La responsabilità resta del gestore della strada nonostante l’automobilista superi il limite di velocità

03 Febbraio 2016

Nell'ipotesi di danno da insidia stradale, la valutazione del comportamento del danneggiato è di imprescindibile rilevanza, potendo tale comportamento, se ritenuto colposo, escludere del tutto la responsabilità dell'ente pubblico preposto alla custodia e manutenzione della strada, o quantomeno fondare un concorso di colpa del danneggiato stesso valutabile ex art. 1227, comma 1, c.c..
Massima

Nell'ipotesi di danno da insidia stradale, la valutazione del comportamento del danneggiato è di imprescindibile rilevanza, potendo tale comportamento, se ritenuto colposo, escludere del tutto la responsabilità dell'ente pubblico preposto alla custodia e manutenzione della strada, o quantomeno fondare un concorso di colpa del danneggiato stesso valutabile ex art. 1227, comma 1, c.c.. Ne deriva dunque che, in caso di insidia o trabocchetto stradale, la responsabilità colposa di tale ente va certamente riguardata anche nell'eventuale concorso del fatto colposo del danneggiato; elemento, quest'ultimo, che il giudice del merito è tenuto a valutare discrezionalmente al fine di ricostruire l'effettiva eziologia del danno e la sua possibile ripartizione tra più parti (Cass., 16 agosto 2010 n. 18713).

Il caso

Tizio e la moglie Caia convenivano innanzi al Tribunale di Catanzaro l'Anas spa per ottenere il risarcimento dei danni subiti in occasione di un incidente stradale del 5 ottobre 1990, allorquando la loro autovettura, condotta da Caia, dopo aver sbandato ed essere uscita di strada, a causa del cattivo stato del manto stradale, priva di segnalazione di pericolo e di guard rail, nonché ricoperta di acqua e fango, cadeva nella sottostante scarpata.

Nella costituzione in giudizio l'Anas spa eccepiva che la responsabilità dell'incidente doveva ascriversi non ad un'insidia stradale, ma alla condotta di guida di Caia, la cui velocità eccedente quella massima consentita aveva fatto sì che l'autovettura non fosse trattenuta dal terrapieno posto a margine della carreggiata; interveniva la sentenza del Tribunale di Catanzaro che condannava l'Anas al risarcimento dei danni liquidati rispettivamente in € 175.072,06 in favore di Tizio ed in € 674,05 in favore di Caia. Interposto appello da parte dell'Anas, la Corte di appello, in parziale accoglimento del gravame, riduceva il quantum risarcitorio in favore di Tizio nell'importo di € 150.072,06. Avverso quest'ultima decisione Anas spa ricorre per cassazione proponendo un unico motivo di censura cui resistono Caia e gli eredi di Tizio, nel frattempo deceduto. In particolare l'ente per la tutela delle strade lamenta che il giudice del merito avrebbe omesso di valutare le risultanze probatorie attestanti la velocità eccessiva dell'autovettura guidata da Caia. La considerazione di tali risultanze avrebbe pertanto comportato l'esclusione della sua responsabilità per l'incidente o, quantomeno, l'affermazione di un concorso di colpa dei danneggiati. E, gli Ermellini, rigettando in toto la prospettata censura, chiariscono che è principio consolidato che la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo controllo, bensì la sola facoltà di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti. E nel caso di specie, precisano i supremi giudici, si verte proprio in un'inammissibile istanza di revisione nel merito, il che – in assenza di vizi logici e di carenze motivazionali – pacificamente esula dal vaglio di legittimità. Ne segue, pertanto, il rigetto del ricorso, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione.

La questione

La questione in esame è la seguente: in caso di sinistro, se viene accertata la velocità oltre il limite consentito tenuta da un automobilista, è o meno responsabile l'ente pubblico preposto alla custodia e manutenzione della strada, se quest'ultima è in cattivo stato?

Le soluzioni giuridiche

Gli enti proprietari delle strade sono i soggetti tenuti per legge alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade al fine di garantire la sicurezza e la fluidità della circolazione, ex art. 14 Cod. Strada. La possibilità di individuare una responsabilità delle amministrazioni comunali e provinciali, ed in genere degli enti proprietari e/o custodi delle strade, ex ceteris l'Anas come nel caso de quo, deriva proprio dalla mala gestio dell'amministrazione, per omessa manutenzione, gestione e pulizia delle strade e dei canali di deflusso delle acque reflue e dei fiumi.

In particolare, nell'ipotesi che qui ci occupa i danneggiati avevano richiesto all'Anas il risarcimento dei danni derivanti dalla cattiva manutenzione del tratto stradale facendo valere la generale responsabilità ex art. 2043 c.c., sotto il profilo dell'insidia stradale. Quest'ultima, intesa come pericolo occulto, non visibile e non prevedibile, non integra una regola sostanziale, cioè un'autonoma figura di illecito, ma è solo una figura sintomatica del comportamento colposo dell'ente gestore della strada pubblica, che, in virtù del principio del neminem laedere, è tenuto a far si che il bene demaniale non presenti per l'utente una situazione di pericolo.

La norma di riferimento è dunque l'art. 2043 c.c. e la colpa dell'ente gestore de quo consiste nell'aver creato un affidamento nell'utente della strada e delle sue pertinenze, sulla non pericolosità della stessa, quale appare, contrariamente a quanto è invece nella realtà accaduto. Sulla scorta di una valutazione logica, lineare e completa delle risultanze istruttorie, la corte territoriale aveva quindi raggiunto la prova della responsabilità esclusiva di Anas quanto, in particolare, alla presenza sul manto stradale di acqua, proveniente da una fontana limitrofa, con fango e terriccio, nonché in riferimento alla mancanza di segnalazione di pericolo e di protezione tramite guard rail, nonostante l'elevata pericolosità di tale tratto stradale, in quanto posto all'uscita di una curva ed in concomitanza con l'apertura di una scarpata di circa trenta metri.

È di tutta evidenza che anche nell'ipotesi di danno da insidia stradale la valutazione del comportamento del danneggiato è di imprescindibile rilevanza; potendo tale comportamento, se ritenuto colposo, escludere del tutto la responsabilità dell'ente pubblico preposto alla manutenzione e custodia della strada, o quantomeno fondare un concorso di colpa del danneggiato valutabile ex art. 1227, comma 1, c.c..

Un orientamento giurisprudenziale (a tutt'oggi ormai superato), tuttavia, proprio muovendo dal presupposto che l'art. 1227, comma 1, c.c. si fonda su un principio di autoresponsabilità che impone ai potenziali danneggiati doveri di attenzione e di diligenza, esclude la compatibilità tra il concorso di colpa del danneggiato e la responsabilità della Pa per insidia stradale. L'insidia e il trabocchetto, infatti, presupponendo il requisito della non visibilità e della non prevedibilità sarebbero incompatibili con qualunque ipotesi di concorso di colpa del danneggiato e ravvisabili, quindi, solamente in situazioni che escludono ogni colpa concorrente della vittima. Da qui la conclusione che, qualora venga accertata una condotta colposa della vittima che ha contribuito a provocare il danno, dovrebbe essere negata l'effettiva esistenza di una situazione di pericolo occulto, tale da costituire insidia stradale, con conseguente esclusione di responsabilità della Pubblica Amministrazione.

La tesi della incompatibilità tra la nozione di insidia e l'art. 1227, comma 1, c.c. aveva inoltre ricevuto l'autorevole avvallo anche della Corte cost., sent., 10 maggio 1999, n. 156, a seguito di un'ordinanza del Giudice di pace di Genova che – investito della risoluzione di una controversia promossa da un privato contro il Comune di Genova per i danni subiti a causa di una caduta dal motociclo prodotta dalla presenza, astrattamente percepibile in anticipo, ma non segnalata, di terriccio su una strada comunale – aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1227, comma 1, c.c. in quanto in presenza di un'insidia stradale non consente un accertamento del concorso di colpa del danneggiato. La Corte costituzionale, nel ritenere non fondata la questione, richiamando il principio di autoresponsabilità a carico degli utenti «gravati di un onere di particolare attenzione nell'esercizio dell'uso ordinario e diretto del bene demaniale per salvaguardare appunto la propria incolumità», ha fra l'altro considerato la nozione di insidia «come una sorta di figura sintomatica di colpa, elaborata dall'esperienza giurisprudenziale, mediante ben sperimentate tecniche di giudizio, in base ad una valutazione di normalità, con il preciso fine di meglio distribuire tra le parti l'onere probatorio, secondo un criterio di semplificazione analitica della fattispecie generatrice della responsabilità in esame». Il Giudice delle leggi ha poi rilevato che la nozione di insidia, in quanto contraddistinta dai caratteri dell'imprevedibilità e dell'inevitabilità del pericolo, risulta logicamente incompatibile con il concorso di colpa del danneggiato. Secondo questo indirizzo interpretativo, quindi, o il fatto è imputabile alla Pa con conseguente diritto al risarcimento integrale del danno, oppure il fatto medesimo è anche solo in parte riconducibile al danneggiato, ed in tal caso per quest'ultimo non sussisterà alcun diritto di natura risarcitoria.

Questo orientamento, tuttavia, già a partire da un pronuncia di dieci anni fa era stato rivisitato dalla Suprema Corte, (v. Cass. civ., sez. III, sent., 7 dicembre 2005 n. 26997) la quale ha escluso che sussista, almeno in astratto, una incompatibilità tra responsabilità della Pa per danno provocato da anomalia della strada ex art. 2043 c.c. ed il concorso di colpa del danneggiato a norma dell'art. 1227, comma 1, c.c.. La Corte giunge a questa conclusione respingendo l'idea che l'art. 1227, comma 1 c.c., sia espressione di un principio di autoresponsabilità – in forza del quale anche gli eventuali danneggiati dovrebbero contribuire, insieme con gli eventuali responsabili, alla prevenzione dei danni che potrebbero colpirli – ravvisandovi piuttosto un corollario del principio di causalità per cui al danneggiante non può far carico quella parte del danno che non è a lui causalmente imputabile «sicché la colpa cui fa riferimento l'art. 1227, comma 1, c.c. va intesa non nel senso di criterio di imputazione del fatto (perché il soggetto che danneggia se stesso non compie un fatto illecito ex art. 2043 c.c.) bensì come requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato.

Da qui la conclusione secondo cui il nesso di causalità tra situazione di pericolo ed evento dannoso, non viene meno già in astratto, solo perché l'utente abbia tenuto un comportamento irregolare. Ciò può esserlo nella specifica situazione concreta (e dovrà accertarlo il giudice di merito) ma non per una incompatibilità tra la responsabilità della Pa ex art. 2043 c.c. per insidia stradale ed il concorso colposo del danneggiato ex art. 1227, comma 1, c.c.. Nella fattispecie in rassegna il danneggiato mentre procedeva con la sua auto a forte velocità, a fronte del limite massimo di 30 Km/h, si era trovato improvvisamente la strada ostruita da fango ed era andato a sbandare uscendo di strada. Il fatto che l'autovettura guidata da Caia non fosse stata trattenuta dal terrapieno di contenimento denoterebbe, secondo il ragionamento di Anas, l'elevata velocità del mezzo e dunque una presunta colpa del danneggiato stesso. Tuttavia, la Corte territoriale, ribaltando sul piano logico tale osservazione, ha precisato che si trattava di un terrapieno di scarsa consistenza per altezza e materiale di composizione e come tale non idoneo ad impedire lo sbandamento ed il precipizio nella scarpata nemmeno da parte di un'autovettura che procedesse a moderata velocità. Pertanto l'incidente è imputabile all'ente per la gestione delle strade con conseguente diritto all'integrale risarcimento per i danneggiati.

Osservazioni

Il giudice ordinario sarà chiamato a valutare caso per caso, secondo le specifiche circostanze di luogo e di tempo, se la Pubblica Amministrazione sia, in concreto, responsabile dei danni. Da un lato, infatti, vi è una precisa responsabilità della Pubblica Amministrazione, che ha un dovere istituzionale di manutenzione del manto stradale, a cui tuttavia non corrisponde un diritto soggettivo degli utenti, che, invece potranno far valere un interesse legittimo al corretto esercizio del potere discrezionale dell'ente. Pertanto, il difetto di manutenzione assume rilievo, nei rapporti con i privati, unicamente quando la Pubblica Amministrazione non abbia osservato le specifiche norme e comuni regole di prudenza poste a presidio dell'integrità personale e patrimoniale dei privati, con conseguente applicazione della regola generale di cui all'art. 2043 c.c..

Di contro, con riferimento ai danneggiati, si è fatto riferimento al principio di autoresponsabilità in virtù del quale gli stessi sono chiamati ad usufruire del bene pubblico, utilizzando ogni cautela necessaria perché da questo non scaturiscano potenziali pericoli fonti di danno. In questo quadro si inserisce, la possibilità di applicazione della previsione di cui all'art. 1227, comma 1, c.c. e, dunque, se si possa ipotizzare un concorso di colpa in capo al danneggiato, che invoca l'applicazione dell'art. 2043 c.c., escludendo per la stessa nozione di insidia, la cui non prevedibilità ed evitabilità era in re ipsa. Il principio di autoresponsabilità ex art. 1227 c.c. viene, perciò, interpretato dalla giurisprudenza, non nel senso di criterio di imputazione ma come requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato.

Secondo un recente orientamento della Corte di Cassazione, peraltro, Cass. civ., sez. III, sent., 22 aprile 2010 n. 9527 gli enti proprietari delle strade, ai sensi dell'art. 14, d. lgs. 30 aprile 1992, n. 285 devono - salvo che nell'ipotesi di concessione prevista dal comma 3 della predetta norma - provvedere:

  1. alla manutenzione, gestione e pulizia delle strade, delle loro pertinenze ed arredo, nonché delle attrezzature, impianti e servizi;
  2. controllo tecnico dell'efficienza delle strade e delle relative pertinenze;
  3. all'apposizione e alla manutenzione della segnaletica prescritta.

Trattasi di obbligo derivante dal mero fatto di essere proprietari il quale può concorrere con ulteriori obblighi del medesimo ente o di altri, derivanti da altre normative.

Tuttavia proprio di recente l'Associazione dei costruttori e manutentori delle strade, riunitasi a Roma il 29 ed il 30 ottobre scorsi, afferma che una strada su due del territorio nazionale è a rischio incidente. Dal 2006 ad oggi gli investimenti sulla manutenzione sono diminuiti di nove miliardi di euro ed ora, per rimettere in sesto la pavimentazione stradale servirebbero dai 40 ai 50 miliardi di euro.

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