L’incidenza delle condizioni socio-economiche del luogo di residenza del danneggiato nella determinazione equitativa del danno non patrimoniale

09 Novembre 2015

In tema di risarcimento del danno non patrimoniale, se chi ha diritto al ristoro risiede in un Paese estero in cui il valore della moneta e il connesso sistema dei prezzi, con cui in ultima analisi viene a raffrontarsi la statuenda attribuzione, divergono in misura apprezzabile rispetto al contesto economico italiano, la liquidazione andrà commisurata in tendenziale conformità a quei dati pertinenti.
Masima

In tema di risarcimento del danno non patrimoniale, se chi ha diritto al ristoro risiede in un Paese estero in cui il valore della moneta e il connesso sistema dei prezzi, con cui in ultima analisi viene a raffrontarsi la statuenda attribuzione, divergono in misura apprezzabile rispetto al contesto economico italiano, la liquidazione andrà commisurata in tendenziale conformità a quei dati pertinenti. Infatti, la liquidazione risarcitoria, che non attiene ad una finalità sanzionatoria ma solo ad uno scopo riparatorio del patimento provocato, non può avvenire sulla base assoluta dei parametri vigenti nella realtà italiana, dovendo invece il risarcimento essere parametrato alla realtà socio economica in cui vive il danneggiato, trattandosi di attribuire una somma di danaro che possa per essi rappresentare un congruo compenso della sofferenza indotta.

Il caso

A seguito di un grave incidente stradale, avvenuto in Italia, perdeva la vita un cittadino rumeno residente nel nostro Paese, mentre percorreva a piedi una strada statale in provincia di Bari, in orario serale. Ad agire in giudizio erano tutti i congiunti stretti della vittima che, residenti in Romania, chiedevano il ristoro del danno non patrimoniale da perdita del rapporto parentale invocando i parametri liquidativi in uso nel nostro ordinamento, come sintetizzati nelle tabelle elaborate dal tribunale di Milano.

La domanda veniva respinta sul presupposto che nessuna imputazione di responsabilità potesse essere attribuita al conducente del veicolo investitore.

Contro la decisione proponevano gravame i congiunti della vittima e la Corte di Appello di Milano, accogliendo parzialmente i motivi di censura, riteneva colpevole la condotta del conducente dell'auto nella misura del 50%, liquidando quindi in tale misura il danno non patrimoniale ai congiunti stretti della vittima, secondo i criteri tabellari in uso presso la curia milanese.

Venendo alla liquidazione del danno non patrimoniale per la perdita del rapporto parentale, come da istanza avanzata da tutti gli attori, la Corte di Appello rileva, sotto il profilo della legittimazione ad agire, che «se è indubbio che la convivenza con la vittima non sia requisito essenziale per il riconoscimento del danno morale, è però imprescindibile il raggiungimento della prova che il fatto illecito abbia provocato sul familiare non convivente quel dolore e quelle sofferenze che solitamente si accompagnano alla perdita di una persona cara» (Cass. n. 1025/2013).

Su tali premesse, pertanto, la Corte respinge la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale avanzata dalla madre e dai fratelli del de cuius sul presupposto che «la vittima aveva abbandonato il nucleo familiare di origine quantomeno dal 1992 e si era trasferito in Italia, senza che vi sia prova alcuna del permanere di rapporti con la famiglia di origine, di tal che non può affermarsi che il decesso di VP abbia comportato effettiva compromissione di un rapporto affettivo in essere al momento del fatto».

Di contro la Corte di Appello di Milano ritiene provato lo stato di sofferenza per la improvvisa perdita del congiunto in capo alla moglie ed ai figli della vittima, entrambe minorenni all'epoca del fatto.

Ove la decisione in commento si segnala, però, per la particolarità del decisum, e per il condivisibile impianto che lo sorregge, non è tanto nella attribuzione della legittimazione al ristoro del danno, bensì nella sua determinazione economica.

La questione

La questione in esame è dunque la seguente.

Attesa la comprovata residenza abituale delle parti attrici legittimate al ristoro del danno non patrimoniale iure proprio per la privazione improvvisa dell'affetto familiare, ci si chiede se la liquidazione del relativo danno (in via equitativa) debba avvenire sulla base assoluta e non emendabile dei parametri risarcitori vigenti nella realtà italiana, ovvero se la stessa debba trovare un elettivo e prioritario indice di riferimento economico nel luogo di abituale residenza dei danneggiati, dovendo il danno non patrimoniale, in questo secondo caso, essere ragguagliato alla realtà socio-economica in cui vivono tali beneficiari.

Le soluzioni giuridiche

Tenendo a mente che con la liquidazione del danno compensativo per la lesione di un bene primario per sua natura immateriale, la giurisprudenza si propone di fornire un compenso congruo di una privazione indotta e non riparabile.

Sulla questione se, nella determinazione del compenso monetario del pregiudizio non patrimoniale ed immateriale subito, debbano incidere o meno anche la variabili di conto imputabili al potere di acquisto della stessa moneta nel Paese di residenza e di vita abituale dei beneficiari, la giurisprudenza di legittimità e di merito si è negli anni divisa, fino a consolidare un doppio binario interpretativo che porta a soluzioni diametralmente opposte.

Il primo orientamento (favorevole alla parametrazione economica alle condizioni di vita del luogo di residenza dei beneficiari) risale ad alcuni arresti fatti propri da App. Trieste, sent., 25 gennaio 1995 per la quale le «utilità sostitutive» del bene salute (che non può mai essere reintegrato ma solo compensato economicamente) vanno valutate con riferimento ai parametri del luogo di acquisizione dei beni e, quindi, al contesto socio – economico dell'ambiente di vita del soggetto danneggiato, valutato sulla base del potere di acquisito della moneta (rispetto a quella di materiale erogazione della somma).

Tale principio - che risponde anche a criteri di equità sociale rispetto a quanto viene normalmente liquidato, per lesioni analoghe, ad un cittadino italiano - è conforme ai principi di liquidazione equitativa del danno (si veda Campeis - De Pauli, Il diritto internazionale della circolazione stradale, Giuffrè 1997,387 e ss.; nonché Polotti di Zumaglia in atti del Convegno ‘Addito salis grano' Montecatini 2-4 maggio 1996, Pisa, 1997,53,62-63) trovò conferma anche presso la Suprema Corte di Cassazione la quale (Cass., sent., 14 febbraio 2000, n. 1637), nell'ambito specifico della determinazione del danno morale, ha stabilito che «è consentito al giudice di merito tenere conto della realtà socioeconomica nella quale vive il danneggiato, al fine di ridurre il risarcimento ove in tale realtà la moneta abbia un elevato valore di acquisito».

La Giurisprudenza di merito è tornata sul punto, reputando talvolta «necessario modulare l'importo (del risarcimento) liquidando in relazione alla realtà socio-economica in cui vivono gli aventi diritto ed al potere di acquisto del denaro nella zona in cui esso è presumibilmente destinato ad essere speso, utilizzando all'uopo i coefficienti di conversione della parità del potere d'acquisto previsti dal Decreto del Ministero del Lavoro del 12 maggio 2003 che nel caso di specie è pari a 0,4592 (danneggiati cittadini Nigeriani)» (Trib. Treviso, 12 maggio 2008, n. 1127; in senso conforme Trib. Torino, sez. IV, n. 35723/2004 e Trib. Roma, sez. XII, n. 8155/2007, Trib. Treviso, sez. distaccata Conegliano, 8 ottobre 2008, n. 334 e Trib. Torino, sez. IV civ., 20 luglio 2010, n. 4932).

Un diverso ed opposto orientamento trova maggior conforto in alcune decisioni rese dalla suprema Corte di Cassazione che si è nel tempo affrancata dal precedente arresto già citato (Cass. n. 1637/2000) stabilendo, da ultimo, che «la realtà socio economica nella quale vive il soggetto danneggiato da un fatto illecito ed in cui la somma da liquidare è presumibilmente destinata ad essere spesa è del tutto irrilevante ai fini della liquidazione del danno aquiliano, atteso che si tratta di un elemento estraneo all'ambito dell'illecito e che – ove venisse considerato – determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento ed una lesione del principio di integralità del risarcimento» (Cass., 12 giugno 2015, n. 12221, conf. Cass. n.7932/2012 e n. 24201/2014).

La Corte di Appello di Milano, nel risolvere la questione legata al quantum risarcitorio attribuibile ai congiunti della vittima primaria, tutti residenti in Romania, per il danno non patrimoniale subito iure proprio (lesione del rapporto parentale), aderisce in modo chiaro e logico al primo orientamento sopra illustrato.

Ricorda innanzitutto la Corte che la liquidazione del danno non patrimoniale nel nostro ordinamento non ha mai una finalità sanzionatoria (come di recente è stato ribadito a proposito della non risarcibilità del danno tanatologico nella pronuncia Cass., Sez. Un., 22 luglio 2015, n. 15350, v. F. Rosada, Perdita della vita e diritto al conseguente risarcimento del danno: questione chiusa, in Ri.Da.Re.), bensì una funzione meramente riparatoria del patimento provocato.

Su tale premessa, incide e trova legittimazione dunque l'affermazione che «se chi ha diritto al ristoro risiede in un Paese estero in cui il valore della moneta e il connesso sistema dei prezzi, con cui in ultima analisi viene a raffrontarsi la statuenda attribuzione, divergono in misura apprezzabile rispetto al contesto economico italiano … la liquidazione pertinente andrà commisurata in tendenziale conformità a quei dati».

«A variare» – prosegue la Corte – «non è dunque l'entità delle ideali soddisfazioni surrogatorie e compensative, computata secondo i comuni canoni e parametri attributivi invalsi nella prassi in materia, bensì la quantità di danaro occorrente a procurarle nella realtà socio economica in cui sono inseriti i soggetti danneggiati».

Su tali premesse, ed in concreto, la Corte, ritenuto notorio il diverso potere di acquisto della moneta in Romania rispetto all'Italia, opta per una soluzione, su base equitativa, che determini un abbattimento degli indici monetari in uso per i pregiudizi risarciti (la tabella milanese), nella misura detrattiva del 30% rispetto ad un valore economico risarcito secondo tabella ad un residente nel territorio dello Stato italiano.

Osservazioni

La sentenza in commento si segnala per la lucida disamina di una questione giuridica assai datata e controversa tutt'oggi in giurisprudenza, ponendo al centro dell'iter logico motivazionale non mere posizioni ideologiche e preconcette (la pretestuosa accusa di discriminazione rivolta ai fautori della tesi parametrativa, sempre sollevata a sproposito), ma finalmente richiamando i principi ordinamentali del sistema di risarcimento del danno alla persona nel nostro Paese.

Detto che l'accusa di voler introdurre una discriminazione su base “etnica” del quantum risarcibile appare banale e scollegata dalla realtà (posto che il criterio deterministico non è il luogo di nascita del danneggiato, bensì il luogo ove lo stesso risiede e presumibilmente spenderà la moneta compensativa ricevuta), la Corte di Appello di Milano centra, a nostro giudizio, le ragioni prima di tutto giuridiche di un principio assolutamente condivisibile.

Il miglior sostegno alla tesi adottata dalla Corte meneghina lo si rinviene, a parere di chi scrive, dalla stessa lettura dei passaggi essenziali delle decisioni della Corte di Cassazione che si pongono in quel solco contrario a quanto in questo caso statuito.

Se si prende ad esempio il passaggio motivo della recente decisione citata (Cass., 12 giugno 2015, n. 12221), sul quale si basa la negazione del principio, sarà semplice accedere alla tesi adottata dall'orientamento contrario e qui accolto nella decisione in commento.

Affermano infatti i giudici della decisione n. 12221/2015 che il luogo di probabile spendita della moneta compensativa non sarebbe rilevante perché attinente ad «un elemento estraneo all'ambito dell'illecito». Ebbene, l'osservazione non ci pare colga nel segno, laddove si consideri che ogni liquidazione del danno (in quanto conseguenza di un illecito) è sempre estraneo e succedanea allo stesso fatto generatore del danno, costituendone appunto un parametro riparatorio e non restitutorio.

Quanto poi alla considerazione che l'adozione del principio determinerebbe una «irragionevole disparità di trattamento ed una violazione del principio di integralità del risarcimento», tale approccio dogmatico appare in parte antigiuridico ed in parte inconferente.

Il risarcimento del danno di natura non patrimoniale per la lesione di un bene immateriale come la rottura di un legame familiare è raggiunto nel nostro ordinamento attraverso l'attribuzione di una somma di danaro con la quale si presume raggiunta una funzione consolatoria per la privazione stessa del bene non determinabile.

Tale consuetudine empirica – una mera fictio in effetti, non essendo il pregiudizio in alcun modo materialmente compensabile – attinge alla funzione consolatoria del risarcimento che si basa essenzialmente su un dato economico: il valore più o meno congruo di un compenso tradotto in un bene fungibile e materiale.

È la stessa giurisprudenza dunque che nel nostro ordinamento (a differenza di quanto avviene in altri Paesi, per esempio in quelli di estrazione teutonica) ha attinto alla “moneta” come valore compensativo ed appare persino illogico, pertanto, fare riferimento (come avviene in Cass., n. 12221/2015) al principio della integralità del risarcimento senza voler attingere, nell'espressione del giudizio di congruità, alla funzione di spendibilità della moneta conferita.

Quanto infine, alla supposta disparità di trattamento che si verrebbe a creare nel caso di adozione del principio di parametrazione, tale assunto appare contraddittorio laddove si consideri che, se di disparità si deve parlare, la stessa sembra oggi più riferibile al cittadino residente in Italia che a quello residente in contesti socioeconomici a minor impatto di spesa: a parità di lesione, infatti, il danno risarcito al soggetto residente in Italia è meno consolatorio e quindi compensativo di quello attribuito ad un soggetto che viva in un contesto ove il costo della vita sia notevolmente inferiore che in Italia.

In conclusione, la decisone recente resa dalla Corte di Appello di Milano ci pare si ponga nel solco interpretativo più corretto e condivisibile del contendere dottrinale e giurisprudenziale, qui ampiamente riferito, e certamente più conforme ai principi che regolano il nostro sistema risarcitorio del danno alla persona.

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