L’Asl risponde dell’operato del medico convenzionato ex art. 1228 c.c.

Diego Munafò
02 Novembre 2015

L'Asl è responsabile ex art. 1228 c.c. del fatto illecito commesso dal medico generico, con essa convenzionato, nell'esecuzione di prestazioni curative che siano comprese tra quelle assicurate e garantite dal Servizio sanitario nazionale in base ai livelli stabiliti dalla legge.
Massima

L'Asl è responsabile ex art. 1228 c.c. del fatto illecito commesso dal medico generico, con essa convenzionato, nell'esecuzione di prestazioni curative che siano comprese tra quelle assicurate e garantite dal Servizio sanitario nazionale in base ai livelli stabiliti dalla legge.

Il caso

Tizio, lamentando un dolore al capo che si irradiava alla parte sinistra del corpo, chiedeva l'intervento del medico di base, che si recava a visitarlo solo la sera del giorno dopo, limitandosi a prescrivergli un Tavor, ritenendo che tale malessere fosse dovuto a stress. Durante la notte, tuttavia, Tizio perdeva conoscenza, così che veniva condotto in ospedale e sottoposto ad una TAC che dava evidenza di ischemia cerebrale, per cui gli veniva somministrata aspirina. Tizio non riusciva più a rimettersi in salute e dopo quattro anni di ricoveri presso strutture riabilitative e di lunga degenza decedeva. Il Tribunale di Torino, sezione distaccata di Chivasso, accoglieva la richiesta di risarcimento formulata, nelle more, da Tizio e dalla moglie nei confronti del medico di base e dell'Asl, ritenendoli responsabili, in solido, per i danni patiti, ma avverso tale decisione proponeva appello l'Azienda, evidenziando l'assenza di un suo rapporto contrattuale con il paziente, oltre che di un rapporto di preposizione, o immedesimazione organica, tra lei ed il medico convenzionato. La Corte d'Appello di Torino accoglieva l'impugnazione proposta dall'Asl, ritenendone fondati i motivi e confermando la condanna del solo medico di base. La moglie ed il figlio di Tizio, nel frattempo deceduto, ricorrevano in Cassazione per la riforma della sentenza della Corte d'Appello nella parte in cui era stata esclusa la responsabilità dell'Asl.

La Corte di Cassazione accoglieva il ricorso.

In motivazione

«l'obbligo di erogare la prestazione curativa dell'assistenza medico-generica sussiste esclusivamente in capo alla Usl ed essa è resa avvalendosi del medico con essa Asl convenzionato, che assume rilievo in guisa di elemento modale dell'adempimento di detta prestazione di durata, senza che tale fenomeno possa essere intaccato dalla "scelta" dell'utente, la quale, oltre ad essere effettuata a monte nei confronti del debitore Asl (senza giuridico coinvolgimento del medico prescelto), è ristretta "nei limiti oggettivi dell'organizzazione dei servizi sanitari" e, dunque, esercitabile nell'ambito del "personale" del S.S.N. che la stessa Asl ha previamente selezionato, mediante l'accesso al convenzionamento. E', dunque, una scelta che si realizza all'interno dell'organizzazione del servizio sanitario predisposto dalla Asl, del quale il medico convenzionato è parte integrante, e, quindi, come tale, cade sempre su un "ausiliario" della stessa Asl. In tale ottica rileva, pertanto, la stessa giurisprudenza di questa Corte che ha affermato l'irrilevanza, ai fini del riconoscimento della responsabilità ex art. 1228 c.c. della struttura sanitaria, della scelta del medico da parte del paziente (o del suo consenso su quella operata dalla stessa struttura), là dove il medico prescelto sia inserito nella struttura anzidetta».

Nella fattispecie, pertanto, la Corte di Cassazione riformava la sentenza impugnata, ritenendo che l'Asl fosse responsabile, a titolo contrattuale, ex art. 1228 c.c., per i danni patiti da Tizio, condannandola, in solido con il medico convenzionato, al relativo risarcimento.

La questione

Ove sia accertata la responsabilità del medico di base per i danni arrecati ad un paziente iscritto al SSN, l'Asl con cui il professionista è convenzionato, deve risponderne in solido, ai sensi dell'art. 1228 c.c. e/o dell'art. 2049 c.c.?

Le soluzioni giuridiche

La sentenza in commento ha, finalmente, sancito il principio per cui le Asl debbano rispondere di eventuali errori commessi dai medici di medicina generale ad esse convenzionati, nell'esecuzione di prestazioni comprese tra quelle assicurate e garantite dal Servizio sanitario nazionale, laddove il precedente orientamento, contrario a tale assunto, appariva del tutto ingiustificato, sia in punto di fatto, che di diritto.

Le precedenti statuizioni sul tema erano state emesse in ambito penale, ove la Suprema Corte aveva precisato che la Pubblica Amministrazione potesse essere chiamata a rispondere dei fatti colposi posti in essere da soggetti anche non legati ad essa da un rapporto di immedesimazione organica, a condizione però che la loro posizione fosse quantomeno assimilabile a quella dei preposti, cioè caratterizzata dall'esistenza di poteri di vigilanza e controllo da parte della P.A. sul loro operato. Tale condizione, tuttavia, secondo la Suprema Corte non si realizzava nel caso dei medici c.d. "di base" e dei pediatri convenzionati con le aziende sanitarie locali, relativamente al contenuto ed al merito delle loro prestazioni, su cui le Aziende non potevano esercitare alcun potere di vigilanza e controllo, così che era stata esclusa la responsabilità civile di un'Asl, relativamente al reato di omicidio colposo, per l'errore diagnostico addebitato ad un pediatra convenzionato (v. Cass. pen., sez. IV, 16 aprile 2003, n. 34460).

Tale orientamento era stato ribadito dalla Cassazione, sempre in ambito penale, con la successiva sentenza n. 36502/2008 (v. Cass. pen., sez. III, 17 marzo 1998, n. 595), secondo cui l'Asl non era responsabile per i danni cagionati al paziente da un medico convenzionato, poiché tra questo e l'Azienda non ricorreva un rapporto di immedesimazione organica e l'Azienda non assumeva il rischio dell'attività del professionista, che era di tipo libero professionale, sia in ordine alla predisposizione dell'organizzazione da mettere a disposizione del paziente, che nella scelta delle cure da praticare. La Corte proseguiva poi evidenziando che il medico convenzionato non è un dipendente dell'Asl e che tra questa ed il paziente, diversamente da quanto accade tra il paziente e la Casa di Cura, non intercorre il cosiddetto contratto di spedalità, così che non è configurabile alcuna responsabilità dell'Ente ex art. 1228 e 2049 c.c., né ex art. 1218 e 2043 c.c., mancando una relazione diretta tra il paziente e l'Asl, che non fornisce direttamente la prestazione sanitaria, in quanto l'unico debitore della prestazione stessa è il medico.

Ora è evidente che tali valutazioni siano state fortemente influenzate dall'ambito in cui sono state effettuate, posto che in sede penale la responsabilità è personale, ed in tale ottica è stata valutata anche la posizione dell'Asl, quale responsabile civile, laddove la Suprema Corte, in assenza di colpe ad essa specificamente ascrivibili, anche solo a titolo di omesso controllo e/o vigilanza, si era appunto pronunciata in senso assolutorio per l'Ente.

Ben diverse, tornando alla sentenza in commento, sono state le considerazioni svolte dalla Corte di Cassazione, in sede civile, laddove gli ermellini, con una pronuncia che si lascia apprezzare per chiarezza, completezza e coerenza logica, sono giunti a conclusioni opposte, che si armonizzano perfettamente con la normativa di riferimento ed i principi regolatori della materia.

La Suprema Corte, invero, chiamata a pronunciarsi sulla correttezza della sentenza resa dalla Corte d'Appello di Torino - che aveva ritenuto insussistente la responsabilità solidale dell'Asl, aderendo all'impostazione penalistica di cui sopra - ha analizzato i tre presupposti su cui questa si fondava, negandone l'applicabilità in ambito civilistico.

In particolare, mentre per la Corte d'Appello la l. n. 833/1978 (istitutiva del S.S.N.) aveva natura meramente organizzativa ed amministrativa, ma non prevedeva obblighi nei confronti dei cittadini, quanto al contenuto delle prestazioni professionali, la Suprema Corte ha evidenziato come l'art. 14, comma 3, lett. h), l. n. 833/1978 contemplasse, invece, l'erogazione di prestazioni curative quale compito specifico delle ASL, cui il cittadino ha diritto ed a cui accede mediante il pagamento della cd. “tassa sulla salute”, scegliendo tra professionisti inseriti negli elenchi periodicamente aggiornati dalle Aziende. Ebbene, poste tali premesse, la Cassazione ha evidenziato come il diritto soggettivo dell'utente del S.S.N. all'assistenza medico-generica ed alle prestazioni curative, nei limiti stabiliti, prima, dal piano sanitario nazionale e, poi, dai LEA, nasca direttamente dalla legge e come questa, ben lungi dall'avere finalità meramente organizzativa ed amministrativa, individui l'Asl quale soggetto debitore, tenuto ad erogarla, nei confronti del cittadino creditore, avvalendosi di personale medico dipendente, ovvero con lei convenzionato. In ultimo, ai fini dell'inquadramento giuridico del rapporto tra Asl e cittadino, la Suprema Corte ha precisato come l'obbligazione gravante sull'Azienda, che viene adempiuta attraverso la prestazione del medico convenzionato, sebbene non derivante da "contratto", sia da ricomprendersi tra quelle di cui all'art. 1173 c.c., trattandosi, dunque, di obbligazione quoad effectum contrattuale, per cui nella fase patologica, vengono in rilievo le disposizioni di cui agli artt. 1218 c.c. e ss.

Passando poi all'analisi del secondo presupposto in forza del quale la precedente giurisprudenza aveva negato la responsabilità dell'Asl rispetto all'operato del medico di base, la Suprema Corte ha rilevato come l'assenza di un rapporto diretto tra Azienda e paziente sia del tutto irrilevante, laddove la scelta del cittadino è ristretta nei limiti oggettivi dell'organizzazione dei servizi sanitari datasi dall'Azienda e viene esercitata nell'ambito del personale del S.S.N. che la stessa Asl ha selezionato, mediante l'accesso al convenzionamento. La Corte di Cassazione ha quindi evidenziato come tale scelta si realizzi, pur sempre, all'interno dell'organizzazione del servizio sanitario data dall'Asl, del quale il medico convenzionato è parte integrante, e, quindi, ricade sempre su un suo ausiliario. In tale ottica, conclude la Corte, non sussiste alcuna ragione per sottrarre la fattispecie in esame ai consolidati principi che regolano la materia, secondo cui ai fini del riconoscimento della responsabilità della struttura ex art. 1228 c.c., la scelta del medico da parte del paziente, o il suo consenso rispetto a quello propostogli dalla stessa, è del tutto irrilevante, ove il professionista sia inserito nell'ambito della struttura stessa (Cass. civ., sez. III, 13 aprile 2007, n.8826).

In ultimo, la Corte di Cassazione ha evidenziato come rispetto al tema sottoposto al suo vaglio, l'assenza di un rapporto di preposizione, o immedesimazione organica, tra Asl e medico di base fosse del tutto irrilevante. Quanto al primo profilo, invero, la Corte ha rilevato che il regime di responsabilità di cui all'art. 1228 c.c., così come quello di cui all'art. 2049 c.c., prescinde da una culpa in vigilando del debitore principale e del padrone/committente e si fonda sul principio del “cuius commoda, cuius et incommoda” (Cass. civ., sez. III, 6 giugno 2014, n. 12833), oltre a doversi considerare che nemmeno le strutture hanno un effettivo potere di controllo sulle prestazioni intellettuali e curative concretamente rese dai medici di cui si avvalgono, di cui tuttavia devono rispondere. Ciò posto, la Suprema Corte ha evidenziato come non sussista alcun motivo per esonerare le Asl da responsabilità per l'operato dei medici di base in ragione di una carenza di un potere di vigilanza e controllo sul loro operato, che nemmeno è poi tale considerato il rapporto di convenzionamento in essere e la verifica da parte dell'Azienda della sussistenza dei requisiti perché il professionista possa accedervi e mantenerlo. Allo stesso modo, la Suprema Corte ha evidenziato l'irrilevanza, rispetto al tema in esame, dell'assenza di un rapporto di immedesimazione organica del medico di base con l'Asl, evidenziando che il rapporto in essere è di tipo parasubordinato, svolgendo il professionista in modo coordinato, continuativo e personale, prestazioni intellettuali e curative, per conto, e quale ausiliario dell'ASL, da cui è remunerato, non potendo invece egli ricevere compensi da parte dei pazienti (ipotesi che costituirebbe anzi illecito disciplinare, atto a far venir meno il rapporto di convenzionamento).

Osservazioni

In ragione dei principi espressi dalla Suprema Corte con la sentenza in commento, in ipotesi di danni conseguenti a colpa del medico di base è necessario indirizzare la richiesta di risarcimento, non solo al professionista, ma anche all'Asl di riferimento, anche i fini dell'interruzione del termine di prescrizione, che è decennale, trattandosi appunto di responsabilità ex art. 1228 c.c.

Nella richiesta indirizzata all'Asl è opportuno che l'avvocato chieda se l'Azienda sia assicurata per l'operato dei medici di base, facendosi comunicare i riferimenti della relativa Compagnia, posto che - sebbene non sussista un obbligo di assicurazione disciplinato dal CCNL, come quello gravante sulle Aziende Ospedaliere per l'operato del personale dipendente - spesso le Asl sono coperte rispetto a tali rischi, ragion per cui sarebbe utile acquisire anche copia della polizza, per verificarne i termini.

Per quanto concerne la fase giudiziale - fermo restando che anche l'Asl deve essere coinvolta nella procedura di mediazione obbligatoria, che è condizione di procedibilità in tema di responsabilità sanitaria - valgono i normali principi e criteri in vigore, per l'ipotesi di responsabilità del medico e della struttura ove egli eserciti la propria attività, anche in riferimento alla ripartizione dell'onere probatorio tra le parti.

La sentenza in commento rappresenta un punto di svolta in tema di responsabilità del medico di base, posto che le Asl hanno sempre opposto ferma resistenza all'ipotesi di una loro solidarietà passiva, ed i suoi effetti sono destinati ad avere importanti ripercussioni sul mondo della sanità e su quello assicurativo; tuttavia, non poteva essere diversamente, posto che - come evidenziato dalla Suprema Corte - non sussiste alcun presupposto logico, fattuale e soprattutto giuridico, per cui le Asl possano giovare di un trattamento differente rispetto a quello delle strutture pubbliche, o private, da sempre chiamate a rispondere in via solidale dell'operato dei propri ausiliari.

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