Autonomia privata e assicurazione obbligatoria sull’attività venatoria tra limitazione di responsabilità e descrizione del rischio

Renato Fedeli
02 Marzo 2016

La previsione dell'obbligatorietà della stipulazione di assicurazione della responsabilità civile risponde alla ratio di tutelare in maniera effettiva i terzi, per ragioni di sicurezza sociale, pertanto l'autonomia privata non può introdurre clausole che diminuiscono la tutela del terzo come voluta dalla legge.
Massima

La previsione dell'obbligatorietà della stipulazione di assicurazione della responsabilità civile risponde alla ratio di tutelare in maniera effettiva i terzi, per ragioni di sicurezza sociale, pertanto l'autonomia privata non può introdurre clausole che diminuiscono la tutela del terzo come voluta dalla legge. Tali clausole, ove presenti, sono nulle, con conseguente ripristino della norma imperativa violata.

Il caso

Gli eredi di Tizio convengono in giudizio la Compagnia assicuratrice e l'asserito responsabile dell'omicidio colposo di Tizio, avvenuto nel corso di una battuta di caccia, quando la vittima viene colpita da un colpo partito dal fucile del compagno, esploso accidentalmente in conseguenza della caduta di quest'ultimo. La Compagnia viene convenuta sia come assicuratore del preteso responsabile, in forza di polizza di responsabilità civile stipulata a favore dei propri iscritti della Federazione Italiana della caccia, sia quale asserita obbligata al pagamento di indennizzo derivante da polizza infortuni.

La Compagnia si costituisce in primo grado negando l'indennizzo, sul presupposto che le condizioni generali della polizza obbligatoria escludono l'indennizzabilità di sinistri avvenuti in violazione della normativa sull'esercizio dell'attività venatoria, in particolare quella che vieta la caccia al cinghiale, alla quale, nella prospettazione della Compagnia, i due soggetti stavano partecipando.

Circostanza, questa, secondo l'istituto assicuratore, comprovata dal fatto che il fucile dal quale erano partiti i colpi era caricato a pallettoni, munizione specifica per tale tipo di caccia.

L'eccezione di garanzia sollevata dalla Compagnia viene accolta dal Tribunale e pertanto, sul punto, propongono appello gli eredi della vittima primaria.

La Corte di Appello di Cagliari accoglie l'appello, riformando la decisione di primo grado in punto operatività della garanzia.

La questione

L'art. 12, comma 8°, della Legge 11 febbraio 1992 nr. 157 stabilisce che «l'attività venatoria può essere esercitata da chi abbia compiuto il diciottesimo anno di età e sia munito di licenza di porto di fucile per uso di caccia, di polizza assicurativa per la responsabilità civile verso terzi derivante dall'uso delle armi o degli arnesi utili all'attività venatoria, con massimale di lire un miliardo per ogni sinistro, di cui lire 750 milioni per ogni persona danneggiata e lire 250 milioni per danni ad animali ed a cose, nonché di polizza assicurativa per infortuni correlata all'esercizio dell'attività venatoria, con massimale di lire 100 milioni per morte o invalidità permanente».

È pertanto normativamente previsto l'obbligo per chi eserciti attività venatoria di essere coperto da polizza assicurativa a garanzia della responsabilità civile verso terzi, oltre che da polizza infortuni.

Secondo la prospettazione della Compagnia, accolta in primo grado, la caccia al cinghiale era vietata, il giorno dell'evento, dall'art. 21 lett. h), L., 11 febbraio 1992, n. 157 e conseguentemente i giudici vengono chiamati a valutare la validità della clausola che esclude la garanzia in caso di eventi avvenuti al di fuori dei periodi di caccia autorizzati e comunque non in conformità alle leggi in materia.

La Corte deve decidere se l'autonomia negoziale che introduca una clausola volta ad escludere l'obbligo della Compagnia di risarcire i danni provocati a terzi dall'assicurato in violazione di leggi e regolamenti sulla caccia sia o meno sottoposta a sanzione di nullità, in quanto finalizzata a limitare la responsabilità dell'assicuratore e, soprattutto, la sicurezza dei terzi, bene per la cui tutela è previsto l'obbligo di copertura assicurativa.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in commento contiene, innanzitutto, una diversa interpretazione dei fatti emersi in istruttoria, con particolare riferimento alla circostanza che i due cacciatori stessero o meno praticando la caccia al cinghiale.

Secondo la Corte, infatti, il colpo parte in conseguenza di una caduta accidentale del responsabile lungo il tragitto percorso per ritornare all'autovettura utilizzata per recarsi nel luogo prescelto per l'attività venatoria, finalizzata alla caccia di volatili, non di cinghiali.

Pertanto, all'esito di un'indagine in fatto sulle concrete modalità di esercizio dell'attività venatoria da parte dei soggetti coinvolti nel tragico evento (fucile dal quale sono partiti i colpi mortali caricato a pallini, così come quello della vittima, comunemente usati per la caccia ai volatili, orario dell'evento rientrante tra quelli consentiti), la Corte ha ritenuto che l'evento si sia verificato mentre i soggetti stavano rientrando da una giornata di caccia ai volatili e non ai cinghiali.

La Corte non nega che la cartuccia sia vietata per la caccia al cinghiale, appartenente alla famiglia degli ungulati, ai sensi dell'art. 21, lett. u), L.11 febbraio 1992, n. 157 e dall'art. 61, comma 1, lett. a), Legge Regionale Sardegna 29 luglio 1998 n. 23, ma precisa che ne è comunque consentita la detenzione, anche ai fini dell'esercizio della caccia in relazione alla pratica venatoria finalizzata all'uccisione di tordi, concludendo che è a questo tipo di caccia che i due compagni si stavano dedicando al momento dell'evento.

In polizza l'attività assicurata è indicata come «l'esercizio della caccia come regolato da leggi e regolamenti in vigore», e in essa si stabilisce che «le coperture operano a favore di chi sia munito di idoneo documento di legittimazione», ma «l'assicurazione non è operante per gli assicurati titolari di licenza di caccia, ove l'assicurato non sia munito di regolare porto d'armi e valida licenza di caccia, come previsto dalle norme e leggi vigenti».

Infine, «l'assicurazione è operante nei periodo previsti dalle leggi per l'esercizio dell'attività venatoria, purché svolta con i mezzi consentiti dalle leggi stesse (fucili, carabine e falco)».

Nella sezione sulla responsabilità civile verso terzi, la polizza prevede all'art. 3 che sono coperti i «danni causati involontariamente a terzi durante lo svolgimento delle seguenti attività sportive, per tutto l'anno, salvo che leggi e decreto o ordinamenti dello Stato in cui avviene il sinistro prevedano periodi determinati per svolgere l'attività, nel quale caso la presente assicurazione opera solo per i danni provocati nei periodi autorizzati».

Secondo la Corte, la predetta disciplina contrattuale integra una vera e propria limitazione di responsabilità dell'assicuratore e non una delimitazione dell'oggetto del rischio della Compagnia, con la conseguenza che la relativa clausola viene dichiarata nulla.

I giudici di secondo grado evidenziano che la copertura non è efficace nei periodi dell'anno in cui è vietato svolgere qualunque pratica venatoria, mentre nel residuo periodo la copertura opera per la caccia privata conformemente alle leggi, vale a dire in presenza di porto d'armi e valida licenza di caccia e utilizzo di mezzi consentiti dalla legge.

Secondo un risalente orientamento giurisprudenziale di legittimità (Cass. civ., sez. III 11 luglio 1985, n. 4133 e Cass. civ., sez. I, 4 luglio 1987, n. 5860), a fronte di una norma di legge che imponga la copertura assicurativa obbligatoria per la responsabilità civile derivante dall'esercizio di una determinata attività, come nel caso di specie l'attività venatoria, si impone la necessità di tutela del bene della sicurezza sociale.

Il precetto legislativo che indica l'obbligo della copertura assicurativa, quindi, è una vera e propria norma imperativa e deve essere necessariamente prevalere sull'autonomia negoziale delle parti nella determinazione dell'oggetto del rischio assicurato.

Secondo la sentenza in commento, quindi, l'assicurazione deve garantire tutti i danni cagionati dallo svolgimento dell'attività venatoria, purché la stessa sia esercitata nel rispetto dei presupposti normativi che la legittimano, come ad esempio, il possesso del porto d'armi, la licenza di caccia, i periodi di apertura.

La Corte cagliaritana ha pertanto ritenuto che qualsiasi comportamento dell'assicurato, purché posto in essere entro i limiti sopra indicati e naturalmente purché non doloso, debba essere coperto dalla polizza obbligatoria, proprio sulla base di esigenze di tutela della sicurezza sociale, tanto che ove si ammettesse la validità di clausole limitative dell'obbligo dell'assicuratore di risarcire i danni derivanti dall'inosservanza di leggi o regolamenti si finirebbe con il permettere alle parti di realizzare proprio lo scopo che la norma vuole raggiungere.

La sentenza in commento ricorda come il precedente richiamato in senso contrario dal Tribunale (Cass. civ., sez. III, 10 settembre 2009, n. 23739) non sia pertinente, in quanto nel caso ivi esaminato si era esclusa l'operatività della garanzia sul presupposto che l'assicurato svolgeva l'attività venatoria con un'arma non consentita e priva dei requisiti di legge, tanto da non essere neppure denunciata.

Osservazioni

La sentenza non è esente da censure, quanto meno sotto il profilo della linearità degli argomenti utilizzati, considerato che, una volta escluso in fatto che i protagonisti del tragico evento non stavano cacciando i cinghiali, viene meno la necessità di decidere sulla validità che esclude l'operatività della garanzia mediante il rinvio alle leggi che disciplinano l'esercizio della caccia.

Tuttavia, la sentenza, ponendosi nell'alveo di un orientamento consolidato sia di merito (Tribunale Arezzo, 14 gennaio 2014, n. 59), che di legittimità (oltre alle pronunce sopra richiamate, si veda Cass. civ., sez. III 28 marzo 1990, n. 2544), risulta di indubbio interesse e attualità proprio in relazione al tema del rapporto tra legge ed autonomia contrattuale nel contratto di assicurazione.

Quest'ultima non deve vanificare lo scopo perseguito dalla norma di legge e conseguentemente può manifestarsi solo entro i limiti specificati dalla disposizione di legge, individuabili nella necessaria tutela dei terzo danneggiato, che è il diretto destinatario della disposizione che prevede l'assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile.

Conseguentemente, per il ripristino della norma imperativa violata in conseguenza della introduzione di clausole che affievoliscono la tutela del terzo voluta dal legislatore, si utilizza il meccanismo della nullità parziale, previsto dall'art. 1419, comma 2, c.c..

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