Limiti di risarcibilità del danno da lesione e perdita dell’animale da affezione

02 Dicembre 2014

Il danno morale da perdita dell'animale da affezione va riconosciuto quando concorrano gli estremi del reato; il danno non patrimoniale è risarcibile una volta accertata la rilevanza penale della condotta del convenuto e se il fatto illecito abbia reciso e turbato il rapporto interattivo-affettivo tra proprietario e animale. Il risarcimento del danno patrimoniale non può avere a parametro di valutazione il solo valore economico del bene. Il proprietario troverà il limite al risarcimento del danno patrimoniale nei danni che non costituiscono conseguenza immediata e diretta del fatto e in quelli che potevano essere evitati dal creditore usando l'ordinaria diligenza. (Trib. Milano, Sez. X, sent., 1 luglio 2014, n. 8698).
Massima

Trib. Milano, Sez. X, sent., 1 luglio 2014 n. 8698

Il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge ex art. 2059 c.c. e, pertanto, il danno morale da perdita dell'animale da affezione va riconosciuto quando concorrano anche gli estremi del reato; conseguentemente tale danno è certamente risarcibile, una volta accertata la rilevanza penale della condotta del convenuto, né potrà essere ritenuto trascurabile o futile ove il fatto illecito che lo ha cagionato abbia reciso e turbato un rapporto interattivo tra proprietario e animale, idoneo ad appagare esigenze relazionali affettive meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento giuridico.

Il risarcimento del danno patrimoniale da perdita dell'animale di affezione non può avere a parametro di valutazione il solo valore economico del bene, pressoché assente; appare dunque conforme ai principi generali del danno patrimoniale la condotta del proprietario di sostenere spese di cura al fine di ripristinarne sia il valore economico che la relazione affettiva. Pertanto, il limite al risarcimento del danno patrimoniale non si ravvisa solo nei danni che non costituiscono "conseguenza immediata e diretta” del fatto (art. 1223 c.c.) ma anche in quelli che, pur essendo causalmente cagionati dalla condotta del danneggiante, potevano tuttavia essere evitati dal creditore "usando l'ordinaria diligenza" (art. 1227 cpv. c.c.).

Sintesi del fatto

Le attrici, proprietarie di due gattine, citavano in giudizio il convenuto per vederlo condannare al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in conseguenza delle lesioni riportate da una delle due gattine e del decesso dell'altra, in quanto eventi procurati dagli spari di una carabina ad aria compressa di proprietà del convenuto e dallo stesso azionata volontariamente, come confessato alle Forze dell'Ordine intervenute.

Il convenuto si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto delle pretese avversarie, contestando il quantum richiesto dalle attrici e formulando altresì domanda riconvenzionale per il risarcimento del danno causato dalle gattine al proprio giardino.

Il Tribunale di Milano accoglie integralmente la domanda di risarcimento del danno morale proposta dalle attrici e parzialmente la domanda di risarcimento del danno patrimoniale, in applicazione dell'onere di “condotta diligente” prevista dall'art. 1227 c.c. a carico del creditore. Rigettava, altresì, la domanda riconvenzionale del convenuto.

Le questioni

La prima questione in esame è la seguente: in tema di perdita dell'animale da affezione è risarcibile il danno non patrimoniale? In quali ipotesi e con quali limiti?

La seconda questione esaminata è: sotto il profilo del danno patrimoniale vi è un limite di risarcibilità per le spese di cura veterinaria sostenute dal proprietario dell'animale per ripristinarne sia il valore economico che la relazione affettiva con il bene?

Le soluzioni giuridiche

Si legge nella motivazione della decisione in commento che «il danno morale da perdita dell'animale da affezione è ormai riconosciuto da una significativa giurisprudenza di merito, che ne ha talvolta ammesso la risarcibilità anche al di fuori dei casi di danni conseguenti a reato».

Partendo da quest'orientamento giuridico il Tribunale di Milano, tuttavia, ha indirizzato la propria decisione aderendo alla giurisprudenza volta a riconoscere il risarcimento del danno nelle sole ipotesi in cui l'azione del terzo responsabile sia connotata dagli estremi del reato. Le sentenze di San Martino (Cass., S.U., n. 26972/2008 e ss.) hanno statuito, infatti, che «il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge e cioè, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., quando il fatto illecito sia astrattamente configurabile come reato».

La sentenza in parola, che è chiara e lineare nell'affrontare le problematiche sottese alla risarcibilità del danno non patrimoniale da perdita di animale di affezione, ritiene che «il danno non patrimoniale in questione è certamente risarcibile in considerazione della sicura rilevanza penale della condotta del convenuto»; per altro «il danno non patrimoniale in esame non potrà neppure definirsi trascurabile o futile (nei termini descritti nelle citate sentenze di S. Martino), poiché è stato cagionato dal fatto illecito che ha reciso e turbato un rapporto interattivo tra proprietario e animale, idoneo ad appagare esigenze relazionali – affettive certamente meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento giuridico».

Secondo il Tribunale dunque, «nel caso di specie (…) è emerso con chiarezza che la perdita della gattina ha senza dubbio provocato un danno morale in termini di sofferenza psichica, poiché le sue proprietarie sono state private di un animale con il quale avevano instaurato un lungo rapporto di affetto. (…); del pari risulta certamente risarcibile il danno morale patito a causa dell'ansia per la sorte della gattina sopravvissuta a seguito di lunghe e complesse cure per le lesioni provocate dalla condotta del convenuto»

Quanto al danno patrimoniale, il giudizio ha posto in evidenza il fatto che le attrici sono state costrette a fare eseguire tutte le prestazioni veterinarie necessarie per le cure dei gattini ed è indubbio che tali esborsi, ex art. 1223 c.c., siano conseguenza immediata e diretta del fatto illecito de quo. «E' altrettanto indubbio» – si legge nella decisione – «che il risarcimento del danno non è limitato a quello che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l'obbligazione» ex art. 1225 c.c., atteso che quest'ultima norma non è richiamata dall'art. 2056 c.c. e risulta comunque provata la condotta dolosa del convenuto».

Sotto il profilo della speciale natura del danno patrimoniale che attiene alla fattispecie della perdita dell'animale di affezione, e del limite della risarcibilità giuridicamente rilevabile nell'ordinamento, il Tribunale rileva che «il parametro di liquidazione del “valore ante sinistro” non si attaglia alla fattispecie concreta, dal momento che l'animale di affezione è pressoché privo di valore economico e pertanto, tale parametro non può costituire il limite massimo del danno risarcibile, sussistendo un forte interesse del proprietario a curare e tenere in vita un essere vivente con il quale si instaura un legame affettivo e relazionale».

D'altra parte «non sembra opportuno gravare il danneggiante di un onere economico superiore alla perdita patrimoniale effettivamente subita dal danneggiato».

Fatta tale premessa, il Tribunale osserva che, ove sia pacificamente rilevante il valore economico dell'animale d'affezione, il limite di risarcibilità di dette spese veterinarie potrà essere ravvisato proprio in tale valore. Qualora invece l'animale d'affezione sia pressoché privo di valore economico, il limite al risarcimento del danno andrà ravvisato in altro contesto.

La soluzione adottata dal Tribunale, nella determinazione del limite di risarcibilità del danno patrimoniale verso un bene privo di valore, come nel caso in esame, appare improntata ad una ricerca di equilibrio tra natura della lesione patita dal proprietario dell'animale e un criterio di congruità e necessità delle spese sostenute e risarcibili.

Tale equilibrio viene rinvenuto nella seguente formula: «ritiene il Tribunale che, nella fattispecie concreta, la risarcibilità del danno patrimoniale debba essere limitata solamente ad esborsi per cure veterinarie complessivamente pari all'equivalente monetario del danno non patrimoniale da perdita dell'animale d'affezione». Difatti, «il canone dell'ordinaria diligenza permette di circoscrivere l'entità del danno risarcibile ai soli danni non evitabili, escludendo, quindi, la risarcibilità di quei danni che siano stati cagionati da una condotta non diligente del danneggiato che accresca le conseguenze dannose dell'illecito».

Ebbene, detto limite di congruità delle spese patrimoniali risarcibili è ricercato nel valore affettivo dello stesso animale, pari all'importo liquidato per danno non patrimoniale, così identificando un parametro di collegamento equilibrato e motivato in base al quale le spese non evitabili da parte del proprietario dell'animale sono quelle che avrebbero potuto conservare la relazione affettiva lesa ovvero annullata dall'azione illecita del terzo.

Osservazioni e suggerimenti pratici dell'Autore

La maggior attenzione rivolta da parte della Comunità Europea nei confronti degli animali, negli ultimi anni, ha dato vita a un susseguirsi di norme e diritti rivolti espressamente alla loro tutela e protezione.

Un primo approccio ha riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale solo per i casi nei quali la morte dell'animale era dovuta a una condotta costituente reato, considerando il danno sussistente in re ipsa, senza necessità di prova; successivamente si è reso opportuno prendere in considerazione ipotesi ove il danno non era conseguito da azione delittuosa ma, ad ogni modo, la perdita dell'animale d'affezione aveva compromesso patologicamente l'individuo che aveva subito un peggioramento apprezzabile della qualità della vita e per il quale andava riconosciuto il risarcimento del danno esistenziale.

Nonostante il nostro codice civile consideri ancora gli animali alla stregua di res (ad es. artt. 998 e 1641 c.c. come scorte vive di un fondo in caso di usufrutto o di locazione), il Trattato di Lisbona del 2007 ha, in realtà, sancito come gli animali non siano cose inanimate ma «esseri senzienti» (v. Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007, II parte, titolo II, art. 13).

Nel nostro ordinamento, da tempo in tema di responsabilità civile extracontrattuale, appurata l'esistenza del nesso causale tra la condotta illecita e il danno scaturitone, è legittimamente ammissibile la domanda di risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali richiesti dalla padrona di animali d' affezione che abbiano subito lesioni.

La decisione in evidenza, nel riconoscere e liquidare il danno non patrimoniale per la perdita o lesione dell'animale di affezione, indica altresì un parametro per l'introduzione di un limite superiore al risarcimento del danno patrimoniale (con felice intuizione), proprio nel parametro di valutazione equitativa della sofferenza ingiusta subita dal proprietario e non nel semplice (e risibile) valore del bene in sè.

La relazione affettiva tra animale e proprietario assume dunque una duplice veste alla quale attingere per la parametrazione del danno, riconoscendo così all'animale di affezione un valore intrinseco che prescinde dalla mera indicazione patrimoniale, tipica della res inanimata.

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