Perdita della vita e diritto al conseguente risarcimento del danno: questione aperta

Filippo Rosada
06 Ottobre 2014

Il danno non patrimoniale da perdita della vita consiste nella perdita del bene vita quale supremo bene dell'individuo, autonoma fonte di diritto assoluto è inviolabile e garantito dall'ordinamento in via primaria anche sul piano della tutela civile; differente dal danno biologico terminale e dal danno morale terminale. Il ristoro del danno da perdita della vita ha una funzione compensativa, è da compiersi in via equitativa ed è trasmissibile iure hereditatis.
Massima

Trib. Vallo della Lucania, 30 aprile 2014, n. 158

Il danno non patrimoniale da perdita della vita consiste nella perdita del bene vita quale supremo bene dell'individuo, autonoma fonte di diritto assoluto è inviolabile e garantito dall'ordinamento in via primaria anche sul piano della tutela civile; differente dal danno biologico terminale e dal danno morale terminale. Il ristoro del danno da perdita della vita ha una funzione compensativa, è da compiersi in via equitativa ed è trasmissibile iure hereditatis.

Sintesi del fatto

Tizia si sottoponeva a una TAC con inoculazione di mezzo di contrasto, alla quale immediatamente seguiva una reazione anafilattica che nel giro di quindici ore la portava al decesso.

Il marito e il figlio della signora si costituivano parti civili nel procedimento penale a carico del medico che avevano avuto in cura Tizia, chiedendo il risarcimento del danno patrimoniale e non, iure proprio e iure hereditatis.

Il Tribunale dichiarava colpevole il medico ex art. 589 c.p. per non aver somministrato la terapia idonea ad evitare l'evento infausto, demandando la liquidazione del danno al giudizio civile.

La Corte d'Appello dichiarava di non doversi procedere per intervenuta prescrizione ma confermava le statuizioni civili.

Il Tribunale civile a cui gli eredi si rivolgevano per ottenere il risarcimento integrale di tutti i danni, riconosce anche il danno iure hereditatis per la perdita della vita, liquidando, per detta posta, l'importo di euro 450.000,00.

In motivazione

«Nella sentenza Cass. n. 1361/2014 … la Suprema Corte ha rivisto completamente il precedente orientamento (cfr. per tutte Cass. n. 6754/2011) - secondo il quale era precluso il risarcimento del danno da perdita della vita – optando per la soluzione positiva e affermando che il danno non patrimoniale da perdita della vita consiste nella perdita del bene vita, bene supremo dell'individuo oggetto di un diritto assoluto e inviolabile, dall'ordinamento garantito in via primaria, anche sul piano della tutela civile.

Si tratta … di un danno altro e diverso, in ragione del diverso bene tutelato, dal danno alla salute, e si differenzia pertanto dal danno biologico terminale e dal danno morale terminale … della vittima, rilevando ex se, nella sua oggettività di perdita del bene vita, oggetto di un diritto assoluto e inviolabile. Il ristoro del danno da perdita della vita ha funzione compensativa e il relativo diritto … è trasmissibile iure hereditatis».

La questione

La questione in esame è la seguente: se è risarcibile – iure hereditatis - il danno per la perdita della vita umana, patito dalla vittima di un fatto illecito o di un inadempimento.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza n. 1361 del 23 gennaio 2014 (est. Scarano- Cass. sez. III, 23 gennaio 2014, n.1361) ha modificato un granitico indirizzo giurisprudenziale che ometteva di riconoscere il diritto al risarcimento del danno da morte.

Le architravi di questo indirizzo trovano la loro ragione nella intrasmissibilità agli eredi del diritto al risarcimento del danno per la perdita della vita, in quanto questo non è entrato a far parte del patrimonio della vittima. Chi perde la vita, perde la capacità giuridica e quindi è impossibilitato a conseguire il diritto che gli deriva dalla morte. Il punto viene ben espresso nella parte motiva della sentenza Cass. 24 marzo 2011, n. 6754: chi non è più, non può acquistare un diritto che gli deriverebbe dal non essere più.

Il predetto principio è strettamente collegato all'altra architrave della responsabilità civile e che riguarda la irrisarcibilità del danno-evento, confermata dalle sentenze della Cass. S.U. n. 26972/2008. Per detta ragione, il danno che consegue alla morte non può essere acquisito al patrimonio della vittima, in quanto essa ha perso la capacità giuridica.

L'orientamento opposto ha trovato il suo culmine nella sentenza di Cass. n. 1361/2014, fatta propria dal giudice estensore del decisum del presente commento. Il punto nevralgico dell'articolata motivazione della sentenza della Suprema Corte può essere così sintetizzato: la perdita della vita deve avere una tutela anche civilistica oltre a quella prevista dal diritto penale; il diritto alla tutela della vita è altro dal diritto alla salute così che la sua risarcibilità costituisce realtà ontologica ed imprescindibile eccezione al principio della risarcibilità dei soli danni conseguenza.

Sulla risarcibilità del danno da perdita della vita si era espressa anche la CEDU 14 dicembre 2000, Gul v. Turkey (apl. n. 22676/93). In quell'occasione la Corte ha riconosciuto il risarcimento del danno non patrimoniale agli eredi di un soggetto ucciso dalla polizia Turca, richiamando il disposto dell'art. 2 della Convenzione di Roma sulla protezione legale del diritto alla vita.

Gli atri argomenti richiamati da una importante parte della dottrina (Monateri, Bianca, Carnelutti, de Cupis, Bona), sempre a favore della risarcibilità del danno da morte sono i seguenti: il diritto non può ignorare il comune sentire sociale dell'attuale momento storico che avverte la necessità della tutela risarcitoria del bene vita; le categorie degli schemi giuridici (danno-conseguenza) hanno una funzione strumentale e ordinatoria delle categorie e degli schemi teorici e non devono condizionare il procedimento interpretativo; ogni reato obbliga al risarcimento del danno ex art. 185 c.c.; la lesione mortale è subita dalla persona viva che quindi acquista il diritto di credito nei confronti del responsabile per il danno subito (diritto che è trasmissibile agli eredi); chi subisce una lesione dalla quale seguirà la morte, ha già acquisito il diritto per il danno futuro per la perdita della vita (riconoscibilità dei danni futuri); la riconoscibilità del danno da morte si inserisce nel solco giurisprudenziale della garanzia giuridica dei diritti fondamentali della persona.

Osservazioni e suggerimenti pratici dell'Autore

Come risulta evidente dalla lettura della sezione che precede, la questione sulla risarcibilità del danno da morte è così aperta, da essere stata rimessa al vaglio delle Sezioni Unite come da ordinanza della Cass. sez. III, n. 5056/2014.

In attesa di valutare come il consesso dei Supremi Giudici riterrà di risolvere la problematica in esame, non si può che rilevare come le opposte sintesi giuridiche siano sostenute da tesi e antitesi condivisibili.

Certo è che sotto un profilo di economia giuridica, il sistema attuale farebbe fatica a sopportare il peso del riconoscimento del diritto al danno tanatologico.

Di converso, il comune sentire, se fondato da ragioni condivisibili, non può essere sottovalutato, anche in quanto inquadrabile in quel “diritto naturale” al quale deve ancorarsi il “diritto positivo” per evitare che la norma venga percepita dai consociati quale imposizione volta a comprimere quelli che sono sentiti quali valori fondamentali della persona.

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