Responsabilità dell’avvocato che malgrado la non contestazione del vantato diritto di servitù, omette di darne prova

Filippo Rosada
08 Marzo 2016

In tema di responsabilità professionale dell'avvocato, la mancata indicazione delle prove indispensabili per l'accoglimento della domanda costituisce, di per sé, manifestazione di negligenza del difensore, salvo che il predetto dimostri di non aver potuto adempiere per fatto a lui non imputabile.
Massima

In tema di responsabilità professionale dell'avvocato, la mancata indicazione delle prove indispensabili per l'accoglimento della domanda costituisce, di per sé, manifestazione di negligenza del difensore, salvo che il predetto dimostri di non aver potuto adempiere per fatto a lui non imputabile o di avere svolto tutte le attività che, nel caso di specie, potevano essergli ragionevolmente richieste, tenuto conto che rientra nei suoi doveri di diligenza professionale non solo la consapevolezza che la mancata prova degli elementi costitutivi della domanda espone il cliente alla soccombenza, ma anche che il cliente, normalmente, non è in grado di valutare regole e tempi del processo, né gli elementi che debbano essere sottoposti alla cognizione dei giudice.

Il caso

Un avvocato incaricato di dare corso ad un giudizio volto all'accertamento di un diritto di servitù di acquedotto e passo, omette di produrre in giudizio l'estratto tavolare del fondo servente, da cui emerge l'iscrizione della servitù, e tale omissione ha rilievo esclusivo nella decisione della causa in senso sfavorevole.

Il Tribunale accoglie la domanda degli attori di risoluzione del contratto professionale per grave inadempimento; condanna l'avvocato al risarcimento del danno e rigetta la domanda di manleva formulata da quest'ultimo nei confronti del suo assicuratore della responsabilità civile perché attivata dopo il giudizio di secondo grado.

La Corte d'Appello accoglie il gravame proposto dall'avvocato limitatamente alla riduzione del risarcimento del danno.

La questione

La questione in esame è la seguente: se la mancata indicazione delle prove indispensabili per l'accoglimento della domanda, malgrado la non contestazione dei fatti costitutivi della pretesa da parte del convenuto, costituisce manifestazione di negligenza del difensore.

Le soluzioni giuridiche

La sentenza qui commentata esordisce confermando il principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità, che considera una manifestazione di negligenza dell'avvocato la mancata indicazione delle prove necessarie al riconoscimento dei diritti reclamati in giudizio.

A conferma del costante indirizzo giurisprudenziale, viene richiamata Cass. sent., n. 8312/2011 (erroneamente indicata con l'anno 2010) che ripropone il principio riportato nella massima.

I Supremi Giudici rilevano altresì come la stessa Corte d'Appello che ha emesso l'impugnata sentenza, proprio in forza dell'orientamento consolidato sopra richiamato, ha correttamente ritenuto che «colui che agisce in “confessoria servitutis” ha l'onere di fornire la prova dell'esistenza del diritto, e che tale onere non viene meno a fronte di ammissioni del convenuto, trattandosi dell'esistenza di un diritto reale, rimanendo salva soltanto la possibilità per il giudice di avvalersi degli elementi che scaturiscono dalle ammissioni del convenuto nella valutazione delle risultanze della prova offerta dall'attore».

I giudici di legittimità, quindi, stabilita la colpa del professionista, chiariscono come l'avvocato, per andare esente da responsabilità, avrebbe dovuto dimostrare di aver svolto tutte le attività che ragionevolmente possono essergli richieste; in particolare, nel caso di specie, doveva provare di non aver potuto produrre in giudizio l'estratto tavolare del fondo servente per fatto a lui non imputabile.

In sintesi, è onere dell'avvocato dimostrare di aver informato l'assistito dell'indispensabilità del raggiungimento di una certa prova ai fini del buon esito del giudizio e di non aver potuto raggiungere l'obbiettivo per ragioni non collegate alla sua volontà.

Emblematico è il caso di un avvocato che in un giudizio per il conseguimento di danni originati da un fatto illecito da circolazione stradale, chiedeva fissarsi udienza di precisazione delle conclusioni senza proporre mezzi istruttori volti a provare il fatto storico e i conseguenti danni. Nella fattispecie i giudici di terzo grado hanno osservato «che non era onere del cliente provare di aver fornito al difensore la lista dei testimoni, ma spettava all'avvocato dimostrare di aver sollecitato al cliente tale comunicazione, in tempo utile per poterla utilizzare in giudizio» (vedi Cass., sent., n. 8312/2011).

Osservazioni

Il caso in esame riguarda la responsabilità di un avvocato che in un giudizio volto al riconoscimento di un diritto reale di servitù e passo, ha ritenuto di omettere la produzione di prova documentale sul presupposto che non avendo controparte contestato il fatto costitutivo della pretesa, la circostanza doveva darsi per provata ex art. 115 co. 1 c.p.c.

In realtà, per giurisprudenza consolidata, allorquando il nostro ordinamento prevede che certi atti abbisognino di una prova scritta ad subsantiam(art. 1350 c.c.) il fatto costitutivo deve essere provato con la produzione di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, senza che possa avere alcuna rilevanza processuale la mancata contestazione dello stesso da parte del convenuto (Cass., sent. n. 11765/2002).

Appare corretta, pertanto, la presente decisione che ha inquadrato nell'ambito della negligenza e imperizia la prestazione professionale dell'avvocato che reputa che il giudice possa ritenere provata l'esistenza di un diritto reale per il sol fatto che la circostanza non sia stata specificatamente contestata dalla controparte, anziché attraverso il necessario esame di un atto scritto.

I Supremi Giudici, inoltre, anche in questa occasione, ricordano che l'inadempimento dell'avvocato, per poter avere rilevanza giuridica, deve poter essere posto in collegamento causale con il lamentato danno, sottolineando che l'omessa produzione documentale ha avuto rilievo esclusivo nell'esito infausto del giudizio.

Il suddetto principio è stato ulteriormente evidenziato e “stigmatizzato” in una recentissima pronuncia di legittimità, la cui sintetica ed efficace massima giova essere riportata per esteso: «Per dimostrare la responsabilità del difensore nell'inadempimento del mandato rappresentativo bisogna verificare la presenza di uno stringente nesso di causalità tra l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente e la condotta dell'avvocato» (Cass., sent., n. 1984/2016).

Nella medesima pronuncia, i Supremi Giudici confermano che è onere dell'attore provare la sussistenza del nesso causale tra la condotta colposa del professionista e il lamentato danno (si veda anche Cass., sent., n. 22376/2012 e n. 12354/2009).

Guida all'approfondimento
  • M. Rossetti, Responsabilità dell'avvocato, in Ri.Da.Re.;
  • R. Giordano, Inadempimento del professionista e diritto al compenso, in Ri.Da.Re.;
  • P. Mariotti , R. Caminiti, Incombe sul cliente la prova del danno patrimoniale conseguente a negligenza ed inerzia dell'avvocato, in Ri.Da.Re.;
  • L. Berti, Responsabilità dell'avvocato e contratto di assicurazione: tra claims made e dichiarazioni inesatte e reticenti, in Ri.Da.Re.;
  • F. Rosada, La responsabilità dell'Avvocato che “per ragioni di cortesia” si interessa di un mancato indennizzo in favore del cliente, in Ri.Da.Re.;

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