Idraulico morto per folgorazione: responsabili sia il proprietario che il conduttore?

Mauro Di Marzio
04 Giugno 2015

In caso di morte per folgorazione dell'idraulico che sia stato chiamato dal conduttore di un immobile a riparare lo scaldabagno, dallo stesso conduttore fatto installare, di un immobile privo di impianto elettrico a norma, rispondono del danno patito dai congiunti del defunto sia il proprietario dell'immobile che il conduttore.
Massima

In caso di morte per folgorazione dell'idraulico che sia stato chiamato dal conduttore di un immobile a riparare lo scaldabagno, dallo stesso conduttore fatto installare, di un immobile privo di impianto elettrico a norma, rispondono del danno patito dai congiunti del defunto sia il proprietario dell'immobile che il conduttore.

Il caso

In un immobile di proprietà di due persone, concesso in locazione ad un'associazione culturale, la conduttrice fa installare uno scaldabagno che, ad un dato momento, si rompe. Viene chiamato un idraulico, che interviene proprio mentre sono in corso lavori di adeguamento dell'impianto elettrico, non a norma: egli rimane folgorato da una scossa elettrica e muore. I congiunti dell'idraulico deceduto (moglie e due figli) agiscono in giudizio sia nei confronti dei proprietari che della conduttrice dell'immobile chiedendo il risarcimento dei danni da perdita del rapporto parentale, e la domanda è accolta, sia in primo grado che in appello, nei confronti di tutti i convenuti, in solido. Il danno è liquidato in € 130.000,00 per ciascuno dei congiunti.

In particolare, la Corte d'appello ritiene che l'infortunio mortale sia stato causato da una scarica elettrica provocata da un difetto della resistenza dello scaldabagno che non era stata neutralizzata da dispositivi di sicurezza (del tipo impianto di terra o salvavita), di cui l'impianto elettrico era sprovvisto; da ciò trae la conclusione che dell'incidente dovessero rispondere sia i proprietari che il conduttore, in relazione alla rispettiva custodia dell'impianto elettrico (conglobato alle strutture murarie) e dello scaldabagno, escludendo altresì che risultasse integrato il caso fortuito nel comportamento imprudente della stessa vittima.

Il ricorso per cassazione proposto dai soccombenti è respinto.

La questione

Il problema che viene in questione, dinanzi alla vicenda della morte dell'idraulico folgorato mentre stava riparando lo scaldabagno installato dal conduttore, concerne il riparto di responsabilità per danni da cose in custodia tra quest'ultimo e il proprietario dell'immobile locato.

Le soluzioni giuridiche

I proprietari dell'immobile, nel ricorso per cassazione, lamentano che:

  • se il conduttore «avesse fatto riparare lo scaldabagno a regola d'arte, avesse fatto installare un interruttore salvavita, e, soprattutto, avesse evitato di far entrare gli idraulici nonostante i lavori in corso all'impianto elettrico, il sinistro non si sarebbe verificato», dato che «l'impianto elettrico, da solo, non avrebbe cagionato danno alcuno, né poteva considerarsi intrinsecamente pericoloso», di talché «la presunta inadeguatezza dell'impianto elettrico … degrada a semplice occasione»; a fronte di ciò la Suprema Corte si limita ad escludere «la ricorrenza di errate affermazioni in punto di diritto» rigettando «anche la censura di natura motivazionale poiché l'accertamento circa la rilevanza causale di una condotta o di una situazione costituisce apprezzamento di merito sottratto al sindacato di legittimità se - come nel caso - congruamente motivato»;
  • che la sentenza aveva fondato l'affermazione della loro responsabilità sull'inosservanza di disposizioni normative non concernenti gli edifici adibiti ad uso di abitazione (e, comunque, in difetto del preventivo accertamento che le stesse fossero vigenti all'epoca in cui venne realizzato l'impianto), senza neppure tener conto che non era ancora scaduto il termine previsto dalla L. n. 46/1990, per l'adeguamento degli impianti elettrici degli immobili ad uso abitativo e del fatto che tali lavori di adeguamento erano in corso al momento dell'infortunio»; la Suprema Corte giudica il motivo «privo di concreto interesse…: infatti la responsabilità per danni cagionati da cose in custodia prevista dall'art. 2051 c.c., prescinde dall'accertamento del carattere colposo dell'attività o del comportamento del custode e prescinde altresì dall'accertamento della pericolosità della cosa stessa (o della sua non conformità a norme di prevenzione), richiedendosi esclusivamente un nesso di causalità fra la cosa e l'evento dannoso, che è escluso solo dal fortuito, ossia da un fatto idoneo ad interrompere del tutto il nesso eziologico fra la cosa e l'evento».
Osservazioni

La materia del reparto di responsabilità per danno da cose in custodia tra conduttore e proprietario - locatore è stata sistemata da una decisione a sezioni unite della Suprema Corte che tutti conoscono, o almeno dovrebbero, e che è stata successivamente ribadita numerose volte; in essa si afferma, in breve, che il proprietario dell'immobile locato, conservando la disponibilità giuridica, e quindi la custodia, delle strutture murarie e degli impianti in esse conglobati (come cornicioni, tetti, tubature idriche), su cui il conduttore non ha il potere - dovere di intervenire, è responsabile, in via esclusiva, ai sensi degli artt. 2051 e 2053 c.c., dei danni arrecati a terzi da dette strutture ed impianti (salvo eventuale rivalsa, nel rapporto interno, contro il conduttore che abbia omesso di avvertire della situazione di pericolo); con riguardo invece alle altre parti ed accessori del bene locato, rispetto alle quali il conduttore acquista detta disponibilità con facoltà ed obbligo di intervenire onde evitare pregiudizio ad altri (come i servizi dell'appartamento), la responsabilità verso i terzi, secondo le previsioni del citato art. 2051 c.c., grava soltanto sul conduttore medesimo (Cass., S.U., 11 novembre 1991, n. 12019).

Ciò detto, non possono in ogni caso ricondursi a responsabilità del locatore i danni derivati dal comportamento del conduttore, il quale abbia esorbitato dall'ambito delle facoltà inerenti all'uso della cosa locata, ovvero sia comunque incorso in colpa. Il che è il piano risultato dell'applicazione del principio secondo cui il fortuito, che esclude la responsabilità ex art. 2051 c.c., può consistere anche nel fatto del terzo (v. già Cass. civ., sez. III, sent., 15 giugno 1964, n. 1496; Cass. civ., sez. III, sent., 13 dicembre 1967 n. 2950).

Riguardo agli impianti elettrici, poi, occorre rammentare che la L. 5 marzo 1990, n. 46, ha prescritto, all'art. 7, che detti impianti dovessero essere obbligatoriamente dotati di «impianti di messa a terra e di interruttori differenziali ad alta sensibilità o di altri sistemi di protezione equivalenti» (comma 2), con obbligo di adeguamento nel triennio per tutti gli impianti realizzati in data anteriore (comma 3), obbligo poi prorogato dalla successiva L. 5 gennaio 1996, n. 25, e L. 7 agosto 1997, n. 266. In questo caso non siamo in grado di dire, non sapendo a quando risale il sinistro, se l'obbligo di dotazione dell'impianto salvavita fosse o meno già in atto.

Ciò che è certo, però, è che lo scaldabagno non a norma, a cagione del quale l'idraulico è rimasto folgorato, era stato installato dal conduttore: sicché nella serie causale movente dalla conformazione dell'impianto elettrico, privo di salvavita, sembra si fosse introdotto un fattore causale esterno e da solo idoneo a cagionare il danno, quale l'installazione non a norma dello scaldabagno.

Non è un caso che la Suprema Corte, in una vicenda non molto dissimile da quella scrutinata dalla sentenza in commento abbia addossato l'intera responsabilità al conduttore, giacché: «in tema di risarcimento per danni arrecati ad un minore a seguito di una folgorazione da contatto con la corrente elettrica (nella specie il minore aveva poggiato la mano sul tubo della condotta idrica), la responsabilità ricade sui conduttori dell'immobile e non già sul proprietario-locatore ovvero dall'ente fornitrice di energia elettrica, qualora l'incidente dipenda da una condotta causale che non riguardi direttamente la conformazione degli impianti elettrici» (Cass. civ., sez. III, sent., 12 marzo 2014, n. 5643).

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