Amputazione della gamba ad un minore: personalizzazione del danno biologico permanente e rischi di duplicazione

09 Marzo 2017

La liquidazione del danno biologico secondo le tabelle milanesi assorbe le conseguenze “normali” del danno, sul piano morale e relazionale. La obiettiva tipologia e la gravità della menomazione subita giustificano un incremento di tale importo, in un'ottica di doverosa personalizzazione del risarcimento.
Massima

La liquidazione del danno biologico secondo le tabelle milanesi assorbe le conseguenze “normali” del danno, sul piano morale e relazionale. La obiettiva tipologia e la gravità della menomazione subita (semi-amputazione dell'arto inferiore di un minore) giustificano un incremento di tale importo, in un'ottica di doverosa personalizzazione del risarcimento.

I genitori del minore vittima di un incidente stradale subiscono una lesione del rapporto parentale, sul piano sia relazionale che morale. Va risarcito il danno non patrimoniale conseguente all'aver assistito il figlio e averne condiviso sofferenze e disagi.

Il caso

Un bambino di quattordici anni viene investito mentre cammina nella parte erbosa esterna alla carreggiata, al di fuori della sede stradale. In seguito all'incidente riporta gravi lesioni, che determinano la semi-amputazione della gamba sinistra.

I genitori del minore convengono in giudizio la società designata dal Fondo di Garanzia Vittime della Strada, stante l'impossibilità di risalire all'identità dell'investitore. Chiedono il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti dal figlio e il risarcimento dei danni non patrimoniali da lesione del rapporto parentale loro occorsi.

La questione

a) Può il danno morale ed esistenziale essere liquidato in aggiunta e separatamente dal danno biologico?

b) Può riconoscersi in capo ai genitori della vittima sopravvissuta all'incidente un danno da lesione del rapporto parentale?

Le soluzioni giuridiche

a) La liquidazione del danno morale.

Il Tribunale di Trieste ha applicato una percentuale di aumento del 15% sull'importo indicato per il danno biologico, in considerazione dei particolari pregiudizi subiti dal minore nella sfera morale e dinamico-relazionale. Tali pregiudizi vanno liquidati in aggiunta al danno biologico, nella parte in cui integrino evenienze eccezionali; le conseguenze normali del danno sono invece già ricomprese nei parametri elaborati dal Tribunale di Milano, aggiornati da ultimo nel 2014 (cd. tabelle milanesi, per un maggior approfondimento si veda anche D.SPERA, Le Supreme Corti hanno validato le tabelle milanesi e ora ispirano l'osservatorio di Milano nelle proposte di nuove tabelle, in Ridare.it; D.SPERA, Tabella del Tribunale di Milano, in Ridare.it; ).

Alla base del suddetto aumento percentuale stanno le esigenze di personalizzazione dell'importo risarcitorio (Cass. civ., 18 giugno 2015, n. 12594, V.PAPAGNI, L'obbligatorietà della personalizzazione del danno non patrimoniale in Ridare.it). Secondo il Tribunale, tali esigenze risiedono nella obiettiva tipologia e gravità della menomazione subita dal minore, che ha comportato «un peculiare ordine di pregiudizi, specie in termini di rilevante turbamento presumibilmente prodottosi nella sfera psicologica e relazionale». Ciò, nonostante il Tribunale rilevi l'assoluta povertà di allegazioni attoree in fatto, ad esempio circa le pregresse abitudini del ragazzo (si v. infra per un rilievo sul sapore apodittico di tale passaggio argomentativo).

La pronuncia in commento si inserisce nel dibattito sulla natura onnicomprensiva del danno biologico e sulla concezione unitaria del danno non patrimoniale. Sullo sfondo di tale dibattito si pone la ricerca di un punto di equilibrio tra l'esigenza di evitare duplicazioni risarcitorie di un medesimo pregiudizio e l'esigenza di garantire l'integralità del risarcimento del danno (per un maggior approfondimento, si veda anche A.PENTA, Alla ricerca del giusto equilibrio tra l'integrale risarcimento del danno ed il rischio di duplicazioni risarcitorie, in Ridare.it). Peraltro, tale contrasto giurisprudenziale è stato icasticamente definito come «una battaglia contro i “mulini a vento”» (così D.SPERA, Il danno non patrimoniale (biologico, morale, esistenziale) è risarcibile solo come danno da sofferenza?, in Ridare.it) e come «un contrasto puramente nominale» (così M.ROSSETTI, La Corte di Cassazione e il danno non patrimoniale, in Ridare.it), non essendo condivisibile il presupposto su cui si fonda, ossia che la valutazione unitaria del danno non patrimoniale comporti una liquidazione ridotta del danno (su tale dibattito si veda, da ultimo, il Forum aperto in Ridare.it Il danno non patrimoniale (biologico, morale, esistenziale) è risarcibile solo come danno da sofferenza?).

Secondo un primo orientamento, le componenti morali ed esistenziali del danno vanno liquidate in aggiunta e separatamente (d)al danno biologico, non essendo in esso ricomprese. La sofferenza dell'individuo andrebbe scinta in due diverse componenti, ontologicamente distinte e autonomamente risarcibili: il dolore interiore, cd. danno morale, e le alterazioni della vita quotidiana e di relazione, cd. danno esistenziale. A sostegno di tale ricostruzione vengono addotti alcuni recenti interventi normativi e giurisprudenziali. In particolare, il d.P.R. n. 37/2009 art. 5, manifesterebbero la volontà di distinguere il danno morale dal danno biologico; l'art. 612-bis c.p., nell'incriminare la fattispecie degli atti persecutori, distingue il “grave stato di ansia o di paura” (danno morale) dall'alterazione delle proprie abitudini di vita (danno esistenziale), così avallando l'autonomia delle due categorie. Infine, viene portata a sostegno dell'orientamento in parola la recente sentenza della Corte costituzionale (C. cost. n. 235/2014) che, secondo alcuni, riconoscerebbe come autonoma la categoria del danno morale (su tutto ciò si v. da ultimo Cass. civ., 20 aprile 2016, n. 7766; Cass. civ., 3 ottobre 2013, n. 22585; Cass. civ, sez. lav., 28 giugno 2013, n. 16413; Cass. civ., 30 giugno 2011, n. 14402, in merito all'applicazione delle tabelle bresciane. Per un maggior approfondimento, si veda anche M.FLAMINI, Il risarcimento delle differenti componenti del danno non patrimoniale: note a margine della sentenza n. 7766/2016, in Ridare.it; A.SCALERA, Danni non patrimoniali: la Cassazione ritorna sul danno esistenziale e sul danno morale, in Ridare.it).

Secondo un diverso orientamento, più aderente alle soluzioni accolte dalle c.d. sentenze di San Martino e a cui aderisce la pronuncia in commento, il danno morale e il danno esistenziale non corrispondono a categorie di danno indipendenti e autonomamente risarcibili, ma a voci della unitaria categoria del danno non patrimoniale. Certo, il danno biologico, il danno morale e il danno esistenziale rappresentano pregiudizi diversi da un punto di vista fenomenologico, ma vanno liquidati unitariamente e congiuntamente: solo così è possibile rispondere all'esigenza di evitare una duplicazione risarcitoria del medesimo pregiudizio. D'altro canto, ciò non comporta una liquidazione ridotta e non integrale del danno: il giudice potrà adeguare l'importo risarcitorio indicato dalle tabelle milanesi alle peculiarità del caso concreto, tramite la percentuale di personalizzazione. Secondo l'orientamento in parola, dunque, la liquidazione del danno alla persona indicato dalle tabelle ricomprende tutti i pregiudizi normalmente derivanti da quel tipo di evento, risultandone escluse solamente le conseguenze eccezionali legate alle peculiarità concrete della fattispecie (Cass. civ., 13 agosto 2015, n. 16788, con nota di F.ROSADA, La liquidazione del danno non patrimoniale tra divieto di duplicazione delle poste di danno e divieto di negazione dell'integrale risarcimento in Ridare.it; Cass. civ., 7 novembre 2014, n. 23778, con nota di M.DI MARZIO, Danno non patrimoniale: un rotondo «no» alle duplicazioni risarcitorie in Ridare.it).

b) Il danno da lesione di rapporto parentale.

Il Tribunale di Trieste riconosce un'apprezzabile lesione del rapporto parentale, sul piano sia relazionale che morale. Liquida in via equitativa un risarcimento per ciascun genitore (invero di importo particolarmente modesto: 12.000 euro ciascuno), per aver assistito il figlio durante la degenza e nelle vicende successive e per averne visto e condiviso pesanti sofferenze e disagi. Nella quantificazione dell'importo risarcitorio vengono considerati, da un lato, l'obiettivo spessore, la durata e l'andamento nel tempo dei mutamenti di vita e dei turbamenti interiori presumibilmente conseguiti all'evento; dall'altro, la compresenza di altri figli, che, secondo il Tribunale, assicura una condivisione del dolore o una maggiore sopportazione.

La sentenza si colloca nel filone giurisprudenziale, ormai consolidato tra le pronunce di merito (M. TAMPIERI, Il danno non patrimoniale. La lesione di valori costituzionalmente tutelati, Padova, 2015, spec. p. 67) e accolto dalla Corte di Cassazione (a partire da Cass. civ., Sez. Un., 1 luglio 2002, n. 9556; più recentemente, Cass. civ., 6 aprile 2011, n. 7844), che riconosce ai familiari della vittima superstite il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale da lesione del rapporto parentale. Tale danno rappresenta una conseguenza immediata e diretta del fatto dannoso, come richiesto dall'art. 1223 c.c., e consiste nell'alterazione delle dinamiche familiari conseguente alle lesioni e alla necessità di assistenza. A tale conclusione la giurisprudenza è giunta grazie a una rilettura del nesso di causalità giuridica di cui all'art. 1223 c.c. (applicabile anche alla responsabilità extracontrattuale stante il richiamo dell'art. 2056 c.c.). In particolare, rientrerebbe nell'area del danno risarcibile il danno che, secondo il principio della cd. regolarità causale, si presenti come un effetto normale del fatto dannoso.

Un precedente orientamento riconosceva invece la sussistenza del danno parentale solamente in caso di morte del congiunto; in caso di lesione non mortale, invece, la sofferenza dei parenti veniva considerata una conseguenza mediata e indiretta dell'evento lesivo, in quanto tale non risarcibile. Tale orientamento valorizzava l'esigenza di evitare un'eccessiva dilatazione dell'area dei danni risarcibili e duplicazioni di spese a carico del danneggiante, sostenendo che il ristoro delle sofferenze patite dalla vittima comprendesse anche l'alterazione della serenità e tranquillità familiare (ex multis, Cass. civ., sez. lav., 23 febbraio 2000, n. 2037; Cass. civ., 17 novembre 1997, n. 11396; Cass. civ., 21 maggio 1996, n. 4671).

Osservazioni

La sentenza in commento offre buona prova dell'applicazione giurisprudenziale dell'art. 2054 c.c., in tema di responsabilità da circolazione di veicoli.

La pronuncia muove dall'accertamento dell'an debeatur, escludendo il concorso di colpa del danneggiato e riconoscendo la piena addebitabilità dell'evento alla condotta dell'automobilista. Tale condotta è riconosciuta come un fattore di per sé sufficiente a interrompere un qualsiasi eventuale nesso con una condotta improvvida della vittima, comunque non dimostrata (sull'accertamento del nesso di causalità si veda anche L.BERTI, Il nesso di causa nella responsabilità civile, in Ridare.it).

La motivazione prosegue quindi con la definizione del quantum debeatur, in relazione al danno non patrimoniale e patrimoniale.

La componente biologica del danno non patrimoniale, legata all'inabilità temporanea e ai postumi dell'incidente, tiene conto del fatto che l'amputazione dell'arto è idonea alla protesizzazione: questa vale ad attenuare il danno, evidentemente inteso come danno-conseguenza. La componente morale ed esistenziale del danno è invece liquidata in considerazione della particolare gravità della fattispecie concreta, che il Tribunale dichiara “innegabile”, nonostante l'assoluta povertà di allegazioni attoree su tale profilo (richiede almeno l'allegazione attorea di fatti su cui fondare il metodo presuntivo Trib. S.M. Capua Vetere, 21 giugno 2016). Per quanto condivisibile nel merito, la valutazione del Tribunale colpisce per l'ottica assertivamente favorevole al danneggiato, che pare giustificata da ragioni apoditticamente esposte e slegata dalle rigorose regole probatorie cui dovrebbe sottostare il giudizio risarcitorio. Appare invece condivisibile la soluzione di liquidare in aggiunta al danno biologico solamente le conseguenze eccezionali dell'evento lesivo, sul piano morale e relazionale: una diversa posizione rappresenterebbe una «inesattezza logica, obiettivamente smentita dai “Criteri” di applicazione e dalla tecnica di redazione della Tabella milanese» (così D.SPERA, Il danno non patrimoniale (biologico, morale, esistenziale) è risarcibile solo come danno da sofferenza?, in Ridare.it).

La domanda in tema di risarcimento del danno patrimoniale consente al Giudice alcune considerazioni in punto di lucro cessante. In particolare, si legge che non vi è alcun automatismo tra l'accertamento di un'invalidità permanente e il riconoscimento del danno da lucro cessante, inteso come perdita della capacità lavorativa specifica. Infatti, mentre l'incapacità lavorativa generica è ricompresa nel danno biologico, la liquidazione di un ulteriore danno per perdita della capacità lavorativa specifica presuppone la prova di eventuali percorsi professionali in itinere al momento dell'incidente, o mere aspettative in tal senso, non fornita dall'attore (si v. anche Cass. civ., 14 ottobre 2015, n. 20615, con nota di R.BERTI, I criteri utilizzati per liquidare il danno non patrimoniale da incapacità di guadagno devono soddisfare la regola dell'integralità del risarcimento, in Ridare.it; Cass. civ., 30 luglio 2015, n. 16197, con nota di M.DI MARZIO, Novità dalla Cassazione in tema di liquidazione del danno patrimoniale futuro mediante capitalizzazione in Ridare.it).

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