L’onere di allegazione e di prova nelle azioni di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale

Salvatore Ferrara
07 Ottobre 2016

In tema di azioni di risarcimento del danno da perdita del congiunto, la mera allegazione del rapporto parentale o di coniugio con la “vittima primaria”, ove non suffragata dalla concreta descrizione dei pregiudizi patiti, non comporta automaticamente l'accoglimento della domanda.
Massima

In tema di azioni di risarcimento del danno da perdita del congiunto, la mera allegazione del rapporto parentale o di coniugio con la “vittima primaria”, ove non suffragata dalla concreta descrizione dei pregiudizi patiti, non comporta automaticamente l'accoglimento della domanda. Anche con riferimento alle richieste di risarcimento avanzate dagli stretti congiunti della vittima, infatti, in assenza della allegazione dei concreti pregiudizi patiti, il meccanismo probatorio presuntivo non opera.

Il difetto dell'onere di allegazione dei fatti costitutivi della domanda, una volta maturate le preclusioni assertive, non può essere sanato dalle richieste istruttorie avendo le stesse una funzione ancillare rispetto ai fatti rilevanti per la decisione.

La lesione del diritto, di rilevanza costituzionale, alla intangibilità della sfera degli affetti familiari è un danno conseguenza che per essere liquidato, sia pur equitativamente dal giudice, deve essere allegato e provato.

Il caso

Caia, all'esito di una rocambolesca lite con il fidanzato, finisce al centro della carreggiata dell'autostrada, venendo travolta ed uccisa da un'auto poi dileguatasi. Tizio, marito separato di fatto di Caia, agisce in giudizio per il risarcimento del danno morale e patrimoniale derivante dalla perdita del rapporto parentale quantificato in €. 300.000,00 sulla base delle Tabelle del Tribunale di Milano. Intervengono in giudizio i genitori ed i fratelli di Caia, chiedendo anch'essi il risarcimento del danno morale da liquidarsi secondo i valori delle Tabelle di Milano rispettivamente in € 300.000,00 quanto ai genitori ed €. 50.000,00 quanto ai fratelli.

Il Tribunale, attribuita al conducente del veicolo rimasto sconosciuto una percentuale di corresponsabilità, rigetta la domanda di risarcimento del danno morale formulata da tutti i congiunti della vittima per la «assoluta genericità del suo oggetto».

La questione

La questione giuridica affrontata nel caso in esame è la seguente: la mera allegazione del vincolo parentale, in assenza della concreta descrizione dei pregiudizi subiti per la perdita del congiunto, è idonea, sulla base della rilevanza costituzionale del diritto alla intangibilità degli affetti familiari sancito dagli artt. 2, 29 e 30 della Carta Fondamentale, ad ottenere una pronuncia di condanna al risarcimento del danno?

Le soluzioni giuridiche

La risposta fornita dal Tribunale di Rimini è negativa.

In argomento va osservato che nell'ambito delle richieste di risarcimento avanzate dalla stretta cerchia dei congiunti (genitori, figli, fratelli) la giurisprudenza di legittimità ha di regola valorizzato,sulla base dell'id quod plerumque accidit (v. Cass. 30 novembre 2005, n. 26081; Cass., 6 giugno 1997, n. 5082), il meccanismo delle presunzioni (v. Cass. 31 maggio 2003, n. 8827; Cass. 31 maggio 2003, n. 8828; Cass. 19 agosto 2003, n. 12124; Cass. 15 luglio 2005, n. 15022; Cass. 12giugno 2006, n. 13546), che in tema rivestono «precipuo rilievo» (v. Cass. Sez. Un., 24 marzo 2006, n. 6572).

In termini generali il Tribunale di Rimini, opportunamente, cita la pronuncia della Suprema Corte secondo la quale «chi domanda in giudizio il risarcimento del danno ha l'onere di descrivere in modo concreto i pregiudizi dei quali chiede il ristoro, senza limitarsi a formule vuote e stereotipe come la richiesta di risarcimento dei «danni subiti e subendi». Domande di questo tipo, quando non ne sia dichiarata la nullità ex articolo 164 c.p.c., non fanno sorgere in capo al giudice alcun obbligo di provvedere in merito al risarcimento dei danni che fossero descritti concretamente solo in corso di causa» (Cass., n. 13328/2015).

Con riferimento all'aspetto specifico del danno parentale, merita rilevare l'ulteriore citazione della Corte di Cassazione (Cass. n. 10527/2011) secondo cui «ai fini del ristoro del pregiudizio esistenziale da lesione del rapporto parentale, soltanto l'allegazione circostanziata - mercé l'indicazione di fatti precisi e specifici nel caso concreto - di fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, ovvero del compimento di scelte di vita diverse, determina l'inversione dell'onere della prova tipica delle presunzioni (nella specie, è stata considerata inidonea la deduzione di fatti inerenti alla perdita di abitudini e riti propri della quotidianità della vita)» .

Il Tribunale, dopo aver ripercorso la rimodulazione della categoria del danno morale alla luce dell'evoluzione della giurisprudenza di legittimità a partire dalle note sentenze gemelle nn. 8827-8828/2003 fino ad arrivare alle sentenze di San Martino delle Sezioni Unite nn. 26972-26975/2008, ha escluso che, nella fattispecie, la prova del danno mediante presunzioni potesse ritenersi raggiunta. E ciò proprio in considerazione della assoluta genericità dell'atto introduttivo del giudizio, del tutto privo della allegazione di fatti noti dai quali inferire il fatto ignoto del legame affettivo.

In altri termini la pronuncia in esame, pur ribadendo la possibilità del ricorso alle presunzioni, afferma il principio che la mera allegazione del “solo rapporto parentale” (o di coniugio), ove non accompagnata dall'allegazione dei concreti pregiudizi patiti, «non può ritenersi sufficiente, nella fattispecie in discorso, ad attivare il meccanismo probatorio presuntivo di un danno non patrimoniale non descritto, né circostanziato in alcun modo».

A ciò si aggiunga che l'istruttoria aveva fatto emergere elementi di segno contrario (la separazione di fatto tra i coniugi, la distanza geografica con i fratelli ed i genitori).

Né, secondo il Tribunale di Rimini, alla mancata allegazione dei fatti costitutivi della pretesa può porsi rimedio attraverso «la formulazione di richieste istruttorie, svolgendo i mezzi di prova una funzione ontologicamente “ancillare” della stessa rispetto ai fatti rilevanti per la decisione per come cristallizzatisi al momento delle preclusioni c.d. assertive».

Osservazioni

La sentenza in commento consente una sosta di approfondimento su un tema, in ordine al quale, un cattivo uso del ricorso al meccanismo probatorio di tipo presuntivo basato su criteri statistici, ha finito con il determinare il rischio di atti seriali, del tutto sganciati dalla concreta vicenda sottoposta al vaglio del giudice.

Pur senza negare, nell'accertamento del danno alla relazione parentale, il ricorso alle presunzioni, il Tribunale di Rimini mette in guardia dal rischio di adagiarsi sulle stesse, trascurando l'onere di allegazione dei concreti pregiudizi per i quali si chiede il risarcimento.

Non può tacersi, al riguardo, che una lettura superficiale degli arresti della giurisprudenza e della dottrina consolidata sul punto, ha condotto nella prassi a confondere l'agevolazione probatoria di tipo presuntivo con una sorta di automatismo risarcitorio, e di fatto a trattare, in modo per lo più inconfessato, il danno parentale, alla stregua di un danno-evento o “in re ipsa”.

La pronuncia in commento sembra porsi in contrasto con la giurisprudenza della Cassazione (Cass., n. 13546/2006) secondo la quale «provato il fatto-base della sussistenza di un rapporto di coniugio o di filiazione e della convivenza con il congiunto defunto, è allora da ritenersi che la privazione di tale rapporto presuntivamente determina ripercussioni (anche se non necessariamente per tutta la vita) sia sull'assetto degli stabiliti ed armonici rapporti del nucleo familiare, sia sul modo di relazionarsi degli stretti congiunti del defunto (anche) all'esterno di esso rispetto ai terzi, nei comuni rapporti della vita di relazione».

Ma in realtà la contraddizione è solo apparente se si pensa che la medesima pronuncia della S.C. ha cura di precisare che, «se dispensa la parte che intende avvantaggiarsi dagli effetti favorevoli collegati al fatto dall'onere di provare quest'ultimo, la presunzione non dispensa altresì dall'onere di allegare il medesimo».

D'altra parte, secondo tale arresto, «la presunzione basata sulla regola di esperienza che può indurre il giudice ad escludere la necessità di ulteriori prove al riguardo, è, diversamente da quella legale, in realtà rimessa ad una conclusione di tipo argomentativo, nell'ambito del prudente apprezzamento del giudice ex art. 116 c.p.c.». Tale apprezzamento, ovviamente, non potrà prescindere dalla valutazione del caso concreto (convivenza, vicinanza tra i coniugi, altri indici sintomatici di una comunanza di vita etc.) tanto più necessario in un momento storico in cui, anche secondo la giurisprudenza, più che il “vinculum iuris” o “sanguinis”, rileva, anche in termini di allargamento della sfera dei soggetti legittimati ad agire, la effettività del legame affettivo.

In argomento va tuttavia osservato che, secondo un recente orientamento della Corte di Cassazione (Cass. n. 11851/2015 rel. Travaglino), il rigorismo probatorio deve essere modulato in relazione al fatto ed alle circostanze del caso concreto.

Ribadendo che in materia di danno da perdita della relazione parentale la prova potrà essere fornita senza limiti, e dunque avvalendosi anche delle presunzioni e del notorio, i giudici di legittimità, pur non accondiscendendo ad automatismi, affermano che «di tali mezzi di prova il giudice di merito potrà disporre alla luce di una ideale scala discendente di valore dimostrativo, volta che essi, in una dimensione speculare rispetto alla gravità della lesione, rivestiranno efficacia tanto maggiore quanto più sia ragionevolmente presumibile la gravità delle conseguenze, intime e relazionali, sofferta dal danneggiato».

La sentenza in commento, che per i motivi di cui sopra appare idonea a resistere ai successivi gravami, esalta il ruolo - e le conseguenti responsabilità - dell'avvocato, il quale nell'atto introduttivo del giudizio dovrà descrivere in maniera circostanziata, e non seriale, i pregiudizi per i quali ha chiesto il risarcimento.

Ciò richiede non soltanto capacità tecnica, ma anche lo sforzo di calarsi nella penosità della fattispecie concreta, immedesimandosi con il dolore che ha squarciato le esistenze dei componenti della famiglia sconvolta dall'evento lesivo, per darne adeguata rappresentazione in sede giudiziaria.

Guida all'approfondimento
  • M. Rossetti, Il danno alla salute, Padova, 2009, pp. 893- 909.
  • D. Salari, Il danno alla relazione parentale e il dilemma esistenzialista della Cassazione, commento a Cass. 19402/2013, in Questione giustizia, ottobre 2013.

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