Indennizzo da ingiusta detenzione ed errore giudiziario

Giuseppe Fiengo
07 Giugno 2016

La liquidazione della riparazione per ingiusta detenzione non è fondata su parametri aritmetici o criteri rigidi, ma su una valutazione equitativa delle complessive conseguenze personali derivanti dalla privazione della libertà.
Massima

La liquidazione della riparazione per ingiusta detenzione non è fondata su parametri aritmetici o criteri rigidi, ma su una valutazione equitativa delle complessive conseguenze personali derivanti dalla privazione della libertà.

La riparazione del pregiudizio da errore giudiziario (al pari della riparazione per ingiusta detenzione) deve ristorare tanto il danno patrimoniale quanto il danno non patrimoniale.

La prevalente adozione di criteri equitativi nella liquidazione della riparazione da errore giudiziario non preclude il ricorso al criterio risarcitorio tanto per il danno patrimoniale quanto per quello non patrimoniale.

Il caso

Tizio, erroneamente condannato sulla base di sentenza annullata in sede di revisione, agisce per ottenere la riparazione del pregiudizio da ingiusta detenzione (limitatamente al periodo di esecuzione della custodia cautelare in carcere) e da errore giudiziario (deducendo, in particolare, la lesione della propria sfera personale e familiare a causa della necessità di fuggire in Brasile per sottrarsi all'ingiusta condanna).

La Corte di Appello di Catanzaro nell'accogliere le domande proposte, condanna il Ministero dell'Economia e delle Finanze al pagamento di € 516.456,90 per l'ingiusta detenzione e di € 300.000,00 oltre interessi e rivalutazione per l'errore giudiziario.

Avverso tale condanna il Ministero propone ricorso per cassazione denunciando:

  • la violazione degli artt. 314 e 315 c.p.p., avuto riguardo al raddoppio dell'indennizzo per ingiusta detenzione in assenza di motivazione e, sostanzialmente, sulla base del pregiudizio dell'isolamento carcerario e delle sevizie (non riconducibili all'ingiusta detenzione, ma all'arresto);
  • la mancanza e contraddittorietà della motivazione nella determinazione dell'indennizzo da errore giudiziario quantificato – in violazione dell'art. 643 c.p.p., che ha riguardo solo alle conseguenze personali e familiari dell'erronea condanna- in relazione al danno patrimoniale subito durante (e a causa della) latitanza in Brasile, pur in assenza di prova circa l'indigenza assertiamente patita durante la latitanza.

L'ordinanza del giudice d'appello è impugnata anche da Tizio: nella parte in cui (per effetto di erronea e falsa applicazione degli art. 24 Cost., artt. 314 e 643 c.p.p., art. 3, protocollo 7 della CEDU e 9 del patto internazionale dei diritti civili e politici) ha escluso che i danni non patrimoniali richiesti siano collegabili eziologicamente all'errore giudiziario, ritenendoli invece conseguenza dell'ingiusta detenzione; nella parte in cui, con riferimento ai danni patrimoniali, ha ritenuto non provato che durante la latitanza in Brasile (paese in espansione economica) egli avrebbe percepito una retribuzione inferiore rispetto a quella che avrebbe guadagnato in Italia; nella parte in cui ha adoperato un criterio meramente equitativo nel liquidare il danno non patrimoniale e non ha statuito in ordine al risarcimento del danno biologico, morale ed esistenziale; infine, nella parte in cui ha negato il risarcimento patrimoniale quale risultante dalla perizia di parte richiedendo una prova diabolica sul come si sarebbe svolta la sua vita se fosse rimasto in Italia.

La questione

Che natura hanno gli istituti della riparazione per l'ingiusta detenzione e per l'errore giudiziario? Quali sono i criteri per la liquidazione della riparazione da ingiusta detenzione? Quali voci di danno sono ristorabili mediante la riparazione dell'errore giudiziario e quali sono i criteri di liquidazione di tale riparazione?

Le soluzioni giuridiche

Nell'affrontare le questioni sopra indicate la Suprema Corte premette che la riparazione per l'ingiusta detenzione e per l'errore giudiziario (collegate, sul piano sostanziale e processuale dal richiamo contenuto all'art. 315, comma 3, c.p.p.) hanno natura non risarcitoria, ma indennitaria e trovano fondamento in istanze solidaristiche. La decisione che si commenta, consapevole dell'orientamento secondo il quale gli istituti in esame pongono una forma di responsabilità da atto lecito (tra le altre, Cass. pen., 1 aprile 2014, n. 21077, Cass. pen., 25 novembre 2003, n. 2050), osserva come la natura non risarcitoria sia conseguenza della necessità (artt. 24, comma 4, Cost., art. 5, comma 5, Cedu, art. 9, n. 5 Patto internazionale dei diritti civili e politici) di non porre a carico del danneggiato i gravosi oneri vigenti per l'illecito civile specie quanto all'elemento soggettivo ed all'entità del danno (v., tra le altre, Cass. pen., Sez. Un., 13 gennaio 1995, n. 1).

Premesso che entrambe le forme di riparazione sono accomunate anche dalla natura (sia patrimoniale che non patrimoniale) dei pregiudizi che tendono a ristorare, la decisione che si commenta ribadisce l'indirizzo secondo il quale la liquidazione dell'indennizzo per ingiusta detenzione è svincolata da parametri rigidi e deve avvenire su base equitativa, valutando oltre che la durata della custodia personale, anche le conseguenze personali e familiari derivanti dalla privazione della libertà (v., tra le altre, Cass. pen., 6 ottobre 2009, n. 40906, Cass. pen., Sez. Un., 6 marzo 1992, n. 1). In senso contrario si è tuttavia osservato come l'eguale valore che la libertà assume per ciascuna persona ed i differenti parametri sui quali sono fondate la riparazione per ingiusta detenzione (l'art. 314 c.p.p. fa riferimento solo ad «un'equa riparazione per la custodia cautelare subita») e la riparazione per l'errore giudiziario (l'art. 643 c.p.p. ha riguardo alle «conseguenze personali e familiari derivanti dalla condanna» e, a differenza di quanto proposto in sede di lavori parlamentari, non connota come “equa” la riparazione) impongono di liquidare la prima alla luce di parametri rigidi, suscettibili di limitati adeguamenti per effetto delle peculiarità del caso concreto (tra le altre, Cass. pen., 17 settembre 2014, n. 43453, Cass. pen., 22 novembre 1994, n. 1911); in definitiva, secondo questo indirizzo, la riparazione va liquidata alla luce del rapporto tra il tetto massimo dell'indennizzo di cui all'art. 315, comma 2, c.p.p. ed il termine massimo della custodia cautelare (art. 303 c.p.p.) espresso in giorni, moltiplicato per i giorni di ingiusta limitazione della libertà, non potendo mai il potere equitativo attribuito al giudice comportare il superamento del tetto massimo normativamente fissato (Cass. pen., Sez. Un., 9 maggio 2001, n. 24287).

Come risulta esplicitamente dall'ultimo periodo del capo 5 della decisione che si commenta la Suprema Corte afferma inoltre la sostanziale identità, in astratto, dei danni (patrimoniali e non patrimoniali) da ristorare in conseguenza dell'ingiusta detenzione e dell'errore giudiziario, ferma la necessità di valutare i pregiudizi concretamente subiti. Anche per la riparazione di cui all'art. 643 c.p.p. dovrà quindi aversi riguardo tanto al danno non patrimoniale quanto a quello patrimoniale. Con riferimento al primo la Cassazione, nel censurare la decisione impugnata, osserva come l'integrità psicofisica della persona può essere pregiudicata non solo dall'ingiusta detenzione, ma anche dall'ingiusta condanna e, in senso ancor più ampio, dal processo penale promosso nei confronti del danneggiato. Sotto tale ultimo profilo la decisione in esame richiama (pur se come obiter dictum) l'orientamento per il quale sono ristorabili non solo i pregiudizi riferibili all'ingiusta condanna, ma anche quelli riconducibili al processo penale e, in particolare, alle conseguenze che, pur formandosi progressivamente nel corso del processo, si concretizzano solo con la sentenza di condanna; tanto perché adottando una diversa conclusione si finirebbe con il limitare ingiustificatamente il diritto alla riparazione ai soli atti e fatti di natura istantanea (Cass. pen.,21 giugno 2011, n. 26739 e Cass. pen., 23 febbraio 2006, n. 24359 che hanno ritenuto ristorabile anche il danno da perdita di chance derivante dal processo concluso con ingiusta condanna).

Da ultimo, in relazione tanto al danno patrimoniale quanto a quello non patrimoniale, la Suprema Corte, pur ritenendo molto spesso ineliminabile il riferimento a criteri equitativi per la liquidazione della riparazione dovuta ai sensi dell'art 643 c.p.p., osserva come non è precluso il ricorso a criteri risarcitori (in termini, Cass. pen., 20 gennaio 2012, n. 10878).

Osservazioni

La decisione in esame si segnala perché, pronunciandosi in relazione ad un peculiare caso in cui la privazione della libertà personale è conseguenza della sola custodia cautelare mentre la richiesta di riparazione per l'errore giudiziario è relativa alle conseguenze personali e familiari derivanti dall'ingiusta condanna, esamina con particolare attenzione le diverse componenti dei danni disciplinati agli art. 314 ss. c.p.p. e art. 643 c.p.p..

Pare condivisibile l'adesione (non univoca in giurisprudenza, come segnalato) ad un criterio elastico di liquidazione della riparazione per ingiusta detenzione. Milita in questa direzione la dimensione dinamica (e non statica) che la libertà individuale assume nella dimensione costituzionale e sovranazionale (in particolare, si vedano la Cedu e la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea); del resto, essendo pacifico che l'esecuzione della misura detentiva può determinare gravi pregiudizi personali e familiari, una liquidazione che prescindesse da tali concrete conseguenze non potrebbe considerarsi “equa” (in termini, Cass. pen., Sez. Un., 13 gennaio 1995, n. 1). È chiaro che, in questa prospettiva, risulta significativamente accresciuto il potere discrezionale del giudice; tale potere appare tuttavia, nella materia in esame, inevitabile. Diviene allora ancor più importante che il danneggiato assolva adeguatamente gli oneri di allegazione e prova sullo stesso gravanti. Con riferimento al primo aspetto, sarà importante svolgere puntuali deduzioni, ad esempio, quanto al danno non patrimoniale, all'entità ed alla consistenza delle afflizioni fisiche subite (rapportandole anche ad eventuali, pregresse o sopravvenute patologie) o alla lontananza del luogo di detenzione dal precedente centro della vita personale e familiare (indice di una separazione ancor più netta e dolorosa dalla rete di relazioni familiari e sociali) e, quanto al danno patrimoniale, all'entità del pregiudizio derivante ad esempio dal licenziamento provocato dalla carcerazione o, in generale, a tutte le diminuzioni economiche o i mancati guadagni derivanti dall'ingiusta detenzione o condanna non tralasciando (alla luce della sopra citata giurisprudenza) anche la perdita di chance.

Quanto al profilo probatorio l'adesione da parte del legislatore ad un modello non propriamente risarcitorio agevola significativamente la vittima dell'ingiusta detenzione o dell'errore giudiziario la quale non sarà ad esempio tenuta alla prova rigorosa dell'elemento soggettivo richiesta dall'art. 2043 c.c. (così, essendo la riparazione fondata sul presupposto oggettivo dell'errore, non sarà necessario provare il dolo o la colpa del magistrato o di un terzo) e (come dimostra la condivisibile sentenza che si commenta) potrà avvalersi anche di un mero principio di prova in ordine alla causa dei danni ed alla consistenza economica degli stessi.

Pare infine importante sottolineare come gli istituti disciplinati agli art. 314 ss. c.p.p. e art. 643 c.p.p. siano accomunati da un'evidente coincidenza di intenti e motivazioni. Tanto ben risulta: dal richiamo che l'art. 315, comma 3, c.p.p. fa, in quanto compatibili, alle norme sulla riparazione dell'errore giudiziario; dalla giurisprudenza secondo la quale la domanda relativa alla riparazione dell'errore giudiziario può comprendere anche quella per la riparazione dell'ingiusta detenzione (Cass. pen., 21 giugno 2011, n. 26739) e secondo la quale (così la decisione in esame) entrambe le riparazioni tendono a ristorare un eguale pregiudizio; dall'omogeno trattamento che, quanto al diritto sovranazionale, viene riconosciuto al diritto alla riparazione da ingiusta detenzione (art. 5.5 Cedu) ed al diritto alla riparazione da errore giudiziario (art. 3, protocollo 7 alla Cedu).

Una simile coincidenza di intenti e motivazioni dovrebbe giustificare l'estensione anche alla riparazione per ingiusta detenzione di istituti previsti espressamente solo per l'errore giudiziario. Tanto è a dirsi, ad esempio, con riferimento all'art. 643, comma 2, c.p.p. che prevede la possibilità di riparazione dell'errore giudiziario mediante il pagamento di una somma di denaro o, in alternativa (e non cumulativamente, v. Cass. pen., 20 gennaio 2012, n. 10878), mediante la costituzione di una rendita vitalizia o, su domanda dell'avente diritto, mediante accoglienza in un istituto a spese dello Stato o, ancora, con riferimento alla possibilità per il giudice, ricorrendone le condizioni (art. 438 c.c.), di assegnare all'interessato una provvisionale a titolo di alimenti (art. 646, comma 5, c.p.p.).

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