Nessun risarcimento se manca la prova del difetto del fustino di candeggina esploso

09 Settembre 2016

La responsabilità da prodotto difettoso ha natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall'accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell'esistenza di un difetto del prodotto.
Massima

La responsabilità da prodotto difettoso ha natura presunta, e non oggettiva, poiché prescinde dall'accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione dell'esistenza di un difetto del prodotto. Incombe, pertanto, sul soggetto danneggiato – ai sensi dell'art. 8, d.P.R. 24 maggio 1988, n. 224 (trasfuso nell'art. 120 Cod. Consumo) – la prova specifica del collegamento causale non già tra prodotto e danno, bensì tra difetto e danno, ciò rappresentando un pre-requisito della responsabilità stessa, con funzione delimitativa dell'ambito di applicabilità di essa.

È difettoso – ai sensi dell'art. 5, d.P.R. n. 224/1988 (oggi trasfuso nell'art. 117 Cod. Consumo) – quel prodotto che non offra la sicurezza che ci si può legittimamente attendere in relazione al modo in cui il prodotto è stato messo in circolazione, alla sua presentazione, alle sue caratteristiche palesi alle istruzioni o alle avvertenze fornite, all'uso per il quale il prodotto può essere ragionevolmente destinato, e ai comportamenti che, in relazione ad esso, si possono ragionevolmente prevedere, al tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione.

Il caso

Tizia proponeva impugnazione avverso la sentenza del Tribunale di Roma del febbraio 2008, con la quale era stata rigettata la sua domanda di condanna della Beta s.r.l. al risarcimento dei danni patiti a seguito dell'esplosione di un fustino di candeggina, prodotto della medesima società, avvenuta durante il suo normale utilizzo ad opera dell'attrice presso la sua abitazione privata. In particolare, il giudice di prime cure aveva ritenuto insussistente la prova della riconducibilità del fatto ad un difetto del prodotto. Parimenti, la Corte territoriale respingeva il gravame, con condanna dell'appellante al pagamento delle spese di lite. Nello specifico, il giudice di secondo grado precisava che la prova della quale era onerata l'appellante avrebbe potuto essere raggiunta con l'ausilio di una consulenza tecnica da espletare non sul fustino di candeggina de quo, ma su ipotetici difetti di un prodotto standard da comparare, e valutare come compatibili, con la rottura del contenitore utilizzato da Tizia. Quest'ultima ricorre quindi per cassazione sulla base di quattro motivi, alla quale resiste la Beta s.r.l. con controricorso. In particolare, con la prima censura è denunciata la violazione e la falsa applicazione degli artt. 8, d.P.R. n. 224/1998 e art. 2697 c.c. in relazione all'art. 5 del medesimo d.P.R.. Difatti, la Corte d'appello di Roma avrebbe errato nell'applicare le predette norme giacché ha ritenuto non raggiunta la prova della difettosità del prodotto, assumendone una nozione non rispondente a quella desumibile dal predetto art. 5, ossia di prodotto dal “funzionamento anomalo rispetto ai propri standards”.

Gli Ermellini, invero, dichiarano infondato il motivo e respingono in toto il ricorso. Non risulta, quindi, scalfita dalle doglianze della ricorrente la valutazione – spettante soltanto al giudice del merito – sull'assenza di una prova presuntiva favorevole all'attrice, non integrando gli estremi degli indizi precisi, gravi e concordanti il mero riscontro testimoniale della rottura, in un certo modo, del flacone di candeggina, insufficiente a poter far ritenere la difettosità del prodotto in assenza di ulteriori elementi convergenti in tal senso e sull'uso effettivamente fattone dello stesso da parte della danneggiata dal momento dell'acquisto.

La questione

La questione in esame è la seguente: quali sono i presupposti per il risarcimento del danno causato da un prodotto difettoso?

Le soluzioni giuridiche

La materia della responsabilità del produttore per danni conseguenti alla messa in commercio di prodotti difettosi è attualmente disciplinata in modo organico negli articoli 114-127, d. lgs. n. 206/2005, Cod. consumo, attuativo della l. delega n. 229/2003.

Il suddetto d.lgs. n. 206/2005 nella parte relativa alla responsabilità per danno da prodotti difettosi ha sostituito, recependone il contenuto, il precedente testo legislativo in materia costituito dal d.P.R. 24 maggio 1988, n. 224, attuativo della dir. CEE n. 85/374 relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità da prodotti difettosi.

In particolare, in base al disposto di cui all'art. 8, decr. n. 224/1988, che riprende il contenuto dell'art. 2697 c.c., in tema di responsabilità derivante da prodotti difettosi, il soggetto danneggiato deve fornire la prova del danno, del nesso di causalità e deve, altresì, provare che il prodotto abbia comportato risultati anomali rispetto alle normali aspettative.

Il produttore, invece, deve provare che il difetto non esisteva al momento dell'immissione in commercio del prodotto e, a tal proposito, l'art. 12 del medesimo d. P.R. prevede il divieto assoluto di inclusione di cause di esonero della responsabilità del produttore.

Il difetto, per provocare una responsabilità del produttore, non deve rimanere allo stato latente, ma deve provocare effetti di carattere materiale o fisico; in tal modo il consumatore, una volta dimostrata l'insicurezza del prodotto, deve provare solamente che i predetti effetti hanno causato il danno in ragione del quale è richiesto il risarcimento. Tali conseguenze concrete costituiscono la causa prossima del danno, mentre la causa remota risale al difetto.

L'art. 5, del d.P.R. 224/1988, ora art. 120 Cod. cons., prevedendo che il danneggiato deve dimostrare che l'uso del prodotto ha comportato risultati anomali rispetto alle normali aspettative, fa riferimento alla prova del nesso causale, dovendo, in realtà, far risalire causalmente tutto all'esistenza del difetto, da provarsi dimostrando gli effetti materiali di quest'ultimo ed il danno all'integrità fisica o ai beni dell'utente di cui si chiede il risarcimento. Tuttavia il giudice che si trovi ad applicare il suddetto principio deve prestare attenzione ad alcuni profili critici rinvenibili in primis nel fatto che l'uso del prodotto potrebbe presupporre un'ampia autonomia d'azione di colui che se ne serve e, secondariamente, che il danno potrebbe derivare invece da un uso poco accorto o imperito del prodotto stesso; infatti la insicurezza del prodotto è una clausola generale che nelle singole fattispecie deve essere valutata attentamente dal giudice che deve basarsi sulle circostanze allegate e provate da colui che agisce in giudizio chiedendo il risarcimento.

Di conseguenza, la responsabilità da prodotto difettoso non è inquadrabile nell'ambito della responsabilità oggettiva, bensì nella diversa categoria della responsabilità presunta, dal momento che essa prescinde dall'accertamento della colpevolezza del produttore, ma non anche dalla dimostrazione di un difetto del prodotto.

Quanto al difetto, in particolare, il d.P.R. 224/1988 fa riferimento al difetto di fabbricazione ovvero alle ipotesi dell'assenza o carenza di istruzioni, strettamente connesso al concetto di sicurezza. Peraltro, il livello di sicurezza prescritto, al di sotto del quale il prodotto deve considerarsi difettoso, non corrisponde a quello della sua innocuità, dovendo, piuttosto, farsi riferimento ai requisiti di sicurezza generalmente richiesti dall'utenza in relazione alle circostanze specificatamente indicate dall'art. 5 del predetto decreto. Perciò il danno eventualmente originatosi non costituisce prova indiretta della pericolosità del prodotto in condizioni normali di impiego, rappresentando al più una pericolosità maggiormente indefinita del prodotto, valutazione comunque di per sé insufficiente a fondare la responsabilità del produttore.

Invero, il Codice del consumo, nel far dipendere la responsabilità del produttore per prodotti difettosi dal nesso di causalità tra il danno ed il difetto del prodotto, e non già tra prodotto e danno, pone un prerequisito della responsabilità stessa, con funzione delimitativa dell'ambito di applicabilità di essa. Pertanto, incombendo al danneggiato provare gli elementi costitutivi di tale diritto, non è possibile affermare la natura oggettiva della responsabilità e, di conseguenza, che la prova semplice del nesso di causalità fra il danno ed il prodotto sia sufficiente a trasferire sul produttore l'onere di dimostrare che il prodotto non era difettoso o che sussistono altre cause di responsabilità.

Sicché, ai fini della risoluzione dell'odierna questione, i supremi giudici di Piazza Cavour ribadiscono un principio ormai pacificamente acquisito dalla giurisprudenza di legittimità, (v., Cass. civ. sez. III, sent., 29 maggio 2013, n. 13458), secondo il quale, sebbene la prova della difettosità di un prodotto possa basarsi su presunzioni semplici, non costituisce corretta inferenza logica ritenere che il danno subito dall'utilizzatore di un prodotto sia l'inequivoco elemento di prova indiretta del carattere difettoso di quest'ultimo, secondo una sequenza deduttiva che, sul presupposto della difettosità di ogni prodotto che presenti un'attitudine a produrre danno, tragga la certezza dell'esistenza del difetto dalla mera circostanza che il danno è temporalmente conseguito all'utilizzazione del prodotto stesso.

In conclusione, dunque, il danneggiato non avrà diritto ad alcun risarcimento se manca la prova in ordine al difetto presente in quel determinato prodotto utilizzato.

Osservazioni

A più di trent'anni dall'adozione della dir. n. 85/374/CEE, che ha introdotto nei paesi dell'Unione europea una disciplina armonizzata della responsabilità del produttore, il tema della sicurezza dei prodotti non sembra aver conosciuto negli ordinamenti europei e, in particolare, in quello italiano, quella rilevanza che, da ormai cinque decenni caratterizza l'esperienza giuridica nordamericana. Cionondimeno, l'imminente conclusione del Transatlantic Trade and Investment Partnership (TTIP), mediante il quale Unione europea e Stati Uniti mirano ad armonizzare i reciproci standards di sicurezza dei prodotti e a creare uno spazio economico comune, impone all'interprete l'esigenza di una rinnovata attenzione nei riguardi di articolati sistemi di norme tra loro profondamente interconnessi e destinati ad essere interessati da modificazioni riconducibili in via diretta o indiretta proprio dalla annunciata soppressione delle barriere non tariffarie, ossia di quelle disomogeneità ed incongruenze che tuttora caratterizzano i diversi standards di sicurezza dei prodotti negli ordinamenti.

E, in particolare, l'art. 120 Cod. Consumo, forse meriterebbe proprio una modificazione anche in vista dell'attuazione ormai prossima dei citati accordi transatlantici. Difatti la norma de qua nella parte in cui pone a carico del danneggiato l'onere di provare il nesso di causalità tra danno e difetto anche in presenza della prova del difetto, è assai criticabile, dal momento che contraddice tutte le acquisizioni interpretative sull'evidenza della prova e sul principio della prova logica presuntiva che, se esaustiva in termini di ragionevolezza, provoca il ribaltamento dell'onere della prova contraria a carico dell'altra parte.

La prova del difetto e del danno contestuale è talmente pregnante che non può addossarsi al danneggiato altro onere, atteso che res ipsa loquitur, usando il vecchio brocardo latino.

Più complesso è il discorso in ordine all'altro profilo, se cioè sia corretto porre a carico del danneggiato l'onere di provare la difettosità del prodotto. Invero, appare incoerente con lo spirito della normativa diretta alla tutela del consumatore la formulazione di una norma, che finisce per penalizzare il destinatario della tutela nell'aspetto processualmente più delicato della effettività della tutela. Si riconosce un diritto ma nella pratica se ne rende difficile o impossibile l'esercizio.

Già questo basterebbe a sollecitare una riflessione approfondita sull'argomento, che recuperi l'armonia del sistema rispetto alla norma codicistica dell'art. 2050, c.c., in cui il danneggiato deve provare l'evento lesivo ed il danno subito, e non certo la pericolosità dell'attività e la mancata adozione delle misure idonee ad evitare il danno.

La responsabilità per danno da prodotto difettoso può essere considerata una species dell'attività pericolosa, che è collegata in alcuni casi alla stessa attività produttiva intrinsecamente considerata ed in altri alla pericolosità del prodotto.

In conclusione, si potrebbe dunque dubitare della costituzionalità dell'art. 120 Cod. Consumo per violazione dell'art. 3 e dell'art. 24 Cost., sia per la disparità di trattamento che viene a crearsi rispetto alla disciplina dell'art. 2050, c.c., di cui la messa in commercio di prodotti difettosi costituisce ipotesi speciale, sia per violazione del diritto di azione e difesa, vulnerati dalla pretesa normativa di una prova diabolica, in particolar modo nei casi, come quello in rassegna, in cui il prodotto è andato distrutto.

Guida all'approfondimento

E. Al Mureden, La sicurezza dei prodotti e la responsabilità del produttore, Torino, 2015, 2, 268

G. Annunziata, La responsabilità civile e le fattispecie di responsabilità presunta, Padova, 2008, 301, 306, 308-309

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D. Cerini, V. Gorla, Il danno da prodotto. Regole, responsabilità, assicurazione, Torino, 2011, 162-165

F. Di Giovanni, in G. Alpa – U. Carnevali – F. Di Giovanni – G. Ghidini – U. Ruffolo – C.M. Verardi, La responsabilità per danno da prodotto difettoso, Milano, 1990, 137-138

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G. Ponzanelli, R. Pardolesi, Commentario. La responsabilità per danno da prodotti difettosi, in Le nuove leggi civili comm., 1989, 628 ss.

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G. Stella, La responsabilità del produttore per danno da prodotto difettoso nel nuovo codice del consumo, in Resp. civ. e prev., 2006, 1605-1606

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