Mancata adozione delle cinture di sicurezza: concorso colposo del danneggiato e risarcimento diretto

Francesco Meiffret
08 Maggio 2017

Costituisce comportamento colposo del passeggero, che influisce sulla quantificazione del risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, la mancata adozione delle cinture di sicurezza.
Massima

Accertata la responsabilità del conducente per un incidente stradale con esito mortale per il conducente e per il passeggero, costituisce comportamento colposo di quest'ultimo, che influisce sulla quantificazione del risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale, la mancata adozione delle cinture di sicurezza. Nel verificare l'incidenza di tale condotta sulla liquidazione del danno il Giudice deve valutare, sulla base di leggi medico scientifiche, le possibili conseguenze che il sinistro avrebbe comportato qualora le cinture di sicurezza non fossero risultate a riposo. Deve, inoltre, tenere in considerazione che costituisce un obbligo di protezione a carico del conducente assicurarsi che il passeggero, durante il trasporto, abbia le cinture allacciate.

La parte soccombente, se condannata anche al pagamento delle spese processuali di controparte, non può usufruire dei vantaggi economici derivanti dall'ammissione al gratuito patrocinio di parte vincitrice, ovvero la liquidazione delle spese del difensore in misura dimezzata e l'anticipazione delle stesse da parte dello Stato.

Il caso

Tizio e Caio muoiono in un incidente stradale. Si apre un procedimento civile tra i parenti di Tizio e di Caio e l'assicurazione di Tizio, che era proprietario dell'autoveicolo coinvolto nel sinistro.

I parenti di Tizio sostengono che alla guida del veicolo vi fosse Caio, mentre quelli di Caio affermano il contrario. Dalla questione deriva l'identificazione di quale famiglia, tra le due, possa essere considerata “vittima secondaria del sinistro”, l'unica, quindi, risarcibile dall'assicurazione, che chiede peraltro la riduzione del danno da ristorare poiché entrambe i passeggeri non avevano le cinture allacciate al momento dell'incidente.

L'approfondita CTU determina che Tizio era alla guida dell'auto. Dal dispositivo della sentenza si evince che il Giudice accoglie tale conclusione e, di conseguenza, solo i parenti di Caio possono essere considerati vittime secondarie dell'incidente. Il Giudice accoglie inoltre l'eccezione dell'assicurazione dell'autovettura riconoscendo il concorso di colpo del danneggiato che non aveva le cinture allacciate, attribuendo a tale omissione un'incidenza del 20% che quindi si riflette sull'entità del risarcimento del danno riconosciuta ai prossimi congiunti.

Il Giudice dedica un ampio capo della sentenza alla determinazione delle spese processuali, soffermandosi in particolar modo sulla liquidazione a favore dell'avvocato della madre di Caio.

Quest'ultima, inizialmente, era stata ammessa al gratuito patrocinio ma, nelle more del procedimento, aveva superato i limiti economici per l'ammissione al gratuito patrocinio, come evidenziato dal proprio difensore nell'istanza di liquidazione presentata durante la fase conclusiva del procedimento.

Il Giudice revoca ex tunc il provvedimento di ammissione condannando parte soccombente al pagamento diretto delle spese processuali di tutto il procedimento e in base ai normali parametri, senza il dimezzamento di quanto dovuto.

Le questioni

Come si calcola l'incidenza del comportamento negligente del passeggero che non aveva le cinture allacciate al momento dell'incidente nella quantificazione del danno a favore dei suoi prossimi congiunti?

La parte dichiarata soccombente e condannata al pagamento delle spese processuali può usufruire dei vantaggi economici derivanti dall'ammissione del gratuito patrocinio di parte dichiarata vincitrice, ovvero l'anticipazione da parte dello Stato del compenso liquidato al difensore in misura dimezzata ex art. 133 d.P.R. n. 115/2002?

Le soluzioni giuridiche

La risposta al primo quesito verte sull'art. 1227 c.c., che disciplina il concorso colposo per fatto del creditore. Nella sentenza in commento la condotta colposa del terzo trasportato consiste nel mancato utilizzo degli strumenti di ritenzione; secondo il Giudice, infatti, il mancato utilizzo da parte di Caio delle cinture ha un'incidenza causale pari al 20%.

La CTU ha acclarato un'elevata probabilità che Caio, anche con le cinture allacciate, sarebbe comunque deceduto a causa dell'eccessiva velocità e dell'angolo dell'impatto, sostenendo che nella migliore delle ipotesi avrebbe patito lesioni macro permanenti.

Ciò che rileva al fine di determinare l'incidenza della condotta colposa del danneggiato è se il comportamento di quest'ultimo abbia eziologicamente influito nella determinazione dell'evento dannoso e sulle sue conseguenze (per un maggior approfondimento, vedi anche M. LIGUORI, Concorso colposo del creditore e nesso causale nell'ipotesi di incidente stradale con veicolo con revisione obbligatoria scaduta in Ridare.it; in giur. si veda Cass. civ., sez. VI, 4 novembre 2016, n. 22351, REDAZIONE SCIENTIFICA, Il risarcimento è ridotto se la vittima dell'incidente stradale non allaccia le cinture di sicurezza in Ridare.it).

Un ulteriore fatto valutato dal Giudice è l'inutilizzo delle cinture anche da parte del conducente. La CTU sottolinea che, per via delle dinamiche dell'incidente, Tizio potrebbe essere stato scagliato contro Caio, cagionando la morte di entrambi.

Il Giudice rileva che il conducente ha un obbligo di protezione nei confronti del passeggero e deve, quindi, verificare che quest'ultimo abbia allacciato le cinture, rifiutandosi di proseguire nella marcia in caso di suo diniego. In base a quest'ultima deduzione il comportamento omissivo di Caio è imputabile anche a Tizio (Cass. civ., sez. III, 11 marzo 2004 n. 4993). La sentenza in commento mostra di aderire all'impostazione secondo la quale nel caso di circolazione dei mezzi stradali non rileva unicamente la colpa specifica, ovvero la violazione di determinate norme o regolamenti, ma anche quella generica basata su comportamenti non ispirati ai canoni di diligenza, prudenza e perizia ex art. 1176 c.c. (cfr. Cass. civ., Sez. Un., 21 novembre 2011, n. 24406). Nonostante il destinatario dell'obbligo giuridico di utilizzare le cinture sia il soggetto che detto dispositivo deve utilizzare, questo non esime il conducente, in base all'art. 1176 c.c. dall'adoperarsi affinché il passeggero le addotti.

La sentenza in commento offre poi una disamina della disciplina dell'ammissione al gratuito patrocinio presente nel d.P.R. n. 115/2002, così come è stata recentemente modificata dalla legge 28 dicembre 2015 n. 208.

Il Giudice rileva come l'introduzione, con la legge testé citata, del comma 3-bis all'art. 83 del d.P.R. n. 115/2002 evidenzi la volontà del Legislatore di sincronizzare la decisione sulle spese, e, quindi, sul gratuito patrocinio, con quella attinente il merito della controversia.

La decisione in unico provvedimento permette un'ottimizzazione delle risorse umane del sistema giudiziario impedendo una duplicazione dei provvedimenti. Ma anche dal punto di vista economico questa soluzione comporta un risparmio. Poiché la parte dichiarata soccombente è quella non ammessa al gratuito patrocinio, non ha senso che questa possa beneficiare della circostanza che lo Stato anticipi le sue spese per poi rifarsi su di essa. Inoltre costituisce un irragionevole trattamento di sfavore a danno del difensore che assiste la parte ammessa al gratuito patrocinio vedersi dimezzato il proprio compenso nel caso, come quello di cui trattasi, di vittoria nel merito della propria assistita. Per questi motivi, fornendo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'istituto del patrocinio a spese dello stato, revoca ab origine l'ammissione al gratuito patrocinio e condanna la parte soccombente alla rifusione in base ai normali parametri delle tabelle professionali per tutte le fasi del procedimento.

Osservazioni

A sommesso parere dello scrivente desta perplessità l'elevata incidenza causale (20%) rilevata dal Giudice tra mancato utilizzo delle cinture e il danno conseguenza da risarcire. Partendo dal presupposto che sussiste un concorso di colpa tra conducente e passeggero in relazione alla mancata adozione delle cinture di sicurezza da parte di quest'ultimo, significa che tale concausa avrebbe inciso al 40% sul verificarsi dell'evento in base all'art. 2055 c.c.

Questa risoluzione pare stridere con le conclusioni della CTU, dalla quale si evince che con ogni probabilità il conducente sarebbe comunque deceduto anche con le cinture allacciate.

Dal momento che l'adozione delle cinture di sicurezza non avrebbe presumibilmente cambiato l'esito dell'incidente, il riconoscimento di tale comportamento come concausa del decesso potrebbe essere motivo di censura in appello.

È opportuno evidenziare come la determinazione dell'incidenza causale di una concausa costituisce una valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. civ., sez. VI, 4 novembre 2016, n. 22351).

L'onere della prova sull'incidenza e sul mancato utilizzo delle cinture di sicurezza da parte del passeggero spetta alla parte che ne eccepisce la rilevanza in base all'art. 2697 c.c. (si vedano ad es. Trib. Genova, 12 ottobre 2003, Trib. Nuoro, 26 febbraio 2004). A ciò aggiungasi che parte della giurisprudenza ha evidenziato che la prova della mancata adozione delle cinture di sicurezza non può desumersi dalla gravità delle lesioni riportate nell'incidente stradale (Cass. civ., 2 marzo 2007, n. 4954).

Un altro indirizzo giurisprudenziale, infine ritiene che il giudice possa accertare d'ufficio l'eventuale concorso di colpa del danneggiato nella determinazione del danno, qualora tale evenienza risulti dai fatti dedotti in giudizio (Cass. civ., 6 luglio 2006 n. 15382 e Cass. civ., 23 gennaio 2006 n. 1213).

In base all'art. 136 del d.P.R. n. 115/2002 la revoca dell'ammissione al gratuito patrocinio ha effetto ex nunc qualora sia giustificata dalla modifica in melius delle condizioni economiche della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato. L'elemento di novità della sentenza è la revoca ex tunc al fine di evitare un'anticipazione di spese da parte dello Stato oltre che un'irragionevole dimezzamento dei compensi dell'avvocato per le prime fasi del giudizio. Questa possibilità viene agevolata dal più volte menzionato comma 3-bis all'art. 83 del d.P.R. n. 115/2002. Nel caso di specie la decisione non mostra possibili punti critici dal momento che la controparte è un'assicurazione e, quindi, un soggetto, salvo prova contraria, solvibile. Il problema potrebbe porsi nel caso in cui la parte soccombente non presti garanzie economiche sufficienti. In questo caso la revoca ex tunc comporterebbe solo un virtuale vantaggio economico per l'avvocato della parte inizialmente ammessa al gratuito patrocinio che dovrà adoperarsi per recuperare il proprio compenso con incerte probabilità di esito positivo. La stessa parte originariamente ammessa al gratuito patrocinio, inoltre, rischierebbe di vedersi chiedere i compensi liquidati a favore del proprio avvocato, peraltro in misura piena e non dimezzata. A maggior ragione detta problematica sussisterebbe in maniera ancor più accentuata nel caso in cui la parte ammessa al patrocinio avesse preservato i requisiti economici sino alla decisione. In sintesi il principio di diritto proposto della sentenza in commento non può applicarsi de plano ogniqualvolta la parte ammessa al gratuito patrocinio sia quella dichiarata vincitrice del procedimento con condanna alle spese a carico di controparte.

Si segnala, infine, in tema di gratuito patrocinio, la sentenza emessa dal Tribunale di Firenze (Trib. Firenze, sez. II, 13 dicembre 2016), ove si afferma che la possibilità di ammissione al patrocinio a spese dello Stato deve ricomprendere anche la fase di mediazione nelle materie in cui questa costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La sentenza ha carattere innovativo poiché ritiene che quest'attività, pur non potendosi definire giudiziale in senso stretto, debba comunque rientrare tra quelle i cui costi sono anticipati dallo Stato a favore dei meno abbienti ogni qualvolta l'esperimento del tentativo di conciliazione costituisca un passaggio prodromico obbligato per poter agire in giudizio in base a quanto statuito dal Legislatore. Diversamente opinando verrebbe violato l'art. 24, comma 3, Cost., in quanto sussisterebbe un ostacolo di carattere economico all'accesso alla giustizia.

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