Il cliente disinteressato alla propria pratica non può vantare alcun danno da inerzia verso il professionista

04 Maggio 2016

Il cliente che non si interessi e non solleciti la propria pratica non può poi vantare il risarcimento dei danni per inerzia nei confronti dell'avvocato.
Massima

È ben vero che nell'evoluzione giurisprudenziale della Corte di Cassazione (cfr. Cass. n. 7194/2015; Cass., Sez. Un. n. 576/2008; Cass. n. 12666/2003; Cass. n. 9927/2000) il significato da attribuirsi all'espressione «verificarsi del danno» di cui all'art. 2935 c.c. è stato specificato nel senso che il danno si manifesta all'esterno quando diviene «oggettivamente percepibile e riconoscibile» anche in relazione alla sua rilevanza giuridica. È stato, tuttavia, precisato che il suddetto principio in tema di exordium praescriptionis non apre la strada ad una rilevanza della mera conoscibilità soggettiva del soggetto leso e che l'indagine, circa l'evolversi nel tempo delle conseguenze del fatto illecito o dell'inadempimento, deve essere ancorata a rigorosi dati obiettivi, dovendosi valutare, alla luce della ordinaria diligenza esigibile, la condotta del danneggiato nell'acquisire informazioni per risalire alla causa del danno e nel manifestare istanze di reintegrazione della lesione subita.

Il caso

Mevia conveniva innanzi al Tribunale di Roma l'avvocato Sempronio (nonché la Beta assicurazioni s.p.a., quale terza chiamata in garanzia), chiedendo il risarcimento dei danni conseguenti all'assoluta inerzia serbata dal professionista in ordine al mandato conferitogli nel maggio del 1980 di procedere ad azione esecutiva nei confronti di Tizio e Caio per il recupero della somma di Lire 10.000.000 che costoro erano stati condannati a pagare a favore di Mevia a titolo di provvisionale in forza di statuizione del giudice penale. Tuttavia il giudice di prime cure rigettava la predetta domanda di risarcimento danni che, parimenti, veniva respinta dalla Corte d'appello capitolina. In particolare la Corte territoriale osservava come la prescrizione decennale doveva ritenersi sicuramente decorsa e ciò anche a volere ascrivere valore interruttivo della prescrizione alla lettera dell'aprile 1992 dell'avvocato Sempronio a Mevia e a spostare in avanti il dies a quo, aggiungendo al primo giorno utile per eseguire il pignoramento un ulteriore anno, durante il quale Mevia, stante il silenzio del professionista avrebbe potuto ragionevolmente interessarsi della propria pratica e sollecitarla. Avverso quest'ultima decisione la danneggiata proponeva ricorso per cassazione facendo valere due distinti motivi di censura che, invero, venivano respinti in toto dai supremi giudici e la condannavano al rimborso delle spese del giudizio di Cassazione.

Le soluzioni giuridiche

Il professionista è chi svolge la propria attività in esecuzione di un contratto concluso con un cliente che gli ha conferito un incarico, ex art. 2230 c.c.. Quale controprestazione per lo svolgimento della predetta attività, al mandante è imposto l'obbligo di retribuire il professionista mediante la corresponsione di un compenso, così come determinato in ragione dei criteri enunciati dall'art. 2233 c.c.. Giova altresì precisare che l'obbligazione derivante in capo al professionista debba ritenersi di regola, di mezzi, in quanto quest'ultimo, una volta assunto l'incarico, non si impegna all'effettivo raggiungimento del risultato desiderato dal proprio assistito, ma unicamente a prestare con diligenza la propria opera a tal fine.

Nell'ambito della responsabilità dell'avvocato trova applicazione infatti il parametro della diligenza professionale fissato dall'art. 1176, comma 2, c.c., in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, dovendo la stessa essere commisurata alla natura dell'attività esercitata; sicché la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento dell'attività professionale in favore del cliente è quella media, cioè la diligenza posta nell'esercizio della propria attività dal professionista di preparazione e attenzione media. Parte della dottrina, dunque, ritiene che la norma de qua, l'art. 1176, comma 2, c.c., non abbia introdotto alcuna regola diversa rispetto a quella della diligenza media, cioè del buon padre di famiglia, e che anche la colpa grave, come criterio richiamato nell'art. 2236 c.c. non è altro che la colpa lieve valutata tenendo conto della speciale difficoltà della prestazione.

Risulta consolidato in giurisprudenza un dato e cioè che la responsabilità del professionista per i danni causati da un esercizio della sua attività professionale, deve essere adeguata alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento di tale attività.

Uno dei principali ed imprescindibili elementi costitutivi dell'obbligazione risarcitoria, sia essa di fonte contrattuale o di natura extracontrattuale, è rappresentato dal nesso di causalità tra la condotta e le conseguenze dannose. Peraltro, il tema del nesso di causalità è destinato a giocare un ruolo determinante nell'ambito della responsabilità dell'avvocato, atteso che è proprio dall'accertamento del nesso di causa che, come nella specie, dipende l'esito dell'azione risarcitoria promossa dal cliente nei confronti del professionista.

In subiecta materia, la causalità assume una connotazione del tutto particolare se si considera che, una volta accertata la condotta colposa dell'avvocato, non è affatto automatico concludere che l'evento dannoso, soprattutto laddove quest'ultimo si identifichi con la perdita della lite, sia la conseguenza immediata e diretta della difettosa attività svolta dal difensore; l'esito negativo della lite potrebbe essere determinata infatti dal concorrere di altri fattori, estranei alla sfera di controllo dell'avvocato, idonei da soli a condurre ad un risultato diverso e deteriore rispetto a quello auspicato dal cliente.

Difatti, l'accertamento di un comportamento negligente in capo al difensore non può, in ogni caso, comportare in via automatica un giudizio di responsabilità dello stesso. Accertata la negligenza compiuta, è necessario determinare quale danno effettivamente sia derivato dall'omissione del professionista e, quindi, se esso possa essere messo in relazione causale con l'azione o l'omissione dell'avvocato. Al fine di individuare il nesso di causa, infatti, è d'obbligo esperire ogni opportuna indagine tenendo nel debito conto che nell'ambito delle fattispecie omissive il problema è di verificare se ed in che modo l'eventuale compimento dell'azione dovuta avrebbe inciso sul corso degli avvenimenti e, in particolare, se sarebbe valsa ad evitare la verificazione dell'evento lesivo.

Ciò implica che l'accertamento della responsabilità dell'avvocato presuppone la previa verifica, nel merito, delle concrete possibilità di successo dell'azione giudiziaria. Infatti, l'indagine sul fondamento dell'azione che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente coltivata deve necessariamente dare esito positivo così da poter dimostrare che, in caso di mancata omissione del legale, la vittoria in giudizio si sarebbe avuta con ragionevole certezza. Qualora, invece, si ritenesse che l'attività mancata o eseguita difettosamente non avrebbe comunque portato beneficio al cliente è evidente il venir meno del nesso di causa, sicché il danno non potrà essere imputato al professionista. I giudici sia di merito che di legittimitàritengono che non sia sufficiente a fondare la responsabilità dell'avvocato l'inadempimento di un'obbligazione tipica della professione forense, essendo necessario, a tal fine, compiere una valutazione ipotetica onde stabilire per lo meno se vi fossero delle apprezzabili probabilità di accoglimento della domanda svolta in giudizio, poiché, altrimenti, non sussisterebbe alcun danno. L'attore ha l'onere non soltanto di fornire la prova circa l'astratta possibilità che il giudizio avrebbe avuto esito a lui favorevole, qualora il professionista avesse tenuto una condotta diligente, ma che ciò si sarebbe verificato con ragionevole certezza.

Nel caso che qui ci occupa, si afferma l'infondatezza della pretesa risarcitoria per l'inesistenza del nesso causale tra l'omissione del pignoramento da parte dell'avvocato ed il danno lamentato dal cliente, logicamente desunta sul piano controfattuale dall'insolvenza dei debitori cui sarebbe dovuto essere diretto il pignoramento e confermata dalla mancata allegazione della corresponsione di un compenso o del rilascio di un fondo spese in favore del professionista.

Per quanto riguarda i limiti temporali entro i quali l'azione può essere esercitata, la natura contrattuale della responsabilità rende applicabile la prescrizione decennale, ex art. 2946 c.c. e non, per contro, quella abbreviata di cui al successivo art. 2947, relativa all'illecito aquiliano. Risponde poi a regole comunemente seguite quella che vuole il momento di decorrenza della prescrizione coincidente con la verificazione del fatto dannoso. Il principio è stato precisato con l'affermazione per cui il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da responsabilità professionale inizia a decorrere non dal momento in cui la condotta dell'avvocato determina l'evento dannoso bensì da quello in cui la produzione del danno si manifesta all'esterno, diventando oggettivamente percepibile e riconoscibile da chi ha interesse a farlo valere (ex multis, Cass. civ., sez. III, sent., 15 luglio 2009, n. 16463). Peraltro, come viene ribadito puntualmente nel decisum in rassegna, il suddetto principio in tema di exordium praescriptionis non apre la strada ad una rilevanza della mera conoscibilità soggettiva del soggetto leso e che l'indagine, circa l'evolversi nel tempo delle conseguenze del fatto illecito o dell'inadempimento, deve essere ancorata a rigorosi dati obiettivi, valutando, alla luce della ordinaria diligenza esigibile, la condotta del danneggiato nell'acquisire informazioni per risalire alla causa del danno e nel manifestare istanze di reintegrazione della lesione subita

La precisazione ha trovato ragione nel fenomeno dei danni detti lungo latenti, i quali si manifestano concretamente a distanza di tempo dall'epoca nella quale ebbe a verificarsi il fatto dai quali traggono causa; ed è in linea con il principio generale per cui l'inerzia dell'interessato diventa rilevante a far tempo da quando egli potrebbe esercitare il proprio diritto. Nel caso de quo, anche a volere ascrivere valore interruttivo della prescrizione alla lettera inviata dall'avvocato al cliente e a spostare in avanti il dies a quo, aggiungendo al primo giorno utile per eseguire il pignoramento un ulteriore anno, stante il silenzio del professionista il cliente ben avrebbe potuto sollecitare la propria pratica. Dunque, ai fini della risoluzione della prospettata quaestio è da escludere che il cliente che si disinteressi alla propria pratica possa poi giustificatamente accampare l'inconsapevolezza dell'inerzia del professionista e della sua rilevanza causale ed il conseguente risarcimento dei danni.

Osservazioni

L'azione con la quale si chiede in giudizio l'affermazione della responsabilità dell'avvocato per inadempimento e risarcimento del danno derivato da esso è una ordinaria azione rivolta ad una pronuncia di condanna. Essa trae fonte da un illecito che, tranne i rari casi di responsabilità aquiliana o da reato, ha natura contrattuale. Come tale, essa segue la disciplina probatoria di cui all'art. 1218 c.c., i cui elementi costitutivi, pertanto, sono rappresentati dall'inadempimento del professionista, dal danno e dal nesso di causalità tra il primo ed il secondo. Invero, sul piano della prova, la figura della responsabilità professionale riferibile all'avvocato è ancora da ritenersi sui generis, atteso che, in considerazione della particolare obbligazione cosiddetta di mezzi che fa capo al professionista del foro, la giurisprudenza è ancora restia a considerare applicabile de plano lo schema desumibile dal predetto art. 1218 c.c.. Il previo tentativo di conciliazione non è previsto come condizione di procedibilità dell'azione dall'art. 5, D.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali, per contro prevista in relazione alle controversie relative alla responsabilità medica.

Soprattutto laddove si imputino all'avvocato comportamenti omissivi, la responsabilità professionale in tanto è configurabile, in quanto egli non abbia compiuto, oppure abbia compiuto erroneamente, uno o più atti che aveva l'obbligo giuridico di compiere e che, pertanto, costituivano parte integrante della complessa obbligazione a suo carico. Il mancato compimento di un atto che esula dai limiti del mandato conferito all'avvocato, al contrario, non integra gli estremi dell'inadempimento e, di conseguenza, è inidoneo a fondare l'obbligo di risarcire i danni che ne siano derivati.

Vale la pena sottolineare, tuttavia, che il professionista non è obbligato solo a quanto esplicitamente previsto dal mandato, ma anche alle ulteriori attività, prodromiche e/o accessorie che discendano dalla legge e da altre fonti normative, quali il codice deontologico, integrative della sua obbligazione e suscettibili di fondare dei veri e propri obblighi di protezione verso il cliente. In particolare, l'art. 38 del citato codice deontologico, configura come violazione ai doveri professionali dell'avvocato, il mancato, ritardato ovvero negligente compimento di atti, che siano relativi all'esercizio del mandato ricevuto dalla parte assistita. La norma deontologica, tuttavia, collega il prodursi della violazione de qua, imputandola ad una situazione, la quale deve risultare come caratterizzata da non irrilevante trascuratezza degli interessi riguardanti la parte alla quale il professionista stesso rende il proprio ministero di difensore.

Non sempre è facile accertare se il comportamento dell'avvocato costituisca una scelta difensiva, poi rivelatasi erronea, oppure costituisca una effettiva negligenza nell'adempimento della prestazione. Difatti, se, da una parte, l'accertamento della responsabilità del professionista, nel caso di omissione di un comportamento dovuto, risulta più semplice, dall'altra, nel valutare la sua condotta si rischia, invece, di far coincidere la negligenza con il mancato raggiungimento del risultato.

Tuttavia, come insegna il caso in rassegna, dall'omissione del pignoramento da parte dell'avvocato, non scaturisce automaticamente in capo al cliente il diritto al risarcimento dei danni conseguenti all'assoluta inerzia serbata dal professionista in ordine al mandato conferitogli. Difatti, nell'ipotesi in rassegna, il cliente si era totalmente disinteressato all'andamento della propria pratica e ben avrebbe potuto sollecitarla prima che si prescrivesse, non potendo, peraltro, accampare l'inconsapevolezza dell'inerzia del legale e della sua rilevanza causale.

Guida all'approfondimento
  • F. Bartolini, La responsabilità dell'avvocato, Piacenza, 2012
  • F. Caia, A.G. Diana, V. Pecorella, Codice commentato della deontologia forense, Torino, 2012, 248
  • R. Caminiti, P. Mariotti, A. Serpetti, Casi di responsabilità civile di avvocati, notai, commercialisti e consulenti del lavoro, Rimini, 2012, 123-124
  • G. Giannini, M. Pogliani, La responsabilità da illecito civile, Milano, Giuffrè, 1996, 244
  • R. Plenteda, La responsabilità dell'avvocato, Milano, Giuffrè, 2012, 31
  • L. Viola, Inadempimento delle obbligazioni. Accertamento, oneri probatori, danni patrimoniali e non patrimoniali, Padova, 2010, 877

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