Detraibilità degli assegni di invalidità versati dall’Inps dal risarcimento del danno patrimoniale

Renato Fedeli
08 Maggio 2015

Dal risarcimento del danno patrimoniale che il danneggiante deve corrispondere all'infortunato, per evitare una sua ingiustificata locupletazione ed un corrispondente ingiustificato aggravio degli obbligati, deve detrarsi la capitalizzazione della rendita dell'INAIL e non soltanto i ratei già corrisposti, perché per la surroga di questo, stante la certezza e l'automatismo delle prestazioni previdenziali, è sufficiente la comunicazione di tale volontà dell'Istituto, determinante altresì l'impossibilità per il terzo responsabile di opporgli eventuali successivi accordi con il danneggiato.
Massima

Dal risarcimento del danno patrimoniale che il danneggiante deve corrispondere all'infortunato, per evitare una sua ingiustificata locupletazione ed un corrispondente ingiustificato aggravio degli obbligati, deve detrarsi la capitalizzazione della rendita dell'INAIL e non soltanto i ratei già corrisposti, perché per la surroga di questo, stante la certezza e l'automatismo delle prestazioni previdenziali, è sufficiente la comunicazione di tale volontà dell'Istituto, determinante altresì l'impossibilità per il terzo responsabile di opporgli eventuali successivi accordi con il danneggiato.

Il caso

L'assicuratore del responsabile di incidente stradale che ha causato macrolesioni a un motociclista propone appello avverso la sentenza che condanna conducente, proprietario e il medesimo assicuratore al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, patiti dal predetto motociclista e dai congiunti, moglie convivente e madre non convivente. Il primo giudice aveva liquidato a favore della vittima primaria il danno conseguente alla lesione del bene salute e il danno patrimoniale da lucro cessante, essendo stata accertata la diminuzione reddituale della vittima, oltre al danno dei congiunti, conseguente alla lesione del rapporto parentale derivante dal deterioramento dei rapporti conseguente alle lesioni gravissime subite dalla vittima primaria.

Al giudice all'appello vengono poste numerose questioni, sia dalla Compagnia, appellante principale, che dai danneggiati, appellanti incidentali.

Si affronteranno in questa sede quelle relative al danno patrimoniale patito dalla vittima primaria, sotto il particolare profilo della prova del danno da incapacità lavorativa specifica e della detraibilità delle somme erogate, a titolo di pensione di invalidità, dall'INPS, nonché del danno da perdita di chances di avanzamento di carriera.

La questione

Si chiede la Corte milanese:

a) se il giudice, oltre a dover accertare in quale misura la menomazione fisica abbia inciso sulla capacità lavorativa del soggetto e sulla sua capacità di guadagno, sia tenuto anche a verificare se e in quale misura nel soggetto leso persista o residui, dopo e malgrado l'infortunio patito, una capacità ad attendere al proprio o ad altri lavori confacenti alle sue attitudini nonché alle sue condizioni personali e ambientali;

b) se dall'ammontare del risarcimento del danno patrimoniale riconosciuto al danneggiato vada detratto anche quanto versato dall'INPS a titolo di assegni di invalidità;

c) se esista e, in caso affermativo, come vada calcolato un danno da perdita di chances da mancato avanzamento di carriera del danneggiato, la cui capacità lavorativa è stata ridotta in misura totale.

Alle prime due questioni la Corte fornisce risposta positiva, per la terza offre una soluzione utilizzando il flessibile strumento della personalizzazione del danno.

Le soluzioni giuridiche

Per quanto riguarda il primo profilo, alla Corte si prospetta il caso di soggetto che all'epoca del fatto illecito percepisce reddito da lavoro subordinato, che ha subito, in conseguenza del sinistro stradale, una riduzione totale della propria capacità lavorativa specifica, accertata in c.t.u., e che, dopo i fatti di causa, dapprima ottiene aspettativa non retribuita e successivamente viene licenziato per superamento del periodo di comporto. Il danneggiato era elettricista addetto alla manutenzione degli ascensori e in conseguenza del fatto lo stesso risultava, all'esito di accertamenti peritali svolti in contraddittorio, del tutto privo di ogni residua capacità di attendere al proprio o ad altri lavori confacenti alle proprie attitudini e capacità.

La Corte, pertanto, non ritiene necessaria la prova ulteriore rispetto a quella già versata in atti, evidentemente costituita dall'esistenza del rapporto di lavoro fino alla data del fatto e dalle dichiarazioni dei redditi fino alla data della risoluzione del rapporto di lavoro per superamento del periodo di comporto.

Per giungere a tale conclusione, la Corte applica i principi conformi in giurisprudenza di legittimità, secondo cui per fornire prova del pregiudizio economico derivante da diminuzione o perdita di capacità lavorativa, il danneggiato è tenuto a dimostrare, anche tramite presunzioni, di svolgere un'attività produttiva di reddito e di non aver mantenuto, dopo l'infortunio, una capacità generica di attendere ad altri lavori confacenti alle sue attitudini personali (Cass. civ., sez. III, 21 aprile 2010, n. 9444). La Corte conferma quindi la sentenza di primo grado che ha correttamente accertato in quale misura la menomazione fisica abbia inciso sulla suddetta capacità (e, a sua volta, sulla capacità di guadagno), verificando se e in quale misura nel soggetto leso persista o residui, dopo e malgrado l'infortunio patito, una capacità ad attendere al proprio o ad altri lavori confacenti alle sue attitudini nonché alle sue condizioni personali e ambientali in modo idoneo alla produzione di altre fonti di reddito, in sostituzione di quelle perse o ridotte. Solo all'esito della verifica positiva dei predetti elementi di giudizio, il giudice accerta se risulti una riduzione della capacità di guadagno e, in virtù di questa, del reddito effettivamente percepito: tale ultima diminuzione può essere ritenuta risarcibile sotto il profilo del lucro cessante.

Inoltre, la Corte ricorda che è onere del danneggiato allegare e provare, anche mediante presunzioni, che l'invalidità permanente abbia inciso, riducendola, sulla capacità di guadagno, potendo solo in tal caso la riduzione di reddito effettivamente percepito essere risarcita come lucro cessante (Cass. civ., sez. VI, ord., 27 giugno 2013, n. 16213).

Sulla base dei predetti principi, la Corte conferma il danno patrimoniale riconosciuto alla vittima primaria dal primo giudice.

Di rilevante interesse il secondo profilo, sempre riguardante il danno patrimoniale, esaminato dalla Corte, vale a dire la detraibilità, dall'ammontare totale del danno patrimoniale, delle erogazioni effettuate, nel caso di specie, dall'INPS, a titolo di assegni di invalidità.

In particolare, l'assicuratore del responsabile civile ha documentato che l'istituto previdenziale ha agito in rivalsa nei confronti dello stesso.

La Corte aderisce all'orientamento compiutamente rappresentato da Cass. civ., sez. III, 13 giugno 2014, n. 13537 (relativa a un caso di pensione di reversibilità erogata a favore dell'erede coniuge della vittima primaria), che ha osservato come non sia corretto il richiamo al principio della compensatio lucri cum damno, intesa come vera e propria compensazione tra crediti, invece che come a una vera e propria regola per l'accertamento dell'esistenza e dell'entità del danno, ex art. 1223 c.c. In sostanza, secondo la Suprema Corte, in ciò seguita dalla sentenza in commento, del lucro derivante da un fatto illecito occorre solo stabilire se esso sia conseguenza immediata e diretta del fatto illecito, ex art. 1223 c.c..

La citata pronuncia di legittimità, infatti, pienamente recepita dalla Corte milanese, ha chiarito come causa del diritto del danneggiato alle prestazioni assistenziali e/o previdenziali, nel caso in commento, assegni di invalidità INPS, non possa che essere ritenuto lo stesso fatto illecito che ha prodotto il pregiudizio patrimoniale, che deve essere oggetto di ristoro da parte del responsabile civile.

La Corte ha quindi detratto dal risarcimento del danno patrimoniale dovuto al danneggiato la capitalizzazione della rendita dell'INAIL e non soltanto i ratei già corrisposti, perché per la surroga di questo, stante la certezza e l'automatismo delle prestazioni previdenziali, è sufficiente la comunicazione di tale volontà dell'Istituto, determinante altresì l'impossibilità per il terzo responsabile di opporgli eventuali successivi accordi con il danneggiato.

D'altronde, gli artt. 1909 e 1910 c.c., prevedendo in materia assicurativa il principio indennitario, escludono che la vittima possa cumulare risarcimento e indennizzo.

Infine, il terzo profilo attinente la risarcibilità del danno patrimoniale del macroleso. Il gravame sul punto è proposto dal danneggiato, il quale censura la sentenza del Tribunale laddove non viene riconosciuto il danno da perdita di chances per mancato avanzamento di carriera del danneggiato.

La Corte conferma la sentenza, ricordando che la perdita della chance non rappresenta una perdita d'utilità già acquisite, né una perdita d'utilità future, ma certe. Pertanto, chi perde una chance perde una speranza d'incremento patrimoniale, subisce un danno futuro da lucro cessante, e le circostanze alle quali viene subordinato il risarcimento sono le medesime: esistenza di un valido nesso causale, ragionevole probabilità della verificazione futura del danno, desumibile anche in via presuntiva ma pur sempre sulla base di circostanze di fatto certe e puntualmente allegate.

Proprio la carenza di prova del danno futuro da lucro cessante viene rilevata dalla Corte, la quale osserva come non sia a ciò idonea una semplice lettera del datore di lavoro relativa a un generico progetto coinvolgente il danneggiato, peraltro successiva di oltre un anno al fatto illecito.

Viene, pertanto, condivisa la soluzione del Tribunale, che aveva incrementato del 20% il danno non patrimoniale del danneggiato, anche a integrazione del danno patrimoniale, quale la perdita di chances, non agevolmente dimostrabile.

Osservazioni

I principi in tema di danno patrimoniale rappresentato dalla perdita della capacità reddituale e di guadagno sono stati esaustivamente sintetizzati nella sentenza, senza alcun “cedimento” in ordine agli oneri di allegazione e prova delle parti.

Di particolare interesse il profilo relativo alla detraibilità delle erogazioni effettuate dall'INPS e il richiamo a Cass. civ., sez. III, 13 giugno 2014, n. 13537, che, insieme alla quasi coeva Cass. civ., sez. III, 11 giugno 2014,n. 13233, relativa alla non cumulabilità tra indennizzo derivante da polizza infortuni e risarcimento del danno, costituisce una delle principali novità nel dibattito sulla responsabilità civile.

Caratterizzata da spiccato senso pratico va ritenuta, ad avviso di chi scrive, anche la soluzione ratificata dalla Corte in ordine alla risarcibilità del danno da perdita di chances, riconosciuto attraverso lo strumento dell'incremento personalizzato “tabellare” del danno non patrimoniale, anziché con i criteri di accertamento del danno patrimoniale.

Quasi che le categorie del danno risarcibile, patrimoniale e non patrimoniale, rappresentassero, per la Corte milanese, delle “sliding doors” che consentono di sopperire alle carenze probatorie delle parti e non invece dei profili risarcitori soggetti a rigorosi e distinti criteri di accertamento.

In tema di risarcimento del danno, il nostro ordinamento si uniforma al “principio dell'indifferenza” (Cass. n. 13537/2014): al danneggiato deve essere pecuniariamente indifferente subire il danno oppure subire il danno ma essere risarcito.

Solo parzialmente la sentenza in commento fa applicazione di tale principio, laddove utilizza strumenti tipici del danno non patrimoniale, la personalizzazione, per riconoscere voci di danno patrimoniale che, secondo i corretti principi probatori, non dovrebbero ritenersi provate.

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