dei redditi, un'operazione di prestito di azioni che preveda, a favore del mutuatario, il diritto all'incasso dei dividendi dietro versamento al mutuante di una commissione (corrispondente o meno all'ammontare dei dividendi riscossi), realizza il medesimo fenomeno economico dell'usufrutto di azioni, sicché è soggetta ai limiti previsti dall'art. 109, comma 8, TUIR, restando il versamento della commissione un costo indeducibile. Il contenzioso è sorto a seguito del recupero a tassazione in capo ad una società italiana, (lender), di un costo sostenuto per il pagamento di commissioni nei confronti di una società residente nella Repubblica Ceca, (borrower), la quale aveva effettuato il prestito delle azioni detenute in due società portoghesi residenti a Madeira (società veicolo). Dopo l'annullamento dell'atto impositivo da parte della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, la Commissione Regionale della Campania ha riformato la pronuncia di primo grado, accogliendo le censure dell'Ufficio, che contestava al contribuente di aver posto in essere una complessa operazione "finalizzata all'ottenimento di indebiti risparmi d'imposta" che "ha permesso l'abbattimento della base imponibile globale", individuando a sostegno di tale conclusione: i) la "carenza di informazioni sull'attività svolta dalle società veicolo ai fini della dimostrazione che i proventi fiscali non derivino da partecipazione in società con sede in paradisi fiscali e che la società non sia stata usata come schermo per poter usufruire dei benefici derivanti dall'esclusione della base imponibile dei proventi esteri di cui all'art. 89 del TUIR; ii) l'indeterminatezza della movimentazione finanziaria relativa all'operazione; iii) la "mancanza dell'alea che nell'operazione oggetto di controllo è rappresentata dalla carenza dell'elemento essenziale dello stesso".
Le questioni
È interessante osservare come la Cassazione, nel ribaltare il pronunciamento di secondo grado, abbandoni la strada dell'abuso del diritto, e seguendo una propria linea si addentri in una ricostruzione tutta sostanzialistica del negozio posto in essere dal contribuente, giungendo ad equiparare lo stock lending all'usufrutto su azioni, per arrivare così ad applicare la disciplina fiscale di cui all'art. 109, comma 8, TUIR, e sancire l'indeducibilità della commissione versata dal lender (società italiana) al borrower (società ceca). È interessante, al di là della conclusione attinente alla questione fiscale, ripercorrere il ragionamento che ha portato i Supremi Giudici ad una tale equiparazione. L'equiparazione tra il prestito titoli (c.d. stock lending) e l'usufrutto Il c.d. stock lending agreement è una figura negoziale atipica, ben descritta nella sentenza in commento: "un prestito di titoli contro pagamento di una commissione (fee) e contestuale costituzione da parte del mutuatario (borrower) di una garanzia (rappresentata da denaro o da altri titoli di valore complessivamente superiore a quello dei titoli ricevuti in prestito), chiamata Collaterale, a favore del mutuante (lender), a garanzia dell'obbligo di restituzione dei titoli ricevuti”, cui si associa al diritto di percepire i relativi dividendi da parte del mutuatario, mentre il mutuante ha diritto al pagamento di una commissione in relazione al dividendo incassato. In dottrina si riconosce a siffatta fattispecie l'assenza di qualsiasi alea contrattuale in ordine al versamento della commissione, dato che il mutuatario sa di dover pagare la commissione (fee), di importo più o meno equivalente al valore dei dividendi distribuiti, sicchè l'operazione – sotto il profilo economico- si presenta “neutrale” per il prestatario che ottiene unicamente un vantaggio fiscale, e per questo motivo il negozio viene ricondotto alternativamente al contratto simulato, al contratto nullo perché privo di causa e a quello in frode alla legge (così aveva concluso infatti anche la CTR di Napoli, nel caso in questione). Qui si inserisce la portata innovativa del ragionamento della Cassazione, destinato a riaprire il dibattito sulla questione, in quanto afferma che “come nell'usufrutto di azioni, infatti, il contratto di Stock Lending trasferisce (temporaneamente) la titolarità del diritto al dividendo e per ottenere la relativa riscossione è previsto un costo.” Aggiunge che il fenomeno economico, dunque, è lo stesso, senza che assuma rilievo, ai fini tributari (gli unici che qui rilevano non essendovi la necessità di una declinatoria civilistica sul contratto), la circostanza che nell'un caso si verta su un diritto reale e, nell'altro, in un diritto di credito. A rafforzamento del proprio decisum, la Cassazione aggiunge che “l'usufrutto di azioni è una operazione finanziaria con la quale viene concesso il diritto a percepire i dividendi distribuiti da un'altra società a fronte di un corrispettivo comprensivo del valore attuale dei flussi futuri di utili. Il cedente, pertanto, percepisce anticipatamente l'entità del dividendo sotto forma di corrispettivo per la cessione dell'usufrutto e il cessionario inscrive in bilancio, nell'attivo patrimoniale immateriale, il corrispondente onere”. Secondo l'art. 981 c.c., l'usufruttuario ha diritto di godere della cosa, ma deve rispettarne la destinazione economica, e può trarre dalla cosa ogni utilità che questa può dare, fermi i limiti stabiliti per legge.
Osservazioni
Come evidenziato anche dalla Corte di Cassazione, l'usufrutto è un diritto reale, mentre il prestito titoli rappresenta un diritto di credito. Al di là di tale categorizzazione giuridica, anche concentrandosi sulla sostanza economica, le due fattispecie paiono divergere.
Generalmente, il prestito titoli costituisce un'alternativa d'investimento caratterizzata da un limitato impiego di liquidità aziendale e da un'efficiente combinazione rischio – rendimento, oltreché da un orizzonte temporale di breve-medio periodo: mediante il prestito titoli una parte, generalmente un gruppo bancario, trasferisce uno o più titoli azionari ad un'altra parte, la società cliente, con l'obbligo di restituzione dei titoli medesimi ad una data prestabilita. Il prestito titoli “strutturato” assume i contorni di una “scommessa” sul rendimento della società oggetto del prestito: nell'ambito di tale contratto le parti concordano un rendimento minimo e massimo della società oggetto di prestito, sicchè - se il rendimento risulterà all'interno dei suddetti valori - il gruppo bancario avrà vinto la scommessa, mentre -se il rendimento cadrà al di fuori del suddetto intervallo- sarà la società cliente ad aver vinto la scommessa. I principali obiettivi dell'operazione consistono:
Inoltre, i vantaggi e l'utilità economica dell'operazione si possono correlare ad esigenze quali l'esercizio dei diritti non economici derivanti dalle azioni ovvero, nell'ambito delle operazioni di borsa, nel consentire al prestatario di ottenere in prestito valori mobiliari al fine di procedere alla liquidazione dei contratti aventi ad oggetto i valori medesimi, senza, tuttavia, assumere ulteriori rischi di mercato rispetto a quelli già presenti in portafoglio mantenendo inalterata la flessibilità nella gestione dell'investimento. In quanto prestito, infine, si tratta di un prestito di beni fungibili, con conseguente trasferimento della proprietà dei titoli in capo al prestatario, e ritrasferimento della stessa al prestante al termine del contratto (caratteristica vieppiù percepibile nel caso i titoli oggetto di prestito siano quotati). L'ABI, nella propria Circolare n. 23 del 1° agosto 1994 – Serie legale, pone su piani sostanzialmente equivalenti il prestito titoli ed il riporto, osservando come possano formare oggetto del contratto sia titoli nominativi sia al portatore, italiani o esteri: con i contratti in questione si realizza il passaggio della proprietà dei titoli al borrower (a differenza dell'usufrutto), unitamente a tutti i diritti accessori. Pertanto passano nella piena disponibilità di tale soggetto anche i proventi relativi ai titoli medesimi, il diritto di voto ed ogni altro onere accessorio, pur potendo le parti convenire diversamente. Per contro, la funzione storica del diritto di usufrutto è connessa alle future vicende ereditarie della persona; non a caso ogni diritto di usufrutto che ha come titolare una persona fisica deve avere come limite massimo ed inderogabile di durata la vita della persona stessa. Con l'usufrutto, storicamente, si tutelava la moglie dopo la morte del marito, riconoscendo a questa il pieno ius utendi et fruendi vita natural durante, e lasciando ai figli –alla morte del padre- la proprietà di tutti i beni del de cuius, ma in uno stato di quiescenza quanto al godimento, con un diritto che si espandeva sino al c.d. consolidamento della piena proprietà che si verificava con la morte della madre usufruttaria. Le funzioni dell'usufrutto sono andate poi diversificandosi nel tempo, aggiungendo –per esempio- funzione di asset protection, ma difficilmente giunge ad assumere i connotati di un investimento, che sono invece propri del prestito titoli.
Anche la rappresentazione di bilancio è sostanzialmente diversa: lo stock lending trova rappresentazione per il borrower tra i crediti, mentre per il lender tra i debiti, generalmente nell'attivo circolante o nel passivo a breve (a seconda della durata del prestito; nel caso di usufrutto, il cessionario del diritto di usufrutto su azioni rileva inizialmente tra le “altre” immobilizzazioni immateriali il costo sostenuto per il diritto di godimento dei titoli comprensivo dei costi accessori e lo sottopone ad ammortamento in base alla durata del diritto. Conclusioni
L'equiparazione tra usufrutto e prestito titoli suggerisce alcune osservazioni sul trattamento fiscale dell'operazione di stock lending: l'art. 109, comma 8, TUIR dispone l'indeducibilità del costo per l'acquisto del diritto d'usufrutto o altro diritto analogo relativamente ad una partecipazione societaria da cui derivino utili esclusi da imposizione ai sensi dell'art. 89 TUIR (per il 95% del loro ammontare). In proposito l'Agenzia Entrate (cfr. Circolare n. 26/2004) ha precisato che tale norma non si applica se la cessione del diritto di usufrutto o di altro diritto analogo non comporta anche il trasferimento della titolarità dei dividendi agli effetti fiscali: ergo, per i soggetti IRES, il costo dovrebbe essere deducibile se la cessione del diritto di usufrutto (o se il prestito titoli) non comporta anche il diritto di percepire i dividendi. Pertanto, qualora il prestito titoli preveda che il prestatario abbia diritto a percepire una somma pari alla differenza tra il valore dei titoli al momento del prestito ed il loro valore alla data di riconsegna, ma non il diritto a percepire i dividendi, la commissione pagata sarebbe deducibile.
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