Inammissibilità dell’azione di responsabilità promossa nei confronti dell’amministratore in assenza di autorizzazione assembleare

Claudio Tatozzi
07 Settembre 2015

La deliberazione assembleare di autorizzazione all'esperimento dell'azione sociale di responsabilità, di cui all'art. 2393, comma 1, c.c., è necessaria anche nel caso in cui gli atti di mala gestio posti in essere dagli amministratori integrino ipotesi di reato, purché le condotte contestate abbiano un collegamento con la carica ricoperta e con i doveri dalla stessa rivenienti. In tal caso, la qualificazione degli atti gestori deve avvenire alla luce delle disposizioni che disciplinano le azioni di responsabilità in materia societaria, le quali, in forza del principio di specialità, prevalgono sulle norme generali.
Massima

La deliberazione assembleare di autorizzazione all'esperimento dell'azione sociale di responsabilità, di cui all'art. 2393, comma 1, c.c., è necessaria anche nel caso in cui gli atti di mala gestio posti in essere dagli amministratori integrino ipotesi di reato, purché le condotte contestate abbiano un collegamento con la carica ricoperta e con i doveri dalla stessa rivenienti. In tal caso, la qualificazione degli atti gestori deve avvenire alla luce delle (sole) disposizioni che disciplinano le azioni di responsabilità in materia societaria, le quali, in forza del principio di specialità, prevalgono sulle norme generali (quali l'art. 2043 c.c.). Pertanto, l'azione con la quale si chieda all'amministratore la restituzione di beni o somme della società, di cui di cui lo stesso si è indebitamente appropriato, rientra nell'ipotesi di cui all'art. 2393 c.c. e, quindi, in assenza della delibera assembleare (preesistente al giudizio ovvero intervenuta in corso di causa), deve essere dichiarata inammissibile.

Il caso

In data 26 marzo 2003 (la pronuncia riguarda quindi una fattispecie alla quale si applica ratione temporis la disciplina previgente alla riforma delle società del 2003. Ciò, nel caso di specie, non assume rilievo, stante il fatto che il dettato dell'art. 2393, comma 1, c.c. non è mutato a seguito della riforma) la società per azioni attrice (poi trasformatasi in s.r.l.) ha convenuto in giudizio, avanti il Tribunale di Varese, il proprio ex amministratore unico, chiedendo la condanna del medesimo alla restituzione della somma di euro 281.145,18, in tesi da esso indebitamente trattenuta (unitamente ad altri beni della società).

Il convenuto si è costituito eccependo, in via preliminare, l'inammissibilità dell'azione per mancanza di delibera assembleare ex art. 2393, comma 1, c.c.; nel merito, ha rilevato l'infondatezza dell'azione e, in subordine, ha chiesto di essere manlevato dal terzo chiamato (allora responsabile della contabilità della società, che avrebbe operato quale “amministratore di fatto”).

Il Tribunale - disattendendo l'eccezione preliminare (ritenendo l'azione proposta quale semplice azione aquiliana), in parziale accoglimento della domanda attorea (e rigettando la domanda di manleva) - ha condannato l'ex amministratore a pagare alla società attrice la somma di euro 103.829,47, oltre interessi e rivalutazione monetaria. Avverso tale sentenza ha proposto appello l'ex amministratore convenuto in giudizio. In via preliminare, l'appellante ha censurato l'erroneità della decisione del Tribunale, laddove la stessa ha disatteso l'eccezione di inammissibilità dell'azione. Nel merito ha riproposto le difese e le domande (anche nei confronti del terzo chiamato) già svolte in primo grado. Nel giudizio di appello entrambi gli appellati sono rimasti contumaci. La Corte, in accoglimento del motivo di appello svolto in via preliminare, ha integralmente riformato la pronuncia del giudice di prime cure, dichiarando, quindi, inammissibile l'azione.

La questione

La Corte di Appello, esaminando la (sola) eccezione di inammissibilità dell'azione, ha avuto occasione di soffermarsi su due questioni di particolare interesse (una terza questione, accennata in via incidentale nella parte finale della motivazione, attiene invece alla possibilità di sanare con effetto ex tunc, fino al momento della pronuncia della sentenza, l'assenza della delibera assembleare di autorizzazione all'azione. Il tema, già in passato affrontato e risolto in senso affermativo, cfr. le citate Cass. civ., sez. I, 10 settembre 2007, n. 18939; Cass. civ., sez. I, 11 novembre 1996, n. 9849), parrebbe oggi - a seguito della riforma del processo civile del 2009 - definitivamente superata, stante l'inequivoco disposto dell'art. 182 c.p.c.), vale a dire:

  1. se la contestazione delle condotte illecite agli amministratori debba essere sempre effettuata alla luce delle norme che disciplinano le azioni di responsabilità in materia societaria (con il conseguente rispetto degli eventuali adempimenti prodromici all'azione in esse previsti), ovvero se residui la possibilità di fare ricorso alle norme generali quali, nel caso di specie, l'art. 2043 c.c.;
  2. se la deliberazione assembleare di autorizzazione all'esperimento dell'azione sociale di responsabilità, ex art. 2393, comma 1, c.c., è sempre necessaria, a pena di inammissibilità, anche nel caso in cui gli atti di mala gestio contestati integrino ipotesi di reato (nel caso di specie appropriazione indebita di somme e beni della società).
Le soluzioni giuridiche

Sul primo aspetto, il Collegio ha anzitutto rilevato che il giudice di primo grado aveva ritenuto che «l'azione de qua, non fondandosi sulla contestazione di atti posti in essere da[ll'amministratore] in violazione di specifici obblighi connessi alla sua carica [...], dovesse essere qualificata, non già come azione di responsabilità [...] bensì, come azione risarcitoria, ex art. 2043 c.c.» e, quindi, come tale, non necessitante di preventiva autorizzazione assembleare. La Corte, discostandosi da tale interpretazione, ha rilevato che:

  1. la società attrice (in primo grado) aveva contestato condotte che, pur assumendo rilevanza penale, erano altresì contrastanti con specifici obblighi degli amministratori (i.e. l'agire nell'esclusivo interesse della società e non in conflitto con esso);
  2. in ogni caso, e più in generale, la qualificazione delle condotte (ancorché costituenti illecito penale) contestate all'amministratore (purché le stesse abbiano un collegamento con la carica ricoperta e con i doveri dalla stessa rivenienti) non può che avvenire alla luce delle (sole) disposizioni che disciplinano le azioni sociali di responsabilità (che trovano applicazione in luogo di quelle generali, quali appunto l'art. 2043 cc.), in virtù del principio di specialità.

A questa stregua, dunque, la Corte – dopo aver:

  • richiamato l'orientamento ad avviso del quale, in caso di azione sociale di responsabilità, la verifica della sussistenza della deliberazione assembleare (che può essere fatta anche d'ufficio dal giudice) «attiene alla legittimazione di colui che ha agito nel processo, ossia alla stessa efficacia della costituzione in giudizio»;
  • rilevato che, nel caso di specie non risultava prova dell'assunzione della citata delibera (né anteriormente alla proposizione dell'azione, né successivamente) – ha dichiarato inammissibile l'azione «per difetto di legittimazione attiva» e, quindi, ha integralmente riformato la sentenza di primo grado.
Osservazioni

L'interpretazione offerta dalla Corte con riguardo al primo aspetto pare conformarsi all'orientamento interpretativo emerso tanto nella giurisprudenza citata dalla stessa Corte (anche se il principio, benchè autorevole, pare enunciato in obiter dictum:la sen. Cass. civ., sez. I, 17 settembre 2008, n. 23778, riguardava, infatti, un'ipotesi di responsabilità ex art. 2395 c.c.; tale precisazione consente di meglio comprendere anche l'inciso «di cui peraltro possiedono la natura extracontrattuale», riportato dalla Corte, il quale risultava ad una prima lettura oscuro, attesa la natura contrattuale - secondo l'opinione nettamente prevalente - della responsabilità ex artt. 2392 e 2393 c.c.) quanto in opinioni più risalenti (Cfr. Cass. civ., sez. I, 22 giugno 1990, n. 6278, secondo cui «anche rispetto a vicende di pura appropriazione [...] di cespiti, l'atto dell'amministratore, ove reso possibile dai poteri inerenti alla carica, ne esprime esercizio [...]. Ne deriva che, per tutti i menzionati fatti, la responsabilità dell'amministratore va incanalata nelle previsioni dell'art. 2392»; in dottrina, A. Perrone, Commento a Cass. 1925/1999, in Corr. Giur., 1999, pp. 1399 ss.; G. Scognamiglio, Osservazioni in tema di illecito dell'amministratore e azione sociale di responsabilità, in Giur. Comm., 1989, II, pp. 208 ss.). In particolare, si è osservato che il criterio che il giudice dovrebbe seguire per determinare (caso per caso) se si è in presenza di un'azione sociale di responsabilità (Con conseguente applicazione degli artt. 2392 ss. c.c.), ovvero di un'azione risarcitoria extracontrattuale, è quello di verificare se le condotte illecite contestate abbiano o meno un collegamento (affatto occasionale) con la carica gestoria ricoperta e con gli obblighi di diligenza e correttezza connessi alla stessa.

Nel caso di specie la Corte ha ravvisato la sussistenza di tale collegamento in relazione all'illecito di appropriazione indebita (di somme e beni della società) compiuto dall'amministratore, condotta che - secondo la Corte - oltre a costituire un illecito penale contrasta altresì con lo specifico obbligo gravante sugli amministratori di perseguire l'esclusivo interesse della Società.

La soluzione adottata, adeguatamente argomentata, appare, ad avviso di chi scrive, condivisibile. Sennonché è d'uopo segnalare che la medesima si pone in contrasto, proprio con riguardo ad una fattispecie analoga, con alcune pronunce di legittimità e di merito più risalenti (probabilmente poste dal giudice di primo grado alla base della sua decisione), ad avviso delle quali «non è necessaria la deliberazione assembleare prevista dall'art. 2393 c.c. [...] in relazione ad atti, quali la sottrazione indebita di beni della società, che non costituiscano estrinsecazione diretta delle attribuzioni proprie dell'amministratore» (Cfr. Cass. civ., sez. I, 9 luglio 1987, n. 5989; Cass. civ. sez. I, 6 marzo 1999, n. 1925; in termini meno netti Trib. Milano, 3 ottobre 1991, in Le Società, 1992, p. 361, con nota di S. Taurini. Sul punto anche V. Salafia, L'esercizio dell'azione di responsabilità sociale contro gli amministratori, in Le Società, 2001, p. 1196).

Il secondo aspetto esaminato dalla Corte presenta, invece, minori margini di opinabilità. È, infatti, opinione del tutto pacifica (suffragata peraltro dal chiaro tenore del testo normativo, rimasto immutato anche dopo la riforma del 2003) che, nel caso in cui sia configurabile un'azione sociale di responsabilità ai sensi degli artt. 2392 e 2393 c.c., debba sussistere, a pena di inammissibilità dell'azione, la deliberazione autorizzativa dell'assemblea (la quale può intervenire, con effetto sanante ex tunc, anche nel corso del giudizio) e che l'assenza della medesima possa essere rilevata anche d'ufficio dal giudice (Cfr., Cass., sez. I, 10 settembre 2007, n. 18939; Cass. civ., sez. I, 26 agosto 2004, n. 16999; Cass. civ., sez. I, 28 luglio 2000, n. 9904; Cass., sez. I, 11 novembre 1996, n. 9849; Trib. Monza, 12 gennaio 2009, in Pluris; Trib. Milano, 22 gennaio 2001, in Giur. Mer., 2002, p. 412; Trib. Milano, 15 maggio 1986, Le Società, 1986, 1986, p. 1221; più in generale si vedano anche Cass. civ., sez. lav., 7 luglio 2011, n. 14963; Cass. civ., sez. I, 24 aprile 2007, n. 9901; Cass. civ., sez. I, 8 settembre 2005, n. 17938; Cass. civ., sez. I, 6 giugno 2003, n. 9090).

La pronuncia in commento presenta indubbi profili di interesse e dovrà essere presa in adeguata considerazione da chi intenda intraprendere un'azione nei confronti degli amministratori di società di capitali. La stessa, infatti, superando i precedenti arresti di legittimità, delinea il perimetro di applicabilità della disciplina speciale prevista dalle norme in materia di azione sociale di responsabilità (e, quindi, del conseguente iter necessario per il promovimento della stessa). Tale scelta comporta all'evidenza un aggravio procedurale e, in definitiva, può rendere più difficile il concreto esperimento dell'azione di responsabilità (Cfr., Cass., sez. I, 10 settembre 2007, n. 18939; Cass. civ., sez. I, 26 agosto 2004, n. 16999; Cass. civ., sez. I, 28 luglio 2000, n. 9904; Cass., sez. I, 11 novembre 1996, n. 9849; Trib. Monza, 12 gennaio 2009, in Pluris; Trib. Milano, 22 gennaio 2001, in Giur. Mer., 2002, p. 412; Trib. Milano, 15 maggio 1986, Le Società, 1986, p. 1221; più in generale si vedano anche Cass. civ., sez. lav., 7 luglio 2011, n. 14963; Cass. Civ., sez. I, 24 aprile 2007, n. 9901; Cass. civ., sez. I, 8 settembre 2005, n. 17938; Cass. civ., sez. I, 6 giugno 2003, n. 9090); il tutto con inevitabile pregiudizio sia per la società sia per i soci di minoranza. Certamente, tale esigenza, a seguito della riforma del 2003, ha trovato una maggior tutela nel disposto dell'art. 2393-bis c.c. (applicandosi la norma alla sola minoranza “qualificata”).

Tuttavia, a prescindere da ciò, giova rilevare che l'ordinamento offre (ed offriva), comunque, rimedi alternativi all'azione sociale di responsabilità (che contemplano, ad esempio, l'iniziativa dell'organo di controllo), i quali, se adeguatamente utilizzati, consentono di garantire il controllo sull'operato degli amministratori e, quindi, il buon andamento della gestione societaria e la tutela delle minoranze.

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