I rapporti tra l'imperfetta compilazione della cartella clinica ed il nesso di causalità

Andrea Penta
08 Giugno 2017

Le omissioni nella redazione della cartella clinica possono rilevare come indizi gravi dell'omissione delle attività terapeutiche non annotate.
Massima

La mancata indicazione, nella cartella ostetrica, della distocia di spalla e delle manovre che sarebbe stato necessario eseguire costituisce, quanto meno, un indizio grave che essa non sia stata rilevata e affrontata al momento del parto.

Le omissioni nella redazione della cartella clinica o rilevano come espressione della mancanza di diligenza nell'esecuzione della prestazione professionale ovvero come indizi gravi dell'omissione delle attività terapeutiche non annotate.

La questione

Nella fattispecie analizzata dalla corte partenopea i genitori di un minorenne, in proprio e in rappresentanza del figlio, avevano convenuto una fondazione e due sanitari (il primo, per aver seguito la gravidanza ed essere stato presente al parto e, il secondo, per aver eseguito l'intervento), innanzi al Tribunale di Napoli, perché, accertata la loro responsabilità (contrattuale ed extracontrattuale) per i danni subiti dal minore e dalla madre (rispettivamente, lesione del plesso brachiale sinistro e cistrettocele con modico prolasso uterino e incontinenza urinaria da sforzo) in occasione del parto presso la casa di cura della fondazione, fossero condannati in solido al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, subìti.

Il giudice di primo grado, preso atto che (come ipotizzato dal CTU) durante il travaglio si era verificata una distocia di spalla, aveva ritenuto irrilevante la lacunosità della cartella clinica (non contenente alcun riferimento alla situazione anzidetta), essendo emerso dalla deposizione testimoniale dell'ostetrica che i sanitari si erano adoperati nelle manovre correttive necessarie all'espulsione del feto (cd. Manovra di Mc Roberts), ed esenti da colpa i convenuti, non ricorrendo le condizioni (la macrosomia fetale) che imponessero il ricorso al taglio cesareo e non essendovi la prova certa o altamente probabile che le lesioni di cui era affetto fin dalla nascita il minore potessero imputarsi a condotte omissive o, comunque, colpose degli stessi. In particolare, a dire del tribunale, era rimasto oscuro il nesso tra la condotta e le lesioni, senza che potesse, in via di probabilità statistica o soltanto presuntiva, porsi la causa delle lesioni come direttamente riconducibile al comportamento dei sanitari.

Gli originari attori avevano impugnato la sentenza, deducendo, tra l'altro, che i convenuti avrebbero dovuto allegare e provare, mediante le tempestive annotazioni contenute nella cartella clinica, di:

- aver previsto e valutato correttamente le dimensioni del feto (del peso di quattro chili e mezzo) e, soprattutto, la sproporzione feto-pelvica;

- aver correttamente eseguito, durante il parto, il monitoraggio fetale che avrebbe permesso di meglio valutare l'opportunità di effettuare un taglio cesareo;

- aver previsto e valutato correttamente la non necessità di ricorrere al parto cesareo;

- aver eseguito, in presenza della (prevedibile) distocia di spalla del feto, con tempestività corrette manovre correttive e, cioè, senza applicare un'eccessiva pressione e/o trazione sul corpo della madre e/o del neonato.

In particolare, per quanto qui rileva, gli appellanti avevano criticato le considerazioni del giudice di primo grado sull'irrilevanza della non eccessiva cura nella compilazione della cartella clinica, con riferimento all'epoca del fatto (1997) e all'assenza di altre evidenti ragioni che avessero concorso a determinarla, sia per la gravità delle omissioni sia perché i criteri di compilazione delle cartelle cliniche sono disciplinate fin dal 1969 (art. 7 del d.P.R. 27 marzo 1969 n. 128), sia perché l'omissione non aveva, a loro dire, altra più probabile spiegazione se non quella che i sanitari non si fossero accorti della distocia.

La questione

Su chi ricade l'incertezza in ordine all'esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno lamentato dal paziente, nel caso in cui, all'esito del giudizio, la ricostruzione degli fatti occorsi sia risultata impossibile anche in ragione dell'incompleta compilazione della cartella clinica?

Le soluzioni giuridiche

Fermo restando che la condizione patologica permanente riscontrata dal CTU. era derivata dalla distocia di spalla manifestatasi al momento del parto e che quest'ultima era facilmente diagnosticabile, la corte territoriale evidenzia che la mancata menzione nella cartella clinica di alcuna complicanza e, tanto meno, dell'esecuzione di provvedimenti terapeutici e di manovre correttive non deponeva a favore degli appellati, vieppiù se si considera che nella cartella del neonato era stata riportata la patologia da cui era risultato affetto il neonato (i.e., la paralisi superiore del plesso brachiale). Invero, i sanitari incaricati di assistere al parto avrebbero dovuto riportare nella cartella ostetrica la distocia della spalla e dare conto, nel medesimo documento, delle manovre adottate per farvi fronte.

In definitiva, la detta mancata indicazione costituiva, quanto meno, un indizio grave che la complicanza in questione non fosse stata rilevata e affrontata al momento del parto. Non vi era alcuna ragionevole spiegazione della lacunosità della cartella ostetrica, non superata dalla successiva annotazione della patologia del neonato, riferibile alla visita pediatrica, tanto più che la distocia della spalla è una complicanza in grado di produrre anche conseguenze gravi sulla salute del neonato. E così le omissioni nella redazione della cartella clinica o rilevavano come espressione della mancanza di diligenza nell'esecuzione della prestazione professionale ovvero come indizi gravi dell'omissione delle attività terapeutiche non annotate.

Secondo la corte locale, la spiegazione data dai convenuti all'omissione nella cartella clinica (la non eccessiva cura nella sua compilazione all'epoca del fatto: 1997), ritenuta plausibile dal giudice di primo grado, è, invece, del tutto inconsistente, sia perché la corretta compilazione della cartella clinica era già da tempo normativamente disciplinata, sia perché un'eventuale trascuratezza è concepibile per informazioni attinenti ad elementi accessori dell'attività terapeutica prestata per l'assistenza al parto e non, invece, per quella che, nella fattispecie, era risultata come la più grave, se non l'unica, complicanza manifestatasi.

In conclusione, posto che spettava ai sanitari la prova di aver individuato, al momento del parto, la distocia della spalla e di aver adottato le manovre necessarie per escludere o, almeno, ridurre le conseguenze sulla salute del neonato, la grave presunzione negativa derivante dalla mancata annotazione in cartella clinica non poteva dirsi superata dall'unica testimonianza acquisita, non sufficientemente attendibile.

La manovra omessa (quella di Mc Roberts o altra di pari efficacia) avrebbe, secondo un criterio di consistente probabilità statistica (riassunto nell'espressione del “più probabile che non”), evitato la patologia sofferta dal neonato, che, come da informazione resa dal CTU, si produce, in caso di distocia alla spalla, nel venti per cento circa dei casi nonostante la manovra correttiva.

a) L'incompletezza della cartella clinica e la presunzione del nesso di causalità: il principio di prossimità (o vicinanza) della prova.

Cass. civ., sez. III, 8 novembre 2016 n. 22639: ritiene che proprio nell'incompletezza della cartella clinica sia ravvisabile, anche in virtù del principio di prossimità della prova, il presupposto perché scatti la prova presuntiva del nesso causale a sfavore del medico, nel caso in cui la sua condotta «sia astrattamente idonea a cagionare quanto lamentato».

Ripercorrendo il consolidato orientamento giurisprudenziale (da ultimo, Cass. civ., sez. III, 27 aprile 2010, n. 10060), la Corte evidenzia che la difettosa tenuta della cartella clinica non basta ad escludere il nesso causale tra la colposa condotta del medico e le conseguenze dannose riportate dal paziente, se tale condotta risulta idonea a provare il danno, ma anzi consente di ricorrere alle presunzioni, poiché l'imperfetta compilazione della cartella non può diventare un danno nei confronti di chi ha diritto alla prestazione sanitaria (Cass. civ., sez. III, 26 gennaio 2010, n. 1538; cfr. altresì Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008 n. 577; si veda anche Cass. civ., sez. III, 21 luglio 2011 n. 15993, Cass. civ., 12 settembre 2013 n. 20904 e Cass. civ., sez. III, 12 dicembre 2013 n. 27855; nella giurisprudenza di merito, Trib. Milano, sez. I, 3 dicembre 2014, n. 14401, in Red. Giuffrè 2015).

Nella giurisprudenza di merito, Trib. Milano, sez. I, sent. 14 aprile 2016 n. 4694, non essendovi, in presenza di vizi di compilazione della cartella clinica, elementi per ricondurre l'incidente occorso al minore ad una evenienza imprevedibile e non altrimenti evitabile e non essendo stato provato, altrimenti, il corretto adempimento dei sanitari, ha condannato la struttura sanitaria al pagamento di una somma di oltre quattro milioni e mezzo di euro in favore del minore e del padre, anche al fine di far fronte agli esborsi necessari per l'adeguamento dell'abitazione. In tal guisa ragionando, ha condiviso l'orientamento giurisprudenziale, secondo cui la tenuta difettosa della cartella clinica consente di ritenere provata, tramite il ricorso alle presunzioni, il nesso eziologico tra la condotta dei medici e la patologia patita dal paziente, ove risulti accertata l'idoneità di tale condotta a provocarla e qualora la prova del corretto adempimento non possa essere fornita, a causa di un comportamento ascrivibile proprio alla parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato. Nel caso di specie, il Tribunale di Milano ha inteso ripartire l'onere probatorio, tenendo conto della possibilità di ognuna delle parti di provare i fatti e le circostanze che ricadono nelle rispettive sfere d'azione, in ossequio al principio della c.d. vicinanza della prova, ponendo a carico della parte nella cui sfera d'azione si era svolto il fattore da provare (ossia la struttura) un maggiore onere (cfr., in tal senso, anche Trib. Roma, sez. II, 12 gennaio 2009, n. 396, in Guida al diritto 2009, 20, 90).

b) L'obbligo di redazione completa della cartella clinica ed il dovere di diligenza.

Secondo Cass. civ., sez. III, 5 luglio 2004, n. 12273, il medico ha l'obbligo di controllare la completezza e l'esattezza della cartella clinica, la cui violazione configura difetto di diligenza ex art. 1176, comma 2, c.c. ed inesatto adempimento della corrispondente prestazione medica. In particolare, poiché tra i diversi obblighi dei sanitari, ricade anche quello di controllare la completezza e l'esattezza del contenuto della cartella clinica, si deve altrimenti presumere un difetto di diligenza ex art. 1176, comma 2, c.c., in termini di inesatto adempimento della prestazione dovuta (conf. Cass. civ., sez. III, 18 settembre 2009, n. 20101, in Giust. civ. Mass. 2009, 9, 1329; si veda, in merito, anche gli artt. 5 e 7 del d.P.R. 27 marzo 1969 n. 128, in tema di soggetti responsabili della compilazione e conservazione della cartella clinica). Il fatto che la cartella clinica sia redatta dalla stessa parte che svolge la prestazione sanitaria comporta un'assoluta posizione di dominio del medico sulla principale prova documentale della propria condotta. In quest'ottica, pertanto, non è accettabile che il difetto di compilazione della cartella clinica possa tradursi in uno svantaggio processuale per il paziente, anziché per la parte cui il difetto di annotazione è imputabile (si veda, sul punto, anche la recente pronuncia della S.C., Cass. civ., sez. III, 31 marzo 2016 n. 6209, in Rassegna di diritto farmaceutico 2016, 3, 528, in una fattispecie di pretesa risarcitoria avanzata nei confronti dei sanitari e della struttura ospedaliera per omessa adeguata assistenza al parto e nella fase post-natale in presenza di un vuoto di ben sei ore nelle annotazioni della cartella clinica; in particolare, trattavasi di una neonata, nata poi con grave insufficienza mentale causata da asfissia perinatale, così da rendere incomprensibile se poteva essere più appropriata la rilevazione del tracciato cardiotocografico rispetto alla mera auscultazione del battito cardiaco del feto).

c) I presupposti per la configurabilità di un nesso eziologico in presenza di una cartella clinica incompleta.

L'incompletezza della cartella clinica diviene, come detto, una circostanza di fatto che il giudice può utilizzare per ritenere provata l'esistenza di un valido nesso di causa tra l'operato del medico ed il danno patito dal paziente. Perché questa presunzione operi, occorre, tuttavia, la concomitanza di due requisiti:

  • che l'incertezza in ordine al nesso di causa tra la condotta dei sanitari e il danno lamentato dal paziente sia conseguenza dell'incompleta compilazione della cartella clinica;
  • che il sanitario abbia posto in essere una condotta astrattamente idonea a causare il danno (v. Cass. civ., sez. III, 12 giugno 2015 n. 12218; si veda anche, sul punto, Cass. civ., sez. III, 13 settembre 2000 n. 12103 e Cass. civ., sent. n. 12273/2004).

A tal ultimo proposito, la possibilità che il danno patito dalla persona ricoverata presso una struttura sanitaria possa essere intervenuto per altre, ipotetiche cause patologiche, diverse da quelle diagnosticate ed inadeguatamente trattate, che non sia stato tuttavia possibile accertare in ragione della difettosa tenuta della cartella clinica o della mancanza d'adeguati riscontri diagnostici, non vale ad escludere la sussistenza di nesso eziologico tra la colposa condotta dei medici in relazione alla patologia accertata e il danno, ove risulti provata la idoneità di tale condotta a provocarla (Trib. Roma, sez. XIII, 20 maggio 2005, in Red. Giuffrè 2008).

d) La responsabilità sul piano contabile del medico nel caso di cartella clinica incompleta.

Nel caso in cui il risarcimento al paziente, in sede civile, sia stato versato direttamente dalla Struttura Sanitaria pubblica - magari perché non assicurata o perché la somma da riconoscere al paziente risultava compresa nella franchigia contrattuale -, non è da escludere che la presunzione di inadempimento attuata dal giudice civile, sulla base dell'impossibilità di ricostruire correttamente la vicenda, possa essere valutata dalla Corte dei conti come un'ipotesi di colpa grave del medico (dipendente pubblico), allorquando una adeguata compilazione della cartella clinica avrebbe potuto evitare l'esborso per la struttura sanitaria, in ragione della prova del corretto adempimento (sul punto, si rimanda alla sentenza resa dalla C. Conti, Sez. Reg. Emilia Romagna, 17 luglio 2014 n. 124 - che, nel valutare la gravità della colpa del medico, ha altresì tenuto conto della negligenza dello stesso per non aver correttamente annotato i fatti occorsi al paziente, nel diario operatorio e nella lettera di dimissioni, ritenendo l'incompleta redazione dell'atto operatorio e la mancata annotazione delle complicanze insorte al paziente come violazione diretta del dovere professionale). Pertanto, oltre a rispondere ad un interesse pubblico di tutela della salute del paziente, la cartella clinica garantisce altresì un interesse del medico e della struttura sanitaria (cfr. Trib. Roma, sez. XIII, sent. 13 novembre 2011), dal momento che una compilazione inadeguata della stessa può rappresentare un pregiudizio anche per questi ultimi, in relazione ai diversi profili descritti.

e) I riflessi sul piano deontologico dell'inadempimento dell'obbligo di redazione completa della cartella.

L'art. 26 del Codice deontologico medico definisce uno specifico onere di redazione della cartella clinica, fondato sui principi di completezza, chiarezza e diligenza, indicando specificamente le informazioni che il medico è tenuto a riportare nella stessa, quali i dati anamnestici e obiettivi relativi alla condizione clinica, le attività diagnostico-terapeutiche, il decorso clinico assistenziale, oltre ai tempi e ai modi dell'informazione e ai termini del consenso.

f) Le conseguenze nell'ambito del rapporto di lavoro.

L'inottemperanza del medico all'obbligo di controllare completezza ed esattezza del contenuto della cartella clinica configura difetto di diligenza nell'adempimento della prestazione lavorativa, da qualificarsi oggettivamente come di particolare gravità - avuto riguardo alla rilevante funzione che la cartella clinica assume, sotto il profilo sanitario, nei confronti del paziente e, indirettamente, nei confronti della struttura sanitaria a cui il paziente stesso si è affidato -, essendo, quindi, idonea a determinare l'irrimediabile lesione dell'elemento fiduciario e il conseguente recesso datoriale. Tuttavia, tali estreme conseguenze sono da escludersi, laddove lo stesso comportamento della parte datoriale sia stato tale da avere ingenerato, nel medico lavoratore dipendente, l'affidamento sulla tolleranza, da parte del datore, della sua indebita condotta (Cass. civ., sez. lav., 13 marzo 2009, n. 6218, in Giust. civ. Mass. 2009, 3, 454, ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento di un medico dipendente di una Casa di cura, avendo accertato che l'organizzazione del reparto, da parte del datore di lavoro, era caratterizzata dalla materiale indisponibilità, da parte del responsabile, delle cartelle cliniche successivamente alle dimissioni delle pazienti, con conseguente completamento delle stesse solo dopo che il sanitario veniva informato dell'esito degli esami istologici, e dal consentire che fossero i medici di fiducia dei pazienti, quando si avvalevano della struttura, a compilare le relative cartelle, anche in relazione alla diagnosi definitiva, e a firmare le dimissioni).

Osservazioni

La compilazione della cartella clinica è compito obbligatorio per i sanitari operatori di fondamentale importanza e di particolare delicatezza, garantendo tale (obbligatorio) documento la possibilità, attraverso le sue dettagliate descrizioni, di ricostruire minuziosamente le pratiche effettuate sul paziente. Se è vero che certe operazioni indispensabili sono così elementari e scontate da ritenersi implicite, e che ciò può giustificare che non ne venga fatta menzione specifica in cartella, non è ammissibile che vi siano omesse operazioni e pratiche che, se pur routinarie e ovvie, abbiano comunque una incidenza decisiva sul risultato dell'esame o dell'intervento e sulle sue eventuali possibili complicanze. Pertanto, anche indipendentemente dalla distinzione ontologica giurisprudenziale tra obbligazioni di mezzo e obbligazioni di risultato, resta il fatto che, in ogni caso, l'omissione non giustificabile in cartella clinica di descrizioni dovute su quanto praticato al paziente comporta l'onere da parte degli esecutori e, per essi, dell'Istituto ove questi avevano operato, di dimostrare, per escludere il nesso di causalità tra la condotta e l'evento dannoso verificatosi in conseguenza dell'esame o dell'intervento, che tutte le manovre indispensabili, pur se non descritte in cartella clinica, non erano state in realtà omesse, ma che esse erano state comunque eseguite dagli operatori ed erano state svolte con la dovuta perizia e con la prudenza del caso. In mancanza di tale prova, il comportamento omissivo rimane un dovere non assolto, si traduce in una condotta obbligatoria non adempiuta, si riverbera sull'imputabilità dell'evento ai sanitari operatori, e comporta il riconoscimento della responsabilità medica.

In applicazione di tale principio, qualora l'incertezza in merito alla causa della morte o lesione discende anche dalla imperfetta tenuta della cartella clinica, il medico deve rispondere ex art. 40 c.p. del danno in questione, essendo rimasta incerta la reale causa di esso per una omissione ascrivibile al medico stesso (Trib. Roma, sez. XIII, 5 maggio 2007, in Red. Giuffrè 2008; Trib. Roma, sez. XIII, 6 aprile 2007, in Red. Giuffrè 2008).

La redazione completa della cartella è necessaria per consentire la ricostruzione ex post, a qualsiasi fine, dell'appropriatezza degli interventi.

Deve, inoltre, sempre essere compilata senza ritardo Cass. pen., sez. VI, 13 gennaio 2015, n. 6075, in Ragiusan 2015, 379-380, 125). In particolare, le varie annotazioni dei fatti clinici rilevanti devono avvenire contestualmente al loro verificarsi (Cass. pen., sez. V, 29 maggio 2013, n. 37314, in CED Cass. pen. 2013) ed escono dalla sfera di disponibilità del loro autore nel momento stesso in cui vengono di volta in volta registrate. Ne deriva che l'inserimento nella cartella, ora per allora, di tali fatti, anche se con il preteso intento di rendere il contenuto dell'atto conforme al vero, implica l'alterazione del diario clinico e pregiudica la funzione tipica di tale atto, senza che possa ricondursi tale condotta a un errore materiale o a una innocua alterazione.

Prescinde, infine, dalla presenza di un'urgenza sanitaria conseguente alla prosecuzione del trattamento, posto che conseguenze impreviste delle terapie somministrate ben potrebbero profilarsi a distanza di tempo e richiedere un immediato accertamento nell'interesse del paziente.

La completa e regolare compilazione della cartella clinica è rimessa in via definitiva e ufficiale al responsabile di reparto, di regola il primario, in qualità di pubblico ufficiale.

Sul piano probatorio, mentre alle attestazioni contenute in una cartella clinica circa le attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento è applicabile il regime probatorio privilegiato di cui agli artt. 2699 e ss. c.c. (a tal punto che, per contestarne la veridicità, è necessario proporre querela di falso), le valutazioni, le diagnosi o comunque le manifestazioni di scienza o di opinione in essa contenute non hanno alcun valore privilegiato rispetto ad altri elementi di prova; inoltre, le attestazioni della cartella clinica non costituiscono prova piena a favore di colui che le ha redatte, in base al principio secondo il quale nessuno può precostituire prova a favore di sé stesso (per Cass. civ., sez. III, 30 novembre 2011, n. 25568, in Giust. civ. Mass. 2011, 11, 1698, si tratta di certificazione amministrativa). Peraltro, una parte della giurisprudenza ritiene che le certificazioni amministrative rappresentino elementi di prova liberamente apprezzabili da parte del giudice di merito, siccome prive della particolare efficacia probatoria che l'art. 2700 c.c. attribuisce agli atti pubblici (Cass. civ. 24 marzo 1981, in Arch. civ., 1981, 447; Pret. Iseo 5 ottobre 1965, con nota di Pozzato, Una interessante sentenza: il valore della cartella clinica come elemento di giudizio nelle istruttorie giudiziarie, in Arch. soc. lomb. med. leg. assic., 1965, 257).

In definitiva, quando dev'essere applicato il principio della causalità adeguata alla materia della responsabilità (aquiliana) del medico, il riparto dell'onere della prova può essere così riassunto:

a) se è accertato che il medico ha posto in essere un antecedente causale astrattamente idoneo a produrre il danno;

b) se non è accertato se, nella specie, il danno sia stato effettivamente causato dalla condotta del medico;

c) in simili evenienze, incombe sul medico l'onere di provare concretamente, se vuole andare esente da responsabilità, che il danno è dipeso da un fattore eccezionale ed imprevedibile.

Guida all'approfondimento

L. BERTI, Il nesso di causa nella responsabilità civile, in Ridare.it;

C. LOMBARDO, Incompleta compilazione della cartella clinica: incertezze sul nesso di causa con il danno subito dal paziente ed onere della prova, in Ridare.it;

M. NASO, La responsabilità civile del medico e i danni risarcibili, Padova, 2012;

F. SORDI, Osservazioni a Trib. Firenze 21 novembre 2012, in Rivista Italiana di Medicina Legale (e del Diritto in campo sanitario) 2013, 02, 1135;

N. STELLA, Le incomprensioni tra scienza giuridica e scienza medico-legale: un pericolo da scongiurare, in Riv. it. med. leg., 1979, 7;

C. TRAPUZZANO, Medicina difensiva, in Ridare.it.

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