Il fallimento di una s.a.s. è esteso anche al socio accomandante che violi il divieto di immistione
31 Marzo 2017
Massima
Il fallimento di una società in accomandita semplice è esteso anche al socio accomandante che abbia effettuato atti di ingerenza nella gestione della stessa sulla scorta di una procura institoria eccessivamente ampia e generalizzata. Lo stesso è qualificabile come socio accomandante occulto ai sensi dell'art. 147 l.fall.
Il termine annuale per l'estensione del fallimento della società al socio illimitatamente responsabile di cui all'art. 147 l. fall. decorre dalla data in cui lo stesso sia divenuto illimitatamente responsabile, e tale circostanza sia stata resa opponibile ai terzi, e non dalla data di pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento. Il caso
Il socio accomandante di una s.a.s. dichiarata fallita adiva la suprema Corte per vedere annullata la precedente sentenza della Corte d'Appello di Ancona, la quale aveva statuito l'estensione della procedura fallimentare anche allo stesso ai sensi e per gli effetti dell'art. 147 l. fall., stante la sua condotta di ingerenza nella amministrazione della società in spregio al divieto di cui all'art. 2320 c.c. Nello specifico, il ricorrente adduceva a sostegno della propria posizione numerose motivazioni, sussumibili in tre questioni. Sotto il primo profilo, il ricorrente rilevava la circostanza che la stessa legge prevede una forma di ingerenza del socio accomandante nella gestione della società, stante l'assenza di un divieto esplicito di conferire mandato a questi. Direttamente collegata alla precedente censura, il ricorrente lamentava la falsa applicazione delle norme processuali in materia di prove, avendo la Corte d'Appello ritenuto ininfluente la prova derivante da scrittura privata dove i soci accomandatari fornivano linee direttive per l'attività amministrativa del socio accomandante. In ultima istanza, il ricorrente contestava l'applicazione fatta dalla Corte d'Appello dell'art. 147 l. fall., per due ordini di ragioni: la prima, direttamente collegata al primo gruppo di motivazioni addotte nel ricorso, relativa all'applicazione dello stesso articolo anche al caso di socio accomandante che abbia violato il divieto di immistione stabilito dall'art. 2320 c.c.; la seconda afferente alla presupposta decorrenza del termine annuale di prescrizione per l'estensione del fallimento. Le questioni
La Suprema Corte è stata chiamata ancora una volta a fornire chiarimenti sull'applicazione della fattispecie del fallimento per estensione di cui all'art. 147 l. fall., fornendo una interpretazione condivisibile sotto il profilo dell'argomentazione logica. La questione sottoposta all'esame dei giudici appare infatti estremamente complessa, in quanto involge una serie di tematiche tra loro collegate secondo un ordine di consequenzialità, a cui gli stessi forniscono una soluzione coerente. Per quanto attiene alla problematica relativa alla configurabilità, nel caso di specie, della violazione, da parte del socio accomandante, del divieto di immistione, la risoluzione della stessa è di fondamentale rilevanza, in quanto involge ed influenza la decisione relativa alle problematiche secondarie emergenti nel caso de quo. I giudici partono dall'analisi della fonte che, secondo le considerazioni del ricorrente, giustificava la sua ingerenza nella gestione della società, sottolineando come la procura institoria ad esso conferita fosse eccessivamente ampia e generica, elemento che costante dottrina e giurisprudenza adducono come esempio “di scuola” della violazione del divieto di cui all'art. 2320 c.c. Difatti, gli artt. 2203 e 2204 c.c. dispongono che la procura di cui supra debba prevedere dettagliatamente gli atti e le attività cui l'institore è autorizzato, prevedendo altresì eventuali limiti. Ancora, i giudici colgono l'occasione per puntualizzare alcuni aspetti processuali relativi alla efficacia probatoria della scrittura privata priva di data certa. A fronte delle considerazioni del ricorrente, che, si ricorda, rilevava come l'eccezione di data certa non potesse essere rilevata d'ufficio, la Corte afferma che la mancanza di data certa, sebbene configuri fatto impeditivo per l'accoglimento della domanda, può essere tuttavia oggetto eccezioni in senso lato. In tal caso, l'eccezione può essere rilevata sia dalla parte interessata (anche in sede di impugnazione), nonché d'ufficio dal giudice (cfr. Cass. SSUU n. 4213/2013) qualora i fatti sui quali si fondano, sebbene non precedentemente allegati dalla stessa parte, emergano dagli atti di causa. Preso atto della questione preliminare relativa alla effettiva ingerenza del socio accomodante nella gestione della società, ingerenza che, stante il divieto posto dall'art. 2320 c.c., determina ipso iure la decadenza dal beneficio della responsabilità limitata, i giudici si soffermano sull'applicazione dell'art. 147 l. fall., al caso di specie. In primo luogo, la Corte non ritiene spirato il termine annuale per la dichiarazione del fallimento in estensione, in quanto tale termine inizia a decorrere non già dalla data di dichiarazione del fallimento della società in accomandita semplice, bensì dalla data in cui il socio accomandante ha perso il beneficio della responsabilità limitata, e tale perdita sia stata resa opponibile a terzi. Si specifica, infatti, che l'intervenuto fallimento non fa venir meno l'eventuale responsabilità dei soci, in quanto la società permane ancora in vita nell'ordinamento, né il fallimento della società causa di scioglimento del singolo rapporto sociale. La legge prevede infatti che il termine di cui all'art. 147 l. fall. inizia a decorrere non già dal momento della dichiarazione di fallimento, bensì dal diverso momento in cui si realizza nei fatti la perdita, per il socio accomandante, del beneficio della responsabilità limitata, da individuarsi nella data in cui la stessa perdita è resa opponibile a terzi, mediante gli ordinari meccanismi di pubblicità, quali, ad esempio, la trascrizione nel registro delle imprese. In definitiva, il termine annuale inizia a decorrere dalla data di trascrizione nel registro delle imprese della vicenda. (cfr. Corte Cost., n. 319/2000; Cass. Civ., n. 5764/2011; Cass. Civ., n. 23651/2014; Cass. Civ., n. 24112/2015). In completamento di tale prima questione, la Corte si sofferma brevemente sulla qualifica che assume il socio accomandante ai fini dell'estensione allo stesso del fallimento della società, equiparando la sua posizione a quella dell'accomandatario occulto, a causa della sua ingerenza nell'attività di amministrazione della società violativa della regola statuita all'art. 2320 c.c. (cfr. Cass. Civ., n. 29794/2008). Stante le argomentazioni supra riportate, i Giudici hanno concluso pervenendo al rigetto del ricorso, confermando, con alcune modifiche argomentative, la decisione adottata dalla Corte d'Appello nella pronuncia impugnata. Osservazioni
Tanto premesso, la sentenza in esame ha senza dubbio il merito di aver fornito ulteriori chiarimenti circa l'esatta applicazione dell'art. 147 l. fall., in linea con precedenti pronunce che la stessa Corte aveva reso in relazione a detta spinosa questione. Le argomentazioni, e la successiva conclusione, sono tutte ispirate dalla ratio che sorregge le norme richiamate, in particolar modo quelle relative al divieto di immistione ed al regime di pubblicità: la disciplina è infatti teleologicamente orientata a garantire il principio di tipicità cristallizzato nell'art. 2249 c.c., nonché garantire ai terzi creditori la certezza del diritto attraverso la cristallizzazione dei compiti e delle responsabilità all'interno della compagine sociale. La violazione delle regole volte ad impedire che il socio accomandante amministri la società, infatti, snatura il connotato essenziale della società in accomandita semplice, fortemente caratterizzata dalla netta divisione delle responsabilità e dei poteri tra le due categorie di soci (accomodante ed accomandatario), che addirittura prevede, con la limitazione della responsabilità patrimoniale del socio accomodante, una forma di eccezione alla regola comune a tutte le tipologie di società di persone, eccezione giustificata e controbilanciata dal divieto disposto all'art. 2030 c.c. Né può assumere rilevanza, nel caso in esame, la presenza di una procura institoria a favore dello stesso socio accomandante, in quanto, sebbene la stessa non sia espressamente vietata dalla legge, l'interpretazione delle norme in materia di s.a.s. impone che l'ingerenza del socio accomandante sia estremamente circoscritta e limitata a specifiche attività, circostanza non riscontrata dai giudici nel caso de quo, tanto da far propendere gli stessi per l'individuazione di un eccesso di delega tale da giustificare la sanzione della perdita del beneficio della responsabilità limitata e la conseguente estensione del fallimento. Quanto alla questione relativa al dies a quo di decorrenza del termine previsto dall'art. 147 l. fall., vi è da rilevare un orientamento ormai consolidato in dottrina e giurisprudenza secondo il quale la procura institoria al socio accomandante rientri tra gli atti di procura commerciale di cui all'art. 2206 c.c., la cui iscrizione, secondo quanto disposto dall'art. 213 c.c., non ha precipitati diretti sulla validità dell'atto, ma sulla sua opponibilità nei confronti dei terzi (Grippo, Bolognesi, La società in accomandita semplice, in Trattato Rescigno, III, Torino, 2013, 102). La mera iscrizione della stessa presso il registro delle imprese, sebbene sia talmente ampia da non essere circoscritta ad un unico affare (da intendersi, parimenti a quanto si indica per i patrimoni destinati nelle s.p.A., non solo come procura al compimento di un singolo atto, ma anche ad una serie di atti teleologicamente orientati alla conclusione di un unico affare), non è da ritenersi tuttavia condizione sufficiente all'applicazione dell'estensione del fallimento anche al socio accomandante, essendo necessario che sia data prova della effettiva ingerenza in violazione del divieto posto dall'art. 2030 c.c. Conclusioni
In conclusione, la sentenza ha avuto il merito di chiarire ancora una volta la posizione del socio accomandante all'interno della società, nonché quello di aver aggiunto un tassello alla difficile interpretazione dell'art. 147 l.fall., non solo in tema di estensione del fallimento al socio che, seppur formalmente limitatamente responsabile secondo le prescrizioni di legge, nei fatti abbia una ampia ingerenza nella gestione della società tale da giustificare la perdita del beneficio, ma anche cogliendo l'occasione per puntualizzare la questione relativa al dies a quo del termine annuale previsto per l'estensione stessa, confermando le precedenti posizioni assunte dalla stessa Corte, nonché l'interpretazione fornita dalla Corte Costituzionale. |