Processi morbosi successivi a sentenza passata in giudicato: principi generali e applicazione al caso concreto

Renato Fedeli
09 Giugno 2016

La pronuncia irrevocabile di accertamento incidentale dell'entità del danno biologico pregresso e di liquidazione dell'obbligazione non può comprendere i pregiudizi inferti al diritto alla salute successivamente prodotti, il cui sopravvento non sarebbe stato ragionevolmente desumibile da segnali prodromici obiettivamente percepibili.
Massima

La pronuncia, divenuta irrevocabile, di accertamento incidentale dell'entità del danno biologico pregresso e di liquidazione dell'obbligazione destinata a porre rimedio alla deminutio patita dal creditore, non può comprendere, nel suo ambito di estensione tendenzialmente omnicomprensivo, neppure per implicito, i pregiudizi inferti al diritto alla salute successivamente prodotti, il cui sopravvento non sarebbe stato ragionevolmente desumibile da segnali prodromici obiettivamente percepibili.

Il caso

Successivamente al passaggio in giudicato di sentenza che accerta esistenza ed entità di danni causalmente riferibili alla condotta del responsabile civile, sorgevano in capo al danneggiato nuovi processi morbosi e nuove menomazioni, di cui l'attore chiede ristoro, promuovendo autonomo giudizio avanti al Tribunale di Napoli.

Secondo l'allegazione attorea, i pregiudizi all'integrità fisica lamentati nel giudizio sarebbero derivati dall'attivazione di un fattore patogeno remoto, che avrebbe prodotto i suoi effetti solo successivamente alla definizione, con sentenza passata in giudicato, di giudizio avente ad oggetto il medesimo fatto illecito.

Detti effetti, successivamente prodotti, costituivano, sempre nella prospettazione del danneggiato, nuove ed autonome forme di manifestazione del medesimo fenomeno morboso conseguente all'originario fatto illecito, che era insorto a seguito di una imprevista evoluzione peggiorativa del quadro clinico del paziente.

In particolare, la vittima del sinistro stradale era costretta a sottoporsi ad intervento di sostituzione protesica, successivamente alla definizione, con sentenza passata in giudicato, del giudizio civile dallo stesso promosso, terminato con accertamento della responsabilità e condanna al risarcimento dei danni.

Promosso nuovo giudizio, terminato con la sentenza in commento, peraltro, si accerta, tramite ausiliari tecnici, che i caratteri originari dell'artrosi secondaria, localizzata alle regioni femorale e rotulea, conseguita alla frattura traumatica di tibia e perone patita dall'attore nell'immediatezza dell'accaduto, pur compiutamente esaminati dagli specialisti che sono stati incaricati di ricercarne esiti e sviluppi, rendevano “molto improbabile” l'eventualità che il processo di alterazione cronica delle cartilagini articolari, ancorché già in atto, potesse gradualmente progredire e acutizzarsi fino a costringere il paziente a sottoporsi ad intervento di sostituzione protesica che gli è stato praticato dopo la conclusione della vertenza.

Il convenuto si costituisce eccependo, appunto, l'autorità di cosa giudicata sostanziale ex art. 2909 c.c..

La questione

Il Tribunale partenopeo è chiamato a decidere in ordine alla risarcibilità di pregiudizi conseguenti a processi morbosi successivi a sentenza passata in giudicato, generati dal medesimo fatto illecito, e quindi ad applicare in concreto il principio di cui all'art. 2909 c.c., secondo cui «l'accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato fa stato a ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa»: si tratta di un caso di scuola di cosa giudicata sostanziale, di cui il giudicato formale (art. 324 c.p.c.) costituisce il presupposto.

Le soluzioni giuridiche

Il tribunale non si concentra sulla classica divisione dottrinale sulla natura giuridica del giudicato, che vede da un parte i sostenitori della teoria sostanziale (la cosa giudicata opera come nuova fonte di regolamento del rapporto dedotto in giudizio, che si affianca al rapporto preesistente e lo sostituisce) e dall'altra i sostenitori della teoria processuale, secondo i quali la cosa giudicata si risolve nel divieto per il giudice di eventuale processo futuro di pronunciare sulla medesima questione già decisa, senza alcun effetto estintivo del rapporto dedotto in giudizio.

Il tema attiene, seppure non espressamente richiamato dal giudice napoletano, il principio giurisprudenziale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile (tra le tante, Cass. civ., sez. lav., 21 luglio 2006, n. 16781), inteso nel senso che l'efficacia del giudicato si estende anche a quanto le parti avrebbero potuto dedurre (giudicato implicito, contrapposto al giudicato esplicito) e ne consente un'applicazione in concreto riferibile al risarcimento dei danni da fatto illecito (nel caso di specie, sinistro stradale).

Il Tribunale utilizza la categoria dei fatti nuovi, per risolvere la questione in senso favorevole al danneggiato, posto che, in base ai principi generali, il giudicato è vincolante con riferimento alla situazione di fatto esistente al momento della formazione del giudicato stesso: infatti, il mutamento di una situazione di fatto non può, di per sé, comportare il superamento del giudicato, facendo sorgere, al contrario, la necessità che il giudice si pronunci proprio sulla nuova situazione di fatto insorta dopo il giudicato.

E d'altronde, proprio il principio del “dedotto e deducibile” riguarda «le ragioni non dedotte che si presentino come antecedente logico necessario rispetto alla pronuncia, nel senso che deve ritenersi preclusa alle parti la proposizione, in altro giudizio, di qualsivoglia domanda avente ad oggetto situazione incompatibili con il diritto accertato» (Cass. civ., sez. III, 14 novembre 2000, n. 14747).

In breve il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, ma resta salva ed impregiudicata la sopravvenienza di fatti e di situazioni nuove, che si siano verificate dopo la formazione del giudicato o, quantomeno, che non fossero deducibili nel giudizio in cui il giudicato si è formato (Trib. Roma, Sez. XI Civ., 7 aprile 2015, n. 7535).

Su tali principi si innesta il ragionamento della sentenza in commento, che ricorda come il giudicato riguardi il ristoro di danni conseguenti a menomazioni psico-fisiche emerse all'esito delle indagini peritali disposte nel precedente giudizio, evidenziando la necessità di un'approfondita verifica in chiave prognostica delle possibili degenerazioni future.

L'aggravamento delle condizioni di salute del danneggiato, pertanto, si rivela esteriormente, e addirittura nel suo stadio di esordio, solo a operazioni peritali concluse, nel precedente giudizio, e pertanto non può che costituire una «conseguenza afflittiva ulteriore e inattesa della malattia anteriormente diagnosticata, non apprezzabile ex ante prima della comparsa della relativa sintomatologia».

Con tali presupposti in fatto e di natura clinica, è del tutto evidente che l'accertamento di postumi contenuto nella sentenza in relazione alla quale il convenuto invoca il giudicato non può essere riferito anche alle conseguenze emerse successivamente, in assenza di «segni prodromici obiettivamente percepibili».

Il giudice partenopeo ricorda, richiamandola espressamente tra i precedenti pertinenti, che già Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2005, n. 11592 aveva sancito che «il danneggiato da un sinistro stradale il quale abbia transatto la lite con l'assicuratore del responsabile può sempre chiedere il risarcimento dei soli danni (alla persona) manifestatisi successivamente e non prevedibili al momento della transazione, quand'anche le parti abbiano fatto riferimento ai danni futuri».

Così come correttamente richiamata nella sentenza in commento appare Cass. civ., sez. III, 4 novembre 2014, n. 23425, secondo cui «quel che rileva ai fini della risarcibilità dei danni sopravvenuti alla transazione od alla sentenza non è la presenza di segni clinici, ma la loro ragionevole prevedibilità con riferimento alle circostanze del caso concreto. Prevedibilità che, in teoria, può anche prescindere dall'esistenza di sintomi».

In conclusione, sulla scorta delle valutazioni tecniche dell'ausiliario, la sentenza in commento ha ritenuto meritevole di accoglimento la domanda, sulla base di fatti clinici nuovi, originati da un evento non presumibile all'epoca dello svolgimento del precedente giudizio, identico per causa petendi.

Osservazioni

Come nelle frequenti fattispecie di pregiudizi insorti successivamente a un accordo transattivo intervenuto tra le parti, in materia di risarcimento del danno derivante da lesione può verificarsi quanto descritto nella sentenza in commento, vale a dire che, dopo il passaggio in giudicato della pronuncia, emergano menomazioni che all'epoca dell'indagine istruttoria non erano oggettivamente percepibili dal danneggiato.

La soluzione offerta dal Tribunale di Napoli appare pienamente in linea con la giurisprudenza, di legittimità sopra richiamata e risulta essere l'esito naturale di un accertamento eseguito con il necessario ausilio di consulenti medici del giudice, senza i quali, evidentemente, ogni valutazione dei fatti clinici rilevanti e sopravvenuti non è possibile.

Quanto all'onere di provare la risarcibilità del danno conseguente a medesimo fatto illecito, già oggetto di sentenza passata in giudicato, non vi è dubbio che lo stesso incomba sull'attore, il quale non potrà che affidarsi non solo alla imprescindibile documentazione medica a sostegno della domanda, ma anche a valido supporto tecnico, atteso che non sarà sufficiente per l'attore la mera allegazione dell'esistenza di tale danno.

Il convenuto, al contrario, potrà paralizzare la richiesta attorea, non adeguatamente supportata dal punto di vista medico, sollevando l'eccezione di giudicato ex art. 2909 c.c..

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