Termine di decadenza per la proposizione della domanda di equa riparazione e declaratoria di incompetenza

07 Aprile 2015

In tema di equa riparazione, la tempestiva proposizione della domanda giudiziale, ancorché davanti a giudice incompetente, costituisce un evento idoneo ad impedire la decadenza prevista dall'art. 4 della L. n. 89/2001, secondo cui la domanda deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il processo presupposto, è divenuta definitiva, purché la riassunzione della causa innanzi al giudice dichiarato competente avvenga in presenza dei presupposti e delle condizioni che permettono di ritenere che il processo sia continuato, ai sensi dell'art. 50 c.p.c., davanti al nuovo giudice, mantenendo una struttura unitaria e, perciò, conservando tutti gli effetti sostanziali e processuali del giudizio svoltosi dinanzi al giudice incompetente.
Massima

In tema di equa riparazione, la tempestiva proposizione della domanda giudiziale, ancorché davanti a giudice incompetente, costituisce un evento idoneo ad impedire la decadenza prevista dall'art. 4 della L. n. 89/2001, secondo cui la domanda deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il processo presupposto, è divenuta definitiva, purché la riassunzione della causa innanzi al giudice dichiarato competente avvenga in presenza dei presupposti e delle condizioni che permettono di ritenere che il processo sia continuato, ai sensi dell'art. 50 c.p.c., davanti al nuovo giudice, mantenendo una struttura unitaria e, perciò, conservando tutti gli effetti sostanziali e processuali del giudizio svoltosi dinanzi al giudice incompetente.

Il caso

La Corte d'Appello di Caltanissetta dichiarava inammissibile il ricorso per equa riparazione dei danni determinati dall'irragionevole durata del processo rilevandone la tardività rispetto al termine di decadenza di sei mesi dall'emanazione della decisione definitiva nel processo presupposto.

Nella fattispecie concreta, peraltro, il ricorrente aveva originariamente adito, nel rispetto del termine di decadenza semestrale, la Corte d'Appello di Palermo che si era dichiarata incompetente fissando un termine per la riassunzione del giudizio dinanzi al giudice competente, ossia la Corte d'Appello di Caltanissetta.

Il danneggiato proponeva quindi ricorso per cassazione avverso il decreto di inammissibilità del ricorso denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 2966 c.c., dell'art. 50 c.p.c., dell'art. 125 disp. att. c.p.c. e dell'art. 4 L. n. 89/2001, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 4. In particolare, in accordo con la prospettazione del ricorrente, la Corte d'appello di Caltanissetta pur avendo dato atto che l'originario ricorso era stato presentato davanti alla Corte d'appello per poi essere riassunto nel rispetto del termine innanzi al giudice competente, aveva considerato ai fini della tempestiva proposizione della domanda il ricorso in riassunzione e non quello iniziale, così violando il consolidato orientamento della Corte di Cassazione per il quale la tempestiva proposizione della domanda giudiziale conserva i propri effetti sostanziali e processuali, ancorché essa sia stata proposta davanti a un giudice incompetente.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, previa qualificazione dello stesso in termini di atto di riassunzione, per essere state dal ricorrente proposte identiche domande dinanzi alla Corte d'Appello di Caltanissetta, peraltro tempestivamente adita rispetto al termine indicato dal giudice dichiaratosi incompetente.

La questione

Per meglio comprendere la portata della più specifica questione esaminata dalla Suprema Corte, occorre ricordare che l'art. 4 della Legge c.d. Pinto (L. n. 89/2001), nella formulazione originaria, prevedeva che la domanda di equa riparazione potesse essere proposta durante la pendenza del procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata ovvero, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento nel quale la decisione che conclude il medesimo procedimento diviene definitiva: pertanto, era espressamente riconosciuta al ricorrente la possibilità di proporre la domanda volta ad ottenere l'indennizzo per i danni derivanti dall'irragionevole durata di un giudizio anche qualora lo stesso fosse stato ancora pendente, sia in primo grado che in sede di gravame.

L'art. 4, L. 24 marzo 2001, n. 89, come sostituito dall'art. 55, comma 1, lett. d), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 , convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, stabilisce attualmente che la domanda di riparazione può essere proposta, a pena di decadenza,entro sei mesi dal momento in cui la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva. Ne deriva che, se prima della riforma realizzata dalla L. n. 134/2012 la domanda di equa riparazione poteva essere proposta anche nel corso del processo presupposto, attualmente è necessario che lo stesso sia stato definito mediante una pronuncia definitiva, momento dal quale soltanto, peraltro, comincerà a decorrere il termine semestrale per la proponibilità della domanda.

Tale scelta del legislatore deve essere considerata unitariamente alla previsione, da parte dell'art. 2, comma 2-ter, Legge c.d. Pinto, introdotto dalla stessa L. n. 134/2012, secondo cui il termine ragionevole si considera comunque rispettato se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni. In sostanza, nell'assetto novellato, in conformità agli indirizzi interpretativi già più volte affermati in sede di legittimità ed in omaggio ai quali la valutazione della durata del processo articolato in più fasi deve essere globale ed unitaria (cfr., tra le altre, Cass. civ., sez. I, sent., 6 settembre 2007, n. 18720), si vuole evitare che, come originariamente consentito per la possibilità di proporre la domanda lite pendente, venga frazionato il credito relativo all'equo indennizzo (in arg., diffusamente, C. Consolo, M. Negri, Ipoteche di costituzionalità sulle ultime modifiche alla legge Pinto: varie aporie dell'indennizzo municipale per durata irragionevole del processo (all'epoca della – supposta – spending review), in Corr. Giur., 2013, n. 11, 1429 ss., spec. 1433; M. F. Ghirga, L'infrazionabilità dell'equa riparazione dovuta per la violazione del diritto alla ragionevole durata del processo anche alla luce delle modifiche introdotte dall'art. 55 l. 7 agosto 2012, n. 134, alla legge Pinto, in Corr. Giur., 2013, n. 6, 812 ss., spec. 823 ss.).

Nel sistema attuale la domanda di equa riparazione per l'eccessiva durata di un processo deve quindi essere proposta nel termine di sei mesi decorrente dal momento nel quale la decisione che conclude il procedimento è divenuta definitiva: si tratta di un termine di decadenza di carattere perentorio, insuscettibile di sospensione ed interruzione, di talché soltanto il tempestivo deposito del ricorso dinanzi alla Corte d'Appello impedisce il verificarsi della decadenza (A. Ronco, Il tempo per la proposizione della domanda, in Misure acceleratorie e riparatorie contro l'irragionevole durata dei processi a cura di S. Chiarloni, Torino 2002, 334 ss.).

Quanto al dies a quo ai fini della decorrenza del termine semestrale di decadenza per proporre l'azione di equa riparazione dei danni derivanti dall'irragionevole durata del processo, la Suprema Corte ha chiarito che l'espressione «decisione definitiva» riproduce l'analoga espressione «decisioni interne definitive» contenuta nell'art. 35, paragrafo 1, CEDU, ed è rivolta a comprendere tutte indistintamente le tipologie di processo del quale sia ipotizzabile dolersi della durata non ragionevole ai sensi della L. n. 89/2001, sicché essa non può essere limitata alle sole sentenze di merito, ma deve intendersi riferita a qualsiasi provvedimento dopo il quale quel processo (o quella specifica fase di esso) debba ritenersi concluso e non più pendente. Ne consegue che il concetto di definitività della decisione ove si tratti di una sentenza di merito si identifica con il suo passaggio in giudicato, mentre, con riferimento alle sentenze meramente processuali ed in genere ai provvedimenti giurisdizionali idonei a porre formalmente termine al processo o ad impedire che dopo di esso il processo medesimo e/o il relativo segmento processuale che lo ha concluso possano considerarsi ancora pendenti, si correla non già alla effettiva realizzazione del diritto la cui tutela era stata invocata in quel processo (nel giudizio civile) ovvero al definitivo accertamento della pretesa punitiva statuale (in quello penale), bensì allo spirare del termine per la proposizione degli appositi rimedi onde rimuoverne gli effetti, quale che ne sia la denominazione (opposizione, reclamo, regolamento ecc.) e la conseguente peculiare disciplina (Cass. civ., sez. I, 20 gennaio 2006, n. 1184).

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione nell'accogliere il proposto ricorso si richiama alla propria posizione, già espressa in analogo precedente, per la quale «in tema di equa riparazione, a norma della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 4 - ai cui sensi la relativa domanda deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dal momento in cui la decisione, che conclude il processo presupposto, è divenuta definitiva - la tempestiva proposizione della domanda giudiziale, ancorché davanti a giudice incompetente, rappresenta un evento idoneo ad impedire la prevista decadenza, purché la riassunzione della causa innanzi al giudice dichiarato competente avvenga in presenza dei presupposti e delle condizioni che permettono di ritenere che il processo sia continuato, ai sensi dell'art. 50 c.p.c., davanti al nuovo giudice, mantenendo una struttura unitaria e, perciò, conservando tutti gli effetti sostanziali e processuali del giudizio svoltosi dinanzi al giudice incompetente (Cass. n. 22498 del 19 ottobre 2006)».

Osservazioni

La soluzione della Corte di Cassazione deve condividersi in quanto coerente con gli orientamenti consolidati sulla portata dell'art. 50 c.p.c., comma 1, secondo cui, se a seguito di una pronuncia declinatoria della competenza del giudice originariamente adito, viene tempestivamente effettuata la riassunzione della causa dinanzi al giudice competente, la causa continua dinanzi al nuovo giudice. Ciò comporta, secondo gli orientamenti ormai pacificamente affermati in dottrina come in giurisprudenza, che la riassunzione del giudizio avanti al giudice dichiarato competente non determina l'instaurazione di un nuovo giudizio, bensì la prosecuzione del giudizio originario (in tal senso v., tra le altre, Cass., sez. lav., sent. 19 marzo 2008, n. 7392, la quale ha pertanto escluso la proponibilità di domande nuove, diverse da quelle già proposte con l'atto introduttivo della lite; Cass. civ., sez. I, sent. 28 febbraio 2007, n. 4775, secondo cui il processo prosegue dinanzi al giudice competente con tutte le preclusioni già verificatesi), anche con riferimento all'interruzione del termine di prescrizione ex art 2945 c.c. (Cass. civ., sez. III, 6 agosto 2007, n. 17156) ed all'impedimento della decadenza (cfr. Cass. civ., sez. II, 10 novembre 2010, n. 22875).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.