Standard di diligenza nella conduzione di autoveicoli e residualità del caso fortuito

Ilvio Pannullo
07 Aprile 2016

La presenza di un veicolo fermo per incidente sulla sede stradale impone ai conducenti dei veicoli sopraggiungenti di moderare la velocità e di tenere un comportamento improntato alla massima prudenza.
Massima

La presenza di un veicolo fermo per incidente sulla sede stradale impone ai conducenti dei veicoli sopraggiungenti di moderare la velocità e di tenere un comportamento improntato alla massima prudenza, non potendo reputarsi circostanza assolutamente imprevedibile ed al contrario rientrando nella ragionevole prevedibilità la presenza degli occupanti della vettura incidentata sulla sede stradale in prossimità della vettura stessa.

Il caso

Tizio, mentre percorreva in condizioni di scarsa visibilità un'autostrada con asfalto bagnato, perdeva il controllo della propria vettura, che sbandava sino ad arrestarsi nella giusta direzione di marcia, ma sulla parte sinistra della semicarreggiata di pertinenza. Usciva quindi dalla vettura dalla parte destra del veicolo, ma prima di riuscire a porsi a riparo era travolto dalla vettura condotta da Caio. Questi si accorgeva solo all'ultimo dell'auto ferma sulla corsia di sorpasso e, sebbene evitasse l'impatto con la stessa, non si avvedeva della presenza di Tizio, che era travolto e scagliato a metri di distanza.

I genitori e il fratello di Tizio convenivano in giudizio Caio e la sua compagnia assicuratrice chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del sinistro. La domanda di risarcimento danni era rigettata nei primi due gradi di giudizio. In particolare, la Corte d'Appello riteneva che la presenza del pedone sulla carreggiata, accanto al veicolo in sosta in luogo non consentito e pericoloso, al buio e in posizione non protetta, di sagoma tale da non poter essere agevolmente avvistato in orario notturno, costituisse in quel preciso contesto spazio-temporale evento imprevisto ed imprevedibile, tale da escludere l'applicabilità della presunzione legale ex art. 2054, comma 1, c.c. e con essa la responsabilità di Caio.

Avverso tale sentenza ricorrevano in Cassazione gli attori che lamentavano il vizio in cui sarebbe incorsa Corte distrettuale: questa - selezionati nella ricostruzione dei fatti solo alcuni degli accadimenti emersi dall'espletata istruttoria e svalutata l'incidenza causale di altri elementi rispetto al fatto - avrebbe fatto erronea applicazione della norma sulle presunzioni e dell'art. 2054,comma 1, c.c..

La questione

Il punto è il seguente: la presenza di occupanti di una vettura incidentatain prossimità della stessa, anche nell'ipotesi in cui tale vettura sia ferma sulla corsia di sorpasso di un'autostrada, può ritenersi circostanza del tutto imprevedibile, atta quindi a integrare il caso fortuito, esimendo il conducente del veicolo investitore dall'onere di dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno?

Le soluzioni giuridiche

La sentenza prende le mosse da un incidente stradale mortale la cui dinamica eziologica è oggetto di diversa valutazione da parte del Giudice di legittimità e dei Giudici di merito. Ad avviso di questi ultimi, infatti, la condotta dell'investitore è esente da emende poiché egli, avendo rispettato le norme del codice della strada, trovatosi dinanzi alla scorrettezza altrui, aveva il solo obbligo di attivarsi per evitare il sinistro, utilizzando l'ordinaria diligenza ovvero prediligendo la manovra che il guidatore medio, con riferimento alla situazione concreta valutata ex ante, avrebbe scelto perché più idonea ad evitare il danno.

La Corte distrettuale avvalora tale ragionamento in punto di fatto richiamando le circostanze di tempo e di luogo del sinistro, ossia: l'ora ancora notturna, l'asfalto viscido, il tratto stradale non dotato di illuminazione propria, la presenza di foschia, cui aggiunge, quali circostanze relative al veicolo condotto da Caio, che questi viaggiava con i soli anabbaglianti accesi (e non con le luci di profondità) ad una velocità, consentita in autostrada, ma tale da non permettergli di eseguire l'arresto tempestivo del veicolo.

Suddette circostanze sono, dunque, considerate dai Giudici di merito - e qui si attesta la censura della Cassazione - come elementi sempre a favore e mai a carico di Caio, neppure ai fini di un concorso, sia pur minimo, di colpa. Inoltre, la presenza stessa della vettura ferma sulla corsia di sorpasso, nonché la presenza e la posizione di Tizio sono valutate come fatti del tutto imprevedibili integranti il caso fortuito, idoneo a far venir meno qualsiasi responsabilità in capo al conducente del veicolo investitore.

Ad avviso del Giudice di legittimità sussiste, invece, anche un vizio in motivazione consistente nell'omesso esame della rilevanza di talune circostanze di fatto: esisteva, infatti, agli atti un verbale di accertamento della Polizia stradale redatto ex art. 141 Cod. Strada che contestava a Caio l'aver tenuto una velocità non consona allo stato dei luoghi, benché ricompresa entro i limiti di velocità astrattamente consentiti in autostrada. Dell'atto, non contestato da Caio, la Corte territoriale non aveva tenuto conto: sulla base di esso si sarebbe, invece, dovuto escludere che il veicolo investitore avesse rispettato in tutto le norme del codice della strada, imposte dalla situazione concreta.

In definitiva, la motivazione della Corte d'appello è giudicata dalla Suprema Corte contraddittoria poiché essa si è avvalsa di taluni elementi della fattispecie a carico del danneggiato, ritenendo che questi si fosse posto in una situazione di assoluto pericolo, ma non li ha ugualmente valorizzati o presi in considerazione nel valutare se il comportamento di Caio - illegittimo già per la Polizia stradale - fosse stato improntato alla prudenza esigibile in quella determinata situazione di fatto.

Osservazioni

La questione essenziale che permea la sentenza in discorso, di là della diversa valutazione circa la dinamica eziologica del sinistro, è la configurabilità nella fattispecie del caso fortuito.

Ebbene, trattandosi di danno da circolazione stradale, viene in rilievo l'art. 2054 c.c., la cui ratio - la medesima dell'art. 2050 c.c. di cui costituisce applicazione - individuata nella prevedibilità del danno insita nelle attività pericolose, giustifica la previsione di una presunzione di colpa aggravata in capo agli esercenti di dette attività. Dalla relazione di connessione tra la responsabilità per attività pericolose e la responsabilità derivante dalla circolazione dei veicoli, si fa discendere la trasposizione, nelle ipotesi contemplate nei primi due commi dell'art. 2054 c.c., dei rigorosi criteri di valutazione della colpa adottati nella responsabilità ex art. 2050 c.c. Di qui, l'ampiezza dell'oggetto della prova liberatoria e, quindi, dell'obbligo di diligenza richiesto dal conducente, che ha indotto parte della dottrina ad affermare la natura oggettiva della responsabilità in questione, sul presupposto che l'automobilista di fatto risponde dei danni derivanti dalla circolazione del veicolo, salva la prova del caso fortuito. Sia per la prevalente dottrina, sia per la giurisprudenza, però, trattasi di un'ipotesi di responsabilità per colpa. Tuttavia, anche nell'ambito di tale orientamento, si registrano diverse soluzioni interpretative con riferimento allo standard di diligenza richiesto.

La giurisprudenza in alcuni casi -uno dei quali peraltro è richiamato dalla Corte d'Appello- ha individuato il modello di riferimento nella normale diligenza, per poi affermare, con orientamento costante, che il conducente è tenuto a un comportamento particolarmente prudente. Tale ricostruzione, maggioritaria anche in dottrina, afferma che la prudenza richiesta nella materia in esame è massima e si estende sino all'obbligo per il conducente di prevedere l'altrui imprudenza. La diligenza pretesa dal conducente si arresta, dunque, solo dinanzi alla condotta altrui imprevedibile e non prevenibile, che è il modo in cui la Corte d'Appello, ma non la Corte di Cassazione, qualifica, nel caso di specie, la condotta di Tizio. Rilevante, per cogliere la diversità delle prospettive, è il richiamo da parte della sentenza in commento della giurisprudenza in materia di attraversamento del pedone.

Può, dunque, affermarsi che la presunzione di colpa ex art. 2054, comma 1, c.c. - la cui ratio è rafforzare la protezione dei terzi estranei all'uso del veicolo contro i rischi derivanti dalla circolazione stradale -può considerarsi superata solo nell'ipotesi in cui il conducente abbia provato di aver impiegato tutti gli accorgimenti e le misure idonee a evitare il verificarsi dell'evento dannoso, sicché risulti certo che quest'ultimo non sia in alcun modo ricollegabile alla sua condotta di guida. Pertanto, per vincere tale presunzione, il conducente del veicolo, pur non essendo tenuto a fornire la prova di una diligenza eccezionale, dovrà in ogni caso dimostrare di aver osservato tutte le norme della circolazione stradale -condizione non verificata nel caso di specie- nonché tutte le precauzioni che una persona di normale avvedutezza avrebbe adottato nella fattispecie concreta. Conseguentemente, la colpa deve ritenersi sussistente quando il comportamento del conducente diverge in modo notevole da quello che, secondo parametri deducibili dalla normale esperienza della circolazione stradale, è tenuto dal conducente medio.

La Cassazione, in definitiva, non modifica la propria giurisprudenza; semplicemente giudica la motivazione della sentenza d'Appello inadeguata a provare la sussistenza del caso fortuito nella fattispecie, caratterizzata da dinamiche comuni a entrambi i soggetti coinvolti e dunque da valutarsi secondo una logica comune.

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